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Autore: Emrys    19/12/2012    1 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luna nuova illuminava il cielo sgombro e, come gli capitava sempre più spesso, Eric si prese qualche minuto per assaporare la quiete che avvolgeva la città. Erano trascorsi un paio di mesi dalla sera in cui aveva incontrato Ilaria all’interno della piscina comunale, tuttavia lui non era ancora riuscito a trovare il coraggio di risponderle con sincerità. La cosa lo turbava e la risata che si lasciò sfuggire aveva un suono fin troppo somigliane al latrato di un randagio. Aveva passato secoli ad ubbidire ciecamente agli ordini di Sihel, uccidendo e mutilando tutti i poveri disgraziati che avevano la sfortuna d’incorrere nell’ira degli Anziani, isolando sempre più il suo vero io e imponendosi di non ascoltare le urla della propria anima. Il sogno di distruggere i Cinque era stato a lungo l’unico motore che il suo cuore riuscisse a percepire, ma da quando l’aveva incontrata il suo animo era cambiato. Era diventato più forte. Era stata una sorta di rinascita e non appena Mary se n’era accorta aveva cominciato a prenderlo in giro. Aveva agito per puro istinto, una cosa a dir poco atipica, ma nonostante il tempo trascorso non era riuscito a soffocare quella paura irrazionale: non poteva perderla, non avrebbe mai permesso che qualcuno le facesse del male. C’era un solo punto stonato nei suoi intenti. Come si poteva perdere qualcuno che nemmeno ci conosce? “Non ho riconosciuto o benché mai accettato quel primo sintomo di follia, sono stato uno sciocco. Sono arrivato a usare il mio sangue, così da sigillarle i poteri e renderla irrintracciabile dagli occhi degli altri.” Si stese sul tetto dell’edificio, aveva un’espressione malinconica e incrociate le braccia al petto iniziò a fissare le stelle. “Castar, se potessi vedermi in questo momento passeresti almeno due stagioni a riempirmi di scappellotti e senza mai smettere di ridere. Con lei non riesco a mantenere il sangue freddo e se anche portasse alla mia fine, non riuscirei mai ad accettare l’idea di perderla.”  Disegnò nell’aria una serie di caratteri cuneiformi e non appena questi cominciarono a illuminarsi li cancellò. “Legarsi fino a questo punto con una mortale è follia, non posso. Quella notte ho fatto bene a non raccontarle nulla, non posso tornare indietro, la verità complicherebbe soltanto la situazione. La sua mente tornò al momento in cui Ilaria aveva accettato di partire con lui, quella ragazza aveva lasciato gli amici e la sicurezza della sua casa senza chiedergli nessun genere di garanzie e adesso come allora quella fiducia gli riempì il cuore di calore. Quelle emozioni erano piacevoli, ma anche potenzialmente pericolose. Non poteva permettersele, lo mandavano in confusione, tuttavia non era neanche in grado di domarle.

Ilaria credeva di essere ormai abituata alla nuova casa, tuttavia il senso dell’orientamento l’aveva tradita ancora una volta: invece di arrivare alla cucina si trovava davanti allo stanzino. “Perfetto.” Sbuffò irritata e imboccata la giusta direzione si scoprì a fissare la propria immagine nello specchio appeso al corridoio: capelli corti rosso vivo, arruffati, occhi che per quanto stanchi sembravano non mantenere un colore fisso per più di qualche secondo e la pelle abbronzata dal sole. Le labbra piene si curvarono in un sorriso spontaneo, sinceramente soddisfatto: stentava a riconoscersi, soprattutto con quella maglia informe che aveva riadattato come pigiama dopo l’epocale catastrofe del bucato. Separarsi da Maxwell e le ragazze era stato doloroso, comunque non rimpiangeva la sua scelta: oltre al controllo sul potere (come lo chiamava Eric), c’era in ballo proprio il comportamento del pennuto in questione. Lui agiva come un perfetto insegnante, attento a non creare equivoci, e il solo pensarci rischiava di farle davvero perdere la testa. Doveva rassegnarsi, provava qualcosa per il suo angelo e nessun tipo di sforzo fisico le avrebbe permesso di cancellare quei sentimenti. Proseguì per la cucina, dove si preparò una tisana. “Sono una sciocca.” Portò lo sguardo alla finestra e dopo un profondo sospiro ritornò alla sua camera.

