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Natale
ad Hogwarts
La statua a
forma
di pipistrello sembrava sbarrare le fauci per la
perplessità, quella sera.
Davanti
a lei erano radunati un giapponese, un piccoletto
dagli occhi verdi, un signorino altolocato, uno strano essere in
mascherina e
guanti di lattice e una ragazza che tentava di rimediare
all’intrico di
riccioli rossastri con le dita.
Era
la prima volta nella sua vita marmorea che assisteva
allo schieramento di uno squadrone così male assortito. Ed
il ragazzo che
temeva una guerra batteriologica stava guardando malissimo i suoi arti
di
pietra.
«La
prof avrebbe
anche potuto dirci come si apre, questo affare»
sbottò Macauley.
«In
realtà lo ha
fatto» lo redarguì Haru, garbato.
«E
quando?»
«All’inizio
dell’anno. Io so come si accede a questa sezione del
castello.»
Due
occhi castani sgranati dall’irritazione gli incendiarono
le guance.
«E perché non l’hai
detto prima?»
«Perché
tu non me
l’hai chiesto.»
«Respira,
Nott» il
consiglio di Scorpius lo raggiunse un secondo prima di mettere in atto
i suoi
loschi piani, e fu così che il collo del giapponese non
venne ghermito dagli
esasperati artigli di lattice.
«Puoi
aprirlo?»
propose Albus, in attesa che la pressione di Nott scendesse di nuovo a
livelli
umani.
Haru
si portò davanti alla statua, e tracciò uno
strano
segno sulla sua ala sinistra. Il pipistrello sbatté le
palpebre di granito,
conficcò le grinfie nel suo basamento e cominciò
a sbattere furiosamente le
ali, sollevando il pesante cilindro di marmo da terra.
«Che
significa?» si
schifò Nott, osservando critico il buco oscuro che la statua
aveva aperto.
«Dobbiamo
gettarci
di sotto» spiegò Haru. «La professoressa
ha incantato il pavimento in modo che
il nostro atterraggio sia morbido.»
«Non
pretenderà che
noi…» il resto della frase sfumò in uno
squittio di raccapriccio: sprezzante
del pericolo, Rose aveva stretto la coda che legava la sua chioma
ramata e si
era gettata nel precipizio ombroso. Punto nel suo orgoglio virile,
Scorpius si
lanciò subito dopo di lei: i Giganti delle Montagne
sarebbero diventati educati
come un principe prima che qualcuno potesse dire che un Malfoy aveva
meno
coraggio di una donna. Haru saltò subito dopo di loro e, di
fronte alla statua
ansante per la grande fatica, rimasero solo Albus e Nott. E in pochi
secondi
rimase solo Macauley, che spinse il compagno nell’abisso con
grande galanteria.
Albus
non riuscì nemmeno ad urlare: l’aria gli premette
contro la faccia, bloccandogli le grida e storcendogli la bocca come
quella dei
cani che sporgono la testa dal finestrino in autostrada. Emise un
rantolo
agonizzante quando all’improvviso la gravità si
invertì, facendogli compiere
una capriola su se stesso: l’aria sembrò farsi
più densa, rallentando la sua
caduta, che terminò contro un pavimento soffice. In
verità, non era tanto
morbido quanto molle: il minore dei Potter ebbe l’impressione
di essere finito
in un enorme bacile di formaggio parzialmente cagliato, che si muoveva
come un
essere vivo sotto i suoi piedi, facendolo ruzzolare ad ogni nuovo
tentativo di
muovere un passo. Un tonfo sordo si afflosciò a pochi passi
da lui, e capì che
anche Nott li aveva raggiunti.
«Lumos» sentì
recitare dalla cugina nelle
tenebre, e la luce accesa sulla punta della sua bacchetta
rischiarò l’atmosfera
circostante.
Haru
non sembrava avere particolari problemi di equilibrio:
seguiva i movimenti ondulatori del pavimento con enorme scioltezza,
allo stesso
modo di un domatore che asseconda una tigre. Scorpius aveva trovato un
alleato
nel muro, cui si era appoggiato per non essere rovesciato dalle strane
mattonelle semoventi; Rose aveva rinunciato alla posizione eretta e
procedeva
strisciando come un militare tra le linee nemiche. Nott avanzava a
passi
alternati, passando dalla posizione carponi a quella sdraiata ad una
vagamente
dritta, mentre Albus decise di farsi strada stando il più
acquattato possibile.
«Un’esperienza…
singolare» commentò Haru, una volta raggiunta una
porzione di pavimento
piacevolmente stabile.
I
brontolii di Macauley furono ammortizzati dalla nausea
feroce che gli serrava la bocca dello stomaco; Scorpius
approdò sul suolo
immobile e aiutò Albus a raggiungere a sua volta quel punto
sicuro. Rose
rifiutò ogni aiuto mascolino, e si drizzò in
piedi con le sue sole forze,
sentendosi portatrice della forza femminile come le suffragette
francesi.
«Da
che parte
dobbiamo andare?» s’informò Albus,
accendendo a sua volta la bacchetta come
aveva fatto la cugina poc’anzi.
Il
giapponese indicò loro uno stretto corridoio che furono
costretti a percorrere in fila indiana per evitare il
“potenzialmente fatale
contatto con quelle pareti sporche e marcescenti”, secondo le
tragiche
previsioni di Nott.
Raggiunsero
una porta dopo un breve cammino, e Scorpius, che
apriva la fila, bussò tre volte prima che il legno ruotasse
spontaneamente sui
propri cardini.
Al
contrario dello strampalato atrio dal pavimento
molliccio, l’interno fu molto gradito dagli studenti:
entrarono in una stanza accogliente
dal mobilio comodo e sobrio, ben riscaldata da un caminetto intagliato
nella
parete a nord e bene illuminata grazie all’ausilio di globi
fluttuanti che
spandevano una luce calda,.
«Benvenuti»
li
accolse la Eeriemay, seduta su una poltrona al centro della stanza.
I
suoi alunni furono quasi turbati nel vederla senza i suoi
soliti completini mozzafiato: indossava una tuta bianca priva di
fronzoli, e
perfino il viso sembrava accordarsi con quell’aria di
essenzialità, ripulito da
qualsiasi traccia di trucco.
