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Autore: Somewhere in Neverland    24/12/2012    1 recensioni
Una vecchia storia diceva che gli abitanti del distretto avevano l’acqua del mare mescolata al sangue,che il loro cuore pulsante spingesse nelle vene l‘acqua salata,che la sabbia fosse l‘elemento che costituiva i loro muscoli allenati da pescatori. Ognuno di loro veniva battezzato in acqua,consacrato alle onde e alla schiuma. Ognuno di loro sentiva quel richiamo potente,quella presenza incantevole nella sua vita,come un eterna,dolce canzone.
A nessuno di loro era mai stato insegnato a nuotare. Era naturale,come camminare,come respirare,o aprire gli occhi la mattina appena svegli. Nessun’altro distretto era legato con tanta forza alla sua attività. Per nessuno di loro quello era soltanto un lavoro. Era qualcosa che sin da bambini cresceva e gli dava forza,come un albero che avidamente succhia alla terra gli elementi che servono alla sua vita e gli permettono di crescere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo lasciò cadere la giacca per terra, rimanendo immobile e con le mani a coprirgli il viso. Poi cominciò a prenderla a calci, a spingere soprammobili, a distruggere tutto ciò su cui riuscisse a mettere mano.

Il treno da Capital City lo aveva appena riportato a casa, senza dargli neppure il tempo di farsi una doccia e togliersi di dosso quella sensazione di essere sporco.

Contaminato, disgustoso.

Continuò a urlare, distruggendo qualsiasi cosa riuscisse ad afferrare.

Mags sentì le urla, ma non fece nulla. Appoggiò la testa al tavolo e guardò un punto lontano, una minuscola crepa nel muro perfetto della sua casa. Non si alzò, non si precipitò nell'abitazione del ragazzo del quale era stata mentore.

Sapeva che il suo dolore era un dolore da rispettare. Un dolore da vivere soli.

Quella notte Finnick non era riuscito a chiudere occhio. Dopo aver strofinato e insaponato per decine di volte ogni singolo anfratto di pelle fino a graffiarsi era rimasto per ore a guardare il soffitto della sua camera, nel solitario villaggio dei vincitori.

Gli unici abitanti di quelle case lussuose erano lui e l'anziana donna, e il silenzio regnava sovrano sulle lugubri quanto lussuose costruzioni.

Non si sentivano i bambini giocare, né il rumore del mare. Non sapevano di casa, costruite con metalli e marmi gelidi. Non sapevano di nulla se non di prigione. Come tutto ormai.

Le ore erano trascorse vuote e senza un senso. Ogni parte di lui premeva perchè s'alzasse, e invece di affogare in quel patetico silenzio facesse qualcosa.

Qualunque cosa.

I suoi muscoli però sembravano non rispondere a quel comando, e così rimase in quella sorta di limbo, tra il sogno e la realtà.

Senza sapere cosa fosse più spaventoso.

Quando finalmente decise di alzarsi era già notte inoltrata. Il cielo ancora nero e cosparso di stelle sembrava soffocato dalle pesanti nuvole scure che lo coprivano sgraziatamente. Si infilò distrattamente gli abiti, evitò con cura lo specchio.

Non mise neppure le scarpe ai piedi, semplicemente uscì di casa e iniziò a camminare. Senza una meta precisa, il suo corpo puntava sempre nella stessa direzione. Come se fosse programmato per tornare in quella grotta ogni volta che il ragazzo si sentiva perso.

Il distretto era silenzioso. Passando tra le case e lungo i viali sentiva raramente qualche scricchiolio impossibile da identificare, il resto era puro silenzio e i suoi passi sulla terra arida.

Probabilmente era troppo presto perfino per i pescatori, che godevano avidamente di quell'ultima mezz'ora di sonno prima di una giornata di pura fatica.

