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Autore: HamletRedDiablo    24/12/2012    3 recensioni
Al primo anno di Hogwarts, Albus Severus Potter aveva sperato in una tranquilla vita scolastica.
Al quarto anno, la sua utopia si era incrinata. Al settimo, era crollata definitivamente.
Ognuno sarà chiamato a combattere per evitare il definitivo crollo dei pilastri del mondo magico. Chi per riscattare il nome del casato, chi per non disonorare la famiglia, chi per dare prova del proprio coraggio: mille bacchette si leveranno sotto un unico simbolo.
Tuttavia...
"Non era necessario cercare nemici epocali per finire invischiati in un mare di guai. Bastava innamorarsi."
[AlbusScorpius, RoseNuovoPersonaggio]
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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4

Natale ad Hogwarts

 

 

 

   La statua a forma di pipistrello sembrava sbarrare le fauci per la perplessità, quella sera.

Davanti a lei erano radunati un giapponese, un piccoletto dagli occhi verdi, un signorino altolocato, uno strano essere in mascherina e guanti di lattice e una ragazza che tentava di rimediare all’intrico di riccioli rossastri con le dita.

Era la prima volta nella sua vita marmorea che assisteva allo schieramento di uno squadrone così male assortito. Ed il ragazzo che temeva una guerra batteriologica stava guardando malissimo i suoi arti di pietra.

   «La prof avrebbe anche potuto dirci come si apre, questo affare» sbottò Macauley.

   «In realtà lo ha fatto» lo redarguì Haru, garbato.

   «E quando?»

   «All’inizio dell’anno. Io so come si accede a questa sezione del castello.»

Due occhi castani sgranati dall’irritazione gli incendiarono le guance.

   «E perché non l’hai detto prima

   «Perché tu non me l’hai chiesto.»

   «Respira, Nott» il consiglio di Scorpius lo raggiunse un secondo prima di mettere in atto i suoi loschi piani, e fu così che il collo del giapponese non venne ghermito dagli esasperati artigli di lattice.

   «Puoi aprirlo?» propose Albus, in attesa che la pressione di Nott scendesse di nuovo a livelli umani.

Haru si portò davanti alla statua, e tracciò uno strano segno sulla sua ala sinistra. Il pipistrello sbatté le palpebre di granito, conficcò le grinfie nel suo basamento e cominciò a sbattere furiosamente le ali, sollevando il pesante cilindro di marmo da terra.

   «Che significa?» si schifò Nott, osservando critico il buco oscuro che la statua aveva aperto.

   «Dobbiamo gettarci di sotto» spiegò Haru. «La professoressa ha incantato il pavimento in modo che il nostro atterraggio sia morbido.»

   «Non pretenderà che noi…» il resto della frase sfumò in uno squittio di raccapriccio: sprezzante del pericolo, Rose aveva stretto la coda che legava la sua chioma ramata e si era gettata nel precipizio ombroso. Punto nel suo orgoglio virile, Scorpius si lanciò subito dopo di lei: i Giganti delle Montagne sarebbero diventati educati come un principe prima che qualcuno potesse dire che un Malfoy aveva meno coraggio di una donna. Haru saltò subito dopo di loro e, di fronte alla statua ansante per la grande fatica, rimasero solo Albus e Nott. E in pochi secondi rimase solo Macauley, che spinse il compagno nell’abisso con grande galanteria.

Albus non riuscì nemmeno ad urlare: l’aria gli premette contro la faccia, bloccandogli le grida e storcendogli la bocca come quella dei cani che sporgono la testa dal finestrino in autostrada. Emise un rantolo agonizzante quando all’improvviso la gravità si invertì, facendogli compiere una capriola su se stesso: l’aria sembrò farsi più densa, rallentando la sua caduta, che terminò contro un pavimento soffice. In verità, non era tanto morbido quanto molle: il minore dei Potter ebbe l’impressione di essere finito in un enorme bacile di formaggio parzialmente cagliato, che si muoveva come un essere vivo sotto i suoi piedi, facendolo ruzzolare ad ogni nuovo tentativo di muovere un passo. Un tonfo sordo si afflosciò a pochi passi da lui, e capì che anche Nott li aveva raggiunti.

   «Lumos» sentì recitare dalla cugina nelle tenebre, e la luce accesa sulla punta della sua bacchetta rischiarò l’atmosfera circostante.

Haru non sembrava avere particolari problemi di equilibrio: seguiva i movimenti ondulatori del pavimento con enorme scioltezza, allo stesso modo di un domatore che asseconda una tigre. Scorpius aveva trovato un alleato nel muro, cui si era appoggiato per non essere rovesciato dalle strane mattonelle semoventi; Rose aveva rinunciato alla posizione eretta e procedeva strisciando come un militare tra le linee nemiche. Nott avanzava a passi alternati, passando dalla posizione carponi a quella sdraiata ad una vagamente dritta, mentre Albus decise di farsi strada stando il più acquattato possibile.

   «Un’esperienza… singolare» commentò Haru, una volta raggiunta una porzione di pavimento piacevolmente stabile.

I brontolii di Macauley furono ammortizzati dalla nausea feroce che gli serrava la bocca dello stomaco; Scorpius approdò sul suolo immobile e aiutò Albus a raggiungere a sua volta quel punto sicuro. Rose rifiutò ogni aiuto mascolino, e si drizzò in piedi con le sue sole forze, sentendosi portatrice della forza femminile come le suffragette francesi.

   «Da che parte dobbiamo andare?» s’informò Albus, accendendo a sua volta la bacchetta come aveva fatto la cugina poc’anzi.

Il giapponese indicò loro uno stretto corridoio che furono costretti a percorrere in fila indiana per evitare il “potenzialmente fatale contatto con quelle pareti sporche e marcescenti”, secondo le tragiche previsioni di Nott.

Raggiunsero una porta dopo un breve cammino, e Scorpius, che apriva la fila, bussò tre volte prima che il legno ruotasse spontaneamente sui propri cardini.