«Professoressa…?»
la fuggevole intonazione interrogativa venne captata dalle orecchie
della
donna, che minimizzò brevemente:
«Ogni
tanto è
giusto sacrificare l’eleganza alla comodità.
Prego, sedetevi.»
Ad
un suo cenno, le poltrone asserragliate ai lati della
stanza si appropinquarono goffamente verso gli ospiti, zampettando
sulle gambe
grassocce.
Macauley
fu l’ultimo a sedersi, troppo impegnato a notare
come la tuta della professoressa fosse perfettamente immacolata
– impresa quasi
titanica, visto il bianco splendente del tessuto - e come il suo viso,
senza
l’opera dei cosmetici, apparisse molto più pulito.
La poltrona lo colpì sul retro delle ginocchia,
rovesciandolo sulla propria
imbottitura bordeaux.
La professoressa
accavallò le gambe, azione che sembrò molto meno
indecente del solito senza la
classica minigonna, ed esordì:
«Immagino
che
avrete delle domande da farmi.»
Albus fece
scorrere
lo sguardo sui suoi colleghi: Rose non sembrava intenzionata a prendere
la
parola, Haru non pareva sentirne la necessità, Scorpius
stava riordinando le
idee e Macauley era perso in qualche altro pensiero. Non si
sentì colpevole nel
cominciare:
«Perché
succede
sempre a noi?»
Ricordava
bene i racconti di suo padre: in tutta Hogwarts,
le avventure più fantasiose erano capitate a lui, a zio Ron
e a zia Hermione
poiché Voldemort aveva intenzione di terminare il lavoro
lasciato incompiuto
tanti anni prima. Se qualcuno di loro era entrato nel mirino di un
pericoloso
mago oscuro, i loro giorni di tranquillità potevano
considerarsi finiti.
La
Eeriemay scosse i capelli, lasciati liberi di scendere
sulle spalle.
«La
prima volta è
stato totalmente casuale, Potter. Questa volta, invece, il mago aveva
uno scopo
preciso.»
Rose
notò Haru annuire gravemente, ma dovette distogliere
subito l’attenzione perché la professoressa
continuò:
«Quello
contro cui
avete combattuto, però, non era il mago originale. Era una
sua copia. Per
questo è sparito in quel modo» le labbra si
arricciarono, vezzose e polemiche,
prima di aggiungere: «Ed è anche per questo che
siete riusciti a sconfiggerlo.
Altrimenti non ce l’avreste mai fatta.»
«Ma se abbiamo
sconfitto il suo doppio…» la protesta di Macauley
si infranse contro la mesta
replica di Haru:
«Tu
non sai quanto lui faccia
paura.»
La
Eeriemay schioccò le dita per ottenere di nuovo
l’attenzione dei suoi studenti, deviata sul giapponese.
«Questo
attacco è
stato una prova di forza. Quel mago voleva dimostrare di potersi
infiltrare ad
Hogwarts perfino con una piccola parte del suo potere» la
bocca rosea della
prof si chiuse su quel punto, stizzita. Avrebbe voluto dire che
quell’incantatore era un arrogante e un ciarlatano, ma non
poteva, perché aveva
effettivamente eluso i sistemi difensivi di Hogwarts, e
l’aveva fatto mentre la
scuola era forte dei suoi insegnanti, votati alla sua protezione. Non
era un
folle qualunque da sottovalutare.
«Il
primo attacco
non è stato molto elegante, come infiltrazione» si
permise di far notare
Scorpius.
«Il
primo non era un’infiltrazione;
era un attacco frontale per provare la sua potenza»
precisò la Eeriemay.
«Con
quella bestia
bavosa?» inorridì Macauley, issando istintivamente
la mascherina.
«Perché
ha cambiato
rotta in questo modo?» obiettò Rose. «Il
primo attacco era piuttosto
sconclusionato. Questo invece sembrava progettato.»
La
Eeriemay fissò Haru, spingendo così i suoi
allievi a fare
lo stesso. Non era lei a dover fornire delucidazioni a riguardo.
«Perché
ora ci sono
io, a Hogwarts» asserì l’asiatico, con
un filo di voce.
Haru non era una
persona famosa per la sua loquacità o per la sua esuberanza
istrionica: parlava
pacato, canzonava con eleganza e rideva mascherando il sorriso con la
mano. Ma
perfino su una persona così dimessa quel tono
sembrò troppo flebile.
«Tu
sei il suo
obiettivo?» al cenno affermativo di Haru, Rose insistette:
«Per quale motivo ce
l’ha con te?»
«Perché
gli sono
subentrato nella successione al Clan.»
L’unica
faccia che
non lo fissò con la confusione dipinta in volto fu quella
della professoressa,
già al corrente del passato dello studente straniero. Haru
sospirò, tolse gli
occhiali, li ripulì e li inforcò di nuovo, ma,
nonostante le lenti fossero
impeccabilmente linde, tenne gli occhi chiusi nel raccontare:
«Ve lo
spiegherò
nel modo più semplice possibile: un Clan è un
nucleo familiare, ed è guidato
dal Capoclan, che è scelto tra i primogeniti
maschi.»
Rose
espresse il suo malcontento con un colpo di tosse in
cui era possibile decifrare: “sessisti!”, che Haru
sorvolò con un sorriso
diplomatico.
«Il
Capoclan attuale
è mio nonno. Io sono il suo erede.»
«E
perché questa
cosa dovrebbe infastidire quello sciroccato?»
sparò con assoluta mancanza di
tatto Nott.
La
vita sembrò defluire dal fisico del giapponese; per un
attimo, tutti i ragazzi di Hogwarts ebbero l’impulso di
correre in suo aiuto e
sorreggerlo, perché il giovane parve afflosciarsi come un
sacco di canapa
svuotato. Drizzarono tutti la spina dorsale contro lo schienale in
riflesso al
guizzo con cui l’asiatico si riappropriò della sua
compostezza, eccessiva per
un quattordicenne.
«Perché
all’inizio
era lui l’erede.»
La
comprensione cedette il passo all’orrore quando Haru
specificò, la mascella serrata dai ricordi dolorosi:
«Era mio cugino.»
«Era?»
notò
Scorpius.
Le
orbite di Albus quasi spararono fuori gli occhi dalla
violenza con cui si aprirono, e il giovane miagolò:
«Vuoi
dire che… è
morto?»