Continuò a camminare per le strade illuminate dalla luna fino a giungere al molo, le mani in tasca e la testa piena di pensieri che non sarebbe riuscito a trasformare in parole. Fece scivolare lentamente le mani via dalle tasche, rabbrividendo per il freddo della notte. Nulla paragonato al gelo dell'arena. Le dita corsero alla maglia, desiderando solo di liberarsi da quei pesi inutili che l'avrebbero portato a fondo e immergersi nelle acque scure, quando si accorse di un suono delicato che proveniva da un punto imprecisabile nella notte scura. Chinò appena il capo, stringendo gli occhi e avanzando nel tentativo di riconoscere quella figura scura che sedeva sulla spiaggia, accarezzando la sabbia con le dita mentre il vento freddo le scombinava i capelli.

 

 

Sulla pallida spiaggia giacevo,
solitario dai tristi pensieri.
Declinava al tramonto nel mare
il sole, gettando sull'acqua
vivi sprazzi di porpora ardente;
ed i candidi flutti lontani,
sospinti dall'alta marea,
venivan spumando frusciando
più presso, più presso...
Uno strano gridare, un brusìo
e sibili e murmuri e risa,
un sospirare, un ronzare:
e, frammezzo, un sommesso cantare
di cune dondoleggiate.
Riudir mi parea le obliate
leggende, le fiabe soavi
di tempi remoti, che bimbo
mi seppi dai bimbi d'accanto,
allor che nei vesperi estivi
ci acquattavam sui gradini
dinanzi alla porta di casa
per cinguettarci sommessi
le storie, coi piccoli cuori
protesi in ascolto, con gli occhi
astuti di curiosità,
mentre le bimbe più grandi,
dalle finestre di fronte,
tra vasi olezzanti di fiori
sporgevano i volti di rosa
ridenti alla luce lunare.

 

 

Finnick restò in silenzio ad ascoltarla, seppure il suo sguardo fosse perso nel mare. Nell'aria c'era la silenziosa consapevolezza della loro presenza su quella spiaggia, eppure nessuno dei due accennava a cercare lo sguardo dell'altro. Annie continuò a cantare a lungo, accarezzando la melodia con le labbra, spingendola fuori con una tenerezza e un riguardo così suo, così materno. Il ragazzo rimase immobile a osservare la luna e i giochi argentei della sua luce che pareva danzare sulle onde nere. I suoi occhi parevano persi in un ricordo lontano, eppure sapeva di non aver mai udito prima quelle strane parole.

Ma il suo era un tipo di ricordo differente. Quel ricordo che viene alla luce e che non hai mai conosciuto, ma che è parte di te. Ereditario come il colore degli occhi o la sfumatura d'ambra sulla pelle. Parte integrante di ciò che si è prima che si scelga chi diventare.

Soltanto dopo lunghi istanti s'accorse che l'unico suono rimasto era quello delle onde che si rincorrevano a vicenda, e fu un po' come svegliarsi da un sogno.

Un sogno così caldo e rassicurante da avergli lasciato addosso un torpore che aveva dimenticato, lo stesso che prova un bambino stretto al morbido corpo della madre.

-Che cos'era?

Mormorò, senza neppure provare a imporsi un contegno.

Annie si strinse le gambe al petto, guardando un punto indefinibile nel cielo notturno, mentre l'orizzonte sembrava prepararsi a rischiarare, e a infrangere le sue barriere per permettere al sole la sua ascesa.

-Una vecchia canzone, in una lingua che ormai nessuno ricorda. Era parlata dai bisnonni di mio nonno, o forse addirittura dai loro genitori. Vivevano in un paese che ora non esiste più. Un paese lontano, al di fuori di Panem.

Finnick annuì vagamente. Non vi era più nulla al di fuori di Panem, e quelle parole dovevano avere secoli e secoli. Incomprensibili, eppure in qualche maniera incantevoli.

-E sai cosa significa?

Annie si strinse nelle spalle. - No – ammise. - Ma Lui si – la sua bocca si stese in un sorriso, mentre il ragazzo seguiva il suo sguardo, che andava a posarsi direttamente sul mare.

-Lui ? Il mare?