Al contrario dello strampalato atrio dal pavimento molliccio, l’interno fu molto gradito dagli studenti: entrarono in una stanza accogliente dal mobilio comodo e sobrio, ben riscaldata da un caminetto intagliato nella parete a nord e bene illuminata grazie all’ausilio di globi fluttuanti che spandevano una luce calda,.

   «Benvenuti» li accolse la Eeriemay, seduta su una poltrona al centro della stanza.

I suoi alunni furono quasi turbati nel vederla senza i suoi soliti completini mozzafiato: indossava una tuta bianca priva di fronzoli, e perfino il viso sembrava accordarsi con quell’aria di essenzialità, ripulito da qualsiasi traccia di trucco.

   «Professoressa…?» la fuggevole intonazione interrogativa venne captata dalle orecchie della donna, che minimizzò brevemente:

   «Ogni tanto è giusto sacrificare l’eleganza alla comodità. Prego, sedetevi.»

Ad un suo cenno, le poltrone asserragliate ai lati della stanza si appropinquarono goffamente verso gli ospiti, zampettando sulle gambe grassocce.

Macauley fu l’ultimo a sedersi, troppo impegnato a notare come la tuta della professoressa fosse perfettamente immacolata – impresa quasi titanica, visto il bianco splendente del tessuto - e come il suo viso, senza l’opera dei cosmetici, apparisse molto più pulito. La poltrona lo colpì sul retro delle ginocchia, rovesciandolo sulla propria imbottitura bordeaux.

   La professoressa accavallò le gambe, azione che sembrò molto meno indecente del solito senza la classica minigonna, ed esordì:

   «Immagino che avrete delle domande da farmi.»

   Albus fece scorrere lo sguardo sui suoi colleghi: Rose non sembrava intenzionata a prendere la parola, Haru non pareva sentirne la necessità, Scorpius stava riordinando le idee e Macauley era perso in qualche altro pensiero. Non si sentì colpevole nel cominciare:

   «Perché succede sempre a noi?»

Ricordava bene i racconti di suo padre: in tutta Hogwarts, le avventure più fantasiose erano capitate a lui, a zio Ron e a zia Hermione poiché Voldemort aveva intenzione di terminare il lavoro lasciato incompiuto tanti anni prima. Se qualcuno di loro era entrato nel mirino di un pericoloso mago oscuro, i loro giorni di tranquillità potevano considerarsi finiti.

La Eeriemay scosse i capelli, lasciati liberi di scendere sulle spalle.

   «La prima volta è stato totalmente casuale, Potter. Questa volta, invece, il mago aveva uno scopo preciso.»

Rose notò Haru annuire gravemente, ma dovette distogliere subito l’attenzione perché la professoressa continuò:

    «Quello contro cui avete combattuto, però, non era il mago originale. Era una sua copia. Per questo è sparito in quel modo» le labbra si arricciarono, vezzose e polemiche, prima di aggiungere: «Ed è anche per questo che siete riusciti a sconfiggerlo. Altrimenti non ce l’avreste mai fatta.»

  «Ma se abbiamo sconfitto il suo doppio…» la protesta di Macauley si infranse contro la mesta replica di Haru:

   «Tu non sai quanto lui faccia paura.»

La Eeriemay schioccò le dita per ottenere di nuovo l’attenzione dei suoi studenti, deviata sul giapponese.

   «Questo attacco è stato una prova di forza. Quel mago voleva dimostrare di potersi infiltrare ad Hogwarts perfino con una piccola parte del suo potere» la bocca rosea della prof si chiuse su quel punto, stizzita. Avrebbe voluto dire che quell’incantatore era un arrogante e un ciarlatano, ma non poteva, perché aveva effettivamente eluso i sistemi difensivi di Hogwarts, e l’aveva fatto mentre la scuola era forte dei suoi insegnanti, votati alla sua protezione. Non era un folle qualunque da sottovalutare.

   «Il primo attacco non è stato molto elegante, come infiltrazione» si permise di far notare Scorpius.

   «Il primo non era un’infiltrazione; era un attacco frontale per provare la sua potenza» precisò la Eeriemay.

   «Con quella bestia bavosa?» inorridì Macauley, issando istintivamente la mascherina.

   «Perché ha cambiato rotta in questo modo?» obiettò Rose. «Il primo attacco era piuttosto sconclusionato. Questo invece sembrava progettato.»

La Eeriemay fissò Haru, spingendo così i suoi allievi a fare lo stesso. Non era lei a dover fornire delucidazioni a riguardo.

   «Perché ora ci sono io, a Hogwarts» asserì l’asiatico, con un filo di voce.

   Haru non era una persona famosa per la sua loquacità o per la sua esuberanza istrionica: parlava pacato, canzonava con eleganza e rideva mascherando il sorriso con la mano. Ma perfino su una persona così dimessa quel tono sembrò troppo flebile.

   «Tu sei il suo obiettivo?» al cenno affermativo di Haru, Rose insistette: «Per quale motivo ce l’ha con te?»

   «Perché gli sono subentrato nella successione al Clan.»

   L’unica faccia che non lo fissò con la confusione dipinta in volto fu quella della professoressa, già al corrente del passato dello studente straniero. Haru sospirò, tolse gli occhiali, li ripulì e li inforcò di nuovo, ma, nonostante le lenti fossero impeccabilmente linde, tenne gli occhi chiusi nel raccontare:

   «Ve lo spiegherò nel modo più semplice possibile: un Clan è un nucleo familiare, ed è guidato dal Capoclan, che è scelto tra i primogeniti maschi.»

Rose espresse il suo malcontento con un colpo di tosse in cui era possibile decifrare: “sessisti!”, che Haru sorvolò con un sorriso diplomatico.

   «Il Capoclan attuale è mio nonno. Io sono il suo erede.»

   «E perché questa cosa dovrebbe infastidire quello sciroccato?» sparò con assoluta mancanza di tatto Nott.

La vita sembrò defluire dal fisico del giapponese; per un attimo, tutti i ragazzi di Hogwarts ebbero l’impulso di correre in suo aiuto e sorreggerlo, perché il giovane parve afflosciarsi come un sacco di canapa svuotato. Drizzarono tutti la spina dorsale contro lo schienale in riflesso al guizzo con cui l’asiatico si riappropriò della sua compostezza, eccessiva per un quattordicenne.