«Abbiamo
combattuto
contro un…» annaspò Macauley,
più preoccupato dai morbi importati dal paese dei
defunti che dall’effettiva probabilità di essersi
scontrato con uno zombie.
«No,
non è morto.
Non fisicamente, almeno» Haru riaprì gli occhi, e
restituì uno sguardo fermo a
quello spaesato degli altri ragazzi. «Ci sono delle prove da
superare, per diventare
Capoclan. Si affrontano per lo shicigosan.»
«Il
cosa?» brancolò
Albus.
«A tre, cinque e
sette anni» chiarì Haru. «Mio cugino
fallì durante la seconda prova, quella cui
venne sottoposto a cinque anni» il giapponese
sfoderò un’espressione adamantina
per far capire che non sarebbe sceso in ulteriori dettagli sulle prove
che i
prescelti dovevano affrontare: il suo Clan era legato alle tradizioni,
e queste
volevano che alcune informazioni non uscissero dai confini della
famiglia. «Ma
non accettò mai il suo fallimento. E la sua rabbia crebbe
quando vide che io,
al contrario, ero riuscito a superarla.»
Il
fuoco nel camino riempì il silenzio con il suo crepitio.
Ad Haru occorsero tre profondi respiri prima di riuscire a rivelare:
«Durante
la terza
prova, cercò di risolvere il problema alla radice.»
«Ha a
che fare con
le cicatrici che hai sulla schiena?»
Se
Rose avesse lanciato una bomba a mano, forse l’effetto
sarebbe stato meno devastante: tutti i presenti saltarono sul posto,
compresa
la Eeriemay, che non si aspettava che la sua allieva fosse a conoscenza
di quel
dettaglio sul ragazzo straniero.
«Dallas
le ha viste
per caso. E per caso lo ha raccontato a me» si
discolpò Rose di fronte agli
sguardi accusatori dei presenti.
Il
sangue faticò a colorare di nuovo le guance mortalmente
sbiancate di Haru, che articolò infine:
«Sì,
ha a che fare
con quelle.»
Si
alzò dalla poltrona e si girò in modo che il suo
piccolo
pubblico potesse vedere con chiarezza la sua schiena.
Allentò i bordi della
maglia, che scivolarono sulle spalle scoprendo il dorso.
Il
respiro si bloccò a metà tra la gola e il naso, e
tutti
quanti si esibirono in strane smorfie per riuscire a riempire di nuovo
i
polmoni di ossigeno.
Nei
film si vedevano spesso scene di quel genere, ma non
erano paragonabili al raccapriccio della realtà: la
cicatrice più visibile era
quella sulla spalla sinistra, frastagliata laddove la carne si era
incuneata
sotto il pugnale, e collegata da un filo di pelle in rilievo alla
seconda, di
cui era visibile solo la sommità irregolare dal bordo
obliquo della maglia. Raccontavano
con estrema crudeltà la storia che le avevano portate ad
increspare la pelle
del giovane: Rose si sfregò le mani sulle braccia per
contenere i brividi
quando le parve di vedere l’arma ancora conficcata nei
muscoli del ragazzo.
«Il
nonno mi ha
salvato» riprese Haru, ruotando le spalle per infilarsi
nuovamente la maglia a kimono e
procedendo ad allacciare la
fascia in vita. «Ha disconosciuto mio cugino nel modo
più totale: l’ha cacciato
dalla famiglia e gli ha assegnato un kaimyou.
Un nome postumo, che si dà solo ai defunti»
tradusse, accomodandosi di nuovo
sulla poltrona. «In pratica, mio cugino è morto
per qualunque mago orientale:
non riceverà da loro alcun aiuto o conforto. È il
prezzo da pagare per la sua
scelleratezza, secondo il nonno.»
«Quindi
è tornato
per ucciderti?» chiese senza peli sulla lingua Nott.
«E per
riprendere
il posto di erede. Dice che sono un usurpatore»
ridefinì Haru.
«Perché
hai deciso
di venire ad Hogwarts?» chiese invece Rose.
Questa
volta fu la professoressa a rispondere:
«Si
può dire che
sia un effetto della globalizzazione. Da quando il mondo è
diventato più
piccolo, ci sono stati molti teorici a vedere con favore una possibile
fusione
tra la magia occidentale e quella orientale. Una cosa del genere
è ancora
un’utopia, e forse lo resterà: le differenze di
base sono infinite, e molto
profonde» Haru asserì in silenzio, e la Eeriemay
si sentì autorizzata a
proseguire: «Tuttavia è possibile arrivare ad una
cooperazione tra incantatori;
da qualche anno, alcuni maghi hanno dato vita a una specie di quartier
generale
della magia internazionale. È un luogo in cui si riuniscono
incantatori di tutti
i paesi, e si formano gruppi d’azione misti adibiti dalle
più svariate mansioni»
la Eeriemay sfoderò un sorriso smagliante
nell’annunciare: «Il nostro Harunobu
è uno dei membri di questa associazione.»
«Lui?»
scattò
Macauley. «Ma non è ancora
diplomato…»
«Non
lo sono ad
Hogwarts, ma possiedo già un diploma» lo
contraddisse tranquillo Haru.
Le sopracciglia
ramate di Rose si sollevarono per il dubbio.
«Quanto
dura la
scuola di magia in Giappone?»
«Esattamente
quanto
la vostra.»
«Ma
tu…»
«Ho
finito il
percorso di studi con un poco di anticipo» si
schermì, con un piccolo rossore
di orgoglio per il suo talento innato.
I
ragazzi di Slytherin
lo fissarono come se si fosse improvvisamente trasformato in
un’idra a tre
teste: come era possibile che la Natura avesse creato un essere con
più
cervello di Rose? Era umanamente, biologicamente impossibile.
«Non
vi abbiamo
ancora detto perché Harunobu è venuto fino a
Hogwarts» la Eeriemay si
riappropriò delle redini del discorso. «Pare che
gli incantatori oscuri siano
giunti alle nostre medesime conclusioni» la donna si
dilungò in una pausa
meditativa prima di asserire: «E alle nostre stesse
soluzioni.»
«Quindi
esiste una
lega internazionale anche per i maghi oscuri?» si sorprese
Albus.
«Non
sappiamo se
siano organizzati fino a quel punto» ammise la Eeriemay.
