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Autore: flors99    26/12/2012    46 recensioni
- Sono incinta. – specificò a quel punto Hermione, dissipando ogni suo dubbio e facendola strozzare con la sua stessa saliva.
Ginny spalancò gli occhi, incapace di credere che quello non fosse uno scherzo.
- Cos… eh?! C-come? Quando? Ma… ma… tu... – borbottò, pronunciando frasi sconnesse per quasi un minuto intero. – Non… non è divertente, Hermione. – disse alla fine, con la gola che bruciava per lo sforzo di parlare.
- Già. – mormorò Hermione, in un ansito di tristezza. – A chi lo dici. […]
- Ma… – la giovane Weasley cercò di mettere ordine nella sua testa, ancora sconcertata dalle parole della strega più grande. – Io… cioè tu… con chi…cioè… è Ron? – domandò, allucinata. – Io non sapevo neanche che vi frequentaste! Perché non mi hai detto niente? […]
- Ronnonèilpadre. – chiarì Hermione, pronunciando quelle parole nel modo più veloce possibile, scacciando dalla sua testa i cattivi pensieri.
- Che?
- Ronnonèilpadre! – ribadì, più in fretta di prima.
- Hermione, non capisco… cosa stai dicendo… - mormorò la giovane Weasley, non consapevole di quali parole usare.
Via il dente, via il dolore.
- Ho detto che Ron non è il padre! – esclamò tutto d’un fiato.
Via il dente, via il dolore. Sì, un cavolo!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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- Lasciami immediatamente, insulso essere di non so quale specie! – la ragazza si divincolò dalla presa di Blaise, il viso rosso di rabbia. – Tu non sei un cavaliere errante! Mi hai mentito!
Il Serpeverde si schiaffò una mano sul viso, combattuto tra il desiderio di strozzarla e quello di farla arrivare illesa al suo dormitorio.
- Perché hai mentito? – continuò Daphne, ignara dei piani omicidi che Blaise stava elaborando per metterla a tacere per sempre. – Non sai che raccontare bugie è sbagliato? Si ruba la verità agli altri, è un atto sacrilego, pieno d’infamia e di sdegno! Per nessun motivo, e ripeto, nessuno, bisogna mentire! Anche se ammetto che talvolta una piccola menzogna può scappare tra le parole, purché sia di veramente minima portata, cosa che non si può assolutamente dire di te! Mi hai fatto credere che tu fossi un cavaliere errante, mi hai sottratto il fido valletto che avevo appena trovato e mi hai trascinato via in malo modo dalla festa onerosa alla quale ero stata invitata! Tralasciando la tua maleducazione e la tua rozzezza, non posso credere che tu mi abbia anche mentito sulla tua identità!
- Non costringermi a farti un incantesimo Silencio. – mormorò Blaise, pur sapendo che la minaccia sarebbe caduta a vuoto dato che non aveva la bacchetta con sé. Maledizione.
- Un incantesimo? Di quale stramberie stai mai parlando, cavaliere a quanto pare non errante, ma nemmeno cavaliere, perché se tu lo fossi stato, non avresti avuto un carattere tanto scontroso? I cavalieri sono persone di nobile animo e spirito e tu decisamente non rispetti codesti canoni. Ma io mi ero accorta subito della tua menzogna! Solo che… ho voluto darti fiducia! Ebbene sì, la mia fiducia incontrollata nelle persone, ancora una volta, mi ha portato alla rovina, facendomi credere nelle tue buone intenzioni, quando invece volevi solo rapirmi e chiedere riscatto! Ah!
 
Non strangolarla, Blaise. È colpa di una pozione, finirà presto.
 
Il ragazzo sospirò.
- Ma non credere di riuscire a scamparla molto facilmente, sai? Io sono una persona molto potente, ho una grande influenza in campo politico! Ti farò arrestare dalle mie guardie e dal mio valletto!
- Tremo di paura all’idea di un gufo che mi arresta… – ironizzò Blaise alzando gli occhi al soffitto e imponendosi di non sbuffare.
La ragazza rimase un attimo disorientata.
- Gufo? Ma di cosa stai parlando? Cosa c’entra il mio fedele valletto con quell’uccellaccio tutto piume e niente cervello?
- A dir la verità… – Blaise fu interrotto.
- Ah! Ma io so cosa intendi! Stai cercando di imbrogliarmi! Di nuovo! Proprio come mi hai imbrogliato sulla tua identità, adesso stai tentando di farmi credere alle tue menzogne! Ma non ci riuscirai, sai? Adesso ho capito che genere di persona sei e non mi farò abbindolare dalle tue parole tutt’altro che sincere e oneste! Dovresti vergognarti! Dopo tutto quello che hai fatto, provi ancora ad ingannarmi? Non hai proprio un briciolo di onore? Mi chiedo come tu possa guardarti la mattina allo specchio e non provare disgusto per ciò che sei! Non credevo che esistessero persone come t…
- Certo, Daphne, certo. – Blaise lasciò andare un sospiro pieno di frustrazione, mentre si avvicinavano ai sotterranei.
 
Non strangolarla, Blaise. Non è certo colpa sua.
 
E poi è tua amica. Più o meno.
 
Grazie al cielo erano quasi arrivati.
La ragazza rimase zitta per qualche secondo, colta di sorpresa, per poi puntare i piedi e bloccarsi in mezzo al corridoio, costringendo così Blaise a fermarsi.
- Co-cosa? – mormorò, quasi sconvolta.
Il Serpeverde, ringraziando mentalmente Salazar, Merlino, Tosca, Priscilla e sì, stavolta anche Godric, che avesse finalmente chiuso la bocca, sperò seriamente che l’effetto della pozione fosse svanito. Un secondo più tardi, però, si dovette ricredere.
 - Esigo delle spiegazioni! – urlò la Serpeverde, facendo risuonare la sua voce acuta su tutte le pareti. – Come fai conoscere il mio nome, a meno che io non te lo abbia mai rivelato?!
- Oh, Merlino… – sbuffò il ragazzo, mentre con poca grazia riprese a sospingerla verso i sotterranei.
- Merlino? Quale Merlino? Adesso vuoi farmi credere di essere il famosissimo mago Merlino?! – strillò Daphne, con un’espressione a metà tra lo sconcerto e lo scandalizzato. –Per rendere credibile una simile messinscena ti saresti almeno dovuto travestire decentemente! Non assomigli certo a un mago vestito così! Come puoi anche solo pensare che io sia così stupida da crederti?
- E certo, come posso anche solo lontanamente assomigliare a un mago vestito così? – borbottò. – Per Salazar, Daphne, non ti sopporto più, per favore stai zitta.
La ragazza spalancò gli occhi.
- La smetti?! – gridò un attimo dopo, assordando il povero ragazzo. – Non chiamarmi per nome! Io non ti conosco!
- Certo che mi conosci! – sbottò malamente il Serpeverde, mentre le tempie gli pulsavano violentemente, causandogli un mal di testa allucinante. – Sono Blaise, tuo compagno di casa da sette anni! Ci conosciamo da quando eravamo bambini, per Salazar!
- Blaise?
Daphne smise nuovamente di camminare, riflettendo su quel nome con espressione assorta e pensierosa. Per un attimo il ragazzo sperò nuovamente che la Serpeverde avesse riacquistato un po’ di cervello, ma quando lei lo guardò, lanciandogli uno sguardo tutt’altro che lucido, capì che, purtroppo, non era affatto così.
- Hai davvero uno strano nome! – esclamò Daphne, con una nuova espressione in viso. – Insomma… che strano, ma davvero strano, nome che hai… Comincia per B e finisce per E… – rifletté, dimenticandosi completamente del fatto che Blaise le avesse mentito sulla propria identità.
- Daphne, per favore…
- Anche il mio nome finisce per E! – esclamò all’improvviso con un sorriso felice, da bambina.
- Eh, già…
- Il mio comincia per D, però! Il tuo no! Comincia per B! – protestò con un’espressione corrucciata, guardandolo malissimo come se le avesse fatto il peggiore dei torti.
- Questi sono i problemi della vita…
- Ci sono tante cose che cominciano per B! – riprese Daphne, senza curarsi più della delusione che le era stata procurata dalla scoperta che i loro nomi non cominciassero con la stessa lettera dell’alfabeto.
- Sì, ma…
- Bicchiere, borsa, bagno, bestia, buono…
- Daphne…
- Bocca, bambino, o eventualmente anche bambina, barba, binario, barca…
- Daphne…
- Bacinella, bevanda, bambola, bacca, buffo…
- Daphne!
- Bomba, battuta, baratro, b… b… Non me ne vengono in mente altre! – si lamentò la ragazza come una bambina.
- Daphne, basta!
- Perché non me ne vengono in mente altre? Non mi riesce! – protestò con occhi lucidi, a tanto così dallo scoppiare a piangere. – Uffa, uffa, uffa! Perché hai un nome che comincia per B? Cattivo!
Il Serpeverde, arrivato ormai al limite massimo di sopportazione, la afferrò bruscamente per le spalle dandole un forte scossone.
- Smettila! – esclamò duramente. – Non sei in te, Daphne! Per Merlino, smettila di parlare!
La ragazza sussultò, sorpresa dalla sua veemenza, mentre un’ombra di puro terrore si faceva strada nei suoi occhi verdi. La sua parlantina si esaurì in quel preciso istante, lasciandole la gola secca e poco fiato. Si perse in quegli occhi così blu e così pieni di rabbia e frustrazione che, se da una parte la stordivano per la loro indubbia bellezza, dall’altra la terrorizzavano a morte. Spaventata da quel senso di familiarità che avvertiva e di cui non riusciva a spiegarsene il motivo, Daphne si divincolò, impaurita, tentando di allontanarsi.
Blaise allentò la presa, accorgendosi del suo sguardo quasi disperato.
- Hai paura di me? – sussurrò, in modo più gentile di quanto prima non fosse stato, scorgendo nuovamente quel lampo di terrore balenare negli occhi chiari della ragazza. – Non voglio farti male, Daphne, io… – prima che potesse anche solo finire la frase, la Serpeverde chiuse gli occhi, svenendo tra le sue braccia.
 