   «Perché all’inizio era lui l’erede.»

La comprensione cedette il passo all’orrore quando Haru specificò, la mascella serrata dai ricordi dolorosi: «Era mio cugino.»

   «Era?» notò Scorpius.

Le orbite di Albus quasi spararono fuori gli occhi dalla violenza con cui si aprirono, e il giovane miagolò:

   «Vuoi dire che… è morto?»

   «Abbiamo combattuto contro un…» annaspò Macauley, più preoccupato dai morbi importati dal paese dei defunti che dall’effettiva probabilità di essersi scontrato con uno zombie.

   «No, non è morto. Non fisicamente, almeno» Haru riaprì gli occhi, e restituì uno sguardo fermo a quello spaesato degli altri ragazzi. «Ci sono delle prove da superare, per diventare Capoclan. Si affrontano per lo shicigosan

   «Il cosa?» brancolò Albus.

  «A tre, cinque e sette anni» chiarì Haru. «Mio cugino fallì durante la seconda prova, quella cui venne sottoposto a cinque anni» il giapponese sfoderò un’espressione adamantina per far capire che non sarebbe sceso in ulteriori dettagli sulle prove che i prescelti dovevano affrontare: il suo Clan era legato alle tradizioni, e queste volevano che alcune informazioni non uscissero dai confini della famiglia. «Ma non accettò mai il suo fallimento. E la sua rabbia crebbe quando vide che io, al contrario, ero riuscito a superarla.»

Il fuoco nel camino riempì il silenzio con il suo crepitio. Ad Haru occorsero tre profondi respiri prima di riuscire a rivelare:

   «Durante la terza prova, cercò di risolvere il problema alla radice.»

   «Ha a che fare con le cicatrici che hai sulla schiena?»

Se Rose avesse lanciato una bomba a mano, forse l’effetto sarebbe stato meno devastante: tutti i presenti saltarono sul posto, compresa la Eeriemay, che non si aspettava che la sua allieva fosse a conoscenza di quel dettaglio sul ragazzo straniero.

   «Dallas le ha viste per caso. E per caso lo ha raccontato a me» si discolpò Rose di fronte agli sguardi accusatori dei presenti.

Il sangue faticò a colorare di nuovo le guance mortalmente sbiancate di Haru, che articolò infine:

   «Sì, ha a che fare con quelle.»

Si alzò dalla poltrona e si girò in modo che il suo piccolo pubblico potesse vedere con chiarezza la sua schiena. Allentò i bordi della maglia, che scivolarono sulle spalle scoprendo il dorso.

Il respiro si bloccò a metà tra la gola e il naso, e tutti quanti si esibirono in strane smorfie per riuscire a riempire di nuovo i polmoni di ossigeno.

Nei film si vedevano spesso scene di quel genere, ma non erano paragonabili al raccapriccio della realtà: la cicatrice più visibile era quella sulla spalla sinistra, frastagliata laddove la carne si era incuneata sotto il pugnale, e collegata da un filo di pelle in rilievo alla seconda, di cui era visibile solo la sommità irregolare dal bordo obliquo della maglia. Raccontavano con estrema crudeltà la storia che le avevano portate ad increspare la pelle del giovane: Rose si sfregò le mani sulle braccia per contenere i brividi quando le parve di vedere l’arma ancora conficcata nei muscoli del ragazzo.

   «Il nonno mi ha salvato» riprese Haru, ruotando le spalle per infilarsi nuovamente la maglia a kimono e procedendo ad allacciare la fascia in vita. «Ha disconosciuto mio cugino nel modo più totale: l’ha cacciato dalla famiglia e gli ha assegnato un kaimyou. Un nome postumo, che si dà solo ai defunti» tradusse, accomodandosi di nuovo sulla poltrona. «In pratica, mio cugino è morto per qualunque mago orientale: non riceverà da loro alcun aiuto o conforto. È il prezzo da pagare per la sua scelleratezza, secondo il nonno.»

   «Quindi è tornato per ucciderti?» chiese senza peli sulla lingua Nott.

   «E per riprendere il posto di erede. Dice che sono un usurpatore» ridefinì Haru.

   «Perché hai deciso di venire ad Hogwarts?» chiese invece Rose.

Questa volta fu la professoressa a rispondere:

   «Si può dire che sia un effetto della globalizzazione. Da quando il mondo è diventato più piccolo, ci sono stati molti teorici a vedere con favore una possibile fusione tra la magia occidentale e quella orientale. Una cosa del genere è ancora un’utopia, e forse lo resterà: le differenze di base sono infinite, e molto profonde» Haru asserì in silenzio, e la Eeriemay si sentì autorizzata a proseguire: «Tuttavia è possibile arrivare ad una cooperazione tra incantatori; da qualche anno, alcuni maghi hanno dato vita a una specie di quartier generale della magia internazionale. È un luogo in cui si riuniscono incantatori di tutti i paesi, e si formano gruppi d’azione misti adibiti dalle più svariate mansioni» la Eeriemay sfoderò un sorriso smagliante nell’annunciare: «Il nostro Harunobu è uno dei membri di questa associazione.»

   «Lui?» scattò Macauley. «Ma non è ancora diplomato…»

   «Non lo sono ad Hogwarts, ma possiedo già un diploma» lo contraddisse tranquillo Haru.

   Le sopracciglia ramate di Rose si sollevarono per il dubbio.

   «Quanto dura la scuola di magia in Giappone?»

   «Esattamente quanto la vostra.»

   «Ma tu…»

   «Ho finito il percorso di studi con un poco di anticipo» si schermì, con un piccolo rossore di orgoglio per il suo talento innato.

I ragazzi di Slytherin lo fissarono come se si fosse improvvisamente trasformato in un’idra a tre teste: come era possibile che la Natura avesse creato un essere con più cervello di Rose? Era umanamente, biologicamente impossibile.

