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Autore: Ninfea Blu    19/12/2012    24 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16

16 –  Quello che c’è tra rabbia e passione.

 

Volevo regalarvi il capitolo prima della fine del mondo, magari. Buona lettura.

 

***********

 

Tornava verso casa attraverso il giardino a passo rapido.

Non voleva che lui la scoprisse, né che l’accusasse di fare la spia.

Erano stati i modi della sorella a insospettirla: aveva avuto la precisa sensazione che volesse nasconderle qualcosa. E non si era sbagliata. Per caso aveva notato Andrè allontanarsi attraverso la porta sul retro, e la voce insistente di un diavolo maligno le aveva suggerito di seguirlo all’esterno della tenuta. E lei aveva dato ascolto a quella vocetta perfida.

Nascosta tra il fogliame aveva riconosciuto la carrozza ferma sulla strada con una stretta al cuore.

Cercava di non pensare a quello che aveva visto, ma ogni dettaglio di quell’incontro le tornava alla memoria, ossessionandola.

Se cercava di non pensarci era solo peggio.

Aveva un tarlo nella testa, frutto dell’immaginazione più perversa che correva a ciò che non aveva visto, alle parole che non aveva udito, alle promesse segrete sigillate da quel bacio devoto sulle mani; l’idea di baci più ardenti dentro la carrozza la faceva impazzire di rabbia, il richiamo delle voci roche di desiderio e sofferenza, le mani convulse a cercare la pelle dell’altro, quelle grandi e calde di Andrè che lei ricordava così bene sul suo corpo.

Quelle stesse mani toccavano Danielle, e immaginava la sorella scatenare la brama dell’uomo con sapienza che lei non possedeva.

Non sapeva cosa l’avesse trattenuta dal precipitarsi verso la carrozza per sorprenderli, mentre sentiva il respiro accelerare. Ringraziava il cielo di non aver avuto una spada.

Nelle ore successive cercò di evitare il suo sguardo finché poté, comportandosi normalmente, ripromettendosi di affrontarlo seriamente quella stessa sera, da sola e senza possibili testimoni; forse sarebbe stata più calma e non si sarebbe fatta trascinare dalla rabbia che la tormentava.

Così sperava, o forse s’illudeva.

Gli avrebbe parlato con severità e autorevolezza proprio come avrebbe fatto con uno qualsiasi dei suoi sottoposti. Cosa c’era di difficile? Avrebbe ragionato con lui e Andrè avrebbe capito, perché in fondo, era sempre stato più saggio e riflessivo di lei.

Doveva solo aspettare.

Allora perché non riusciva a concentrarsi sulle pagine del libro che teneva in mano e fissava come se non vedesse, mentre non vedeva altro che Danielle e Andrè dentro quella carrozza?

Il pensiero di loro due era un aculeo velenoso piantato dentro l’animo.

 

***********

 

Leopold era arrivato a Chassillè da un paio di giorni e aveva viaggiato con l’ansia di non giungere in tempo. Lo aveva rallentato una pioggia fitta e fastidiosa, che aveva reso le strade della campagna una poltiglia di fango in cui affondavano gli zoccoli dei cavalli e le ruote della carrozza, ma il sole tiepido dell’autunno lo aveva accolto alla piccola residenza dei Marchard.

La bambina era fuori pericolo.

La febbre si era abbassata e Lisette la guardava dormire tranquilla nella culla, dove l’aveva appena deposta, avvolta dalle coltri. Con una mano faceva oscillare lieve il giaciglio dove la piccola riposava, mentre intonava una sommessa ninnananna.

Leopold era dietro di lei e contemplava la creatura. Il camino era acceso e spandeva un liete tepore nel piccolo ambiente intimo. Su un tavolo accanto era posata la borsa di cuoio contenente i documenti del riconoscimento.

“Questa è la grazia più grande che il buon Dio potesse farmi.”

Sospirò il conte alleggerito da un peso.

Lisette si era girata verso l’uomo, senza allontanarsi dalla culla.

“Prima che arrivaste ho temuto davvero il peggio; Margot stava molto male, il medico aveva già tentato di tutto… disperavo che potesse superare la notte e che avrebbe raggiunto la sua povera mamma. Ma non è accaduto e ringrazio il cielo per questo…”

“E non accadrà. Perdere Isabeou è stato un dolore atroce che voi avete mitigato, madame… non credevo che sarei stato capace di amare di nuovo. Ora non perderò mia figlia, - con l’indice sfiorò delicatamente la fronte della bambina addormentata – non potrei sopportarlo.”