«Ma alcuni gruppi
stanno tentando degli… esperimenti.»
«Esperimenti?»
le
fece eco Scorpius.
Le unghie della
Eeriemay piroettarono sulle ginocchia, e si fermarono solo quando la
professoressa spiegò:
«Ricordate
il
mostro del primo anno? Abbiamo analizzato con cura il campione che ho
prelevato»
perfino da dietro la mascherina fu visibile la smorfia nauseata di
Nott. «Non è
riconducibile a nessuna fattura già esistente.»
«Quindi
stanno
cercando di creare un… nuovo tipo di magia?»
azzardò Rose.
«Precisamente»
puntualizzò la Eeriemay. «E non possiamo
permetterci di rimanere indietro: se
davvero i maghi oscuri si stanno muovendo in questa direzione, anche
noi
dobbiamo elaborare incantesimi originali» sbatté
le palpebre con superiorità in
reazione alle espressioni sconcertate dei suoi studenti. «Non
siate così
sorpresi. La magia muta in continuazione: le belve stregate sviluppano
una
resistenza particolare agli incantesimi che le debellano, dopo un certo
periodo, e per questo la magia deve essere costantemente
rinnovata.»
«Quindi
Haru è
venuto qui per trovare degli alleati?» incalzò
Rose.
«Colleghi
di
studio, per la precisione» sottolineò composto il
giapponese. «Persone capaci,
che siano interessate a cercare forme di magia alternativa, e a formare
gruppi
d’azione con incantatori di diverse
nazionalità.»
Albus
fissò
Scorpius, vedendo specchiata sul volto dell’amico la sua
stessa perplessità: le
capacità di Rose erano una leggenda in tutta Hogwarts, ma
loro non si
distinguevano per una media astronomicamente alta o per interventi
particolarmente brillanti. Se non fossero stati figli dei loro famosi o
famigerati padri, probabilmente sarebbero stati riconosciuti solo per
via del
Quidditch.
E
la presenza di Nott in un simile progetto era ancora più
anomala: era uno studente zelante, ma che contributo poteva dare alla
ricerca
chi disinfettava l’aria stessa prima di respirarla?
Gli occhiali
risalirono il naso dell’orientale, prima che questo parlasse:
«Vi ho
visto
lottare contro il doppio di mio cugino: pochi studenti avrebbero avuto
il
vostro stesso sangue freddo.»
«Non
puoi
giudicarci solo per un episodio» confutò Scorpius.
Haru sorrise
accondiscendente, reclinando appena la testa su una spalla.
«Siete
riusciti a
fronteggiare una belva a soli undici anni.»
«Ci
hanno salvato i
prof» ammise vergognoso Albus.
«Siete
stati
allenati da Achil Scholz. Mi dicono che non sia facile sopravvivere ai
suoi
addestramenti» proseguì pacifico.
Nessun
dei due interpellati osò replicare: avevano salvato
la pelle per misericordia divina durante quegli infernali allenamenti.
«Noi
non siamo
stati presi sotto l’ala protettrice di Achil
Scholz» replicò aspro Macauley.
«C’è
chi riesce a
superare le proprie paure per aiutare gli amici»
elencò Haru, fissando prima
Nott e poi Rose. «E chi spicca per l’eccellenza
negli studi.»
Le
parole di Haru seminarono una manciata di disorientamento
imbarazzato sulle facce dei presenti, che non si aspettavano simili
complimenti
dal distaccato giapponese, né di essere selezionati per un
progetto così
importante a soli quattordici anni.
«Ovviamente,
non
pretendiamo una risposta immediata» li rilassò la
Eeriemay. «Avrete tutto il
tempo di pensare. Ma dovevate sapere, era un vostro diritto. E
l’abbiamo
rispettato.»
Nessuno
ricordò con
esattezza se quella stanza fu sede di altre discussioni: rimasero tutti
invischiati nella densa palude della riflessione e del dubbio, e
rimasero in
quella sospensione plasmatica finché non risalirono lo
strano corridoio assieme
alla professoressa.
Solo
Haru fu abbastanza lucido per bloccare un attimo Rose,
una volta usciti dal basamento del pipistrello, e farle notare:
«Non
mi hai
chiamato Harunobu come al solito, prima.»
La ragazza si
strinse nelle spalle con noncuranza e sdrammatizzò:
«So
che odi il tuo
nome completo.»
«Questo
non ti ha
impedito di chiamarmi così fino ad oggi
pomeriggio» evidenziò Haru.
«Non
essere troppo
pignolo» sibilò Rose, assottigliando gli occhi per
apparire più intimidatoria.
Il giapponese
scosse appena la testa, un abbozzo di sorriso negli occhi neri.
«È
un nome da nonni. Per questo preferisco
Haru.»
«Cercherò
di chiamarti così. Se non mi farai arrabbiare»
concesse con simulato dispotismo
lei.
«Ti ringrazio per la cortesia»
l’asiatico si inchinò brevemente, e
incrociò le sue iridi onice con quelle nocciola della
ragazza solo sul finire
del commiato: «Rose-san.»
Rose non era una
ragazza che arrossiva per le galanterie; come la rimproverava
affettuosamente
sua madre, era “troppo intelligente per civettare”.
Anche quella volta,
infatti, le sue guance non mutarono colore, e rimasero solide nel loro
incarnato chiaro.
Però
non poté bloccare un sorriso spontaneo nel replicare
all’asiatico che stava svanendo nei corridoi per il
dormitorio di Hufflepuff:
«Ricordati:
solo se non mi farai
arrabbiare.»
***
«Salvare
il mondo
della magia da una nuova, potente minaccia.»
La valutazione
di
Scorpius risuonò ammorbidita dalla coperta che gli
nascondeva la bocca: il
piccolo Malfoy soffriva terribilmente il freddo, e quello che per le
persone
comuni era un innocuo spiffero veniva percepito dalla sua pelle come
una
tormenta caucasica. Albus si rannicchiò vicino
all’amico per aiutarlo a
riscaldarsi, sebbene stesse soffocando sotto il triplo strato di
coperte.
«Pare
che la tua
famiglia non possa farne a meno» lo stuzzicò, e
gli occhi grigi si curvarono in
due mezzelune sornione.
