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Autore: Amy Tennant    19/12/2012    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pete Tyler entrò nel laboratorio e la dottoressa Lane gli rivolse uno sguardo che era un insieme di parole non dette poi spostò gli occhi su di John, che era lì.  Era intento a rovistare tra fili e apparecchiature smontate con il cacciavite sonico che si era costruito per sé, rifiutandosi di condividerne il progetto con il laboratorio perché entrasse a far parte della fornitura di base del Torchwood. Ne era geloso, aveva detto così; e quando i suoi occhi diventavano in un certo modo, nessuno riusciva a contraddirlo.
Era davvero impressionante.
Impressionante come riuscisse a mettere insieme le cose in modo assurdo eppure perfettamente aderente ad idee che rispondevano a logiche troppo più complesse delle loro. Impressionante quanto fosse sensibile, a volte. Umorale forse era la parola adatta.
Un genio assoluto, una mente aliena affilata come una lama.
…era l’uomo che amava sua figlia…
Pete cacciò quel pensiero pericoloso per la sua coscienza ma sperò davvero che quel che stava accadendo non volesse dire perderlo, in nessun senso.
Sentì che borbottava mentre lavorava.  
Fece per avvicinarsi ma inciampò.
Sul pavimento vi erano i resti di qualcosa che sembrava semplicemente essersi buttato dietro senza molto garbo, forse perché inutile al suo scopo. Glielo aveva visto fare parecchie volte.
Quando lavorava era consigliabile non stargli mai alle spalle.
-          Che cosa sta facendo? – chiese piano alla dottoressa.
-          Sta costruendo un dispositivo di contenimento temporale differenziato.
-          E sarebbe?
-          E’ necessario per il Tardis ma…
-          Ma è sempre qualcosa che non ha a che fare con la nostra fisica, suppongo.
-          Lui non è di questo mondo -  disse lei guardandolo. E Pete intravide negli occhi di lei ammirazione ma anche preoccupazione.
-          Come sta? – chiese sinceramente impensierito.
-          Trentanove e mezzo! – gridò lui trionfante e con un sorriso. Pete lo guardò interrogativamente – è la febbre. Oggi ho battuto il record personale! Mai avuta temperatura così alta, se non considero quella volta che mi contaminai per sbaglio con quel virus mutante che era rimasto attaccato a quella dannata interfaccia biologica che … ah, ma roba vecchia!  - rise – ah, scusa… ciao, Pete! – aggiunse giocherellando con il cacciavite come fosse una normale penna. Pete lo guardò spiazzato. Gli si avvicinò e vide come fosse evidente il suo stato. Era sudato, gli occhi lucidi come specchi, pallidissimo. Il suo cuore doveva andare anche troppo veloce visto che il suo respiro gli sembrava strano.
-           John, tu non ti senti bene…
-          Niente affatto! Mai stato più lucido, più efficace!
-          Diamine, John! Hai un aspetto terribile… - John lo guardò sinceramente stupito dalla cosa, almeno così gli parve. Possibile che non si sentisse male?
-          Pete, sto lavorando ad una cosa urgente, urgentissima! – continuò come se non gli importasse d’altro – il… il Tardis – il fiato gli si era spezzato e lui ne era rimasto stupito ma per un istante – ecco, il Tardis sta aprendo una dimensione condensata nella quale definisce la sua variabilità volumetrica nello spazio.
-          Cosa!?
-          In sostanza sta cercando lo spazio nel quale “aprirsi” – disse con un sorriso – ma c’è un problema e non da poco. Non è compatibile con la matrice di questo universo.
-          Vuoi dire che…?
-          Sì, sì, sì!  -scattò in piedi. Aveva l’aria un po’ folle certe volte ma i suoi occhi facevano paura in quel momento.
-          Calmati, John.
-          Sono, calmo. Ma non lo è il giovane Tardis che proviene dal mondo parallelo e per questo motivo qui c’è qualche problema ma… è superabile perché si è sviluppato ed è cresciuto con questa energia. Che paradosso meraviglioso e terribile insieme! Ma… questo lo farà da sé, sa che fare e in realtà io devo solo… indicargli dove stare – sembrava parlasse di qualcosa di vivo e non avevano capito fino a che punto lo fosse. Pete trovava la cosa sempre più inquietante ed anche i progetti su quest’entità aliena allevata da quell’alieno-umano.
-          John, il dispositivo di… insomma, quella cosa che stai costruendo serve a dargli delle coordinate?
-          No, no. Quello… Mette al riparo questo mondo dall’apertura che serve al Tardis, un’apertura interdimensionale che potrebbe scaraventare dentro una parte del mondo nel quale si apre.
-          Vuoi dire che aprirà una sorta di buco nero???