Osservò la bimba con tenerezza prima di lasciarsi andare a un commento denso di rimpianto.

“Margot Celine di Recamier… mia figlia; ha gli occhi di sua madre.”

“Già, quanto è vero…” ammise Lisette tristemente.

“Sarebbe tutto perfetto se voi poteste diventare mia moglie.”

“Questo temo sia del tutto impossibile, per quanto resti un desiderio che divido con voi. Dobbiamo accettare la realtà, Leopold; vostra moglie non vi concederà mai il divorzio. Pensate all’impatto che avrebbe in società, allo scandalo che ne verrebbe… La contessa farà di tutto per evitarlo, accetterà l’adozione segreta, piuttosto.”

 Il conte si avvicinò alla finestra per osservare il piccolo giardino con le siepi di rose selvatiche che crescevano spontaneamente, decisamente più modeste di quelle arroganti e superbe per bellezza, curate dai giardinieri di Villa Recamier.

“Non sono tanto sicuro di questo. Se trovassi il modo di accusarla di adulterio, potrei avere facilmente ragione di lei; allora sarebbe facile ottenere il divorzio.”

“La contessa è sempre stata più astuta di voi, in queste situazioni, dovete riconoscerlo. Inoltre vi sfuggono certi particolari che una donna sa cogliere molto meglio.”

“Non so a cosa vi riferite, madame.” Osservò perplesso.

“Quando eravamo a Villa Recamier avevo strane sensazioni di fronte a vostra moglie e la sua gemella… come se a volte non fossero la stessa persona. Ricordate quel pomeriggio che siamo usciti a cavallo e le abbiamo incontrate nel parco? Addirittura ho pensato che si fossero scambiate i ruoli! Assurdo vero? – La donna rise un po’ nervosamente -  Ma era solo la mia fantasia sovreccitata, suppongo.”

Leopold non riuscì a prenderla sul serio.

“Oh, è perché mai avrebbero dovuto fare una cosa simile? Escludo che mia cognata possa vestirsi come una dama, senza apparire goffa e impacciata; si sarebbe tradita subito, inciampando nell’orlo della veste. – Rise il conte. – Poi Oscar non si presterebbe mai a nulla di simile! L’educazione ricevuta dal mio bizzarro suocero l’ha resa un soldatino troppo rigido e severo; Oscar è ligia al dovere e nient’altro. No, vi siete sbagliata mia cara.”

Lisette non volle insistere, in fondo era un fatto senza importanza che non la riguardava. Eppure si sarebbe soffermata ancora su quel pensiero. E forse, chissà, ne avrebbe tratto vantaggio in futuro.

Sorrise indulgente all’uomo di fronte a lei.

“Probabilmente avete ragione. Non badate a ciò che ho detto.”

Un cameriere bussò alla porta, distraendo la coppia.

“Scusate signor conte, madame, ma di là in anticamera c’è un uomo che viene da Parigi: dice di portare notizie urgenti che riguardano strettamente il conte di Recamier.”

“Fatelo accomodare in salotto, il conte lo riceverà subito.” Rispose Lisette prontamente.

 

Il messo sopraggiunto a Chassillè aveva l’incarico di avvisare Leopold se a Parigi, qualcuno avesse fatto domande sulla bambina e il suo riconoscimento. Fu scrupoloso nel suo rendiconto circa le prime reazioni della contessa che non sembrava disposta ad accettare gli eventi senza opporsi.

Allontanato il messo, Lisette raggiunse il conte nel salotto. Lo trovò che camminava a piccoli passi con le mani dietro la schiena e l’aria preoccupata: intuì che non erano belle notizie quelle arrivate da Parigi e Leopold le confermò i suoi sospetti più cupi.

“Vostra moglie sa di Margot, è così?”

L’uomo si limitò ad un cenno affermativo del capo. Lisette fece un passo verso di lui, appoggiando una mano allo schienale di una poltroncina.

“Dobbiamo temere per la piccola? Cosa pensate che possa accadere?”

“Se conosco Danielle cercherà di far annullare l’atto dell’adozione… forse sarebbe meglio nascondere la bambina altrove, insieme ai documenti.”

“La piccola è ancora troppo debole per spostarla; potrebbe tornarle la febbre. Non possiamo mettere a rischio la sua vita.”

“Debbo darvi ragione. Maledizione! Qualcosa dobbiamo fare.” Esclamò seccato, agitando un pugno.