«Ma,
se anche
dovessi accettare, questa volta sarei solo uno dei tanti»
chiarificò Albus, in
un respiro soffocato dalla calura. «Haru ha parlato di
“gruppi di azione”.
Nessuno ricorderà precisamente il mio nome.»
«Non
ti sembra avvilente?»
«No.
Direi
rilassante.»
«Strano.
Stavo pensando la stessa cosa» concordò Scorpius.
Chi
proveniva da famiglie fin troppo nominate nel mondo
magico, trovava confortante la prospettiva dell’anonimato.
Una fuga dalle
troppe lodi o dall’eccessiva infamia sarebbe stata accolta
come un balsamo
ristoratore.
«Stavi
pensando di
accettare?» bofonchiò Albus.
Scorpius
sospirò a
fondo, tirando i lembi della coperta.
«Non
lo so. È
ancora tropo presto per decidere. Ma penso che la prospettiva di una
magia fondata
su basi del tutto nuove, e di una cooperazione tra maghi stranieri
sia…
eccezionale.»
La
frangia di Albus si sparpagliò sul cuscino quando
quest’ultimo annuì.
«Hai
visto cosa
siamo riusciti a fare oggi?» sussurrò, emozionato.
«Immagina cosa potremmo
fare, se riuscissimo a coordinarci meglio…»
«Qualcuno
ha preso
molto seriamente l’invito di Haru» lo prese in giro
Scorpius.
Albus
gattonò
goffamente per uscire dalla trappola delle coltri strettamente infilate
sotto
il materasso, e fu placcato da Scorpius, che lo abbrancò per
il bacino.
«Non
fare il bullo
con me» protestò Albus, gonfiando le guance.
Scorpius
rilasciò
la presa, e l’altro atterrò di faccia sul cuscino
brontolando un “prepotente”.
«Per
dire la
verità, c’è qualcosa che mi preoccupa
molto più di tutto il resto» commentò
Scorpius, adagiandosi placidamente sul letto.
«Quale?»
domandò
curioso Albus.
«Tra
poco sarà
Natale. Questo significa che le nostre famiglie si incontreranno per
festeggiare.»
Un bubbolio
morente
annaspò sul cuscino.
«Spero
che
quest’anno zio Ron sia meno minaccioso» si
augurò gorgogliando Albus.
«E che
mio padre
sia meno inquietante» aggiunse Scorpius.
«E il
mio meno
silenzioso.»
Entrambi
rotearono gli occhi al cielo, ed entrambi risero
per la loro sincronia.
I
loro parenti avrebbero formato un pessimo gruppo di
azione.
***
Il suo cervello
era
come intorpidito, quella mattina.
Gli
inglesi avevano un modo di gioire per l’arrivo del
Natale molto più colorato e chiassoso di quello giapponese:
Hogwarts si era
ricoperta di lucine fluttuanti di varie tinte, carole tradizionali
rimbalzavano
per tutti i corridoi, e l’agrifoglio sembrava aver trovato
sui muri il suo
habitat ideale, a giudicare dalla foresta di foglie pungenti e bacche
rosse che
aveva invaso la scuola.
Si
stropicciò gli occhi, inebetito: tutte quelle luci, quei
colori sfavillanti e quelle melodie infantili gli rimbombavano nel
cranio ad
ogni ora.
Ma
lo stordimento natalizio non ottenebrò del tutto i suoi
sensi: avvertì un corpo estraneo strisciare nella stanza, a
pochi centimetri
dal suo letto. Haru scivolò silenziosamente al di fuori
delle lenzuola, e
rotolò vicino al bordo del materasso. Trattenne il respiro,
visualizzò nella
sua mente lo schema offensivo e agì.
La
sua mano scattò oltre il bordo delle coperte, afferrando
lo sconosciuto per la collottola e scaraventandolo sul letto; prima che
quest’ultimo avesse il tempo di gridare, il giapponese
calò sulla sua schiena e
lo immobilizzò con una chiave articolare al braccio.
«Haru!
Fermo,
fermo, fermo! Sono io, Albus!» gridò
l’oscurità.
A
quell’appello disperato, improvvisamente le luci si
accesero, e il mistero della stanza venne svelato: Rose reggeva una
scatola tra
le mani e lo fissava inorridita, Macauley, incollato
all’interruttore della
luce, era completamente sbiancato; l’espressione di Scorpius
era squisitamente
indecifrabile.
«Siete
voi» si
tranquillizzò Haru, lasciando andare il povero Albus, che fu
lesto a saltare
fuori dal letto. «Mi avete spaventato.»
«Tu mi hai spaventato» si
risentì il
minore dei Potter, impegnato a massaggiarsi il braccio.
«Da
dove ti è
uscito…» Macauley gesticolò a caso,
ipotizzando le mosse con cui Haru poteva
aver sottomesso Albus nel giro di un secondo. «… quello?»
«Mi ha
insegnato il
nonno» spiegò Haru, infilandosi velocemente la
vestaglia ai piedi del letto:
era davvero sconveniente che degli ospiti, tra cui una femmina, lo
vedessero in
pigiama.
«Tuo
nonno deve
avere delle ossa d’acciaio» fischiò
Nott.
«Ha
un’ottima
resistenza fisica» confermò Haru.
Inforcò gli occhiali e domandò, sollevando il
sopracciglio sinistro: «Come mai siete venuti qui?»
Nonostante la
sua
spalla non fosse ancora del tutto sicura di stare bene, fu Albus a
spiegare il
motivo della loro incursione:
«Abbiamo
saputo da
Dallas che saresti tornato in Giappone per le vacanze di Natale.
Così siamo
venuti per darti il regalo in anticipo. Volevamo farti una
sorpresa.»
Raramente
gli occhi di Haru si erano spalancati così tanto,
o le sua guance avevano assunto una tonalità così
vicina al rosso vivo. Per la
prima volta in vita sua, l’orientale faticò ad
esprimersi, e gli occorse
qualche secondo per dire:
«Vi
ringrazio… per
la vostra cortesia.»
«La
prossima volta
elimineremo l’elemento sorpresa» decise Rose.
«O tu
eliminerai
noi, probabilmente» aggiunse Macauley, ancora sconvolto per
la reazione
bellicosa dell’asiatico.