 

 
 
 
Prima di tornare alla festa o anche solo provare ad alzarsi, Hermione impiegò parecchio tempo per rimettere insieme i piccoli frammenti in cui era stato brutalmente spezzato il suo cuore. Era ormai consuetudine cucire e ricucire le svariate ferite che erano state crudelmente inferte a quel piccolo organo vitale e a quel punto Hermione avrebbe già dovuto essere preparata a guarire il suo cuore e a raccogliere ciò che ne era rimasto. Eppure ogni volta Draco riusciva a farle così male da credere di non essere più in grado di rialzarsi ancora, di andare avanti, di sanare e risanare più volte tutte le cicatrici che le aveva lasciato. Così male da non sapere quanto ancora dovesse sopportare, distruggersi, prima di riuscire ad aprire uno spiraglio in quella corazza dentro cui il Serpeverde si rinchiudeva.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
La ragazza sospirò pesantemente, decidendo di ingoiare l’ennesima umiliazione, l’ennesimo colpo che le era stato brutalmente inflitto, l’ennesima dolorosa e spiacevole sensazione di solitudine e tristezza che la avvolse come una coperta. Si alzò in piedi, guardando attentamente che non vi fosse nessuno per i corridoi, onde evitare qualche incontro spiacevole, per poi dirigersi verso la Sala Grande quando appurò che fortunatamente non c’era proprio anima viva in quel luogo. Solo ripensare a quello che era appena successo le faceva salire la nausea e il dolore che le corrodeva il cuore non sembrava intenzionato a lasciarla andare. Detestava la sua debolezza e la sua vulnerabilità, due sensazioni che puntualmente si presentavano ogniqualvolta che Draco era nei paraggi. In quel momento arrivò a detestare persino se stessa per essere così insopportabilmente innamorata di lui, tanto da averne bisogno come l’aria, alla stregua di una necessità fisica, perché sapeva di non contare assolutamente niente per lui, di essere soltanto un giocattolo da prendere, usare e poi buttare via a proprio piacimento.
 
Sono così stupida.
 
Aveva addirittura sperato, per un secondo, che Draco ritornasse sui suoi passi, la raggiungesse e le chiedesse scusa per il comportamento alquanto stronzo e crudele che le aveva malignamente riservato. Ma sperare che Draco Malfoy potesse provare qualcosa di simile alla pietà o alla compassione era un’utopia vera e propria e Hermione avrebbe voluto prendersi a schiaffi da sola per essersi permessa di sperare in una cosa del genere. La verità, per quanto amara e terrificante che fosse, era che il ragazzo di cui si era tanto innamorata era quanto mai più lontano dall’essere il principe azzurro delle favole che aveva sognato da bambina.
Si passò una mano sul viso, deglutendo aria.
 
Passerà, Hermione.
 
Passerà anche questo.
 
La Grifondoro non aveva certo voglia di tornare alla festa di Natale, in mezzo a tutta quell’allegria e spensieratezza, voleva soltanto trovare Ginny o Ron e dire loro che sarebbe tornata al suo dormitorio a causa della stanchezza. Desiderava soltanto che quella serata finisse il più velocemente possibile, per poter piangere in silenzio nel buio della sua camera.
 
Le spine al posto del cuore.
 
Quando fu ormai prossima all’entrata, scorse una figura in lontananza, riconoscendo la figura di Ginny che si asciugava maldestramente gli occhi; Hermione si chiese come potesse lo strappo nel suo cuore essere in grado di allargarsi ancora, ancora di più, ancora più in fretta. Le si avvicinò, percorrendo gli ultimi passi, finché anche l’amica non si accorse della sua presenza. La giovane Weasley distolse immediatamente lo sguardo dal suo, come se fosse stata scottata. Cercò di nascondere in fretta le lacrime con un gesto piuttosto impacciato, per poi rivolgerle un sorriso quanto mai finto e sofferente. Eppure, nello sguardo di Ginny, sotto lo strato di apparente serenità, Hermione fu in grado di scorgere quell’inquietante e familiare ombra nera che si trascinava dietro un dolore così immenso e bruciante, che per poco non la fece spaventare.
 
Vuoi sapere qual è la cosa peggiore? Non te ne sei resa conto. L’hai fatta a pezzi e neanche te ne sei accorta.
 
La voce di Draco pulsò dolorosamente nella sua mente, pronta a ricordarle il suo terribile errore e a farla sentire peggio che mai.
- Ciao, Hermione. – la salutò Ginny, fingendo che andasse tutto bene e ostentando un piccolo sorriso.
Hermione certo non si sarebbe più fatta ingannare da quel finto e forzato movimento muscolare, nato da labbra che, ne era certa, fino a pochi secondi prima stavano trattenendo dei rumorosi singhiozzi. Era talmente ovvio quello che doveva essere successo che la più grande delle due Grifondoro non ebbe neanche bisogno di chiederselo.
 
Aveva litigato con Harry. Di nuovo.
 
Non le fece alcuna domanda, si limitò a lanciarle uno sguardo triste e malinconico, per poi abbracciarla, non curante dei suoi problemi; aveva pensato a se stessa per troppo tempo, era giusto curarsi anche degli altri.
- Mi dispiace. – sussurrò stringendola di più, sperando che tutta quell’immensa tristezza nel suo sguardo la abbandonasse, almeno per un po’.
- Grazie. – mormorò semplicemente Ginny che, dopo qualche minuto, le raccontò. – Gli ho chiesto… cosa avrebbe fatto al mio posto, Hermione. Ho chiesto ad Harry… – la voce della giovane strega s’incrinò. – …e… mi ha guardata in un modo, come se… gli avessi fatto male. Mi guarda come se non si fidasse più.
La giovane Weasley riuscì a formare una frase coerente soltanto dopo vari minuti.
- Ho paura. – confessò infine.
- Anch’io, Ginny.
Hermione ingoiò un groppo che si era formato nella sua gola, pesante come un sasso.
- Fa male questa paura, Ginny? – chiese, triste.
- Cosa vuoi dire?
- Fa male ciò che provi?
Ginny la guardò a lungo, chiedendosi perché Hermione le stesse ponendo una domanda simile; intuì poi, dal suo sguardo vuoto e dalle spalle leggermente tremanti, che doveva esserle appena successo qualcosa. Non le domandò niente, si limitò ad analizzare gli impercettibili e inconsapevoli segnali che lanciava il suo corpo, che sembrava essere stato percosso innumerevoli volte, tanto era scosso dai tremori.
- Sì. – sussurrò.
Hermione la fissò di rimando, sbattendo le palpebre velocemente.
- Allora perché nonostante faccia male, continui a rischiare? – domandò, con tono mesto.
Ginny increspò le labbra in un debolissimo sorriso; si passò una mano tra le ciocche rosse e rispose nel modo più delicato possibile.
- Perché sono innamorata di Harry e l’amore è anche questo: saper rischiare. – mormorò dolcemente.
- Anche quando rischiare fa male?
Ginny le accarezzò una spalla.
- Soprattutto quando fa male. – la corresse. – Lo ami, Hermione, vero? – chiese prendendola in contropiede; le pose quella domanda con la voce più flebile di un sussurro. La più grande delle due ragazze riuscì a malapena ad annuire, non trovandola forza di dirlo nuovamente ad alta voce.
- Ma fa male. – ripeté Hermione. – Fa così male che mi uccide, così male che non so se vale la pena rischiare. – confessò. – Non… non so cosa fare.
Ginny emise una risata che di allegro non aveva proprio nulla.
- Tu sai già cosa fare, Hermione. – le rispose, sorridendo in modo triste. – Hai già scelto senza che tu te ne rendessi conto.
- Cosa? – la Caposcuola sussultò.
- Hai già scelto di rischiare. Hai già scelto Malfoy.
- Cosa stai dicendo, Ginny?
Sapeva lei a malapena cosa provava, come poteva qualcun altro essere a conoscenza dei suoi pensieri?
- Sto dicendo che tu hai scelto di rischiare, nel momento in cui hai scelto tra Malfoy e Ron.
Hermione non disse niente, limitandosi a fissarla con ancora più insistenza, al sentir pronunciare il nome del giovane Weasley. Una piccola parte del suo cuore perse qualche stilla di sangue ripensando al dolce bacio che si era scambiata con Ron, ma la parte più grande, intossicata dalla presenza di Draco, la mise rapidamente a tacere.
- Quando… – Ginny prese un bel respiro. – …Quando ho capito che eri innamorata di Draco, io avrei voluto… strangolarti. – confesso, socchiudendo un attimo gli occhi. – Avrei voluto scuoterti per capire cosa ti passasse per la testa, non riuscivo a comprendere cosa ti avesse spinta da lui… perché provassi per Malfoy emozioni così forti quando avresti dovuto solo odiarlo per tutto quello che ti aveva fatto. – s’interruppe, fissando Hermione negli occhi. – Avevi Ron, Hermione. Ron ti avrebbe sempre amato, sempre. Ti avrebbe dato tutto, senza chiedere niente in cambio e so che insieme sareste stati felici.
La riccia distolse lo sguardo.
 
Mi stai uccidendo, Ginny.
 
- Non… non ti seguo. Perché mi dici queste cose? – chiese la Caposcuola, con un sospiro tremante, le parole della giovane Weasley a ferirla quanto la lama di un coltello.
Ginny non sembrò udirla. Si perse nelle note della sua stessa voce che si abbassò come se stesse sussurrando un segreto. Un segreto di cui solo lei era a conoscenza.
- Tu faresti qualunque cosa per Malfoy, Hermione. L’ho capito, ormai. Faresti di tutto, anche ferire te stessa, anche prenderti colpe che non hai. Ma lui non farebbe la stessa cosa. – sussurrò. – So che faresti di tutto anche per Ron. Ti prenderesti colpe che non hai per farlo stare meglio. Lo so, l’ho visto. Rischieresti la vita per lui, l’hai dimostrato. Faresti molto di più di ciò che un’amica farebbe, e… Ron farebbe la stessa cosa. – mormorò. – Con Ron avresti avuto la sicurezza della felicità, con Malfoy hai soltanto davanti a te un burrone nel quale puoi decidere di buttarti, ma dove non sai se arriverai mai a toccare il fondo. Il sentimento che provi per Ron è puro. Me ne sono accorta, Hermione. Vedo come il sorriso ti nasce spontaneo dalle labbra in sua presenza, come i tuoi occhi brillano nell’incrociare i suoi. – continuò Ginny, continuando a sussurrare, come se stesse intonando una ninna nanna. – L’amore per Ron è qualcosa che ti fa sentire protetta e ti rende forte. – la voce di Ginny s’incupì, gli occhi si oscurarono. – Quello che provi per Draco è qualcosa di tossico, Hermione, t’indebolisce, ma allo stesso tempo ti fa sentire viva. Per te può essere la cosa migliore… o la peggiore.
Un’altra pausa, un altro silenzio, un secondo di sospiro.
- Hai scelto Malfoy. Hai scelto di gettarti nel baratro, adesso tocca a te scoprire quanto è profondo, quanto sei disposta a cadere prima di toccare terra. Non importa quanto tu debba rischiare Hermione, se è quello che vuoi devi fare di tutto per prenderlo. – concluse.
- Mi… mi sento uno schifo, Ginny. – fu tutto quello che rispose Hermione, dopo vari secondi di silenzio.
- Perché ho capito tutto prima di te? – la giovane Weasley accennò quello che doveva avere la parvenza di una battuta sincera.
- No. – chiarì Hermione. – Mi sento uno schifo per quello che ho fatto a te e a Ron.
 