“Detemi che cosa temete. Dovete essere onesto con me, Leopold.”

Lo esortò, notando la sua strana reticenza e quando l’uomo parlò le parve di soffocare per lo spavento.

“Tanti bambini come Margot spariscono dentro i conventi e nessuno sa più nulla di loro; il silenzio di frati e suore viene comprato con sostanziose borse di denaro. Tra l’alta aristocrazia si usa di frequente questo sistema per nascondere i frutti di relazioni scabrose e compromettenti. Molto più raramente si arriva al delitto, ma ci sono persone prive di scrupoli e…”

“Oh, Dio, no! - Esclamò Lisette, portandosi le mani al volto. –  Sarebbe tanto crudele da far del male ad una bimba innocente? State dicendo che potrebbe farla rapire? Non voglio credere che oserebbe tanto. Non mi pare una donna così spietata.”

Leopold osservò serio l’espressione atterrita della sua compagna.

“Non lo credo neppure io, ma sarò onesto: non so prevedere la reazione di mia moglie ad un’ offesa di questo genere. - Scosse la testa scettico e indeciso. – Voglio provare a parlare con Danielle e farla ragionare. Dal momento che sa tutto, sarebbe inutile mentirle: rischieremmo di irritarla solo di più. Tornerò a  Parigi. Voi restate con la bambina e non perdetela mai di vista. Lascio i documenti nelle vostre mani: nascondeteli in un luogo sicuro e non dite a nessuno dove si trovano.”

“Farò come dite, però mi chiedo come pensate di placare l’orgoglio tradito di una donna come la contessa Danielle di Recamier.” Chiese con apprensione, stringendo la spalliera della poltrona in modo convulso.

“Troverò un modo. Per mia figlia lo troverò.”

Rispose l’uomo, e Lisette pensò che Leopold non le era mai sembrato così determinato.

 

**************

 

 

Era passata ormai l’ora di cena; non aveva mangiato con appetito.

Lo aspettava nella sua stanza, mentre fuori il buio scivolava oltre i vetri schermati dalle tende pesanti, ma l’ambiente era rischiarato dalla luce fulgida delle candele. Ne aveva accese più di quante ne occorressero e non sapeva bene perchè.

Forse temeva le ombre, quelle che si disegnavano sul suo cuore. Quelle oscure dai contorni vaghi e informi.

Lo aveva fatto chiamare dalla governante per portarle un tè caldo prima di mettersi a letto.

Nell’ attesa si era messa a suonare il piano.

Avvertiva una pesante tensione alle spalle e faceva correre le mani sui tasti, sperando che la musica sciogliesse i suoi nervi tesi, e chiudeva gli  occhi per farsi catturare dalle note che saturavano l’aria.

Sperava la trasportassero altrove.

Ma apriva gli occhi e la tensione era ancora lì e non voleva andarsene.

Finalmente sentì i suoi passi fuori nel corridoio, poi dei colpi leggeri alla porta e la sua voce che la chiamava.

Un tintinnio di porcellane su un vassoio d’argento. Lo confuse con un brivido del suo cuore.

Lo invitò ad entrare, pacata, ma non sollevò lo sguardo dai tasti bianchi e neri. Lo sentì posare il vassoio sul tavolino vicino. Minuti d’interminabile silenzio che nessuno voleva spezzare e Oscar comprese che sarebbe toccato a lei farlo. Abbandonò il piano e si avvicinò al tavolino per prendere la tazza di porcellana; la portò alle labbra e nel gesto, alzò lo sguardo su di lui e si accorse che la stava fissando.

Forse fu quel modo enigmatico e insieme sfrontato che aveva lui di guardarla, a farla arrabbiare ancora di più. E capì che lui si aspettava qualcosa e si stava preparando a un probabile scontro.

Nel breve silenzio, solo il suono della tazza posata sul piattino di porcellana.

“André, dobbiamo parlare molto seriamente.”

“Ero certo che non mi avessi fatto chiamare solo per portarti una tazza di tè…”

“Benissimo. Allora se lo sai, sarà tutto più semplice. – Gli voltò le spalle e si avvicinò al piano continuando a parlare. - Ultimamente sono molto insoddisfatta di te e del tuo comportamento. Devi avere chiaro che non posso tollerare atteggiamenti troppo disinvolti sotto il mio tetto da parte della servitù.”

Avvertì tutta la meschinità di quelle parole subito dopo averle pronunciate, ma non riuscì ad essere meno dura.