«Sono
profondamente
dispiaciuto per l’inconveniente» la testa
dell’orientale si inchinò fino a
livelli quasi improponibili, e lì rimase finché
un imbarazzatissimo Albus non
lo sollecitò a sollevare il capo.
La
lotta contro un mago oscuro e la condivisione di un
complicatissimo progetto futuro avevano cementato uno strano legame di
cameratismo e amicizia, che nessuno si spiegava ma che tutti
accettavano.
Avevano tempo e voglia di conoscersi e trovare basi più
solide per quell’imprevista
alchimia.
Ognuno dei
quattro
ragazzi poggiò la mano sul pacchetto retto da Rose e lo
avvicinarono
all’unisono ad Haru, esclamando:
«Buon
Natale.»
Il
giapponese fissò l’incarto come se non capisse
bene in
che modo approcciarsi ad esso; dopo una pausa che fu imbarazzante per
il
quartetto e necessaria per lui, l’orientale
afferrò la confezione e l'aprì,
svelandone il contenuto.
«Biscotti?»
notò
Haru, lievemente interrogativo. Alcuni avevano indiscutibilmente
l’aspetto di
fragranti dolciumi, ma altri sembravano più adatti al camino
che alla tavola.
«Li
abbiamo fatti
insieme ieri sera» spiegò fiero Albus.
«La
cottura aiuta a
bruciare i germi» spiegò Macauley, quando non
poté più tollerare la perplessità
del giapponese sulle sue creazioni culinarie. Haru annuì
senza troppa
convinzione, ma l’espressione smarrita si riscaldò
ben presto in una di
gratitudine.
«È
un pensiero
molto gentile» li ringraziò, inchinandosi
profondamente. «Siete stati molto
premurosi nei miei confronti.»
«È
una sciocchezza»
si schermì Albus, a disagio per la formalità
degli omaggi.
«Mangiali
pensando
all’Inghilterra» gli suggerì Rose.
Ciascuno
dei presenti si servì di un biscotto sotto invito
di Haru: tutti dribblarono i frollini carbonizzati, perfino il loro
creatore,
ed uscirono dalla stanza con le labbra ancora sporche di briciole per
permettere al ragazzo di cambiarsi.
Prima
di cominciare la vestizione, il giapponese appoggiò il
pacchetto di pasticcini sul letto, senza riuscire a distogliere lo
sguardo.
La
vita del genio era piuttosto solitaria: un bambino più
dotato dei ragazzi più grandi riscontrava invidia e
diffidenza. Aveva visto
l’amicizia solo da lontano, osservando estranei che si
scambiavano gesti
affettuosi o leggendola sui libri.
Haru
terminò di stringere il nodo della maglia e si sedette
sul letto, a poca distanza dal suo regalo.
Non
aveva mai sentito la mancanza di un amico. Il nonno era
stato il suo punto di riferimento fin dalla più tenera
età e non gli aveva mai
fatto mancare nulla, specialmente il tempo da trascorrere insieme. Era
stato
severo con lui molte volte, perfino burbero, ma Haru non aveva mai
dubitato
dell’affetto sincero che nutriva nei suoi confronti. Forse,
era stata proprio
quella loro connessione particolare a scatenare il risentimento del
cugino,
nove anni prima.
Afferrò
il fagotto e lo appoggiò sulle ginocchia.
Era
venuto ad Hogwarts per cercare degli alleati, e aveva
trovato degli amici, per quanto bizzarri. Persone che avevano perso una
serata
per preparargli dei biscotti. Poteva quasi vederli, mentre Macauley
polemizzava
sui tempi di cottura, Scorpius e Albus tentavano di staccarsi
l’impasto colloso
dalle dita e Rose li riprendeva per la loro totale inettitudine ai
fornelli.
Amici.
Che buffo mondo.
Si
rialzò per
andare di fronte allo specchio e pettinarsi.
Ma
non prima di aver appoggiato il pacchetto sul comodino,
di fianco alla foto del nonno e alla lettera che sua madre gli aveva
lasciato
prima di partire.
Quella
pasticceria più o meno riuscita meritava un posto sul
suo personale altare dei tesori.
***
Quando Haru
uscì
dal dormitorio, si ritrovò di fronte ad una curiosa scena di
folklore
occidentale.
Nell’aria
fluttuavano piccoli rametti di vischio, decorati
da nastri rossi, e Nott era disgraziatamente finito sotto uno di essi.
«Non
ti infetterò,
Macauley» la ragazza di Slytherin
che
era capitata sotto la pianta galleggiante assieme a Nott aveva
l’aria
esasperata di chi spiega le tabelline ad un Troll Troglodita.
«Ti
dico che non è
vischio!» Macauley, al contrario, esibiva la stessa
espressione terrorizzata di
un vampiro di fronte ad un paletto di frassino.
«È
vischio. Siamo
sotto Natale, è ovvio
che sia
vischio.»
«No
che non è
vischio!»
All’improvviso,
la piantina scintillò, e le sue bacche
biancastre si gonfiarono e si arrossarono, finché un rametto
di agrifoglio
solitario non si ritrovò a svolazzare nella selva dei
più compromettenti
fratelli.
«Hai
visto? Non è
vischio!» trionfò Macauley, per poi svanire lungo
il corridoio alla velocità
della luce.
Haru
si diresse verso il punto da cui aveva visto provenire
la magia mutaforma e bisbigliò:
«Hai
salvato la
situazione, Rose-san.»
La giovane
emerse
dalla sua postazione rinfoderando la bacchetta.
«Macauley
stava per
uccidere i nervi di quella ragazza» si giustificò
lei.
Haru
spostò la coda corvina su una spalla, gli occhi
socchiusi come quelli di uno studioso.
«Spiegami
questa
vostra usanza: cosa succede di così tremendo, se si finisce
sotto il vischio?»
«Bisogna
baciarsi»
fu la brutale risposta di Rose.
Le
sembrò di vedere le vertebre del timido giapponese
appiattirsi di colpo una sull’altra per lo shock della
scoperta.
«Capisco
le riserve
di Macauley-san» dichiarò infine.
«Non
è obbligatorio
baciarsi sulla bocca» lo confortò Rose.
«Sulla guancia è più che
sufficiente.»
L’asiatico
non sembrò particolarmente rincuorato dalla precisazione.
La sua preoccupazione aumentò esponenzialmente quando una di
quelle malvagie
piantine decise di fare il nido sopra le loro teste.