-Anche il mare è molto antico. E le onde si spingono da secoli di terra in terra, varcando ogni barriera, assaporando ogni anfratto. Vedono ogni cosa, e la ricordano. Ricordano ogni cosa, e la cantano per noi. Ma nessuno le ascolta. -

C'era una sorta di delicatezza, di tenerezza e amore assoluto che impregnavano quelle parole, tanto che per un attimo Finnick dimenticò perfino quanto fossero assurde e sconnesse. Non sarebbe riuscito a schernire quella ragazzina, non in quel momento.

Si chinò accanto a lei, sedendosi sulla sabbia fresca di brina.

-E come fai a sapere che capisce?

Annie sorrise, socchiudendo gli occhi.

-Non senti questo rumore?

Il ragazzo la guardò per qualche istante, poi chiuse gli occhi e cercò di non pensare a quanto assurda fosse quella situazione.

Ma non riuscì a udire nulla che non fosse il rumore del vento e delle onde.

-Il mare parla con noi. Solo che noi non sappiamo ascoltarlo. Non sono parole, non c'è un filo logico da seguire. E' qualcosa che si sente e basta. Così io canto per lui, e lui canta per me.

Finnick scosse la testa, sorridendo. Quello che si diceva su quella ragazzina era vero. Era matta, era diversa. Pensava in maniera diversa, sentiva in maniera diversa da tutti loro.

Ma allo stesso tempo per lei non c'era condanna, come per un fiore che sfida la neve e cresce selvaggio e pregno di vita. Nessuno riusciva a comprenderlo, ma era d'una bellezza così forte che si insinuava direttamente sotto la carne ed era impossibile rinnegarla.

-Non hai paura a stare qui di notte?

Gli sembrava la cosa più semplice da dire. La più giusta, la meno impegnativa. Perché era difficile parlare con quella melodia che ancora risuonava nella sua mente, come un eco che tocca ogni parete e si fa più melodioso di volta in volta.

Annie scosse la testa, lasciandosi cadere all'indietro e sollevando nell'impatto una nuvoletta di sabbia.

-Io non ho paura di nulla.

Rimasero in silenzio per un attimo, poi lei scoppiò a ridere. Quella frase così sicura e piena di se ben poco le si addiceva. E ben poco di verità c'era in quelle parole. Di fatto, molte cose la spaventavano. Aveva paura delle urla delle madri a cui venivano strappati i figli. Aveva paura di mettere al mondo le creature che sarebbero divenute carne e sangue in un gioco malato. Aveva paura di dimenticare le cose davvero importanti. Aveva paura di crescere e diventare come gli altri anziani del villaggio. Sordi alla musica, ai segreti del mare. Ma non quando era a contatto con la sabbia e con l'acqua. Perché lì si sentiva forte, infallibile.

Perché se c'era una cosa che Annie conosceva era quella.

E nessun' uccello avrà mai paura di volare.

Finnick la guardò a lungo, covando il modo migliore per chiederle perchè piangesse l'ultima volta che si erano incontrati. Forse perfino delle scuse. Ma scelse di non dire nulla, come aveva fatto tante volte in vita sua.

Si lasciò cadere accanto a lei, trovando una strana pace in quel silenzio. Non c'era ansia, né l'ossessiva ricerca di qualcosa da dire. Solo il rumore del vento.

Il braccio pallido della ragazza si alzò, indicando una stella esattamente alla loro sinistra.

-Vedi quella?

Lui annuii, voltandosi a osservare ora lei ora la stella che gli era stata indicata.

-Vedi le stelle intorno a lei, come sembrano essere tutte collegate?

Finnick tacque, cercando quei legami nel cielo.

-Quella è la costellazione della lira. La lira di Orfeo, che è stata messa lì su da una divinità. Orfeo era un uomo come noi, ma aveva una voce incredibilmente melodiosa che faceva piangere perfino le pietre. Tutto taceva quando lui cantava, accompagnato dalla sua lira.

-Cos'è una lira?

Annie si fermò un attimo a riflettere. - Uno strumento musicale, come quelli degli uomini alle feste di paese. Non credo esista più, ma penso avesse una forma ovale, o qualcosa del genere. Comunque, non solo Orfeo aveva questa voce meravigliosa, ma aveva anche sposato una creatura magica di nome Euritice e viveva con lei.