E lui reagì di conseguenza, sfidandola con la sua ironia amara.

“Improvvisamente sono diventato solo un membro della servitù, Oscar? Che illuso. Credevo che l’amico venisse prima del servo. Credevo di avere la tua fiducia.”

Sì voltò di scatto verso di lui.

“Smettila! Sei tu che mi costringi a prendere questa posizione!”

“Io non ti costringo proprio a fare niente, Oscar; se hai da ridire sul mio lavoro è una cosa, quello che faccio nel privato, beh,  non riguarda te.”

“Mi riguarda eccome, invece! Mi riguarda molto da vicino! Più di quanto credi! Mi riguarda perché sai benissimo di non essere solo un servo, André, e sei legato a me a filo doppio, hai capito?!”

Gli sibilò sul viso, la voce incrinata dal dolore, prima di allontanarsi da lui di qualche passo, con uno scatto nervoso. Ricordò con ironia le parole identiche di Danielle, la notte che aveva tentato di sedurlo, solo dette in tono diverso.

“Eccola qui, l’arroganza tipica della tua casta! Retrocesso da amico a proprietà privata.”

“Non osare discutere con me, André! Non ho bisogno di lezioni da te!”

Andrè la inseguì, si fermò a un metro da lei, mentre Oscar si aggrappava tenacemente a una colonna del letto a baldacchino dandogli le spalle.

E pensò che se quella sera dovevano cadere le maschere, bisognava chiudere quella rischiosa farsa a cui lui stesso si era prestato.

“Dove ho mancato? Sono al tuo completo servizio, sempre, ogni singolo secondo della mia esistenza. Non ti basta? Ti disturba che io possa volere qualcosa solo per me stesso? Perché è di questo che stiamo parlando, mi sembra…”

“No, André! Stiamo parlando della tua intenzione d’intrattenere una relazione clandestina con Danielle! L’ hai incontrata di nascosto proprio qui! In casa mia! - Oramai era furiosa, non cercava nemmeno più di contenere la rabbia. - Vorresti negarlo? Vi ho visti nella carrozza!”

André, colto di sorpresa, non rispose; il suo silenzio la irritava solo di più e non riusciva a smettere di vomitargli addosso ingiurie e accuse.

“Dio, se penso che poteva sorprendervi mio padre in persona! Mia sorella dev’essere uscita completamente di senno. Dove avverrà il vostro prossimo incontro? A casa sua, a Parigi? O magari nei suoi appartamenti riservati a Versailles, mentre io sono impegnata a corte! Complimenti per l’audacia: attendente di una sorella e amante dell’altra!! Ma che razza di uomo sei, eh?”

Era fermo e rigido di fronte a lei, troppo ferito da quelle parole cattive, immobile come una statua, ma una statua pronta a scheggiarsi. E il colpo decisivo arrivò dritto come una palla di cannone in pieno petto.

“Sei diventato come quei nobili debosciati che frequentano la corte! Come hai potuto? – Altro silenzio. - RISPONDIMI ANDRE’! DEVI RISPONDERE!”

Urlò, lasciando esplodere l’ira che le divorava il cuore. Il suono dello schiaffo violento echeggiò tra loro. Al primo ne seguì un secondo, finchè Oscar cominciò a tempestarlo di pugni sul petto con una furia selvaggia e incontenibile.

“Non puoi André! Non con lei, te lo proibisco! Non voglio! Non voglio assolutamente che lei si metta fra noi! Non devi incontrarla mai più!”

Sotto quell’assalto forsennato di colpi e parole, André si sbilanciò quasi fino a perdere l’equilibrio, e per un momento fu incapace di reagire, troppo impreparato ad una simile reazione. Incassò ogni colpo in silenzio e più lui stava zitto, quasi inerme, più Oscar pareva diventare una furia. Non contenta, con cattiveria riprese a colpirlo sul viso, a gridargli addosso la sua rabbia.

“Dì qualcosa, almeno! Difenditi! Parla maledizione! Perché non dici niente? Non hai il coraggio delle tue azioni neppure con me?”

Nella testa di André si aprì uno spiraglio e tra i suoi pensieri confusi e feriti, si fece spazio l’idea che quell’esplosione di rabbia, altro non era che una ceca gelosia.

Una gelosia dettata da una passione estrema, quanto segreta. E lui decise di mostrarle la sua passione. Quella più autentica e vera.

La afferrò per i polsi per bloccarla e impedirle di colpirlo di nuovo.

