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Autore: Anima97    31/12/2012    1 recensioni
TITOLO MODIFICATO DA "Евгения si pronuncia Yevgeniya"!!
La storia di un portacontainer malridotto, di persone comuni e malinconiche, di una natura bella e splendente come l'acqua dell'oceano Pacifico al sole d'autunno.
Евгения: un nome, una lingua, una storia... la nostra storia.
Chi lo desidererà, leggendo vivrà un'avventura oltre i confini dell'immaginabile!
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Евгения
Una nave per il futuro.


Consolata.
 
Non provavo più niente, ma ansimavo, seduta su quel tavolo ricoperto di carta, in quella che sembrava un'altra cabina per passeggeri trasformata in un'infermeria improvvisata.
Perchè ero salita su quella nave? L'Europa era davvero così importante? Il mare che tanto temevo poteva essere l'unica soluzione per fuggire?
Sopra la brandina, nel punto in cui nella mia cabina c'era la mensola, uno specchio sporco di polvere rifletteva lievemente la mia immagine tremante dalla paura che di nuovo soffocava il mio cuore, ad ogni battito più dolorante, ad ogni respiro più agonizzante. Conoscevo bene quella sensazione.
Qualcuno entrò in stanza e richiuse silenziosamente la porta.
-Ti sei ripresa subito, vedo.
Riconobbi la chioma bionda, che ricadeva leggera sulla schiena di quella donna, solo dopo essersi nascosta dietro il suo bellissimo e candido viso. Mi sorrideva timida, tenendo sugli avanbracci una coperta.  Vide che fissavo ciò che aveva  in mano con avidità, essendomi resa conto di essere continuamente scossa da brividi di freddo.
-Oh, scusami, te la stavo portando. Ormai è sera, non dovresti indossare vestiti così leggeri in questa stagione.
Me la porse lentamente, non osai avvicinarmi, così la poggiò sulla brandina per poi allontanarsi di nuovo. I suoi movimenti dolci e lenti mi rilassarono e riuscii a parlare senza troppa fatica:
-Lei era la signora che mangiava... sul tavolo...
-Quindi ti ricordi ciò che hai visto prima di svenire!
-Sono svenuta?
-Per un po'. Giusto il tempo di trasportarti qui e correre a prendere cibo e coperta.
Fu allora che vidi con stupore un panino di carne cruda tra le sue mani.
-Perchè fate tutto ciò?
La donna sorrise ancora di più e poggiò il panino sulla coperta.
-Mangia, avrai sicuramente molta fame.
Rimase con me, pazientando e incoraggiandomi ad usufruire della coperta e mangiare il panino, che non rifiutai con troppa insistenza.
Mi ricordava la madre di quella ragazza tanto sfortunata come me, che rimase un'intera notte fuori dalla cella con la mano infilata tra le grate della finestra, tenendo stretta quella della figlia, e che il giorno dopo scoprimmo morta assiderata. 
Forse anche lei aveva avuto paura, nonostante le parole coraggiose che sussurrava continuamente alla figlia per farla addormentare. Parole che echeggiavano nella mia mente, le ricordo chiaramente come le immagini di quella notte diversa da tante altre che si susseguivano tra una tortura e l'altra, parole intente ad asciugare lacrime di dannazione, parole che adesso non permettevano ad altre simili di essere ascoltate.
-Mi stai sentendo?
-Eh?
-Dobbiamo andare.
 