   «Non vi abbiamo ancora detto perché Harunobu è venuto fino a Hogwarts» la Eeriemay si riappropriò delle redini del discorso. «Pare che gli incantatori oscuri siano giunti alle nostre medesime conclusioni» la donna si dilungò in una pausa meditativa prima di asserire: «E alle nostre stesse soluzioni.»

   «Quindi esiste una lega internazionale anche per i maghi oscuri?» si sorprese Albus.

   «Non sappiamo se siano organizzati fino a quel punto» ammise la Eeriemay. «Ma alcuni gruppi stanno tentando degli… esperimenti.»

   «Esperimenti?» le fece eco Scorpius.

   Le unghie della Eeriemay piroettarono sulle ginocchia, e si fermarono solo quando la professoressa spiegò:

   «Ricordate il mostro del primo anno? Abbiamo analizzato con cura il campione che ho prelevato» perfino da dietro la mascherina fu visibile la smorfia nauseata di Nott. «Non è riconducibile a nessuna fattura già esistente.»

   «Quindi stanno cercando di creare un… nuovo tipo di magia?» azzardò Rose.

   «Precisamente» puntualizzò la Eeriemay. «E non possiamo permetterci di rimanere indietro: se davvero i maghi oscuri si stanno muovendo in questa direzione, anche noi dobbiamo elaborare incantesimi originali» sbatté le palpebre con superiorità in reazione alle espressioni sconcertate dei suoi studenti. «Non siate così sorpresi. La magia muta in continuazione: le belve stregate sviluppano una resistenza particolare agli incantesimi che le debellano, dopo un certo periodo, e per questo la magia deve essere costantemente rinnovata.»

   «Quindi Haru è venuto qui per trovare degli alleati?» incalzò Rose.

   «Colleghi di studio, per la precisione» sottolineò composto il giapponese. «Persone capaci, che siano interessate a cercare forme di magia alternativa, e a formare gruppi d’azione con incantatori di diverse nazionalità.»

   Albus fissò Scorpius, vedendo specchiata sul volto dell’amico la sua stessa perplessità: le capacità di Rose erano una leggenda in tutta Hogwarts, ma loro non si distinguevano per una media astronomicamente alta o per interventi particolarmente brillanti. Se non fossero stati figli dei loro famosi o famigerati padri, probabilmente sarebbero stati riconosciuti solo per via del Quidditch.

E la presenza di Nott in un simile progetto era ancora più anomala: era uno studente zelante, ma che contributo poteva dare alla ricerca chi disinfettava l’aria stessa prima di respirarla?

   Gli occhiali risalirono il naso dell’orientale, prima che questo parlasse:

   «Vi ho visto lottare contro il doppio di mio cugino: pochi studenti avrebbero avuto il vostro stesso sangue freddo.»

   «Non puoi giudicarci solo per un episodio» confutò Scorpius.

   Haru sorrise accondiscendente, reclinando appena la testa su una spalla.

   «Siete riusciti a fronteggiare una belva a soli undici anni.»

   «Ci hanno salvato i prof» ammise vergognoso Albus.

   «Siete stati allenati da Achil Scholz. Mi dicono che non sia facile sopravvivere ai suoi addestramenti» proseguì pacifico.

Nessun dei due interpellati osò replicare: avevano salvato la pelle per misericordia divina durante quegli infernali allenamenti.

   «Noi non siamo stati presi sotto l’ala protettrice di Achil Scholz» replicò aspro Macauley.

   «C’è chi riesce a superare le proprie paure per aiutare gli amici» elencò Haru, fissando prima Nott e poi Rose. «E chi spicca per l’eccellenza negli studi.»

Le parole di Haru seminarono una manciata di disorientamento imbarazzato sulle facce dei presenti, che non si aspettavano simili complimenti dal distaccato giapponese, né di essere selezionati per un progetto così importante a soli quattordici anni.

   «Ovviamente, non pretendiamo una risposta immediata» li rilassò la Eeriemay. «Avrete tutto il tempo di pensare. Ma dovevate sapere, era un vostro diritto. E l’abbiamo rispettato.»

   Nessuno ricordò con esattezza se quella stanza fu sede di altre discussioni: rimasero tutti invischiati nella densa palude della riflessione e del dubbio, e rimasero in quella sospensione plasmatica finché non risalirono lo strano corridoio assieme alla professoressa.

Solo Haru fu abbastanza lucido per bloccare un attimo Rose, una volta usciti dal basamento del pipistrello, e farle notare:

   «Non mi hai chiamato Harunobu come al solito, prima.»

   La ragazza si strinse nelle spalle con noncuranza e sdrammatizzò:

   «So che odi il tuo nome completo.»

   «Questo non ti ha impedito di chiamarmi così fino ad oggi pomeriggio» evidenziò Haru.

   «Non essere troppo pignolo» sibilò Rose, assottigliando gli occhi per apparire più intimidatoria.

   Il giapponese scosse appena la testa, un abbozzo di sorriso negli occhi neri.

      «È un nome da nonni. Per questo preferisco Haru.»

      «Cercherò di chiamarti così. Se non mi farai arrabbiare» concesse con simulato dispotismo lei.

   «Ti ringrazio per la cortesia» l’asiatico si inchinò brevemente, e incrociò le sue iridi onice con quelle nocciola della ragazza solo sul finire del commiato: «Rose-san.»

   Rose non era una ragazza che arrossiva per le galanterie; come la rimproverava affettuosamente sua madre, era “troppo intelligente per civettare”. Anche quella volta, infatti, le sue guance non mutarono colore, e rimasero solide nel loro incarnato chiaro.

Però non poté bloccare un sorriso spontaneo nel replicare all’asiatico che stava svanendo nei corridoi per il dormitorio di Hufflepuff:

   «Ricordati: solo se non mi farai arrabbiare.»

 

***

 

   «Salvare il mondo della magia da una nuova, potente minaccia.»

   La valutazione di Scorpius risuonò ammorbidita dalla coperta che gli nascondeva la bocca: il piccolo Malfoy soffriva terribilmente il freddo, e quello che per le persone comuni era un innocuo spiffero veniva percepito dalla sua pelle come una tormenta caucasica. Albus si rannicchiò vicino all’amico per aiutarlo a riscaldarsi, sebbene stesse soffocando sotto il triplo strato di coperte.