Poi, col peso del suo corpo la spinse all’indietro fino a cadere con lei sul letto. Lottò per tenerla ferma, sotto di lui, mentre la sentiva muoversi contro la sua virilità che si ridestava; per un attimo gli parve che lei volesse arrendersi, ma scacciò in fretta quella sensazione. Cercò di mantenere la calma e provò a farla ragionare.

“Calmati Oscar! Devi calmarti, adesso!”

“Non dirmi di calmarmi! - Oscar non voleva saperne e continuava a dimenarsi come un’ ossessa, per quanto il corpo di André che gravava su di lei glielo consentisse. - Lasciami André!” Strillò esasperata.

“Così mi prendi a pugni di nuovo? No, grazie. Calmati e stammi a sentire; per quanto possa essere desiderabile, io non voglio Danielle. Non è successo niente di quello che credi, non le ho dato nessun appuntamento! Abbiamo solo parlato.”

Continuava a trattenerla per i polsi, con le braccia ai lati della testa, imprigionandola sotto il suo peso, avvertendo le sue linee morbide e la fissava dritto negli occhi; quelli di Oscar lanciavano fiamme, ma gli pareva che volessero piangere. Non smetteva di opporre resistenza, ma lui voleva solo che lei si calmasse, mentre cercava di non dare ascolto ai segnali che giungevano dal suo corpo.

“Sei un bugiardo! Per parlare dovete incontrarvi di nascosto, come due ladri? Ho visto il modo in cui vi siete lasciati, non aveva l’aria di un addio!”

Lo accusò irosa a pochi centimetri dal suo volto.

“Non sto mentendo, Oscar. Dimmi, cosa vuoi che faccia, per dimostrartelo? Devi solo chiedere. – E dopo quelle parole, finalmente la sentì cedere ed emettere un ansito. Non lottava più, e lui, cautamente allentò la stretta attorno ai polsi sottili e forti, sollevandosi un poco su di lei. E trovò il suo sguardo. - Per te ho sempre fatto di tutto. Ti ho dato tutto me stesso, il mio sangue, il mio respiro, la mia vita. Perfino i miei pensieri ti appartengono. Danielle non ha nulla di tutto questo.”

Lei rimaneva stranamente immobile; lo ascoltava senza smettere di fissarlo con quello sguardo acceso che lo incatenava addosso a lei. Qualcosa in quello sguardo lo bloccava, come se non avesse la forza di alzarsi. E cercava disperatamente un pensiero qualsiasi che venisse a sollevarlo da lì, a liberarlo dalla consapevolezza dolorosa del suo morbido corpo di donna.

Ma non ne trovava. Trovava solo quegli occhi aperti, fissi su di lui, troppo trasparenti per nascondere ciò che l’anima chiedeva; tradivano eccitazione ed evidente desiderio, ora.

Che ricordavano, come ricordava il suo corpo, altre carezze lasciate su un altro letto.

E trovò tristezza nella sua voce, quando lei parlò.

“Ma sta cercando di prenderselo… Sta cercando di portarmi via l’unica cosa davvero importante che abbia avuto in questa mia vita assurda; è sempre stata brava in questo. Prima o poi, ci riuscirà. E io non posso, André. Non posso permetterlo. Non posso perderti e lasciare che lei ti trascini via, senza tentare d’impedirlo.”

“Cosa vuoi, Oscar? Dimmelo. Non ti negherei nulla…” Un sussurro che le scese nel cuore. E lo aprì.

E lei finalmente si sentì libera di dar voce alla sua passione.

“Fingi di amarmi, André.”

“Cosa?”

“So che tenti di resisterle, o almeno ci hai provato. Se lei è la tua ossessione, fingi di amarmi come fossi lei. Forse guarirai dal suo sortilegio e ti riavrò per me...”

Non le rispose subito, ma restò immobile contro di lei, mentre il cuore perdeva un battito, una coscia tra le sue gambe, con la stretta attorno ai polsi allentata, perso ad assimilare quelle parole sincere e inaspettate.

E le restituì parole altrettanto vere ed emozionate.

“Danielle non è la mia ossessione, Oscar…”

“Fingi di amarmi lo stesso, André… Puoi farlo?” Sentì la supplica nella voce.