Rose
la fissò seccata, Haru spaesato, e nessuno dei due
mosse un singolo muscolo per una quantità di tempo
irragionevole, nella
speranza che il vischio si stancasse di loro e andasse ad infastidire
qualcun
altro.
Quando
fu chiaro che la piantina non avrebbe desistito, Rose
appuntò i suoi occhi su Haru e contrattò,
stendendo il braccio verso di lui:
«Una
calorosa stretta
di mano sarà più che sufficiente.»
L’asiatico
accettò prontamente l’invito, afferrando le dita
che gli venivano offerte.
«Sei
una persona
molto ragionevole, Rose-san» si complimentò
compiuto, quando finalmente il
vischio decise di volare su altre teste.
La
piantina ne adocchiò una bionda e una corvina, e prese a
ronzare su quelle zazzere, arrivando perfino a schiaffeggiare quella
più alta
per non essere ignorata.
«Credo
che ce
l’abbia con noi» notò Scorpius, toccando
il punto in cui le foglie lo avevano
sferzato.
A
volte, il periodo natalizio diventava simile ad una bolgia
infernale: non era nemmeno possibile recarsi a lezione pacificamente
senza
essere infastiditi da strani vegetali pettegoli.
Il rossore
salì
fino alle orecchie, rendendo il viso di Albus una maschera scarlatta
quando
squittì:
«Ma…
ma è vischio!»
Scorpius
annuì,
incapace di aggiungere qualcosa di intelligente o innovativo
all’osservazione
dell’amico.
«Questa
piantina
non se ne andrà finché non sarà
soddisfatta. E la cosa comincia a diventare fastidiosa»
ringhiò Scorpius, dopo la
quarta volta in cui il vischio gli frustò
l’orecchio per spronarlo.
La
memoria di Albus tornò all’inizio di
quell’anno
scolastico, quando il suo cuore era praticamente impazzito al tocco di
Scorpius;
rivisse quello sconvolgimento quando l’amico gli
appoggiò le mani sulle spalle,
ed il sangue sembrò scoppiettargli nelle vene e nelle
orecchie quando il
giovane si chinò sbrigativo ad appoggiargli un bacio sulla
guancia. Di nuovo,
non capì la ragione di quel turbinio: avevano vissuto
insieme per quattro anni,
condividendo anche il respiro, e non aveva mai sperimentato prima una
sensazione così irragionevole.
«Se ne
è andata,
finalmente» commentò sollevato Scorpius quando la
piantina fluttuò ad
importunare altre coppie.
Albus
quasi saltò sul posto quando la voce di Margaret
Finnigan lo sorprese alle spalle. Per un qualche motivo,
avvampò come se fosse
colpevole di qualcosa, e provò il violento desiderio di
sparire tra le
mattonelle del pavimento.
La
coppietta lo abbandonò prima ancora che lui potesse
rendersene conto; Margaret aveva chiesto a Scorpius in modo piuttosto
perentorio di parlare un attimo da soli, e Scorpius l’aveva
assecondata,
salutando velocemente l’amico.
Rimase
così, confuso, arrossito e con il sistema
circolatorio in subbuglio finché la figura di Nott non
interruppe la sua
agitazione silenziosa.
Un
particolare dell’amico catturò la sua attenzione e
causò
il suo sconcerto.
«Quello
è…
rossetto?» chiese; un marchio cremisi a forma di labbra
svettava sulla fronte
pallida del compagno, che cercava in tutti i modi di pulirlo con una
salvietta
umida.
«La
Eeriemay mi ha
beccato sotto uno di quei cosi
satanici!» sbraitò Macauley.
Le
sopracciglia di Albus ballarono una danza di stupore e
perplessità, e il giovane indagò:
«Vuoi
dire che sei
finito sotto lo stesso vischio con una persona… e non ti sei
allontanato
correndo?»
«Quella
donna è un
demonio!» sbottò Nott.
«Ma di
solito tu…»
«Albus
Severus, se
vuoi aiutarmi a togliermi questo schifo dalla fronte sei bene accetto,
in caso
contrario taci» s’inviperì Macauley.
Albus
si arrese, e si issò sulle punte dei piedi per aiutare
l’amico a ripulire il disastro.
Haru
gli aveva quasi rotto un braccio, Scorpius gli aveva
rivoluzionato il sistema circolatorio e Macauley si era sottoposto ad
un
contatto fisico per la prima volta nella sua ipoallergenica vita.
Quel
Natale stava portando con sé fin troppe sorprese.
***
I Weasley
adoravano
le feste che potessero accordarsi con il loro stile di vita allegro e
rintronante.
Per
questo avevano una particolare predilezione per il
Natale che, con le sue luci e le sue canzoni, ben rispecchiava lo
spirito della
famiglia.
Hermione
si era occupata delle decorazioni assieme a Ginny,
ma qua e là spuntavano le sporadiche
“migliorie” di George: poteva capitare che
alcune delle piantine di agrifoglio messe ad addobbare il camino
emettessero
una sonora pernacchia nei confronti di chiunque passasse loro davanti,
o che
l’abete luccicante pizzicasse le guance a chi sostava di
fronte a lui. Le palle
colorate, poi, erano una novità dei Tiri Vispi, per cui
sarebbero state testate
quella sera sui malcapitati: le sfere kamikaze si lanciavano sulle
teste dei
passanti, sprigionando gavettoni di arcobaleno. “Tingete le
vostre feste di
allegria!”, recitava lo slogan.
Molly,
che aveva conservato la sua esuberanza a dispetto
dell’età,
aveva sommerso la cucina con una quantità quasi imbarazzante
di cibo, e a Ron
era stato assegnato l’ingrato compito di apparecchiare
l’opulenta tavola.
Albus
scese le scale quasi intontito da quel mondo sfolgorante
e caotico: in tutta la casa era fiorita una strana vegetazione a base
di
pungitopo, nastri colorati e luci intermittenti, ed in un angolo
l’abete troppo
carico si sforzava di non crollare sui regali sottostanti. La tavola
era
apparecchiata con lo sgargiante servizio delle feste, tutto oro, rosso
e
bianco, e un nugolo di piccole candele profumate veleggiava
nell’aria.