§§§

Iris si era buttata sul letto da almeno un paio d’ore e il sonno non era ancora stato abbastanza cortese da farle visita. Aveva l’impressione di essere una bambola di pezza abbandonata all’angolo della strada e l’aver sperato che sarebbe stato diverso la faceva sentire un stupida. Da anni la notte per lei rappresentava il momento peggiore, perché le cose avrebbero dovuto all’improvviso migliorare? Era come se le stelle e la luna non fossero sufficienti per tenere lontani gli incubi, o anche più semplicemente i cattivi pensieri. Si mise a sedere sul letto e accesa la luce cercò d’ignorare gli occhi gialli del gufo che la fissava dalla finestra. La camera le era ancora in parte estranea, ma era comunque in grado di scorgervi le buone intenzioni degli Anderson. Indossava solamente un paio di mutandine  e una larga maglietta con il disegno di Hello Spank sul petto, con quel caldo qualunque altra cosa sarebbe stata una tortura. Sfiorò con le dita la scrivania in disordine, passando poi all’armadio di legno chiaro, alla cassapanca dipinta di fiori e infine a un piccolo quaderno pieno di macchie e strappi. Era stata accolta in quella casa da meno di due settimane e loro si erano dimostrati più che gentili, nonostante questo non poteva fare a meno di pensare che quel quaderno era l’unica cosa realmente sua in quella stanza. Aveva così tanta paura di perderlo che lo nascondeva alla stregua di un tesoro, mimetizzandolo con gli altri libri presenti nelle mensole. Lo strinse al petto e la investì un odore improvviso di muffa e cenere. Una lacrima fugace le solcò il volto e lei stessa fu scossa da un tremore improvviso. Non le credevano mai. I servizi sociali, fino a prova contraria avrebbero dovuto tutelare i suoi diritti, si erano a malapena scomodati procurandole una serie di sedute psichiatriche con annessi medicinali per i fuori di testa. Ricordava poco di quei giorni, ma l’esperienza le aveva insegnato che se anche persone come gli Anderson si dimostravano splendide non poteva permettersi di osare.
Se avesse raccontato loro quello che era successo nel migliore dei casi l’avrebbero presa come una crisi adolescenziale, altrimenti l’avrebbero cacciata ed etichettata come una matta da camicia di forza. Nascose il quaderno, poi inghiottì a vuoto e tornò sotto le coperte, si mise di fianco e rimase a fissare la porta della camera. “Sono passati tre anni, gli strizzacervelli continuano a dire che avrei dovuto superarlo, meta-metabolizzarlo, come dicono loro; come posso farlo se vogliono convincermi che i miei ricordi di quel giorni non sono reali?” Gemette frustrata, chiuse gli occhi e dopo mezzo minuto si girò dall’altra parte, così da guardare il piccolo specchio a fianco dell’armadio. Non mise a fuoco subito, ma dopo qualche minuto si rese conto che il suo riflesso le sembrava la parodia della bambina che era stata e di quello che aveva perduto. Di cosa si meravigliava ? Negli ultimi anni la sua vita non era stata proprio la parodia di una vita normale? Quella maledetta notte qualcosa le aveva strappato tutto e nonostante il tempo lei faticava ancora a ritrovare tutti i pezzi. Cosa mai le faceva sperare che con gli Anderson sarebbe stato diverso? Forse i mostri non l’avrebbero di nuovo raggiunta? Oppure gli adulti avrebbero miracolosamente cominciato ad ascoltarla, smettendo di mandarla da dei signori talmente incartapecoriti da cercare un significato addirittura dietro un culo? Non voleva che continuasse così, sarebbe stata una tortura, e tuttavia non desiderava neanche restare da sola. Si addormentò rannicchiandosi in posizione fetale, con paura e dubbi che continuavano ad affollarle la mente: la notte non le avrebbe non le avrebbe portato nessuna risposta, ma in quel momento lei desiderava soltanto un sonno senza sogni.

§§§

Faticava ad abituarsi, tuttavia quelle maledette scimmie avevano smesso di temere il buio e i bagliori artificiali con cui si circondavano erano un distintivo segno della loro rivalsa sulle tenebre. Quelle luci lo irritavano e gli rievocavano l’immagine di viscidi serpenti striscianti. Anyel sfiorò la croce sul tetto della cattedrale e sulle sue labbra apparve un ghigno si superiorità. Quelle formiche si affannavano per raggiungere i loro interessi e si sforzavano di mascherarli con stucchevole buonismo. Erano solo animali in cerca di esseri superiori da servire e lui non avrebbe mai condiviso lo spirito di sacrificio che i primi avevano provato per quell’infima razza. “Ael, Rafael, Zackfiel. Cosa vedevate mai in loro? Cosa vi spingeva a seguire e intervenire lungo il cammino della loro evoluzione? Paragonati alla nostra gloria loro non possono essere altro che polvere.” Erano secoli che le sue interrogazioni erano diventate soltanto domande retoriche, tuttavia, per la prima volta in quasi seimila anni gli eventi si stavano muovendo tanto veloci dal rischiare di sfuggire al suo controllo. Questo non andava affatto bene. “Eric, sei da solo. Per quanto t’impegni per nascondere quell’infima creatura prima o poi la troveremo.” La tensione sul suo volto al’improvviso si sciolse. “nel frattempo noi vedremo di fare una bella piazza pulita.” Piegò la croce della cattedrale, un gesto noncurante, e sparì nella notte.

   
 
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