“E se io non volessi fingere, Oscar? Se volessi amarti per davvero, come una donna? Se volessi farti sentire tutto il trasporto che brucia il mio sangue, tutto l’ardore che nascondo, che posso rivelare solo a te… Sapresti accettarlo? Perché la mia vera ossessione sei tu, e questo Danielle lo sa benissimo…”

 

-          Ma tu hai detto di amarmi, mentre ero nei panni di lei…

 

“Dici davvero, André?”

“Mai stato più serio. Posso dimostratelo questa notte, se tu vuoi…- le sussurrò vicino alle labbra. – Devi solo dirmi di restare…”

Poteva non esser vero, ma a Oscar non importava. André era lì con lei sul letto e voleva solo che lui restasse. Sentiva il desiderio scorrere tra i loro corpi e voleva che fosse con lei e non con Danielle. Socchiuse gli occhi nell’attesa del contatto delle loro labbra, mentre emetteva un sussurro roco.

“Resta André…”

E non ci furono altre parole, ma solo le loro labbra fuse insieme. E baci ovunque.

Profondi e intensi quanto la passione che consumava timori e paure.

André scese con la bocca lungo lo scollo della camicia, mentre le dita lunghe di Oscar si infilavano tra i capelli corvini. E le mani iniziarono a inseguirsi e a correre sopra i vestiti sfilati in fretta e poi sulla pelle nuda.

Oscar ricordava così bene il calore e la pelle un po’ ruvida delle mani di André, le riscopriva di nuovo, più audaci eppure tenere; seguivano le curve del suo corpo che si plasmava sotto le carezze come argilla, salivano lungo i fianchi, scendevano sull’interno delle cosce, giocavano sul suo addome e accoglievano i suoi seni quasi volessero proteggerli.

Le regalavano brividi intensi e le facevano sperare che lui non si fermasse mai.

Nello stesso modo, lei scopriva con meraviglia il suo corpo di uomo, percorrendo con le dita sottili la schiena forte, i glutei, le cosce agganciate alle sue, le sue braccia che la stringevano.

E il peso del corpo del suo uomo le sembrò leggero mentre entrava dentro di lei e le toglieva il respiro regalandole ondate di piacere quasi sconosciuto. E lui non smetteva di baciarla mentre la faceva sua, scacciando ogni paura.

Si fermò solo un istante, quando la sentì emettere un gemito più forte, e parlò, accostando la fronte a quella di lei.

“Ti ho fatto male? Vuoi che mi fermo, Oscar? Posso fermarmi, se vuoi…” sospirò lieve.

“No, ti prego… è già passato. Continua ad amarmi, non fermarti… Non adesso.” Lo supplicò, quasi.

Allora, con gioia sentì gli affondi diventare più intensi, e il piacere scivolò lento e crebbe in lei come la sabbia in una clessidra, colmandola, mentre il suo corpo si adattava con naturalezza a quello di André, seguendo il ritmo magico di quella danza antica ed esaltante finché non raggiunse il suo culmine.

Alla fine si ritrovarono arresi ed esausti uno sull’altro, tra le lenzuola sfatte che avevano accolto il seme di André.

Scivolò accanto a lei per farla riposare; nel silenzio contemplò lo sguardo acceso, l’espressione appagata e felice, i ricci umidi sulla fronte, il seno bellissimo, un giglio candido offerto impudico all’aria, il suo respiro che rallentava attraverso le labbra schiuse.

Con due dita le accarezzò una guancia.

Un lembo del lenzuolo la copriva lì, dove lei era diventata donna con lui.

Fuori dalle finestre, il buio celava ogni cosa e le candele nella stanza erano per metà consumate, ma avrebbero continuato a bruciare ancora a lungo. Come i loro corpi avrebbero bruciato di desiderio e voglia.

La danza dell’amore avrebbe ripreso con nuovo vigore ed energia e si sarebbe protratta fino all’alba, con nuove carezze tenere e audaci ad esplorare la pelle calda, e baci affamati di nuovi sapori.

E intense ondate di piacere avrebbero trasportato le anime in alto.

 

 

*********

 

Erano riusciti anche a dormire per qualche ora solo alle prime luci dell’alba.

Forse era stata la stanchezza, quel torpore tipico che prende le membra dopo l’amore.

Si erano risvegliati con i primi raggi di un sole pallido che entrava attraverso i vetri. Oscar aveva aperto gli occhi con la vaga idea di un sogno che scompariva dietro le palpebre, ma aveva voltato la testa sul cuscino trovando a sfiorarla il suo profilo; lo aveva guardato dormire, con i ciuffi di capelli neri che ricadevano sulla fronte e sugli occhi ancora chiusi. Poi si era soffermata sul torace nudo; aveva alzato uno mano, le era venuta la tentazione di sfiorarlo. E di nuovo si era sorpresa di quanto André fosse bello e terribilmente seducente. Quanto poteva dare ad una donna: ti entrava dentro, in ogni senso, sotto la pelle, nella testa e nel cuore. Non poteva guardarlo senza pensare ad altro.