La
famiglia Malfoy, che sedeva sul sofà nella propria
consueta eleganza, sembrava l’unico stralcio di mondo normale
in quella stanza
sommersa dallo spirito natalizio.
Molly
fu ben felice di mettere tutti a tavola e di riempire
ogni piatto vuoto con i più svariati manicaretti, con
particolare cura verso la
signora Malfoy, perché doveva “mangiare per
due”. La pancia cominciava a
vedersi, nonostante il tentativo della donna di dissimulare con un
abito in
stile impero, ed era stata perciò tempestata di attenzioni e
premure dalla
parte femminile della famiglia, nonché di domande sul nome
del nascituro.
James
non perse il vizio di tormentare il fratello,
stuzzicandolo per tutta la durata del pranzo nonostante i rimproveri
della
madre.
Al
termine dell’infinito banchetto, gli adulti, satolli di
cibo, si sedettero a chiacchierare, e Rose offrì aiuto alla
nonna per
sparecchiare. Albus e Scorpius ignorarono il richiamo del dovere e si
accucciarono in posizione strategica, vicino alle fiamme del camino.
«Non
ho ancora
capito come sia possibile che tua nonna metta in tavola ogni anno un
pranzo più
pomposo di quello precedente» gorgogliò, rigonfio
di manicaretti.
«Non
preoccuparti.
Ci sarà un limite al numero di portate che un umano
può cucinare» bofonchiò
Albus, gli occhi appesantiti dall’abbuffata. «Prima
o poi lo raggiungerà.»
«Io
credo di aver
raggiunto il limite massimo che un essere umano può
ingerire» notificò
Scorpius.
«Io
sto provando
quello che prova un pitone dopo aver mangiato una pecora.»
«I
pitoni non
mangiano le pecore. Gli scoppierebbe lo stomaco, o qualunque cosa
abbiano per
digerire.»
«Hai
centrato il
punto» boccheggiò Albus.
Scorpius
batté un
paio di pacche sulla testa reclinata dell’amico in segno di
incoraggiamento.
Albus rialzò gli occhi acquosi per scrutare il ragazzo al
suo fianco e gli pose
la domanda che gli ronzava in testa da qualche giorno:
«Non
hai portato
Margaret. Né oggi né a fare le spese di
Natale.»
Le
labbra di Scorpius si ritirarono per essere mordicchiate
e una mano salì a pettinare i capelli all’indietro.
«Ci
siamo lasciati
il giorno del vischio nella scuola» confessò,
appoggiandosi con la nuca al
muro.
Due
occhi verdi lo fissarono, sgranati e increduli: lui era
convinto che, quella volta, Margaret lo avesse allontanato da lui per
poter
approfittare della leggenda del vischio con il suo ragazzo.
«Vi
siete lasciati?»
riuscì solo a ripetere.
Scorpius
annuì e
sospirò al contempo.
«Credo
che sia
meglio così» affermò. Durante la loro
breve relazione, Margaret era stata quasi
sempre in agitazione, e lui non ne aveva mai compreso il motivo fino al
giorno
della loro definitiva rottura: anche se con parole gentili, lei si era
lamentata di non essere nemmeno al livello dei suoi amici per lui, e di
non
ottenere mai niente dal suo ragazzo se non dopo una precisa richiesta,
come se
lui non facesse nemmeno lo sforzo di pensare a lei. Se la loro storia
doveva
procedere in quel modo, in una continua mortificazione, era meglio
concludere
tutto prima di finire per odiarsi.
«Non
eravamo fatti
per stare insieme» concluse, sbrigativo.
Albus
tamburellò le
dita sulle ginocchia, alla ricerca di qualcosa da dire. Sarebbe stato
decisamente di cattivo gusto erompere in un grido di gioia, ma era
l’unica
reazione spontanea a quella ammissione. Margaret non sarebbe
più stata una
presenza incollata a Scorpius, e non avrebbe più minacciato
l’equilibrio del
loro gruppo. Erano pensieri abominevoli, se ne rendeva conto, ma non
riusciva a
scacciarli dalla propria mente.
«Mi…
dispiace»
abbozzò alla fine, fissando il soffitto per paura che
l’amico potesse leggergli
in faccia qualcosa di compromettente.
Scorpius
si strinse nelle spalle.
«Arriverà
la
persona giusta. Non c’è fretta»
profetizzò. Sperava solo di non aver fatto
soffrire troppo Margaret: era una brava ragazza e meritava di essere
trattata
con cura. Anche per questo motivo, era meglio che si fossero lasciati:
probabilmente,
lui non sarebbe riuscito a fornirle tutte le attenzioni che lei
desiderava.
Albus
annuì, un’improvvisa e insensata voglia di
prenderlo
per mano. Si trattenne conficcandosi le unghie nel palmo.
«Albus!
Scorpius!
Venite! È ora di aprire i regali!»
chiocciò felice Molly, che aveva già
radunato tutti i presenti sotto l’albero.
George
aveva fatto del suo meglio per brevettare le sue
nuove invenzioni con i regali di Natale. Il più divertente
di tutti fu quello
assegnato a Harry: una strana polverina fuoriuscì dal
pacchetto e si depositò
sui suoi occhiali, facendogli vedere tutti i presenti in mutande.
«È
per combattere l’ansia durante gli esami» si
giustificò
George, mentre Harry cercava disperatamente di rimuovere quella cosa
dalle
lenti.
Ginny
ed Hermione avevano scelto dei regali utili, e i
Malfoy avevano optato per dei doni raffinati; grazie a ciò,
il resto dei
pacchetti fu scartato senza timore e senza sorprese.
Scorpius
passò il proprio regalo ad Albus di soppiatto: era
troppo personale per essere visto da tutti.
Il
resto del pomeriggio passò tranquillo, e terminò
con
l’accomiatarsi degli invitati e un ultimo scambio di auguri
di Natale.
Quella
sera, dopo la visita notturna della madre per
portargli un the digestivo e il bacio della buonanotte, Albus si
rannicchiò
sotto le coperte ed estrasse di nuovo il regalo di Scorpius.
Il
portachiavi d’argento a forma di lupo scintillò
sotto la
luce della luna.
Volevo
pubblicare questo capitolo la vigilia di Natale<3
Dal
prossimo, si
passa al sesto anno<3
Grazie
a tutti
voi che siete arrivati fin qui<3
E
buon Natale a
tutti<3
Red