Perché tu mi sei sempre stata accanto e tuttavia hai perso più di tutti.
 
- Le cose si sistemeranno. – mormorò Ginny. – Harry… Harry capirà. So che lo farà, deve farlo. – continuò a bisbigliare.
- Grazie, Ginny. Davvero. – mormorò Hermione, sinceramente grata per il suo appoggio. Per averla vicina, anche se non lo meritava.
La rossa mosse gli angoli della bocca, per poi voltare la testa in direzione della Sala Grande, dalla quale proveniva uno strano silenzio. Per un attimo entrambe le ragazze si chiesero, interrogative, il perché dell’assenza di rumore.
- Possiamo rientrare un attimo? – propose Ginny, dopo qualche secondo, sospettosa. – Hermione annuì, più animata rispetto a prima, e precedette Ginny nella Sala Grande. Poco prima di oltrepassare la soglia, però, Ginny sussurrò, ignara che Hermione la stesse ascoltando, quelle parole che sarebbero rimaste per sempre impresse a fuoco nella sua mente.
- Con Malfoy girerai tutto il mondo, prima di poter trovare un posto che possa essere chiamato casa. Con Ron, saresti sempre stata lì.
La Caposcuola fece finta di nulla: non si soffermò su quelle tristi parole, perché se lo avesse fatto sicuramente avrebbe sentito anche quell’ultima parte del suo cuore crepato, ridursi in mille pezzi.
 
Fu più semplice far finta di non aver sentito.
 
Ancora una volta la finzione vinse sulla realtà.
 
 
La festa era leggermente degenerata.
Si accorsero tutti di questo piccolo dettaglio quando Seamus Finnigan, mezzo traballante, salì su due o tre tavolini impilati per gridare a tutti coloro che erano ancora presenti di passare buone vacanze natalizie. A parte il gesto teatrale dei tavolini, le sue parole non provocarono chissà quale scalpore tra studenti e professori, almeno fino a quando, con un risata quanto mai isterica e ubriaca, non cominciò a urlare “I Grifondoro ce l’hanno d’oro” o qualcosa di simile. I Serpeverde – giustamente – oltraggiati da una tale affermazione avevano ben pensato di ribattere con qualche battuta poco consona che giunse alle orecchie dei professori rimasti a controllare la situazione.
Avendo notato il rumoreggiare sempre crescente, la professoressa McGranitt, prima di dover ascoltare altre stupidaggini, zittì tutti immediatamente con un’ammonizione e ordinò a Seamus di scendere dai tavolini.
Hermione e Ginny, entrate in quell’istante, s’interrogarono entrambe sullo stato di salute del loro compagno di casa e sulla necessità di portarlo in Infermeria.
- Avanti, signor Finnigan, scenda immediatamente.
- Ohhh, la professoressa McGranitt! – ululò il Grifondoro per tutta risposta, scoppiando a ridere senza un motivo ben preciso.
La professoressa sospirò, già pronta a metter mano alla bacchetta a costo di tirarlo giù da lì.
- La mia pazienza ha un limite. – sibilò. – A meno che non voglia che alla sua casa vengano sottratti punti anche a la sera di Natale, si affretti a fare come le ho detto.
Seamus, che non era ubriaco a tal punto da non cogliere la velata minaccia, deglutì pesantemente e abbandonò la sua postazione, con un’espressione triste per essere stato spodestato dal suo “trono”. Mentre la professoressa scuoteva la testa, chiedendosi quanto mai avesse bevuto quel povero ragazzo, Lavanda, col suo vestito svolazzante, prese il posto di Seamus, avanzando la scusa di voler fare un ultimo saluto speciale per tutti gli studenti.
- Tanti auguri a tutti! – trillò con un sorriso che fece storcere la bocca sia a Ginny che a Hermione. – Per alcuni di noi questa è l’ultima festa di Natale che avremo la possibilità di passare insieme. – disse la bionda, assumendo un’espressione commossa che Hermione non seppe giudicare se vera o se falsa. Un terribile presentimento si fece strada dentro di lei, mentre osservava quel sorriso finto che le faceva rivoltare lo stomaco; prima che potesse anche solo aprir bocca e parlare con Ginny del dubbio che le era balenato in testa, Lavanda parlò di nuovo. – Quindi facciamo in modo che sia indimenticabile! – esclamò, sorridendo ancora.
La sua proposta fu accolta con piuttosto entusiasmo dagli studenti che si ammassarono intorno allo schieramento dei tavoli e, accompagnati dal motivetto intonato dalle ghirlande magiche, cominciarono a intonare canzoni natalizie.
Hermione e Ginny si ritrovarono incastrate in mezzo alla massa di persone, venendo poi involontariamente sospinte di lato.
- Buon Natale a tut… Hei, hei! – gridò Lavanda, con tono sperezzante. – Un po’ di delicatezza nello spingere le persone, Hermione è incinta! Ragazzi, fate attenzione! Ooops, l’ho detto ad alta voce? Scusa, Hermy cara, spero solo che tu non ti sia fatta niente!
Le parole di Lavanda terminarono nello stesso esatto momento in cui il cuore di Hermione cominciò a palpitare furiosamente nel petto e le guance presero a scottarle per l’imbarazzo e l’umiliazione.
Una miccia che scoppia non avrebbe fatto così scalpore. Un boato che risuona non avrebbe mai ottenuto quel silenzio inquinante. Piccoli gruppetti di persone che non avevano probabilmente udito le parole di Lavanda continuarono a canticchiare allegramente per poi zittirsi, occhieggiandosi intorno e domandandosi il motivo di quel silenzio. Ragazze e ragazzi cominciarono a sussurrarsi chissà cosa, darsi di gomito, indicare la figura ferma di Hermione come se avesse appena compiuto il più grande degli atti blasfemi.
In Sala Grande piombò il silenzio più totale. Neanche i professori mossero un muscolo, come se tutti fossero stati sospesi nel tempo e nessuno si fosse ricordato di farlo andare avanti.
 
Quindi facciamo in modo che sia indimenticabile.
 
Quel Natale fu indimenticabile.
Rimase indelebile nel cuore di Hermione, una ferita così profonda che non sarebbe via neppure ricucendola. Fecero male gli occhi curiosi che si posarono su di lei, avidi di pettegolezzi e di qualcosa su cui poter sparlare; fecero strano gli occhi degli amici che le rivolsero un'unica domanda, che le chiedevano un’unica conferma, che con lo sguardo cercavano in lei una smentita, qualcosa per non dover credere a quell’assurda verità, a quella situazione difficile, di cui mai nessuno l’avrebbe immaginata protagonista.
 
Quel momento Hermione non lo scordò mai più.
 
La Grifondoro avvertì le proprie guance sul punto di esplodere da tanto che erano rosse, le mani più che mai tremanti e allo stesso tempo inerti lungo i fianchi.
Si sentì persa l’istante successivo. Ebbe l’inquietante sensazione di essere immersa in una vasca di acqua ghiacciata e piena di squali, pronti ad azzannarla e a squartarla nel più brutale dei modi. Alzò coraggiosamente lo sguardo cercando un appiglio in mezzo a quel mare in cui stava annaspando e una boccata d’aria a cui poter anelare, per recuperare il respiro. Quello che incontrò le fece paura. Lo sconcerto, l’incredulità di tutti e in alcuni volti amici Hermione riconobbe una nota di comprensione che sembrava dire: non preoccuparti, non le crediamo.
Proprio come Harry.
 
Io non le ho creduto, è ovvio!
 
Ed era finita nel peggiore dei modi.
L’aria cominciò a mancare, tutto intorno a lei si fece soffocante, la vista sbiadì; ma prima che cadesse nel burrone nero che la inghiottiva, avvertì un piccolo tocco familiare sulla sua mano. Una stretta dolce e tranquillizzante. Cercò Ginny con lo sguardo, non staccando neppure per un attimo la mano intrecciata alla sua.
 
Gli occhi azzurri della ragazza le restituirono l’aria.
 
Spostò lo sguardo ancora.
Incontrò gli occhi di Ron.
 
Gli occhi azzurri di Ron le restituirono il respiro.
 
E infine compì l’ultimo passo.
Il pezzo mancante.
Incontrò gli occhi di Harry, riconoscendolo e riconoscendosi. Sapeva di non essere ancora arrivata a qualcosa che assomigliasse al perdono, ma guardando l’amico di un tempo non si sentì esclusa, né tagliata fuori dal suo sguardo. E capì che forse una possibilità per ritrovarlo, per ritrovarsi, c’era.
 
Gli occhi verdi di Harry le restituirono la forza.
 
E infine il ricordo degli occhi di Draco – non Malfoy – le restituì se stessa.
 
Li guardò tutti, poi. Affrontò tutte quelle paia d’occhi che la scandagliavano brutalmente con un accenno di imbarazzo, ma senza l’umiliazione cocente che l’aveva attraversata fino a un attimo prima.
 
Non c’era vergogna nel suo sguardo.
 
Solo se stessa.
 
D’altronde a Hermione non importava granché delle chiacchiere comuni, se non dei suoi amici. In quell’istante non le importò neanche di quello.
 
Che mi guardino, che mi guardino tutti.
 
Capì in quel momento quanto fosse immensamente semplice farsi scivolare addosso tutte quelle cattiverie bisbigliate e di quanto poco effettivamente le importasse della possibile opinione che i professori avrebbero potuto avere di lei.
 
Hai già scelto tra rischio e protezione. Hai già scelto Malfoy.
 
Hai già scelto di rischiare.
 
Fissò Lavanda con rabbia cocente, impedendo a se stessa di provare qualcosa di diverso nei suoi confronti o di farle intuire quanto profondamente l’avesse ferita.
 
Perché Lavanda non si meritava niente, nemmeno le sue lacrime.
 