Allora, ogni dettaglio piccante e proibito di quella notte aveva acquisito sostanza nella sua mente, pensando a tutto quello che avevano fatto, che lui le aveva fatto sotto le lenzuola. Nessun pudore lo aveva fermato.

Non sarebbe più riuscita a guardarlo in un modo che non fosse quello.

Un pigro sorriso si era piegato sulle sue labbra.

 

-          Accidenti, André… ci sai proprio fare…

 

Pensò tra sé. Ma lei non sapeva se fosse stato amore o solo voglia da soddisfare. Ossessioni da cancellare.

Sei tu la mia vera ossessione, le aveva detto. E all’improvviso ebbe paura di non essere altro che quello, che lui non fosse altro che quello, l’unico uomo da non lasciare alla sorella, un dubbio che non poteva sostenere.

Che cos’erano loro, adesso? Cosa erano diventati, dopo questa notte di dolce follia? Cosa non erano più?

André si mosse nel letto, segno che si stava svegliando.

Un istante dopo, aprì gli occhi e incontrò lo sguardo ceruleo che lo stava osservando. La luce bianca entrava nella stanza illuminando il pulviscolo nell’aria, e investiva tutto col suo candore; tutte le ombre erano sparite.

Non c’era più nulla che si potesse nascondere, né maschere che si potessero portare.

“Buongiorno Oscar.”

Lei era stesa su un fianco, un braccio nudo fuoriusciva da sotto il lenzuolo, abbandonato di lato vicino al volto.

“Buongiorno André…”

Improvvisamente avvertì l’imbarazzo della situazione; c’erano parole che sentiva l’urgenza di dire, ansie da svelare. André era rilassato, ma stranamente serio; sembrava in attesa.

In verità, aspettava che lei parlasse. Ma lei non riusciva a infrangere quel silenzio momentaneo e sentiva addosso una velata, inspiegabile tristezza.

Lui lo capì, e ne fu preoccupato.

“Dimmi, vuoi che me ne vada? Hai bisogno di restare sola coi tuoi pensieri?”

“No, perché me lo chiedi?” chiese, avvertendo il piccolo nodo in gola che non voleva sciogliersi.

“Mi sembri strana… - Lui sospirò guardando il soffitto. – É per quello che abbiamo fatto?”

Lei si mosse per girarsi sull’altro fianco e sottrarsi al suo sguardo, poi afferrò e strinse convulsa un lembo del lenzuolo con le dita, prima di parlare.

“André, io so che hai confessato il tuo amore a Danielle. Lo so, perché me lo ha detto lei… Ma stanotte l’hai passata con me.” Le tremò impercettibilmente la voce, e non avrebbe voluto.

Bastò quel tremito e per André fu tutto chiaro in meno di un istante; nel non detto c’era tutta l’incertezza e la confusione di Oscar. In fondo, le parole tra loro non erano mai servite.

 

-          Ecco il momento in cui gli attori in scena calano la maschera, pensò André.

 

Era giunto il momento di mettersi a nudo. E mostrarsi indifeso.

“No, non è vero. Danielle non può averti detto nulla del genere; se lo ha fatto è solo una bugiarda. L’unica donna a cui ho detto ti amo, sei tu, Oscar. – Si era sollevato su un gomito sporgendosi verso di lei che continuava a dargli le spalle, apparentemente immobile e imperturbabile. – Io ti amo Oscar. Te lo dissi anche quella mattina, poco prima di rubarti un ultimo bacio e fuggire come un ladro dalla stanza di tua sorella, a Palazzo Recamier. Te lo ricordi, Oscar? Te lo ricordi il modo in cui ti ho spogliata? Come ti sei sentita fra le mie braccia? Come sei stata sul punto di cedere? Ti volevo da morire… Sai che fatica è stata per me lasciarti andare?”

Lei restava immobile. Lui non poteva vedere la sua espressione incredula, gli occhi dilatati per lo stupore.

