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Autore: Josie5    01/01/2013    13 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

16. Solo per stanotte


 

C'erano molte situazioni e luoghi in cui odiavo essere.

Una era alle cene di famiglia, ovviamente.

Poi gli ospedali: più per paura di qualche strano contagio, che per la presenza di malati o moribondi. Ero forse cinica?

Anche nei camerini di uno dei negozi del Mall, al secondo piano, con una strana luce pallida e uno specchio che peggioravano la solita reazione alla mia immagine riflessa.

E alle feste troppo movimentate, soprattutto se non c'era Francy.

Oh, e negli ascensori con una sola e sconosciuta persona.

Poi tra tante altre cose, c'era l'essere a casa di Parker. Odiavo in particolare essere in quella ricca e grande casa. Mi faceva storcere il naso pensare a tutto il tempo che ci passavo dentro, senza avere normali motivazioni. Ma in effetti niente era normale da quando Max Parker aveva deciso di entrare nella mia vita e tormentarmi.

Niente era normale.

Perchè poi non era decisamente normale che Max mi avesse fatto una domanda. Me ne aveva mai fatta una, davvero, senza ordinare?

Col punto interrogativo?

Una preghiera. Mi aveva pregata, davvero.

Perchè lui non voleva, per qualche assurdo motivo, rimanere da solo coi suoi genitori quella sera.

Non sapevo niente su quella famiglia, niente; tranne che il figlio cercava di evitarli di continuo.

E non mi sembrava normale. Ma forse io ero un caso speciale, in quanto a famiglia. Forse avevo una concezione distorta e fin troppo idealizzata.

Eppure la preghiera c'era stata comunque.

E non era normale: perchè avevo risposto di sì?

Avevo risposto di sì alla richiesta di passare altro tempo nella casa in cui odiavo stare.

Cominciavo a farmi serie domande esistenziali: ma ero sul serio masochista?!

- Eh, signora Par ... Claire, sicura che non vuoi che ti aiuti? - Chiesi, ancora, da brava ripetitiva.

- Tranquilla! - Ripeté anche lei con una piccola risatina.

L'unica cosa da fare fu quindi serrare le labbra.

La signora Parker stava portando l'insalata al centro tavola. Tutti i piatti, anche il mio, avevano già una bistecca, fatta alla bell'e meglio e velocemente. Claire si era scusata più e più volte per la cena poco elaborata facendomi solo sentire in colpa per aver accettato l'invito, aveva anche detto che si sarebbe fatta perdonare poi mostrandomi delle foto di Max da piccolo e lui l'aveva fulminata.

James Parker era a capotavola, ma impegnato a scrivere su un grande cellulare, che probabilmente serviva per tenere sotto controllo il suo lavoro e contattare i suoi collaboratori. Max, di fianco a me, non aveva detto più niente e osservava distrattamente la televisione. Gli lanciai uno sguardo di sfuggita, un po' irritata; probabilmente se ne accorse, ma mi ignorò.

Nessuno toccava cibo e io guardavo la bistecca indecisa su cosa fare.

Odiavo anche le cene fuori da casa mia, se non con zia Elizabeth o al massimo con Francy, per cose del genere.

Provai di nuovo a cercare aiuto in Parker che finalmente si decise a ignorare lo schermo piatto. Non mi aveva ancora guardata dritta negli occhi da quando mi aveva chiesto di restare. Mi sentii finalmente meno in territorio straniero, circondata da nemici: qualcosa di familiare c'era, il verde dei suoi occhi.

- Cosa c'è? - Chiese divertito, con un divertimento mogio, che gli avevo già visto in stazione. Allungò la mano verso la bottiglia d'acqua, mentre Claire finalmente si sedeva. 

La domanda che avrei voluto fargli era: “Non fate la preghiera prima di mangiare, vero?”, ma la evitai, notando che il padre aveva finalmente messo via il cellulare e che probabilmente mi avrebbe sentito.

Il mio animo, molto religioso, tirò un sospirò di sollievo vedendo che proprio James iniziava a mangiare senza fare altro prima.

- No, niente - borbottai sollevata, impugnando la forchetta.

Parker sollevò semplicemente le sopracciglia, senza indagare e senza far sentire altro ai suoi genitori.

- Beh, Evelyne, come mai eri qui stasera? - La domanda fatta da Claire sarebbe stata innocente, pura curiosità, ma detta dal marito sembrava già una pura e semplice accusa.

- Dovevo... Dovevo portare degli appunti a Max, stavo appunto per andarmene... - Ero pessima. Il respiro più profondo degli altri di Parker lo confermava. In effetti come scusa faceva acqua da ogni lato: appunti? In sala? Il sabato sera?

- Appunti - James ripetè la parola con un tono piatto, che sembrava abituato ad usare, probabilmente a lavoro.