La raggiunse con passo calmo, finché non si fronteggiarono occhi negli occhi. Poiché la riccia non sembrava intenzionata a dire alcunché, la bionda Grifondoro l’anticipò:
- Tutto bene, Granger? – domandò attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno al dito.
- Come se t’interessasse. – rispose a denti stretti.
- Oh, giusto. Dovrebbe interessarmi, perché… ? – borbottò per tutta risposta, assumendo un’espressione pensierosa. – In effetti, non m’importa affatto. E da adesso in poi, non importerà a nessuno di te, Granger. – concluse con una risata sprezzante.
- A noi sì.
Non si aspettava certo Hermione che qualcuno si sarebbe fatto avanti per difenderla e meno che mai si sarebbe aspettata che a ricorrere in suo aiuto sarebbe stato il dolce e timido Neville.
- Anche a me importa di Hermione. – confermò Luna, stretta al braccio di Neville, annuendo ripetutamente con le ciocche che le ballonzolavano davanti al viso.
- A tante persone importa di Hermione. – concluse infine Ginny, affiancando l’amica. – E tu, Brown? Tu puoi dire lo stesso?
Hermione vide la bionda davanti a lei fremere di rabbia e trucidare il povero Neville che aveva osato contraddirla.
- Io non mi vergogno di ciò che sono, Brown. Cercando di umiliare me non hai fatto altro che umiliare te stessa, mostrando che genere di persona tu sia. – disse seccamente la Caposcuola. – Come persona e come amica sei soltanto un fallimento.
Lavanda spalancò gli occhi e Hermione fu sicura di vedervi scorgere un lampo di dolore che le rese gli occhi lucidi.
- Io sono migliore di te. – sussurrò infine, lasciandola lì a bocca aperta, mentre ancora cercava qualcosa d’intelligente da ribattere.
Incontrò per un attimo lo sguardo di Ginny, che le sorrise in modo strano.
 
Hai già scelto di rischiare, Hermione. Hai già scelto Malfoy.
 
Lo capì in quell’istante: quando si rese conto che non le importava niente di tutti quegli sguardi curiosi che la fissavano, quando si accorse che tutto quello di cui aveva bisogno, tutto ciò che le bastava per avere l’aria, il respiro, le forze, erano quelle uniche persone che le erano state accanto per gran parte della sua vita. Si accorse che per lei, per il suo futuro – suo figlio – tutto ciò che serviva erano quei tre sguardi sinceri e pieni d’affetto. Mancava solo l’ultimo pezzo del puzzle, l’ultimo tassello.
 
Se stessa.
 
Guardò nuovamente Ginny, le parve di leggere un messaggio tra le sue labbra: “Vai”.
 
Vai.
 
Hai scelto di gettarti nel baratro, adesso tocca a te scoprire quanto è profondo, quanto sei disposta a cadere prima di toccare terra.
 
Vai.
 
Con un mezzo sorriso, non facendo caso agli sguardi di nessuno, scappò via, lasciando dietro di sé quel silenzio inquinante di cui lei non voleva più far parte.
 
Non importa quanto tu debba rischiare, Hermione, se è quello che vuoi, devi fare di tutto per prenderlo.
 
Vai.
 
Su una cosa però Ginny si era sbagliata.
 
Hai già scelto Malfoy, Hermione.
 
No, lei non aveva scelto Malfoy. Non l’aveva mai fatto.
 
Io ho scelto l’altro Malfoy.
 
Draco.
 
Con un fruscio la ragazza sparì oltre la Sala Grande.
 
Vai, Hermione. Vai da lui.
 
Finalmente hai capito, quanto sei disposta a rischiare.
 
Tutto, anche te stessa.
 

 


 
 
Daphne percepiva uno strano sapore in gola: qualcosa di piccante, fin troppo saporito per i suoi gusti. Sentiva gorgogliare quella strana sostanza in fondo al palato e nonostante se ne fosse chiesta l’origine più di una volta, non riusciva proprio a identificarne la consistenza. Deglutì la saliva o quel che ne era rimasta: aveva la gola stranamente secca.
Socchiuse leggermente le palpebre ed esaminò il luogo in cui si trovava, assumendo un’espressione confusa quando comprese di trovarsi nel corridoio che conduceva ai sotterranei. La testa prese a pulsare dolorosamente, mentre, non senza sconcerto, si rendeva conto di essere a sedere per terra. Prima di potersi anche solo chiedere cosa fosse successo una mano calda si appoggiò sulla sua guancia destra. Sollevò lo sguardo lentamente, sinceramente confusa e non tanto sicura di essere nel pieno delle sue facoltà mentali, trovandosi davanti il viso di Blaise. Si perse nell’osservare l’increspatura che gli solcava la fronte, testimone della preoccupazione che doveva aver provato.
- Blaise… – sussurrò, inclinando la testa di lato, come se lo stesse studiando. 
 
- Per Merlino, Daphne, mi hai fatto preoccupare, credevo che…
Le parole del Serpeverde si persero nel corridoio e ad ascoltarle rimasero soltanto le nude pareti della scuola. La mente di Daphne, intanto, girovagava altrove e si soffermava su particolari a cui prima non aveva mai prestato attenzione. Osservò con cura minuziosa i lineamenti del viso di Blaise, la fronte corrugata, la punta del naso, le labbra piegate in una sorta di smorfia, desiderando più che mai poter tracciare quel percorso non solo con gli occhi, ma anche con le mani. Avvertì la guancia scottare, laddove la mano di Blaise vi era poggiata sopra e quando lui le regalò una leggera carezza, il suo stomaco rimbalzò tre o quattro volte.
- …ma tu stai bene? – concluse il ragazzo, non senza una nota di preoccupazione nella sua voce.
Daphne, che non aveva udito un emerito paiolo del suo discorso, sbattè leggermente le palpebre per metterlo bene a fuoco.
 
Blaise.
 
Blaise a un centimetro dalla sua faccia.
 
La Serpeverde rischiò di fare una capriola all’indietro quando si rese effettivamente conto di chi diavolo aveva davanti. Balzò in piedi come una rana, rischiando malamente di inciampare.
- Daphne! – esclamò Blaise, sorpreso, con la mano ancora protesa a mezz’aria.
- B-b-blaise?! – strillò isterica. La ragazza deglutì pesantemente, inconsapevole di quello che le stava succedendo. Non sapeva proprio come spiegarsi quello strano torpore che l’aveva avvolta fino a un secondo prima e le aveva impedito di rendersi pienamente conto che, per Merlino, Blaise era lì, a un centimetro dalla sua faccia. E le stava facendo una carezza.
- Hei, hei, non ti agitare. – si affrettò a dire Blaise, mettendo le mani avanti, senza sapere cosa aspettarsi da lei.
- Non sono agitata! – esclamò Daphne con tono petulante, al limite dell’isteria.
Il Serpeverde sospirò, avvicinandosi di nuovo e per tutta risposta la ragazza indietreggiò con il respiro corto. Ma cosa Merlino le prendeva? Cos’era quell’assurda sensazione di… di… saltargli addosso?! Inoltre, l’enorme buco nero che aveva in testa e che le impediva di ricordare cosa fosse successo e del perché lei non si trovasse alla festa contribuiva a farla agitare e innervosire più di quanto già non fosse. L’ultima cosa che poteva affermare con sicurezza di ricordare era quella sensazione nauseante che l’aveva assalita quando aveva scorto Blaise e quella piovra bionda baciarsi.
- Perché siamo qui? – riuscì a chiedere alla fine, imponendosi di non arretrare più.
 
Per Salazar, è soltanto Blaise, datti una calmata! 
 
Il ragazzo non rispose, palesemente confuso dai suoi atteggiamenti e assunse un’espressione pensierosa, esaminandola scrupolosamente. Separò poi con una falcata lo spazio che li divideva, poggiandole una mano sulla fronte.
Fu talmente brusco lo scatto che Daphne fece per sottrarsi a quel contatto che la sua schiena cozzò brutalmente contro il muro.
- Hai… paura di me, Da? – le domandò il ragazzo, registrando le sue reazioni.
- Eh?! – rispose la Serpeverde con una smorfia, palesemente indignata.
Ma che domanda stupida era? Lei non aveva paura di niente! Di Blaise meno che mai! Il fatto che il suo corpo le stesse lanciando degli strani segnali e fremesse dalla voglia di buttarsi di peso addosso a lui, era soltanto un piccolo e imbarazzante problema che avrebbe risolto il prima possibile.
- Hai… paura di me? – ripetè allora Blaise.
- No! – rispose con fermezza, mentre ancora tentava di capire perché mai loro due si trovassero lì. – P-perché siamo qui? – domandò maledicendosi per quel balbettio. – E poi che vuol dire se ho paura? Perché dovrei averne?
- Non ricordi niente?
- No! – esclamò esasperata. – Ho un enorme buco in testa, non ricordo assolutamente nulla di nulla! E se tu magari ti degnassi di spiegarmi cos’è successo, senza perdere tempo a farmi domande idiote…
- Vedo che non hai perso la tua isteria, però… – rifletté Blaise, tremando già all’idea che ricominciasse a parlare come prima.
- Cosa?! Io non sono isterica, chiaro?!
- Mah…
- Per Salazar, Blaise, potresti darmi una spiegazione decente?
- Hai avuto un piccolo incidente. – rispose con calma il ragazzo, analizzando nuovamente il suo viso cercando di capire se l’effetto della sostanza ingerita fosse svanito o meno. – Non so spiegarti di preciso come o perchè, ma hai bevuto una pozione, o almeno questo è quello che mi ha detto Pansy, che … ti faceva straparlare, più o meno. – fece una smorfia, prima di continuare. – Tralasciando i dettagli, io e Pansy abbiamo ritenuto che fosse meglio portarti via. Lei è rimasta alla festa per non dare nell’occhio, mentre io ti stavo accompagnando. – concluse, eliminando una buona dose di dettagli.
- Chissà come ti è dispiaciuto lasciare quell’oca bionda con cui ti stavi intrattenendo… – fu la sarcastica e tagliente risposta di Daphne.
Blaise spalancò i suoi occhi blu.
- Ti ho appena detto che hai bevuto una pozione che ti ha fatto assumere comportamenti irrazionali e l’unica cosa che ti viene in mente di rispondermi è questo? Il fatto che io stessi ballando con una ragazza?
La Serpeverde si morse la lingua, chiedendosi perché avesse aperto bocca. Sollevò le spalle il secondo successivo e assunse un’espressione spavalda.
- Beh? È l’ultimo ricordo che ho della festa, che posso farci? Mi sarà rimasto impresso a causa del disgusto probabilmente. – ironizzò, con pesante sarcasmo. – Sono tutte interscambiabili per te, eh Blaise?
Gli occhi del Serpeverde si strinsero in due fessure, non appena udì le sue parole più affilate di una lama.
- Anche se fosse… – sibilò. – …non vedo come la cosa possa riguardarti, Daphne. Non hai alcun diritto di giudicarmi e, soprattutto, non sei la mia ragazza.
Forse una secchiata d’acqua gelida l’avrebbe colta meno alla sprovvista. Sapeva che Blaise non provava niente nei suoi confronti, ma sentirselo sbattere così brutalmente in faccia era stato peggio che ricevere uno schiaffo.
Merlino, quando avrebbe imparato a tenere a freno la lingua? Gli occhi improvvisamente le si fecero lucidi, senza un motivo preciso. Non erano certo una novità le parole di Blaise, se le ripeteva anche lei continuamente. Non era la sua ragazza e non era autorizzata a fargli alcuna scenata di gelosia, doveva soltanto farsene una ragione e imparare ad accettarlo.
- Per fortuna. – rispose ironica, nascondendo tutte le crepe che increspavano il suo cuore. Incrociò le braccia al petto, cercando di calmare quelle strane ondate di calore che avvertiva da quando si era svegliata e che ancora non accennavano ad andarsene. Merlino, non sapeva su cosa concentrarsi, se su quelle strane sensazioni che la stavano attraversando, o se sulla delusione che covava nel profondo dell’animo.
- Comunque… – riprese Blaise dopo qualche secondo, cercando di non far trapelare la rabbia. – Mentre borbottavi qualcosa sul fatto che il mio nome comincia per B sei svenuta improvvisamente. Poi ti sei risvegliata e… beh, il resto lo sai.
- Sono svenuta?
- Già. – fu tutto quello che rispose il Serpeverde, infilando le mani nelle tasche del completo che aveva indossato per la festa, nel tentativo di nascondere il loro tremolio. Merlino, conosceva Daphne ed era ben consapevole del suo caratteraccio e delle frasi estremamente taglienti che era solita rivolgergli, ma questo non le dava certo il diritto di dirgli certe cose. Prese un bel respiro, calmandosi un po’.
- Ah. – chiosò la Serpeverde.
- Comunque ora stai bene, o no? – le chiese bruscamente il ragazzo.
A dire tutta la verità Daphne non si sentiva per niente bene. Tralasciando quella piccola stretta al cuore provocata dalle parole di Blaise, quella strana sensazione continuava a perpetrare nel suo corpo e non presagiva nulla di buono. Il fatto che ogni volta che i suoi occhi si soffermavano sul viso di Blaise, anche solo per un istante, lei sentisse l’impulso di abbracciarlo, poteva essere considerata una cosa positiva? E il fatto che prima, quando involontariamente i suoi occhi verdi si erano posati sulle labbra del ragazzo, lei avesse avuto l’istinto di gettarglisi addosso, poteva anche questa essere considerata una cosa positiva?
Annuì distrattamente al Serpeverde, non arrischiandosi a guardarlo neppure, casomai avesse sentito qualche altro impulso.
- Possiamo andare nei dormitori? – la ragazza fu la prima a stupirsi per quella richiesta. Piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno, si sarebbe fatta Cruciare, specialmente a Blaise e, in particolar modo, dopo quello che le aveva detto. Eppure era più che certa che restare da sola non fosse affatto una buona idea e la prospettiva di dover raggiungere in solitudine il suo dormitorio le fece accapponare la pelle.
 