Avvertiva un miscuglio di emozioni confuse assalirla: delusione, sconforto, gioia, disappunto, tenerezza. Una lieve vergogna e un pizzico di rabbia perché si sentiva ingannata, proprio da lui. Poi una leggerezza del cuore inaspettata. Si voltò soltanto quando avvertì la sua mano calda posarsi sulla sua spalla nuda. Allora, incontrò la sincerità un po’ spavalda di quello sguardo ombroso e si trovò disarmata.

“Stai dicendo che tu sapevi? Avevi capito che ero io? Ma io credevo che…”

“Sì, Oscar. Sapevo che eri tu, dentro i panni di Danielle.”

Subito non seppe rispondergli, poi un lieve risentimento si fece strada in lei.

“Non riesco a credere che tu lo abbia fatto. Mi hai ingannata di proposito… - lo accusò – per arrivare a questo?”

“È questo che credi? Io volevo solo arrivare al tuo cuore, Oscar. Io non mentivo, assecondavo solo il tuo gioco. Non ho mentito neppure questa notte. Ti amo: questa è la verità, ed è l’unica giustificazione che posso darti. Tu, invece? Che scusa troverai per il tuo inganno?”

“Oh, facile mettere le cose in questo modo, adesso!” Esclamò lei, come immediata risposta.

Infatti lei non riusciva a trovarne, o forse si vergognava a confessare che tutto era iniziato per il suo capriccio verso Fersen. Però qualcosa le sfuggiva e non riusciva ad immaginare come lui avesse intuito la verità.

La mia vera ossessione sei tu… Danielle lo sa benissimo…

Cosa sapeva Danielle di questa storia? Cosa sapeva dei sentimenti di André? La sua gemella era la chiave dell’enigma.

Sentiva calare nuovamente il silenzio mentre l’accusa di Andrè era rimasta sospesa fra loro.

Lei non poteva permetterlo.

“Non volevo ingannarti André, né giocare coi tuoi sentimenti. Mi devi credere. Non era quello il mio scopo… Mi puoi dire come hai fatto a capirlo?” Chiese, tornando a fissare lo sguardo altrove.

Ma quella era l’unica domanda a cui lui non poteva rispondere. André si abbassò di nuovo contro i cuscini.

“Penso di averlo capito perché ti conosco bene, Oscar.”

Era una risposta troppo vaga per lei.

C’era qualcosa che André non voleva dirle. Lei non volle insistere, ma neppure avrebbe rinunciato.

Repentinamente lui cambiò discorso.

“Cosa prevede la nostra giornata, oggi? Pensi di andare a Versailles?”

“Certo, come sempre, ma domani ho intenzione di partire per Chassillè e tu verrai con me, André; andiamo a cercare questo erede illegittimo di mio cognato.”

Poi si mise a sedere sul letto posando i piedi sul pavimento freddo della stanza; raccolse la sua camicia da terra dove era stata gettata. Infilò l’indumento sfilando i capelli per lasciarli ricadere sulla schiena; le pareva di sentire gli occhi di André fissi su di lei alla base della nuca.

Sentì invece la sua mano che le sfiorava il polso, seguita dalla parole.

“Solo una cosa ancora non mi hai detto, Oscar; adesso tu conosci i miei sentimenti, ma io non sono sicuro di conoscere i tuoi. Perché hai fatto l’amore con me questa notte? Pensi di potermi dare una risposta sincera?”

Lei esitò qualche secondo prima di concedere a sé stessa e a lui la cosa più onesta che potesse dire.

“Io ti volevo, André. Come mi volevi tu, con la stessa forza… Posso dirti solo questo.”

Quindi si alzò in piedi, con le gambe nude esposte all’aria e la camicia ampia che copriva l’essenziale, e si allontanò dal letto. E all’improvviso, le parve di sentirsi sola.

 

 

Continua…

 

Eccomi qui.

Ragazze vi ringrazio per la vostra pazienza e mi scuso ancora, ma come sapete ho attraversato un momento un po’ pesante con l’incidente d’auto che ho avuto. Ora sto meglio e anche se non sono ancora al 100 % della forma - il braccio è ancora un po’ dolorante e non ho ripreso la mia funzionalità ottimamente, mi dicono che ci vorrà tempo - almeno riesco a scrivere. Capitolo col botto, come promesso. Spero che vi sia piaciuto e non vi abbia troppo deluso.

Con le scene osè non sono tanto brava e preferisco velare.

Ne approfitto per augurare a tutte un felice Natale, e se superiamo la data del calendario Maya, vi farò un altro piccolo regalo natalizio. Un saluto a tutte. Ninfea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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