   «Pare che la tua famiglia non possa farne a meno» lo stuzzicò, e gli occhi grigi si curvarono in due mezzelune sornione.

   «Ma, se anche dovessi accettare, questa volta sarei solo uno dei tanti» chiarificò Albus, in un respiro soffocato dalla calura. «Haru ha parlato di “gruppi di azione”. Nessuno ricorderà precisamente il mio nome.»

   «Non ti sembra avvilente?»

   «No. Direi rilassante.»

 «Strano. Stavo pensando la stessa cosa» concordò Scorpius.

Chi proveniva da famiglie fin troppo nominate nel mondo magico, trovava confortante la prospettiva dell’anonimato. Una fuga dalle troppe lodi o dall’eccessiva infamia sarebbe stata accolta come un balsamo ristoratore.

   «Stavi pensando di accettare?» bofonchiò Albus.

   Scorpius sospirò a fondo, tirando i lembi della coperta.

   «Non lo so. È ancora tropo presto per decidere. Ma penso che la prospettiva di una magia fondata su basi del tutto nuove, e di una cooperazione tra maghi stranieri sia… eccezionale.»

La frangia di Albus si sparpagliò sul cuscino quando quest’ultimo annuì.

   «Hai visto cosa siamo riusciti a fare oggi?» sussurrò, emozionato. «Immagina cosa potremmo fare, se riuscissimo a coordinarci meglio…»

   «Qualcuno ha preso molto seriamente l’invito di Haru» lo prese in giro Scorpius.

   Albus gattonò goffamente per uscire dalla trappola delle coltri strettamente infilate sotto il materasso, e fu placcato da Scorpius, che lo abbrancò per il bacino.

   «Non fare il bullo con me» protestò Albus, gonfiando le guance.

   Scorpius rilasciò la presa, e l’altro atterrò di faccia sul cuscino brontolando un “prepotente”.

   «Per dire la verità, c’è qualcosa che mi preoccupa molto più di tutto il resto» commentò Scorpius, adagiandosi placidamente sul letto.

   «Quale?» domandò curioso Albus.

   «Tra poco sarà Natale. Questo significa che le nostre famiglie si incontreranno per festeggiare.»

   Un bubbolio morente annaspò sul cuscino.

   «Spero che quest’anno zio Ron sia meno minaccioso» si augurò gorgogliando Albus.

   «E che mio padre sia meno inquietante» aggiunse Scorpius.

   «E il mio meno silenzioso.»

Entrambi rotearono gli occhi al cielo, ed entrambi risero per la loro sincronia.

I loro parenti avrebbero formato un pessimo gruppo di azione.Quest

 

***

 

   Il suo cervello era come intorpidito, quella mattina.

Gli inglesi avevano un modo di gioire per l’arrivo del Natale molto più colorato e chiassoso di quello giapponese: Hogwarts si era ricoperta di lucine fluttuanti di varie tinte, carole tradizionali rimbalzavano per tutti i corridoi, e l’agrifoglio sembrava aver trovato sui muri il suo habitat ideale, a giudicare dalla foresta di foglie pungenti e bacche rosse che aveva invaso la scuola.

Si stropicciò gli occhi, inebetito: tutte quelle luci, quei colori sfavillanti e quelle melodie infantili gli rimbombavano nel cranio ad ogni ora.

Ma lo stordimento natalizio non ottenebrò del tutto i suoi sensi: avvertì un corpo estraneo strisciare nella stanza, a pochi centimetri dal suo letto. Haru scivolò silenziosamente al di fuori delle lenzuola, e rotolò vicino al bordo del materasso. Trattenne il respiro, visualizzò nella sua mente lo schema offensivo e agì.

La sua mano scattò oltre il bordo delle coperte, afferrando lo sconosciuto per la collottola e scaraventandolo sul letto; prima che quest’ultimo avesse il tempo di gridare, il giapponese calò sulla sua schiena e lo immobilizzò con una chiave articolare al braccio.

   «Haru! Fermo, fermo, fermo! Sono io, Albus!» gridò l’oscurità.

A quell’appello disperato, improvvisamente le luci si accesero, e il mistero della stanza venne svelato: Rose reggeva una scatola tra le mani e lo fissava inorridita, Macauley, incollato all’interruttore della luce, era completamente sbiancato; l’espressione di Scorpius era squisitamente indecifrabile.

   «Siete voi» si tranquillizzò Haru, lasciando andare il povero Albus, che fu lesto a saltare fuori dal letto. «Mi avete spaventato.»

   «Tu mi hai spaventato» si risentì il minore dei Potter, impegnato a massaggiarsi il braccio.

   «Da dove ti è uscito…» Macauley gesticolò a caso, ipotizzando le mosse con cui Haru poteva aver sottomesso Albus nel giro di un secondo. «… quello

   «Mi ha insegnato il nonno» spiegò Haru, infilandosi velocemente la vestaglia ai piedi del letto: era davvero sconveniente che degli ospiti, tra cui una femmina, lo vedessero in pigiama.

   «Tuo nonno deve avere delle ossa d’acciaio» fischiò Nott.

   «Ha un’ottima resistenza fisica» confermò Haru. Inforcò gli occhiali e domandò, sollevando il sopracciglio sinistro: «Come mai siete venuti qui?»

   Nonostante la sua spalla non fosse ancora del tutto sicura di stare bene, fu Albus a spiegare il motivo della loro incursione:

   «Abbiamo saputo da Dallas che saresti tornato in Giappone per le vacanze di Natale. Così siamo venuti per darti il regalo in anticipo. Volevamo farti una sorpresa.»

Raramente gli occhi di Haru si erano spalancati così tanto, o le sua guance avevano assunto una tonalità così vicina al rosso vivo. Per la prima volta in vita sua, l’orientale faticò ad esprimersi, e gli occorse qualche secondo per dire:

   «Vi ringrazio… per la vostra cortesia.»