Cosa mi sta succedendo?
 
Non che la compagnia di Blaise l’aiutasse chissà quanto (anzi, peggiorava le cose), ma era sicura che se si fosse separata da lui, sarebbe stato peggio. Insoliti brividi cominciarono a percorrerle interamente la spina dorsale e il fiato si fece più accelerato.
- Mi dispiace per quello che ti ho detto, non avrei dovuto.
Per un attimo si bloccarono entrambi, estremamente sconcertati.
Blaise per poco non si strozzò con la sua stessa saliva, con gli occhi fuori dalle orbite.
- Tu, Daphne Greengrass, la persona più orgogliosa del Mondo Magico, che non chiederebbe scusa nemmeno se ti minacciassero con un Avada Kedavra, mi… hai appena detto che ti dispiace?! – esclamò, senza scherno.
- Ehm, eh… Uhm.  – borbottò Daphne per tutta risposta, desiderando prendersi a schiaffi da sola. Per Salazar, magari poteva averle anche pensate quelle parole, ma dirle assolutamente no!
 
Ma cosa Merlino mi prende?!
 
Arrossì come un pomodoro maturo, per la prima volta nella sua vita a corto di parole.
- Beh?! – gracchiò, profondamente a disagio. – Qualche problema?
Blaise sbattè le palpebre più e più volte, probabilmente chiedendosi se fosse davvero Daphne la ragazza di fronte a lui, tutta imbarazzata e tremante, così diversa dalla versione che era abituato a conoscere, fredda e distante.
- Ma no, certo che no. – borbottò il Serpeverde, con una smorfia divertita. – Non ti ritenevo capace di una tale empatia, tutto qui. – la prese scherzosamente in giro, tentando di toglierla dal disagio.
Daphne sbuffò.
- Questo perché sei un babbuino senza cervello!
Blaise ridacchiò, sinceramente divertito dal suo rossore e dal tono isterico che aveva assunto la sua voce.
- Anche a me dispiace. – confessò poi, senza imbarazzo. – Non volevo risponderti in quel modo.
Il cuore di Daphne riprese a correre più forte che mai, mentre deglutiva pesantemente. Forti scariche elettriche si propagarono lungo tutto il suo corpo in quel preciso istante, osservando il sorriso appena accennato sulle labbra di Blaise.
- Bene, uhm, meglio così. – balbettò, tentando di dare un freno a quegli spasmi violenti che le inondavano il cuore a intermittenza.
- Torniamo ai dormitori, avanti.
Blaise appoggiò una mano sul braccio di Daphne, con una delicatezza che non si aspettava. Per tutta risposta, la ragazza ebbe un violento sussulto, avvertendo l’ennesima scossa elettrica irradiarsi nel corpo. Si scostò immediatamente come se fosse stata punta da una zanzara e spostò lo sguardo, arrossendo.
- R-rientriamo?! – sbottò, un attimo dopo.
- Ma non è che hai la… – Blaise le toccò la fronte con la mano.
Daphne squittì. Proprio così, l’algida, fiera e fredda Serpeverde… squittì. Rischiò nuovamente di cadere, tanto brusco fu lo scatto per allontanarsi.
Una mano sulla guancia, una mano sul suo braccio, una mano sulla fronte, ma come mai Blaise aveva tutta questa mania di toccarla?! E quante mani aveva, soprattutto?!
- C-che f-fai?
- Daphne, sei sicura di star bene? Sei diventata rossa all’improvviso!
- Sto be-benissimo! – mentì spudoratamente la ragazza, commettendo il gravissimo errore di guardarlo. Aveva degli occhi così belli…
Daphne, come ipnotizzata, riprese la mappatura del viso di Blaise, già cominciata qualche minuti prima; percorse con lo sguardo la linea sulla sua fronte, per poi proseguire il tragitto fissando gli zigomi, la mascella e infine ritornò con gli occhi su quelle labbra, che sembravano in procinto di baciare… Improvvisamente cominciò a fare caldo, un grande, grandissimo caldo, un insopportabile caldo.
- Sto… benissimo! – ripetè, cercando di non andare fuori di testa, per quelle ondate bollenti che a intermittenza la scuotevano dalla testa ai piedi. Distolse frettolosamente lo sguardo, sperando che il Serpeverde non avesse fatto caso all’inconscia adorazione con cui l’aveva appena fissato.
- Se ne sei convinta. – mormorò il ragazzo, riprendendo a camminare.
Daphne lo seguì tenendosi però a debita distanza.
Era leggermente indietro rispetto a lui e aveva una perfetta visuale delle sue spalle ampie, del fondoschiena, del suo sedere… Arrossì ancora di più come un pomodoro maturo. Guardò immediatamente a terra, vergognandosi per quei pensieri di se stessa. Non era abituata a… pensare certe cose! Non poteva davvero credere di aver sezionato il sedere di Blaise con lo sguardo!
Continuò a camminare, con lo sguardo ben piantato sul pavimento, tanto che neanche si accorse che Blaise si era fermato e vi andò a sbattere malamente contro. Deglutì non appena i loro corpi vennero a contatto e fece di tutto per trattenersi e non stringerlo a sé; gonfiò le guance come un pesce palla per non emettere il minimo suono. Non si fidava della sua voce.
- Siamo arrivati. – sussurrò il ragazzo.
Stranamente la sua voce le sembrava più… più… calda… più… Daphne si schiaffò una mano in viso, tentando di scacciare via quei maledetti pensieri pieni di visioni né caste né pure.
- Daphne, per Merlino, stai bene? – chiese Blaise preoccupato.
La ragazzo non rispose, inclinò la testa di lato, osservando il suo pomo d’Adamo fare su e giù, chiedendosi come sarebbe stato poggiare le labbra sul suo corpo, sulla sua pelle…
- Daphne?
- Mh?
- Mi stai… accarezzando? – chiese stranito Blaise. La Serpeverde spalancò gli occhi, osservando la sua mano che gli stava accarezzando i capelli alla nuca. Come… quando ci era arrivata lì?! Fissò il suo braccio, come se fosse stato dotato di vita propria.
- Io…io… – tentò di giustificarsi la ragazza, non avendo la minima idea di cosa dire.
- Tu… ?
- N-niente, ok? Sono stanca, va bene? Non… non…
- Non ti senti bene. – immaginò Blaise. D’altronde ricevere per la prima volta in sette anni una carezza dalla sua compagna di casa, con la quale aveva tutt’altro che un rapporto idialliaco, doveva averlo messo in allarme e gli aveva fatto venire il dubbio sulle sue condizioni di salute.
- Mi sento… strana, tutto qui. – bisbigliò la ragazza, cominciando a sudare freddo.
- Strana in che senso?
- Nel senso che… che… – Daphne s’interruppe. Non poteva certo dirgli che appena lo guardava il suo primo pensiero era quello di saltargli addosso! Scosse nuovamente la testa, desiderando che quei pensieri si allontanassero il più in fretta possibile dalla sua mente. – Non lo so… Colpa della pozione… – borbottò.
- Dai, andiamo. – decise alla fine Blaise, dopo aver mormorato la parola d’ordine. Daphne deglutì, cercando di non pensare che sarebbe bastato allungare la mano di un centimetro per sfiorare quella del ragazzo, e, soprattutto, cercando di scacciare dalla sua mente un’immagine di Blaise in una posa… particolarmente… particolare. Per un attimo credette che il rossore le sarebbe uscito anche dalle orecchie tanto si fece intenso.
 