-          Assolutamente no, no! – disse John tranquillo poi aggrottò la fronte un po’ perplesso – beh, ecco… in realtà io lo definirei qualcosa di approssimativamente più vicino ad un cono con un rigonfiamento sulla parte superiore - aggiunse quasi fra sé - ma sempre ragionando in termini inopportuni e a ben pensarci non è che c'entri granché e le dimensioni in questo caso… ah, sono davvero tante!
-          Non riesco a seguirti.
-          Rinunciaci, Pete. E’ difficile farlo anche per me – sorrise divertito.
-          Di quanto spazio avrà bisogno?
-          Siamo di fronte all’incognita più grande! Ed è eccezionalmente tremendo! Come dicono sia la mia ira – aggiunse piano e rise.
-          E’ un incubo! – gemette Pete.
-          Mi aspettavo non fosse esattamente facile, neanche per me – rise ancora - e poi è tutto così rapido, come non pensavo! Dottore, Dottore… puoi sbagliarti ancora!
-          Perché ne sembri contento?
-          Perché mi sento vivo, vivace. Perché c’è ancora del mistero! Io non avevo mai allevato un Tardis, prima d’ora! Il… il mio era l’ultimo rimasto nell’universo e …  – John si fermò di colpo come qualcosa l’avesse colpito.  I suoi grandi occhi si spalancarono davanti a qualcosa che non vedevano e Pete lo vide cercare d’istinto un sostegno. Fece appena in tempo a prenderlo perché non cadesse a terra e la dottoressa Lane si avvicinò subito per aiutarlo  – che stranezza… - mormorò John -  tutto sembra avere un colore strano …
-          Hai quaranta di febbre ed è assurdo che tu stia in piedi! Ora ti portiamo in sala medica – disse Catherine.
-          Non ora, non posso… ! Io devo finire è una cosa urgente.
-          Vuoi morirci sopra? – quasi gridò Pete. John lo guardò interrogativamente.
-          È davvero possibile?
-          Sì, è davvero possibile – disse lei spazientita e seriamente preoccupata.
-          Ah, quindi è una cosa seria…
-          Possibile tu faccia umorismo anche in un momento del genere? – protestò Pete.
-          In realtà è una cosa abbastanza comune quando si è in questo stato … - osservò la dottoressa.
-          Ma cosa state dicendo! Io sono perfettamente lucido, maledizione! – John si divincolò dalla loro stretta e li guardò entrambi con aria quasi minacciosa – dico sul serio, devo finire al più presto – disse in un sussurro – sta chiamando…
-          Cosa?
-          Il Tardis! – gridò spazientito alzando gli occhi al soffitto – il Tardis ha bisogno di aprirsi, di aprire le dimensioni e non posso permettere che tutto questo vada in pezzi, non posso!
-          John… ti prego, John! – Catherine gli si avvicinò e lui la guardò scosso da un lungo tremito. I suoi occhi avevano le fiamme dentro – devi riposare – lo prese piano per un braccio con prudenza.
-          Non sa che fare, non sa dove andare… - protestò piano – devo guidarlo, devo aprire i suoi occhi o vagherà alla cieca, si chiuderà per sempre…
-          Sta delirando – disse Pete inquietato. Lei lo guardò e scosse il capo. Non era così. Non delirava affatto. Ed era questo il problema. Catherine fece una carezza sulle spalle a John che restava con lo sguardo fisso nel suo angoscioso pensiero con il fiato di qualcuno che correva.
-          Non deve esserci paura… - si portò una mano alla testa con una smorfia di dolore - ci vuole… delicatezza con tanta forza con… tanta forza – mormorò con gli occhi lucidi.
-          Shh… calma, stai tranquillo … - gli sussurrò Catherine - tu lo aiuterai, lo farai benissimo  – lentamente, sorreggendolo, lo fece sedere. Gli toccò la fronte con la mano e guardò Pete preoccupata.
-          Se non lo faccio al più presto… si chiuderà in sé stesso! – disse John guardandola stravolto – è giovane!
-          No, non si chiuderà, non resterà cieco e sarà bellissimo… - gli disse piano lei cercando di tenerlo calmo. Ma lui non sembrava calmo, sembrava sfinito. Pete lo guardava profondamente turbato dal suo stato e da quel che diceva.
-          La nascita di un giovane Tardis è un evento cosmico è la genesi di un’Anima – aggiunse con infinita dolcezza - è l’essenza della Bellezza, di ogni giustizia, della Verità! E’ qualcosa di stupefacente anche per me, un dono! Una Vita senza tempo che è tante vite di tutti i tempi insieme per quel che saranno e sono … è… è un terribile miracolo – mormorò poi chiuse gli occhi piegando le braccia su sé stesso ed emise un lugubre gemito che sembrava quasi di rabbia impotente – oh, no… no… ! Non può perdersi e qualcosa mi sfugge… - Catherine lo prese piano per le spalle e guardò Pete allarmata.