Iris, così si chiamava la donna, mi aveva lasciata sul ponte della nave, sola, e davati ai container avevo nuovamente trovato la pace.
Solo un lontano, cattivo presentimento lentamente si faceva strada tra i ricordi; era una specie di dejavu: la solitudine che sembrava rincuorarmi sotto un cielo di fuochi d'artificio creati dalle infinite stelle, un pavimento caldo su cui le dita dei piedi raschiavano intirizzite il legno e infine...
No, la morte stavolta non si sarebbe soltanto avvicinata, avrebbe finalmente compiuto la sua opera, posto fine all'esistenza drammatica che il fato mi aveva affidato con poca cura per il mio fragile essere, a quella ragazzina troppo diversa, troppo brutta, troppo debole, troppo nera, per poter essere definita una persona; per questo non avevo paura.
Aspettai, a testa alta, guardando nel punto nero nel quale quella stessa mattina osservavo con poca ammirazione e con eccessiva arroganza il mare, avrei tanto voluto voler scorrere lo sguardo sul bianco del suo orizzonte un'ultima volta: Ciò che libertà e felicità erano una volta le bellezze della terra ferma, su quel ponte divennero ciò che era stato vissuto involontariamente, per mano di malvagi. 
Mi avvicinai al bordo della nave, poggiai le mani sui passamani bianchi e...
-Tosca.
Una voce possente, grave, annebbiò lievemente i miei sensi.
Mi voltai, non riconobbi l'uomo alle mie spalle eppure mi era familiare: aveva i capelli e la barba disordinati e rossi come il sangue, il petto ricoperto di peli i quali non riuscivano a nascondere i possenti muscoli che trasmettevano ancora più suggestione di quanto la forma dei suoi occhi verdazzurri non facessero già.
-Questo nome appartiene a qualcuno che conosci?
-Si.
Fece qualche passo verso di me ed io, non potendo indietreggiare, afferrai con violenza il passamano, facendogli capire le mie intenzioni suicide.
Mi stupì la sua indifferenza.
-A chi?
-A nessuno.
Perchè insisteva nel conoscere qualcosa in più di me? Lui, un uomo così affascinante che nel bel mezzo della notte sprecava il suo tempo con una negretta pazza, che non desiderava altro che porre fine alla sua vita. Mi sembrava evidente l'assurdità della situazione e me lo dimostrava il fatto che non avesse battuto ciglio quando avevo minacciato di buttarmi. Mi faceva arrabbiare quello sguardo che fingeva di essere comprensivo.
-Ognuno di noi merita un nome, anche così bello.
-Ti interessa veramente?
-Non avrebbero senso le mie domande, altrimenti.
Guardai al di la del passamano: non immaginavo di dover concludere una conversazione prima di riabbracciare il mare e finalmente morire. 
Non ottenendo risposta, si avvicinò a grandi passi, non dandomi il tempo di buttarmi: afferrò con forza il braccio, strattonandomi verso di lui; era il primo gesto violento che subivo da quando ero sulla nave.
-Guardami.
Obeddii restia: aveva un ghigno furioso ma uno sguardo commosso. Non riuscivo a capire cosa volesse da me e perchè si comportasse improvvisamente così, però non diedi peso ai dubbi che si susseguirono con un sussurro sulle mie labbra, pensai piuttosto a quel che quel perfetto sconosciuto mi stesse facendo.
Ero stufa dei misteri, volevo sapere perchè ero ancora li.
-Cosa volete da me?! soffiai sui suoi denti.
-Che razza di domanda è? Al tuo posto mi chiederei perchè spaventarsi di tutto questo, disse indicando la nave -Ti abbiamo accolta, sai cosa vuol dire?
-Non potete!
-Perchè?! Perchè sei clandestina? O perchè credi di essere inferiore solo per il colore della tua pelle? So cosa stai provando, conosco le conseguenze delle parole "Tu sei diversa", ma non per questo rifiuto l'amore che mi offrono persone gentili.
Liberai il braccio dalla sua stretta; l'espressione dipinta sul mio volto doveva essere così stupefatta, che l'uomo sembrò contenere la sua rabbia.
Era tutto li il significato di quel che mi stava accadendo: accoglienza, amore, gentilezza... tanto semplice da immaginare quanto difficile da accettare.
Eppure c'era qualcosa che ancora non mi convinceva.
-Non volete farmi del male.
-No, lo giuro.
-In molti l'hanno fatto, ma poi non si sono preoccupati di infrangere il voto con una bella scopata!
Tacque. Nei suoi occhi lessi ciò che la bocca non riusciva più a dire.
Non mi avrebbero fatto del male, mai e poi mai, perchè non sono una bambola da  fare a pezzi, sono una persona da rispettare come chiunque altro, perchè loro non erano mostri in cerca di divertimento, ma solo di una famiglia dove ognuno poteva essere se stesso, perchè quella nave non era una prigione, era l'unico luogo al mondo che si potesse definire "casa".
Lo abbracciai ed entrambi piangemmo, lui più silenziosamente di me.
-Sono io! Io sono Tosca!
-Lo so, piccolina, lo so.
-E' il mio nome! Il mio...
La morte mi avrebbe ancora aspettata.

 
Mondo Nutopiano:
Un titolo diverso, tanti dubbi in meno.
Rimane solo una questione:
Perchè?

Pace, Amore e Poc'anzi.
MelinAnima.
  
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