   «La prossima volta elimineremo l’elemento sorpresa» decise Rose.

   «O tu eliminerai noi, probabilmente» aggiunse Macauley, ancora sconvolto per la reazione bellicosa dell’asiatico.

   «Sono profondamente dispiaciuto per l’inconveniente» la testa dell’orientale si inchinò fino a livelli quasi improponibili, e lì rimase finché un imbarazzatissimo Albus non lo sollecitò a sollevare il capo.

La lotta contro un mago oscuro e la condivisione di un complicatissimo progetto futuro avevano cementato uno strano legame di cameratismo e amicizia, che nessuno si spiegava ma che tutti accettavano. Avevano tempo e voglia di conoscersi e trovare basi più solide per quell’imprevista alchimia.

   Ognuno dei quattro ragazzi poggiò la mano sul pacchetto retto da Rose e lo avvicinarono all’unisono ad Haru, esclamando:

   «Buon Natale.»

Il giapponese fissò l’incarto come se non capisse bene in che modo approcciarsi ad esso; dopo una pausa che fu imbarazzante per il quartetto e necessaria per lui, l’orientale afferrò la confezione e l'aprì, svelandone il contenuto.

   «Biscotti?» notò Haru, lievemente interrogativo. Alcuni avevano indiscutibilmente l’aspetto di fragranti dolciumi, ma altri sembravano più adatti al camino che alla tavola.

   «Li abbiamo fatti insieme ieri sera» spiegò fiero Albus.

   «La cottura aiuta a bruciare i germi» spiegò Macauley, quando non poté più tollerare la perplessità del giapponese sulle sue creazioni culinarie. Haru annuì senza troppa convinzione, ma l’espressione smarrita si riscaldò ben presto in una di gratitudine.

   «È un pensiero molto gentile» li ringraziò, inchinandosi profondamente. «Siete stati molto premurosi nei miei confronti.»

   «È una sciocchezza» si schermì Albus, a disagio per la formalità degli omaggi. 

   «Mangiali pensando all’Inghilterra» gli suggerì Rose.

Ciascuno dei presenti si servì di un biscotto sotto invito di Haru: tutti dribblarono i frollini carbonizzati, perfino il loro creatore, ed uscirono dalla stanza con le labbra ancora sporche di briciole per permettere al ragazzo di cambiarsi.

Prima di cominciare la vestizione, il giapponese appoggiò il pacchetto di pasticcini sul letto, senza riuscire a distogliere lo sguardo.

La vita del genio era piuttosto solitaria: un bambino più dotato dei ragazzi più grandi riscontrava invidia e diffidenza. Aveva visto l’amicizia solo da lontano, osservando estranei che si scambiavano gesti affettuosi o leggendola sui libri.

Haru terminò di stringere il nodo della maglia e si sedette sul letto, a poca distanza dal suo regalo.

Non aveva mai sentito la mancanza di un amico. Il nonno era stato il suo punto di riferimento fin dalla più tenera età e non gli aveva mai fatto mancare nulla, specialmente il tempo da trascorrere insieme. Era stato severo con lui molte volte, perfino burbero, ma Haru non aveva mai dubitato dell’affetto sincero che nutriva nei suoi confronti. Forse, era stata proprio quella loro connessione particolare a scatenare il risentimento del cugino, nove anni prima.

Afferrò il fagotto e lo appoggiò sulle ginocchia.

Era venuto ad Hogwarts per cercare degli alleati, e aveva trovato degli amici, per quanto bizzarri. Persone che avevano perso una serata per preparargli dei biscotti. Poteva quasi vederli, mentre Macauley polemizzava sui tempi di cottura, Scorpius e Albus tentavano di staccarsi l’impasto colloso dalle dita e Rose li riprendeva per la loro totale inettitudine ai fornelli.

Amici. Che buffo mondo.

   Si rialzò per andare di fronte allo specchio e pettinarsi.

Ma non prima di aver appoggiato il pacchetto sul comodino, di fianco alla foto del nonno e alla lettera che sua madre gli aveva lasciato prima di partire.

Quella pasticceria più o meno riuscita meritava un posto sul suo personale altare dei tesori.

 

***

 

   Quando Haru uscì dal dormitorio, si ritrovò di fronte ad una curiosa scena di folklore occidentale.

Nell’aria fluttuavano piccoli rametti di vischio, decorati da nastri rossi, e Nott era disgraziatamente finito sotto uno di essi.

   «Non ti infetterò, Macauley» la ragazza di Slytherin che era capitata sotto la pianta galleggiante assieme a Nott aveva l’aria esasperata di chi spiega le tabelline ad un Troll Troglodita.

   «Ti dico che non è vischio!» Macauley, al contrario, esibiva la stessa espressione terrorizzata di un vampiro di fronte ad un paletto di frassino.

   «È vischio. Siamo sotto Natale, è ovvio che sia vischio.»

   «No che non è vischio!»

All’improvviso, la piantina scintillò, e le sue bacche biancastre si gonfiarono e si arrossarono, finché un rametto di agrifoglio solitario non si ritrovò a svolazzare nella selva dei più compromettenti fratelli.

   «Hai visto? Non è vischio!» trionfò Macauley, per poi svanire lungo il corridoio alla velocità della luce.

Haru si diresse verso il punto da cui aveva visto provenire la magia mutaforma e bisbigliò:

   «Hai salvato la situazione, Rose-san.»

   La giovane emerse dalla sua postazione rinfoderando la bacchetta.

   «Macauley stava per uccidere i nervi di quella ragazza» si giustificò lei.

Haru spostò la coda corvina su una spalla, gli occhi socchiusi come quelli di uno studioso.

   «Spiegami questa vostra usanza: cosa succede di così tremendo, se si finisce sotto il vischio?»

   «Bisogna baciarsi» fu la brutale risposta di Rose.

Le sembrò di vedere le vertebre del timido giapponese appiattirsi di colpo una sull’altra per lo shock della scoperta.

   «Capisco le riserve di Macauley-san» dichiarò infine.

   «Non è obbligatorio baciarsi sulla bocca» lo confortò Rose. «Sulla guancia è più che sufficiente.»