Basta, basta, basta.
 
La ragazza boccheggiò, mentre cominciava a tremare convulsamente. Merlino, non aveva mai pensato a cose così… così… così!
Una volta dentro e spostato l’arazzo per arrivare in Sala Comune, il ragazzo la fissò.
- Daphne, se stai bene, io tornerei alla festa… – tentennò, chiedendole con lo sguardo se dovesse rimanere.
- Cosa?! – esclamò la Serpeverde, improvvisamente nel panico. Senza pensare minimamente a quello che faceva, si aggrappò al suo braccio, con un’espressione profondamente disperata.
Blaise, alquanto perplesso, alzò le sopracciglia, guardandola come se fosse impazzita. E forse, Daphne, impazzita lo era davvero.
- Non… devo?
- No! – urlò la ragazza un po’ troppo ad alta voce. – Io non voglio entrare nella mia camera da sola! No, no, no! Ho… ho paura!
- Eh?
- E’ buio! Tu… tu… vuoi lasciarmi da sola? – improvvisamente quell’idea le parve talmente insopportabile, che pur di non farlo andare via avrebbe preferito che le fosse inflitta qualunque tortura. Qualunque. Tranne quella della sua assenza.
- …Beh…
- No, no, no, no, no! Non farmi andare da sola in camera! È tutto buio e c’è quel maledetto mostro che vuole mangiarmi!
- Mostro?
- Quell’orribile essere mutaforma che mi guarda in maniera arcigna e meschina, aspettando solo un mio passo falso per uccidermi!
- Quale… mostro?
- La gallina!
- Ah. – commentò Blaise, laconico. Si passò una mano tra i capelli, spiazzato e confuso da quella situazione. – Ma… tu hai paura del buio?
All’improvviso a Daphne mancò l’aria. Avrebbe preferito non confessarlo neanche sotto tortura, avrebbe preferito mentire per il resto dei suoi giorni, sarebbe morta piuttosto che rivelarlo. Non che davvero avesse paura del buio, semplicemente la… infastidiva. Non sapere cosa ci fosse al di là di quel nero, era… inquietante. Non era paura, si ripeteva ogni volta. A voler essere pienamente sinceri, la sua paura del buio era anche uno dei motivi per cui apriva sempre la finestra, inverno o estate che fosse. In questo modo riusciva a scorgere il flebile riflesso della luna, in modo che non fosse tutto buio pesto; questo però non lo aveva mai confessato a nessuno, nemmeno a Pansy. L’unico a saperlo davvero era Draco: quando l’aveva scoperto l’aveva presa in giro per un tempo che le era parso infinito, ma poi le aveva promesso che non lo avrebbe rivelato a nessuno.
Daphne non capì mai perché quelle parole sul fatto che avesse paura del buio le fossero scivolate fuori così velocemente e spontaneamente.
 
Colpa di quella maledetta pozione.
 
- Non ho paura del buio…mi irrita. – chiarì la ragazza, sussurrando a malapena le parole. – Però non voglio entrare al buio! Non mi piace!
- Daphne, non capisco, cosa vuoi che faccia?
- Non voglio entrare nella mia camera da sola! – si lamentò la Serpeverde, sentendosi una bambina.
 
Ma cosa Merlino sto dicendo?
 
Quelle parole rotolavano fuori dalle sue labbra, senza che riuscisse a controllarle, come un istinto. Un impulso fortissimo, che le impediva di dire qualcos’altro se non la verità.
- Daphne, io non posso accompagnarti nel dormitorio delle ragazze. Le scale non permettono ai ragazzi di passare, verrei respinto, lo sai, no?
- Ma… ma… Blaise non lasciarmi da sola! Per favore! – fu quell’ultima parola soffocata che fece capire a Blaise che Daphne non era propriamente in sè. Furono quelle due semplici parole che gli fecero spalancare gli occhi, dandogli una simpatica aria da pesce lesso. Fu quel “per favore” che lo fece strozzare con la sua stessa saliva e che gli fece capire che quella che aveva davanti non poteva essere Daphne; perché Daphne non gli avrebbe mai chiesto di accompagnarla, non gli avrebbe mai detto della paura del buio, non avrebbe mai e poi mai, chiesto “per favore”. La ragazza di fronte a lui non poteva essere Daphne, perché Daphne non lo avrebbe mai guardato in quel modo, con due occhioni giganteschi e un’espressione disperata, non gli avrebbe mai stretto il braccio in una presa spasmodica.
 
Non era Daphne.
 
O forse era lui che non si era mai accorto di quanta debolezza fosse nascosta dietro quell’algida reputazione e quel muro spesso, dietro quale la Serpeverde si rifugiava.
 
Forse era lui che non sapeva chi era.
 
L’unica cosa che capì in quel momento è che i suoi comportamenti fossero dovuti alla pozione, segno che il liquido era ancora in circolo nel sangue e avrebbe potuto avere qualche altro effetto, stavolta più grave.
- Ho capito. – borbottò il ragazzo. – Vieni con me. – Si stupì del rossore diffuso sulle guance dell’amica e, soprattutto, nel sentirla così vulnerabile.
Blaise aprì la porta della sua stanza e vi sospinse Daphne dentro.
- Io non posso entrare nel tuo dormitorio, ma tu nel mio sì. E se non vuoi essere sola…
- Infatti! – ancora una volta la parola fuoriuscì dalle sue labbra prima che potesse far qualcosa.
- Daphne, io… voglio parlarti. – chiarì Blaise, fissandola negli occhi e la ragazza si ritrovò a sprofondare in quello sguardo, per l’ennesima volta.
Il Serpeverde prese una sedia, accomodandocisi sopra, mentre pensava bene a quello che voleva dirle. Dato che ormai non aveva la possibilità di tornare alla festa, tanto valeva che provasse a chiarire gli attriti che c’erano stati tra loro negli ultimi tempi.
- Siediti dove vuoi.
Daphne gli si sedette di fronte e deglutì, chiedendosi per quale assurdo motivo non fosse voluta andare nella sua camera da sola: per lei in quel momento, con gli ormoni a mille, sarebbe stato molto, ma molto, meglio stare da sola. Eppure l’istinto aveva prevalso.
 
Colpa di quella maledetta pozione.
 
Blaise si schiarì la voce.
- Allora, senti…
 
Daphne tentò di concentrarsi sulle sue parole.
 
L’unica cosa che riuscì a scorgere furono gli occhi di Blaise, più blu del mare profondo, l’unica cosa di cui si interessò furono le sue labbra che si aprivano e si chiudevano mentre parlava. L’unica cosa che percepì fu quel calore immenso che crepitava nel petto e si espandeva sempre di più come fuoco, rubando l’aria ai polmoni.
- Vorrei chiarire quello che ho successo oggi, non pensavo seriamente quello che ti ho detto.Certo che anche te quando ti ci metti, sei veramente insopportabile…
 
Daphne tentò di concentrarsi sulle sue parole.
 
Ma come poteva ascoltare quando lo aveva così vicino, quando finalmente sentiva che tra loro non c’erano barriere, quando capiva che lei stessa per una volta non sarebbe stata una barriera? Come poteva anche solo sperare di udire qualcosa, quando sentiva i propri occhi farsi lucidi, il proprio respiro spezzarsi, le proprie labbra impregnarsi di sangue, a causa dei denti che le mordevano a forza? Quando avrebbe dovuto ascoltare, se era troppo concentrata a tentare di non tremare e a trattenersi le mani e le braccia, affinché non andassero a cingere il collo di Blaise?
- Daphne, mi stai ascoltando?
 
Daphne tentò davvero di concentrarsi sulle parole.
 
Ci provò. Ci provò davvero. Tentò sul serio di non fissare come un’ebete il viso di Blaise, ma non ci riuscì. Provò a restare ferma, cercò di trattenersi con tutte le sue forze.
 
Non ce la fece.
 
- Sei d’accordo con quello che ti ho appena detto? – chiese il Serpeverde. – Perché io non so più davvero cosa far…
Daphne non gli fece terminare la frase, perché si avvicinò a Blaise e premette il proprio corpo contro il suo, tappandogli la sua bocca con la propria. Era… era bruciante avvertire la pressione delle labbra del ragazzo sulle sue, era ustionante, come una scintilla di fuoco in mezzo alla polvere da sparo.
- Daphne! – strillò Blaise con voce alquanto stridula, liberandosi della sua presa e scostandola per le spalle. Si alzò in piedi di scatto, allontanandosi con furia.
- Io… io… ti voglio, Blaise. – sussurrò la ragazza, arrossendo e perdendo l’unico pizzico di lucidità che aveva cercato di mantenere.
Blaise deglutì pesantemente, non credendo alle proprie orecchie.
- Daphne, che d-dici? – farfugliò, notando che la ragazza si stava nuovamente avvicinando.
- Io…io…
Gli occhi verdi di Daphne sembravano colmi di lacrime, anche se non vi era nessuna traccia di lacrime su quel viso così bello.
– Voglio… voglio… che tu stia con me.
- Uhm… eh… uh… ecco… Forse… credo che… probabilmente non stai bene. – dichiarò Blaise alla fine, rischiando di inciampare tra i suoi stessi piedi.
- Allora fammi star bene tu. – replicò la ragazza, avvicinandosi ancora.
- Daphne… forse… è meglio… direi… cioè… – borbottò.
- Zitto, Blaise, stai zitto. – lo interruppe, raggiungendolo definitivamente e appoggiando i palmi sulle sue guance.
- Ehm, ehm, non credo che tu sia nel pieno delle tue facoltà mentali, quindi penso che… – prima che potesse finire la frase, la ragazza nuovamente premette le labbra sulle sue, con più forza e tenacia. Stavolta fu diverso. Fu un bacio quasi disperato, come se Daphne non volesse in nessun modo farlo andare via.
- Daphne! – strillò nuovamente Blaise, arrossendo di botto.
- Blaise, Blaise, Blaise, il tuo nome comincia per B… –  cantilenò sognante, mentre tentava di riavvicinarlo. Il ragazzo si scostò, schivandola di nuovo; successivamente, le  afferrò bruscamente un braccio, facendola sedere sulla sedia.
- Resta lì. – ordinò, mentre cercava qualcosa nel cassetto del comodino vicino al suo letto. Neanche a dirlo, un attimo dopo, Daphne lo abbracciò da dietro come un koala. Sbuffando, il ragazzo si girò, allontanandola, riconducendola nuovamente alla sedia. Daphne sorrise sognante, osservando l’irruento spirito d’iniziativa del ragazzo. Un sorriso che si smorzò quando notò che era stata imprigionata con vari lacci alla sedia. Si accorse troppo tardi dell’incantesimo che Blaise le aveva fatto, legandola come se fosse un prigioniero di guerra.
- B-blaise! – si lamentò, tentando di liberarsi.
- Tu resti lì, Daphne, finché l’effetto della pozione non svanisce. – chiarì sedendosi di fronte a lei e fissandola con espressione torva.
- Ma… ma… No, no, no, liberami! Liberami, avanti! – Daphne provò a liberarsi, ma i lacci erano annodati in modo troppo stretto, per cui non le restò altro da fare che cominciare a saltellare con la sedia per avvicinarsi a Blaise.
- Non costringermi a incollare la sedia al pavimento. – la minacciò il Serpeverde.
La ragazza smise immediatamente di spostarsi, non sapendo cosa fare. Ma come poteva, Blaise, legarla e tenerla lontana da lui? Come poteva, lei, non abbracciarlo, toccarlo, baciarlo, se il suo corpo tremava incontrollato, scosso da fremiti intermittenti, per quel desiderio che non riusciva a realizzare? Come poteva, lei, sopravvivere a una simile tortura?
- Smettila. – sbottò infine il ragazzo, dopo varie proteste. – Resterai incollata alla sedia, finché non ritornerai te stessa.
 