-          Chiami un medico! – gli disse con tono urgente.
Pete annuì. Era sconvolto. Fece subito il numero del reparto medico perché mandasse urgentemente qualcuno in laboratorio. Poi si avvicinò di nuovo a John che continuava a restare ripiegato in sé, tremante. Le dita sottili delle sue mani artigliavano le maniche della sua giacca. Ad un tratto sembrò loro che piangesse. Catherine si chinò su di lui e vide le lacrime nei suoi occhi.
Che stava succedendo? Cosa lo stava distruggendo? In un moto di tenerezza lo abbracciò come per proteggerlo e fosse davvero il ragazzino indifeso che in quel momento le pareva.
-          Ho… bisogno di te. Tu sapresti dire la parola giusta… tu sapresti, Rose! – sussurrò John. Catherine continuava ad accarezzarlo ma era scossa dalla situazione.
Pete lo era almeno quanto lei.  
Prese il telefono personale dalla tasca della giacca ed ebbe un momento di indecisione poi fece rapidamente il numero di cellulare di Rose perché venisse subito da lui.
Non sapeva cosa potesse fare per il Tardis, cosa volesse dire lui con quelle parole ma John aveva bisogno di lei.
 
 
Rose chiuse il libro e scarabocchiò qualcosa sul quaderno che però le parve subito non avere il senso che avrebbe voluto. Fece un sospiro che fu di stanchezza ed inquietudine insieme.
Non riusciva a concentrarsi.
Continuava a sentirsi strana e quella sensazione, curiosamente le riportava alla mente qualcosa che sembrava non c’entrare assolutamente nulla con quel che la innervosiva in quel momento ossia quando si era resa conto per la prima volta della continua coincidenza, ovunque e in ogni tempo, di quelle due parole apparentemente senza senso: Bad Wolf.
Era il ricordo di qualcosa di lontano eppure l’impressione che provava dentro era molto simile. Si sentiva come vicina ad una porta socchiusa dalla quale poteva intravedere della luce ma non riusciva a capire altro di cosa potesse esservi al di là della soglia.
Quello che era successo a John l’aveva turbata.
Quel che continuava a succedere, ormai molti giorni dopo, l’aveva addirittura spaventata.
John che diventava un pezzo di ghiaccio e nella stessa giornata aveva la febbre altissima. Il suo continuo mal di testa, il suo restare con lo sguardo fisso nel vuoto a pensare con attorno silenzi spessi come tende scure. Era strano anche come la toccava, sembrava esitante come in passato, sembrava… meno sicuro di qualcosa di importante. Era capitato che si svegliasse più spesso, quelle notti, e Rose l’aveva trovato sdraiato accanto a sé intento a guardarla con espressione inquieta, triste. Anche l’apprensione di suo padre, normalmente piuttosto freddo e controllato, l’aveva messa in agitazione. E così anche Jackie, preoccupata per la salute di John e per quel che sentiva attorno.
Rose non aveva resistito e lo aveva incalzato di domande, cercando risposte convincenti.
John le aveva detto quel che succedeva e spiegato che fosse aveva a che fare con il Tardis ma la cosa non le tornava. Il signore del Tempo e il suo Tardis erano uniti, e lei lo sapeva.
Più di ogni altro sapeva che quella nave era viva e che più che tale era lei stessa la prima compagna del Dottore. La sua coscienza era superiore, assoluta. Il Tardis aveva persino agito al di là della volontaria coscienza del suo signore del Tempo e fatto in modo che avvenisse la metacrisi, rischiando così la sua distruzione fisica. Possibile che questa nascita facesse così male al Dottore, se quel che aveva visto DENTRO non aveva a che fare con il dolore ma con la cura di tutto?
Certo non ricordava più quelle terribili impressioni che le si erano riversate nella testa perché Lui le aveva rimosse perdendo la vita per questo ma…
Come poteva essere, cosa poteva significare quel che stava succedendo?
Avevano già notato come il Tardis si stesse sviluppando molto velocemente, in tempi più brevi da quelli teorizzati all’inizio ma dopo la rigenerazione sembrava che tutto stesse precipitando verso la conclusione come di fretta.
Improvvisamente le venne un dubbio atroce.
Che John stesse così male per il legame faticoso con quella Vita nascente – ora che il suo corpo era umano – in realtà sapeva c’entrare poco. Perché non era quello il legame tra lui e il Tardis. Il legame era più intimo, un legame interiore. Lui lo sentiva dentro.
-          E la sua mente non è cambiata… l’anima non cambia! – pensò sgomenta.
Era come se il Tardis stesse attraversano i tempi più velocemente per un motivo preciso, lo aveva sicuramente.
Stava…
correndo…
da lui…?
Improvvisamente il telefono che aveva tra i libri, sul tavolo, iniziò a vibrare. Rose guardò il numero.
Era quello di suo padre. 
  
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