L’asiatico non sembrò particolarmente rincuorato dalla precisazione. La sua preoccupazione aumentò esponenzialmente quando una di quelle malvagie piantine decise di fare il nido sopra le loro teste.

Rose la fissò seccata, Haru spaesato, e nessuno dei due mosse un singolo muscolo per una quantità di tempo irragionevole, nella speranza che il vischio si stancasse di loro e andasse ad infastidire qualcun altro.

Quando fu chiaro che la piantina non avrebbe desistito, Rose appuntò i suoi occhi su Haru e contrattò, stendendo il braccio verso di lui:

   «Una calorosa stretta di mano sarà più che sufficiente.»

L’asiatico accettò prontamente l’invito, afferrando le dita che gli venivano offerte.

   «Sei una persona molto ragionevole, Rose-san» si complimentò compiuto, quando finalmente il vischio decise di volare su altre teste.

La piantina ne adocchiò una bionda e una corvina, e prese a ronzare su quelle zazzere, arrivando perfino a schiaffeggiare quella più alta per non essere ignorata.

   «Credo che ce l’abbia con noi» notò Scorpius, toccando il punto in cui le foglie lo avevano sferzato.

A volte, il periodo natalizio diventava simile ad una bolgia infernale: non era nemmeno possibile recarsi a lezione pacificamente senza essere infastiditi da strani vegetali pettegoli.

   Il rossore salì fino alle orecchie, rendendo il viso di Albus una maschera scarlatta quando squittì:

   «Ma… ma è vischio

   Scorpius annuì, incapace di aggiungere qualcosa di intelligente o innovativo all’osservazione dell’amico.

   «Questa piantina non se ne andrà finché non sarà soddisfatta. E la cosa comincia a diventare fastidiosa» ringhiò Scorpius, dopo la quarta volta in cui il vischio gli frustò l’orecchio per spronarlo.

La memoria di Albus tornò all’inizio di quell’anno scolastico, quando il suo cuore era praticamente impazzito al tocco di Scorpius; rivisse quello sconvolgimento quando l’amico gli appoggiò le mani sulle spalle, ed il sangue sembrò scoppiettargli nelle vene e nelle orecchie quando il giovane si chinò sbrigativo ad appoggiargli un bacio sulla guancia. Di nuovo, non capì la ragione di quel turbinio: avevano vissuto insieme per quattro anni, condividendo anche il respiro, e non aveva mai sperimentato prima una sensazione così irragionevole.

   «Se ne è andata, finalmente» commentò sollevato Scorpius quando la piantina fluttuò ad importunare altre coppie.

Albus quasi saltò sul posto quando la voce di Margaret Finnigan lo sorprese alle spalle. Per un qualche motivo, avvampò come se fosse colpevole di qualcosa, e provò il violento desiderio di sparire tra le mattonelle del pavimento.

La coppietta lo abbandonò prima ancora che lui potesse rendersene conto; Margaret aveva chiesto a Scorpius in modo piuttosto perentorio di parlare un attimo da soli, e Scorpius l’aveva assecondata, salutando velocemente l’amico.

Rimase così, confuso, arrossito e con il sistema circolatorio in subbuglio finché la figura di Nott non interruppe la sua agitazione silenziosa.

Un particolare dell’amico catturò la sua attenzione e causò il suo sconcerto.

   «Quello è… rossetto?» chiese; un marchio cremisi a forma di labbra svettava sulla fronte pallida del compagno, che cercava in tutti i modi di pulirlo con una salvietta umida.

   «La Eeriemay mi ha beccato sotto uno di quei cosi satanici!» sbraitò Macauley.

Le sopracciglia di Albus ballarono una danza di stupore e perplessità, e il giovane indagò:

   «Vuoi dire che sei finito sotto lo stesso vischio con una persona… e non ti sei allontanato correndo?»

   «Quella donna è un demonio!» sbottò Nott.

   «Ma di solito tu…»

   «Albus Severus, se vuoi aiutarmi a togliermi questo schifo dalla fronte sei bene accetto, in caso contrario taci» s’inviperì Macauley.

Albus si arrese, e si issò sulle punte dei piedi per aiutare l’amico a ripulire il disastro.

Haru gli aveva quasi rotto un braccio, Scorpius gli aveva rivoluzionato il sistema circolatorio e Macauley si era sottoposto ad un contatto fisico per la prima volta nella sua ipoallergenica vita.

Quel Natale stava portando con sé fin troppe sorprese.

 

***

 

   I Weasley adoravano le feste che potessero accordarsi con il loro stile di vita allegro e rintronante.

Per questo avevano una particolare predilezione per il Natale che, con le sue luci e le sue canzoni, ben rispecchiava lo spirito della famiglia.

Hermione si era occupata delle decorazioni assieme a Ginny, ma qua e là spuntavano le sporadiche “migliorie” di George: poteva capitare che alcune delle piantine di agrifoglio messe ad addobbare il camino emettessero una sonora pernacchia nei confronti di chiunque passasse loro davanti, o che l’abete luccicante pizzicasse le guance a chi sostava di fronte a lui. Le palle colorate, poi, erano una novità dei Tiri Vispi, per cui sarebbero state testate quella sera sui malcapitati: le sfere kamikaze si lanciavano sulle teste dei passanti, sprigionando gavettoni di arcobaleno. “Tingete le vostre feste di allegria!”, recitava lo slogan.

Molly, che aveva conservato la sua esuberanza a dispetto dell’età, aveva sommerso la cucina con una quantità quasi imbarazzante di cibo, e a Ron era stato assegnato l’ingrato compito di apparecchiare l’opulenta tavola.

Albus scese le scale quasi intontito da quel mondo sfolgorante e caotico: in tutta la casa era fiorita una strana vegetazione a base di pungitopo, nastri colorati e luci intermittenti, ed in un angolo l’abete troppo carico si sforzava di non crollare sui regali sottostanti. La tavola era apparecchiata con lo sgargiante servizio delle feste, tutto oro, rosso e bianco, e un nugolo di piccole candele profumate veleggiava nell’aria.