Blaise, quella sera, non capì che la Daphne che gli si stava mostrando, era quella parte piccola e fragile di lei che non era mai venuta fuori.   
 

 

 

 
Era stato facile non curarsi degli altri. Era stato semplice accogliere l’esortazione di Ginny e seguire l’istinto. In quell’istante lo era un po’ meno. Aveva prelevato in fretta e furia la “Mappa del Malandrino” dalla camera di Harry e Ron, pur sapendo di non averne chiesto il permesso, ma sperando che il ragazzo non se ne accorgesse prima che lei riuscisse a rimetterla al suo posto. Non avrebbe mai trovato Draco senza l’aiuto della mappa; neanche conosceva l’esistenza di tutte quell’aule in disuso al terzo piano e se fosse andata alla cieca, avrebbe finito per perdersi vagando inutilmente e a vuoto.
Quando provò ad abbassare la maniglia della porta, la trovò chiusa. Sussurrò l’incantesimo e la serratura scattò: sporse timidamente la testa, cercando di scorgere qualcosa in quella massa di ombre presenti nella stanza. Era inquietante essere in quell’aula di notte, dovette ammettere. Era completamente buio, il riflesso pallido della luna non illuminava più di tanto il luogo. Tra quelle ombre scure, una minuscola nota di colore che si contraddistinse: una chioma bionda, che pareva ancora più chiara in contrasto col nero. Per un attimo si chiese perché Draco avesse scelto di venire proprio lì, come lo aveva riscoperto a fare qualche volta durante gli scorsi mesi; chissà quale significato poteva nascondere quella stanza isolata. O forse non significava niente e lei si stava facendo inutili paranoie mentali e quello non era certo il momento per pensieri assurdi: doveva risolvere la questione.
Un moto di rabbia le risalì nel petto al pensiero delle parole brutalmente taglienti e meschine che Draco le aveva rivolto.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Tutto, anche me stessa.
 
Allora butta via la rabbia, quella non ti serve.
 
Ingoiò la rabbia, l’impulso che la spingeva ad attaccarlo nelle loro solite schermaglie, mirate a far male. Non fu facile lasciar perdere quell’emozione, così sbagliata eppure così forte.
 
Butta via l’umiliazione, non serve.
 
Con un groppo ancora più gigantesco, ingoiò l’umiliazione. Fece scivolare via dalla sua testa tutte quelle parole cattive e crudeli, tentò di liberare il suo corpo da quel malessere crepitante che la faceva star male.
 
Butta via le apparenze.
 
Questo sembrava facile. Si premunì di parlargli davvero a cuore aperto, di chiarire una volta per tutte quell’assurda situazione, consapevole del fatto che nessuno dei due avrebbe resistito ancora per molto.
 
Butta via il tassello più grande.
 
L’orgoglio.
 
Quello fu difficile. L’orgoglio era parte di sé, qualcosa che la influenzava, senza che lei potesse farci niente; ma sapeva di non potersi basare sul suo orgoglio e i pregiudizi che ne scaturivano per affrontare la situazione con Draco. Si sarebbero distrutti, prima o poi, se uno dei due non avesse allentato la presa.
Ingoiò anche l’orgoglio ed entrò nella stanza, sussurrando un “lumus”.
- Ti avevo detto di andartene, Granger. – la freddò Draco immediatamente.
- E perché avrei dovuto ascoltarti?
 
Attenta, piccola Grifona.

L
’orgoglio può distruggervi.
 
Udì uno sbuffo leggero e lo considerò un buon segno, facendo qualche passo nella sua direzione. Tentò di essere il più silenziosa possibile, ma distrattamente inciampò in qualcosa per terra, cascando e non scontrando per poco il proprio naso contro il pavimento. Non poté impedirsi di mugolare di dolore, strofinandosi le mani lese.
Udì una bassa melodia. Una risata interrotta.
- Merlino, quanto sei goffa. – stranamente quell’offesa non la scalfì minimamente, anzi quasi le piacque.
La ragazza si avvicinò, sempre in religioso silenzio, fino a sedersi su un banco dell’aula, poco distante da quello su cui era seduto Draco.
Aspettò.
Aspettò semplicemente che lui parlasse, che riuscisse a ritrovarlo, il Draco che aveva visto prima. Passò tanto tempo,  o almeno fu quello che le sembrò. Rimase semplicemente lì a fissarlo, tentando di scoprire i segreti che nascondeva e di vedere al di là della sua barriera, reprimendo l’istinto di aprire bocca ad ogni secondo che passava.
Poi finalmente ci fu un’altra melodia. Una risata arrendevole, quasi inesistente.
Stavolta più debole, più triste.
- Non ti capisco proprio, Granger.
Udire la sua voce fu tanto bello quanto sconvolgente; prima che potesse chiedere di cosa stesse parlando il ragazzo la anticipò.
- Non so cosa fare con te, perché fai così?
- Con…me? – chiese incerta la Grifondoro, stupita dal suo tono come dalla sua domanda.
- Sì, con te. – Draco la guardò.
 
Gli occhi grigi di Draco le avrebbero restituito se stessa.
 
Ma lui non sembrava pronto per questo passo. Sembrava che avesse bisogno di ritrovare se stesso,oltre che restituirle quella parte di sé.
- Cosa intendi?
- Perché, Granger? Perché lo fai? – lo sentì bisbigliare. Non capì la domanda, non volle neanche comprenderla, era solo consapevole che per la prima volta da quando aveva scoperto che era incinta lei e Draco stavano parlando come persone civili, senza scontri o offese. A dir la verità, era la prima volta in tutta la sua vita.
- Faccio… cosa?
Lo sguardo di Draco la stava facendo agitare. La stava guardando nello stesso modo in cui un lupo guarda la propria preda e, contemporaneamente, la fissava nel modo in cui una preda guarda un lupo.
- Di che parli? – mormorò Hermione, sorpresa di avere ancora le facoltà mentali per rispondergli e per formulare una frase coerente, dopo quello sguardo sconcertante.
- Io ogni volta ti respingo, ogni volta ci insultiamo come due bambini, ma entrambi sappiamo che nelle nostre offese non c’è più nessuna traccia d’innocenza. Ogni volta facciamo di tutto per ferire l’altro.
Hermione attese, consapevole del fatto che qualunque cosa avesse detto non sarebbe stata giusta.
- Eppure tu… ogni volta… torni. Non importa quanto male ci sia tra noi, tu torni, Mezzosangue, torni ogni volta.
- E questo cosa significa? – domandò Hermione, più bruscamente del dovuto, atterrita dalla possibilità che lui avesse intuito i suoi sentimenti.
Vide il suo sguardo indurirsi sotto la sua domanda, vide la maschera che ritornava, ma anche prima che lei riuscisse a spiaccicare parola, qualunque parola pur di non vedere quella maledetta barriera infrangersi tra loro, Draco l’anticipò.
- So che c’è un motivo, Granger, qualcosa che non mi stai dicendo. Lo stesso motivo, per cui tu, quella sera, hai scelto me.
 
Hai già scelto, Hermione. Hai già scelto Malfoy.
 
- I-io non ho…
- Era la tua prima volta, Mezzosangue! – sbottò il ragazzo infine, con uno sbuffo. Sembrava che le sue parole fossero programmate come una bomba a orologeria, pronte a venir fuori alla prima occasione. – La tua prima volta, ma per Merlino! Perché proprio io?
Le parole rimasero sospese nell’aria, si dilatarono nella loro pienezza e riempirono lo spazio tra loro, tanto che entrambi i ragazzi ebbero la sensazione di essere spinti fuori da quel bagno, fuori dal loro stesso corpo.
Una miriade di emozioni colò come lava dentro di il petto di Hermione.
 
Era la tua prima volta.
 
Si torse le dita.
 
Perché?
 
Quante volte quella domanda aveva preso forma nella sua mente? Quante volte lei stessa si era posta quel quesito? Dopo tutto quel tempo ancora non aveva trovato risposta.
 
Perché hai scelto me?
 