-Una di quelle streghe del mare di cui senza dubbio l'ultima discendente?

Trattenne a stento una risata, mentre la ragazza alzò gli occhi al cielo, ignorandolo.

-Una creatura dei boschi. Un giorno lei venne punta da un serpente e morì, e lui andò nella terra dove i morti trascorrevano la loro esistenza per riportarla indietro. Allora...-

-Con tutte le ragazze che c'erano in giro? Bella voce si, forse, ma chissà che faccia!

Annie si voltò verso di lui, guardandolo truce e facendolo scoppiare in una fragorosa risata. Dopo qualche istante la sua risata la contagiò, facendole scappare una risata cristallina e leggera, che sembrò infrangersi direttamente contro il cielo.

-Sei più matta di quello che dicono, Cresta. -

sbottò, il sorriso ancora sulle labbra.

Lei lo squadrò per poi annuire.

-Sei meno borioso e vanaglorioso di quello che... Nah, non credo proprio

Lui sbuffò, e questa volta la sua guerra fu quella di trattenere il sorriso che gli affiorava sulle labbra.

Il cielo cominciava a schiarire, e già i colori dell'alba sembravano affacciarsi tra le nuvole scure. Qualcosa nella sua carne cominciava a rilassarsi, e la stanchezza cominciava ad affiorare. Lenta, delicata.

Dopo un po' decise che avrebbe lasciato andare quelle parole. Che avrebbe domandato il perchè delle sue lacrime, che avrebbe chiesto scusa. Perché non era colpa di quella strana ragazzina se la sua vita non avrebbe mai smesso di essere una lotta.

Si voltò verso di lei, senza ancora sapere esattamente cosa dire, sapendo semplicemente che qualcosa avrebbe detto.

Ma le parole diventarono aria e lui rimase in silenzio, osservando la ragazza che si era addormentata, serena come lui non credeva d'essere mai stato.

 

 

Quando i pescatori arrivarono in spiaggia, quella mattina, uno di loro portava in spalla una coperta per Annie. Come accadeva ogni giorno da anni e anni.

Eppure, appena scorsero il suo corpo pallido a contrasto con la sabbia scura, si accorsero che era cambiato qualcosa.

Qualcosa che in tutti quegli anni non era mai successo.

Sulla ragazza dormiente c'era qualcosa. Una camicia rovinata, ma che sembrava coprire per intero il suo corpo rannicchiato.

Gli uomini si scambiarono un sorriso incuriosito, e presto tornarono alle loro imbarcazioni.

Spingendole in mare con l'idea che una cosa, per quanto piccola fosse, era cambiata.

Magari per sempre.

 

 

Addormentandosi, avvolto dalle lenzuola candide, Finnick si chiese cosa fosse successo a Orfeo e alla sua sposa. E quel pensiero lo accompagnò nei sogni, che, per una volta, non si trasformarono in incubi.  









Nota necessaria: La lingua degli avi di Annie è l'Italiano. Ovviamente la fic è scritta in Italiano, quindi la differenza non si nota. Ma vi giuro che Finn non è ammattito.
Il nome di Euridice è scritto volutamente sbagliato, perchè questa storia è passata per almeno sei/otto generazioni e non poteva arrivare perfettamente intatta. 

L'autore della poesia è Heinrich Heine e il nome è crepuscolo.
Mi sono sforzata di usare un carattere più grande per non farvi impazzire XD
(I mean, è sempre georgia,ma stavolta un bel 16 uu)
Le recensioni, anche critiche, sono sempre gradite.
Grazie a tutti delle belle cose che mi dite, davvero.  Sapere che qualcuno ama così tanto come scrivo mi fa impazzire di gioia (però ragazzi, non impazzite voi come quell'adorabile ragazza che voleva tatuarsi una frase di letters -che a proposito saluto!- )
Nev.

Ps: alla mia Ros, che sarà sempre il mio Finnick personale çç 

  
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