La famiglia Malfoy, che sedeva sul sofà nella propria consueta eleganza, sembrava l’unico stralcio di mondo normale in quella stanza sommersa dallo spirito natalizio.

Molly fu ben felice di mettere tutti a tavola e di riempire ogni piatto vuoto con i più svariati manicaretti, con particolare cura verso la signora Malfoy, perché doveva “mangiare per due”. La pancia cominciava a vedersi, nonostante il tentativo della donna di dissimulare con un abito in stile impero, ed era stata perciò tempestata di attenzioni e premure dalla parte femminile della famiglia, nonché di domande sul nome del nascituro.

James non perse il vizio di tormentare il fratello, stuzzicandolo per tutta la durata del pranzo nonostante i rimproveri della madre.

Al termine dell’infinito banchetto, gli adulti, satolli di cibo, si sedettero a chiacchierare, e Rose offrì aiuto alla nonna per sparecchiare. Albus e Scorpius ignorarono il richiamo del dovere e si accucciarono in posizione strategica, vicino alle fiamme del camino.

    «Non ho ancora capito come sia possibile che tua nonna metta in tavola ogni anno un pranzo più pomposo di quello precedente» gorgogliò, rigonfio di manicaretti.

   «Non preoccuparti. Ci sarà un limite al numero di portate che un umano può cucinare» bofonchiò Albus, gli occhi appesantiti dall’abbuffata. «Prima o poi lo raggiungerà.»

   «Io credo di aver raggiunto il limite massimo che un essere umano può ingerire» notificò Scorpius.

   «Io sto provando quello che prova un pitone dopo aver mangiato una pecora.»

   «I pitoni non mangiano le pecore. Gli scoppierebbe lo stomaco, o qualunque cosa abbiano per digerire.»

   «Hai centrato il punto» boccheggiò Albus.

   Scorpius batté un paio di pacche sulla testa reclinata dell’amico in segno di incoraggiamento. Albus rialzò gli occhi acquosi per scrutare il ragazzo al suo fianco e gli pose la domanda che gli ronzava in testa da qualche giorno:

   «Non hai portato Margaret. Né oggi né a fare le spese di Natale.»

Le labbra di Scorpius si ritirarono per essere mordicchiate e una mano salì a pettinare i capelli all’indietro.

   «Ci siamo lasciati il giorno del vischio nella scuola» confessò, appoggiandosi con la nuca al muro.

Due occhi verdi lo fissarono, sgranati e increduli: lui era convinto che, quella volta, Margaret lo avesse allontanato da lui per poter approfittare della leggenda del vischio con il suo ragazzo.

   «Vi siete lasciati?» riuscì solo a ripetere.

   Scorpius annuì e sospirò al contempo.

   «Credo che sia meglio così» affermò. Durante la loro breve relazione, Margaret era stata quasi sempre in agitazione, e lui non ne aveva mai compreso il motivo fino al giorno della loro definitiva rottura: anche se con parole gentili, lei si era lamentata di non essere nemmeno al livello dei suoi amici per lui, e di non ottenere mai niente dal suo ragazzo se non dopo una precisa richiesta, come se lui non facesse nemmeno lo sforzo di pensare a lei. Se la loro storia doveva procedere in quel modo, in una continua mortificazione, era meglio concludere tutto prima di finire per odiarsi.

   «Non eravamo fatti per stare insieme» concluse, sbrigativo.

   Albus tamburellò le dita sulle ginocchia, alla ricerca di qualcosa da dire. Sarebbe stato decisamente di cattivo gusto erompere in un grido di gioia, ma era l’unica reazione spontanea a quella ammissione. Margaret non sarebbe più stata una presenza incollata a Scorpius, e non avrebbe più minacciato l’equilibrio del loro gruppo. Erano pensieri abominevoli, se ne rendeva conto, ma non riusciva a scacciarli dalla propria mente.

   «Mi… dispiace» abbozzò alla fine, fissando il soffitto per paura che l’amico potesse leggergli in faccia qualcosa di compromettente.

Scorpius si strinse nelle spalle.

   «Arriverà la persona giusta. Non c’è fretta» profetizzò. Sperava solo di non aver fatto soffrire troppo Margaret: era una brava ragazza e meritava di essere trattata con cura. Anche per questo motivo, era meglio che si fossero lasciati: probabilmente, lui non sarebbe riuscito a fornirle tutte le attenzioni che lei desiderava.

Albus annuì, un’improvvisa e insensata voglia di prenderlo per mano. Si trattenne conficcandosi le unghie nel palmo.

   «Albus! Scorpius! Venite! È ora di aprire i regali!» chiocciò felice Molly, che aveva già radunato tutti i presenti sotto l’albero.

George aveva fatto del suo meglio per brevettare le sue nuove invenzioni con i regali di Natale. Il più divertente di tutti fu quello assegnato a Harry: una strana polverina fuoriuscì dal pacchetto e si depositò sui suoi occhiali, facendogli vedere tutti i presenti in mutande.

«È per combattere l’ansia durante gli esami» si giustificò George, mentre Harry cercava disperatamente di rimuovere quella cosa dalle lenti.

Ginny ed Hermione avevano scelto dei regali utili, e i Malfoy avevano optato per dei doni raffinati; grazie a ciò, il resto dei pacchetti fu scartato senza timore e senza sorprese.

Scorpius passò il proprio regalo ad Albus di soppiatto: era troppo personale per essere visto da tutti.

Il resto del pomeriggio passò tranquillo, e terminò con l’accomiatarsi degli invitati e un ultimo scambio di auguri di Natale.

Quella sera, dopo la visita notturna della madre per portargli un the digestivo e il bacio della buonanotte, Albus si rannicchiò sotto le coperte ed estrasse di nuovo il regalo di Scorpius.

Il portachiavi d’argento a forma di lupo scintillò sotto la luce della luna.

 

 

 

 

 

Volevo pubblicare questo capitolo la vigilia di Natale<3

Dal prossimo, si passa al sesto anno<3

Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui<3

E buon Natale a tutti<3

Red

   
 
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