Spesso aveva provato a interrogare il suo cuore sul perché; ma, come sempre era successo, non esisteva una risposta per ciò che sentiva.
Il cuore e basta.
- Di solito le ragazze non vogliono che sia con la persona giusta, o cose simili? Tu perché hai deciso di concederti alla persona che più odi al mondo? – nelle parole di Draco non albeggiava alcuna cattiveria, solo realtà. Le stava facendo quelle domande per pura e semplice curiosità, sbattendole la verità in faccia.
Le mani di Hermione smisero di torturarsi a quelle parole.
- Io non ti odio. – fu la sua semplice risposta.
Draco le lanciò un’occhiata di traverso a quelle parole. Rimase impassibile, ma Hermione scorse tra quegli occhi chiari un lampo di sorpresa.
- Non hai risposto alla mia domanda.
Hermione non rispose. Non era pronta per rivelare sentimenti che lui non avrebbe sicuramente capito. L’equilibrio tra loro era dannatamente precario, una sola parola l’avrebbe ridotto in mille pezzi; anzi, neanche era tanto sicura che ci fosse tra loro, un equilibrio.
Si limitò a fissarlo, chiedendosi quando l’aria le sarebbe ritornata nei polmoni e quando le parole le sarebbero uscite fuori.
- Non ti capisco. – continuò Draco, provocandole dolore e gioia insieme per il fatto che ancora non avesse compreso i suoi sentimenti.
- Tu perché piangevi quella notte? – ribatté la ragazza, sfidandolo.
Si aspettava una reazione brusca o qualche occhiata tagliente, ma l’unica cosa che Draco si limitò a fare fu inclinare leggermente il capo e lasciar trapelare un piccolo sorrisetto sulle labbra.
- Non ti arrendi mai, Mezzosangue, eh? – il tono era cambiato, si era fatto più tagliente, si era fatto più Malfoy.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- No. – sfiatò la ragazza, respirando velocemente. – Mai.
- E’ questo quello di cui parlo: ci insultiamo, ci feriamo a vicenda, eppure tu continui a insistere, continui a non arrenderti. Tu continui a tornare.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- Tu torni indietro, Mezzosangue. Sempre. Perché?
- Lo faccio per mituno… per il bambino. – Confessò con una mezza verità. Dire “mio” o “tuo” figlio le pareva errato, “nostro” troppo precoce.
Draco rimase in silenzio. Non disse niente, ma i suoi occhi parlarono per lui, lanciandole quella che sembra un’occhiata impietosita.
- È forte, sai? – si decise Hermione a spezzare il silenzio, dato che il ragazzo non accennava la minima parola. – Madama Chips dice che è forte. – ripeté la ragazza, sentendosi un po’ in imbarazzo.
- Ti assomiglia. – borbottò il Serpeverde, così a bassa voce che probabilmente non pensava neanche di essere ascoltato.
Hermione sussultò per quello strano complimento: forse avrebbe dovuto rispondergli qualcosa, magari un “grazie”, ma sapeva che lo avrebbe messo a disagio.
- Perché t’interessa tanto sapere cosa mi è successo tempo fa? – chiese infine Draco.
Si avvicinò, tanto che, per un istante, Hermione si ritrasse. Non c’era più traccia della paura che aveva provato poco prima, ma c’era ansia, diffidenza, una barriera che s’innalzava.
 
Butta via le apparenze, Hermione.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- Perché quello è il tuo confine, Malfoy. È stata la prima volta in cui ti ho visto come una persona vera e non come…
 
Non come Malfoy.
 
Si interruppe, rendendosi conto troppo tardi di aver azzardato troppa sincerità e che avrebbe peggiorato le cose.
- Tu non sai niente di me. – ribatté il ragazzo gelido.
- È per questo che te lo sto chiedendo, Malfoy. Perché non so niente di te.
 
Perché piangevi quella notte?
 
- Perché Merlino dovrebbe interessarti?
- E a te perché interessa sapere il motivo per cui ti ho scelto?
 
Tentavano a vicenda di far scoprire l’altro, ma erano troppo bravi a quel gioco, a nascondersi dietro alle domande che non avrebbero portato a niente, se non a un malessere per quelle risposte terribilmente vuote.
 
- Non ti arrendi mai, Granger? – ripeté Draco, muovendo a malapena la linea delle labbra.
Hermione deglutì.
Era davvero l’ombra di un sorriso quella che per un attimo aveva visto aleggiare sul suo volto? Forse fu quel piccolo gesto a portarla a compiere il più grosso passo della sua vita, rischioso e letale. Non seppe mai cosa le passò per la testa quando disse quelle parole, fu solo istinto.
- Vieni con me per le vacanze di Natale.
Draco strabuzzò gli occhi, voltandosi di scattò. Sbattè le palpebre più volte, come se non credesse a quello che aveva appena sentito, e probabilmente non ci credette, perché la fissò come se lei non avesse detto niente e si fosse solo immaginato la sua voce.
- Che hai detto? – chiese, per l’appunto, qualche secondo dopo.
- Vieni… – Hermione deglutì, non sapendo cosa aveva portato la sua mente a pensare di chiedergli una cosa del genere. – …con m-me per le vacanze di Natale.
Draco per la seconda volta credette di aver sentito male.
- Cosa?
- I-Insomma! – sbottò Hermione, arrossendo. – Vieni con me per le vacanze di Natale!
- Sei… sei impazzita, Granger?! Da dove ti viene fuori questa proposta? – il tono incredulo la ferì leggermente, ma, d’altronde, anche lei sarebbe rimasta di sasso, se la situazione fosse stata invertita. Per poco non scoppiò a ridere, immaginandosi Draco che la invitava a casa sua per le vacanze di Natale.
- Io dovrò dire ai miei genitori della gravidanza. – spiegò la ragazza. – Forse sarebbe più facile se ci fossi anche tu.
- Non hai detto niente ai tuoi genitori? – chiese ancora più incredulo.
- Volevo farlo di persona, d’accordo? – sbottò, gonfiando le guance, rosse come un pomodoro maturo. – E, poi… so che devi recuperare dei voti in Babbanologia, quindi… venendo con me… faresti un favore a me, e uno a te.
Draco aggrottò le sopracciglia.
- Come fai a sapere che ho dei problemi con i voti?
- Uhm, beh… Si capisce! Non rispondi mai correttamente alle domande della professoressa. – inventò Hermione di sana pianta, anche se, a ripensarci, si rese conto di aver detto la verità.
- Anche se molte persone non la pensano più così, Granger, per quanto mi riguarda i babbani e tutto quello che li riguarda sono solo un’inut…
- Ti sto offrendo un’opportunità, Malfoy! – lo interruppe la ragazza, per non degenerare in una discussione, che, sapeva, avrebbero portato a catastrofici risultati.
- E chi ti dice che io voglia questa opportunità? – rispose Draco, con astio. – Che io possa anche solo prendere in considerazione una simile proposta? – sibilò.
- Per non ripetere l’anno, Malfoy, ecco perché!
Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole Hermione si rese conto di aver commesso un gravissimo errore. Gli occhi del Serpeverde divennero due coltelli affilati.
- Come fai a sapere che dovrei ripetere l’anno, Granger?
- Io… ho solo ipotizzato. – mormorò.
- Non mentirmi, so riconoscere una bugia e tu sei davvero pessima a raccontarle, credimi.
- E’ la verità! – sbottò per tutta risposta.
Non poteva certo parlargli del colloquio avuto con la Serpeverde, non le avrebbe creduto, lei stessa era la prima a non crederci.
- Granger, fai proprio schifo a mentire. Stai insultando la mia intelligenza, lo sai?
Hermione sbuffò. Ci mancava soltanto che Draco prendesse la cosa sul personale.
- Sentiamo, perché dovrei mentirti? – tentò allora la ragazza, cercando di non compiere altri passi falsi.
Draco non rispose. Si limitò a rimanere immobile nella stessa posizione, fissandola con aria truce. Poi sbuffò e mormorò un semplice: “Daphne…”
Ad Hermione si bloccò il respiro in gola e, per un attimo, fu tentata di scoppiare a piangere lì davanti a lui.
- Tu fai un favore a me  io uno a te. Parleremo insieme con i miei genitori e io farò in modo che tu apprenda le nozioni di base su gli usi e i costumi dei babbani. È un patto, Malfoy. – disse, cercando di nascondere la realtà che cercava di evitare: il fatto che per lei tutto quello fosse molto più di un patto. – Solo… questo. – concluse, con voce leggermente incrinata.
- Perché dovrei accettare? – replicò lui tagliente.
Hermione, con il respiro in gola alla sua ennesima domanda, scese dal banco sul quale si era seduta e lo fronteggiò.
- Infatti, non devi. Hai libera scelta, Malfoy. Puoi accettare e venire con me, altrimenti… buona bocciatura. – mormorò semplicemente, dirigendosi poi con decisione verso l’uscita.
 
Stupida, stupida, stupida!
 
Cosa Merlino le era passato per la testa? Sperava forse in una reazione diversa? Si stava già mentalmente prendendo a schiaffi per non essere riuscita a tacere, ma mentre stava per uscire, la voce di Draco la fermò.
- Aspetta.
 
Quanto sei disposta a rischiare, Hermione?
 
Tutto, anche me stessa.
 
E, forse, a volte, ne vale la pena.
 

 
 
            
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
Ehm, ehm, ehm…
Non trovo neanche le parole per descrivere il mio ritardo. Probabilmente vi sentirete tutti presi in giro e mi dispiace. Lo so, sono un’autrice incostante, che non riesce a rispettare le date di scadenza. Mi dispiace tanto. L’unica cosa che mi consola è che non ho sprecato tutto questo tempo che è passato: a scuola ho recuperato qualche materia che oscillava pericolosamente tra il 5 e il 6 e la mia media si è alzata. L’unica mia consolazione è questa: di aver fatto qualcosa di buono in questi due mesi, anche se ho dovuto abbandonare un po’ la storia.
Nonostante tutto alla fine sono riuscita a pubblicare questo capitolo! Non voleva saperne di essere scritto. Credetemi quando dico che ho passato a volte ore davanti alla pagina di word, perché non riuscivo a mandare avanti i dialoghi. Questo è il risultato: tendo sempre ad essere molto critica con ciò che scrivo e anche questo capitolo non si salva molto dal mio giudizio. Non mi convince, forse sarà che è passato troppo tempo dall’ultimo aggiornamento, forse è perché mi ha fatto penare, ma penso che avrei potuto fare meglio.
Spero solo che vi piaccia la scena tra Blaise e Daphne e riesca a strapparvi qualche risata, così come spero che la scena tra Hermione e Draco vi sembri meno triste dell’ultima volta.
Then….. 
AUGURI DI BUONE (MERITATISSIME) FESTE A TUTTI QUANTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Non avete idea di quanto io abbia penato per l’arrivo di queste vacanze! ^___^
Ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi legge in silenzio. Un grazie GIGANTE a quelle 26 ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo: Black_Yumi, Stella94, Leesh, ArmoniaDiVento, Braina, Ro Jack89, EmmaDiggory15, Felpick93, suckerforlove, MaryMalfoy96, Rowan936, MimiRyuugu, tonks17, Rospetta89, anonima K Fowl, Maya92, FedePluck93, Gio98, Draco the best, Notteinfinita, Cherie17, Rossacomeilsangue, Lierin_, piumetta, Virus14 e Betty97.
26 recensioni per lo scorso capitolo? 26 RECENSIONI?!?!? Sninf….come posso ringraziarvi per essere così meravigliose con me? Grazie ragazze, grazie…Sninf….
Scusate se vado così di fretta, ma devo scappare a cena ^___^”
Un abbraccio a tutti quanti e spero che la magia del Natale contagi tutti voi con la sua atmosfera e allegria!
flors99
Ps.
MANGIATE TANTI DOLCI E PANETTONI!!!!!!!! Se non ci abbuffiamo a Natale, quando cavolo dovremmo farlo?! xD
 

  
 
  
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