- Sì, sai quelle cose che si scrivono a scuola durante la lezione, per non dimenticare? - Aggiunse il mio vicino di posto in tono polemico. Quello era l'unico tono che sembrava in grado di usare con il padre.

- Per favore, Max! - Intervenne subito Claire, sospirando vistosamente mentre prendeva l'insalata. Io tenni lo sguardo sulla bistecca. Non sapevo perchè Parker mi avesse chiesto di restare, visto che sembravo solo un argomento in più con cui poi avrebbero potuto litigare.

Nessuno disse più niente per un po', tranne qualche piccola chiacchiera tra moglie e marito. Io avevo un'interessantissima bistecca di cui occuparmi, un po' bruciacchiata in realtà, e Parker Junior non faceva altro che bere e maltrattare a tratti il pezzo di carne.

Tra un rumore violento di forchettata e un altro, capii che forse ero stata semplicemente chiamata come sostegno morale per Max, a una cena con i suoi genitori in cui non voleva stare; in quel caso il mio dovere lo stavo compiendo decisamente male. A quel pensiero presi coraggio.

- Hai sentito che dicono che metteranno Joe come nuovo prof di ginnastica? - Buttai giù lì, tanto per, quel pettegolezzo idiota che girava da pochi giorni e probabilmente falso.

Ma funzionava. Parker smise di uccidere la sua bistecca. - Sì, certo, e ci insegnerà a spazzare durante le sue ore invece di fare sport - commentò scettico ma con uno sbuffo divertito.

- Ma sì, sai che girano voci strane a volte - dissi sorridendo e guardando il bicchiere davanti a me. Sorridendo perchè a tavola con i suoi genitori avevo accennato alle voci che erano circolate su noi due, e ancora circolavano.

- Joe sarebbe? - Si inserì subito Claire, prima che Parker potesse ribattere, dopo la corta risata.

- Il bidello - risposi pronta io, con un mezzo sorriso. Stavo instaurando una conversazione, forse; ero utile, forse.

- Beh, a nostro figlio imparare a spazzare sarebbe più utile che certi sport, in effetti: approvo. - Dopo quel commento, probabilmente odiai il padre di Parker. Dopo quel commento ci fu l'inizio del casino.

- James, se hai qualcosa da dirmi: dimmela - rispose con il tono più freddo del mondo Max.

Max Parker sempre divertito, sempre con quell'aria da capitano della squadra di pallacanestro, quell'aria da ragazzo popolare, con quel tono non sembrava la stessa persona.

- Che non dovresti più giocare a basket, questo dico.

- E' il ragazzo più bravo di tutta la scuola, se dovesse smettere lui dovrebbero smettere tutti! - Dopo averlo pronunciato, pensai che con quel commento sarei stata gettata di peso fuori dalla porta principale. Perchè mi impicciavo?!

Ma Max che era stato pronto a rispondere, già in un litigio, si era bloccato a osservarmi sorpreso; io vagavo con lo sguardo da lui a suo padre, non potendo reggere il contrasto diretto con quel grigio così spento; quelli verdi di Parker, così vivi, avevano qualcosa che non avevo mai visto.

James non aggiunse altro e tornò alla sua bistecca. Le mascelle serrate si intravedevano sotto la pelle. Al figlio si sollevarono i lati della bocca.

- L'hanno detto anche a me, a scuola, che è tanto bravo - commentò Claire, con un affetto materno nella voce che faceva sorridere.

Io mi limitai a ridacchiare perchè insomma, ci stava difendere il nemico da un attacco ingiusto, ma stare a tesserne le lodi mi sembrava esagerato.

- E posso ancora migliorare - aggiunse tranquillo Parker.

Ci fu un'occhiataccia da parte del padre. - Ti rendi conto che è impossibile che tu possa diventare un giocatore professionista e questa cosa non ha futuro, vero?

- Se tutti la pensassero così non ci sarebbero state molte cose nel mondo.

- Ed è la sua passione, James, lasciagliela godere - intervenne per la prima volta la madre, in difesa del figlio.

- Gliela lascio godere, ma per quest'anno.

- Possiamo avere questa conversazione in un altro momento? - Claire sospirò e mi guardò ansiosa. Sentivo aria di tempesta, come lei.

Max guardò il padre. - Sono libero di scegliere un'università per continuare col basket. Non sarei il primo e non sarò l'ultimo!

- Ti ho detto di goderti quest'anno. - James continuava a ribattere impassibile; Max cominciava invece, solo ad occhio, ad innervosirsi.

E io non volevo più scappare.

- Stai certo che continuerò!

- Non con i miei soldi! - E fu probabilmente il modo più efficace per ribattere. - Tu farai qualcosa di serio all'università! Non ti distrarrai o perderai tempo con uno stupido sport!

Claire si era portata stancamente le mani nei capelli, sapeva che ormai non poteva più impedire quello che stava iniziando. Io guardavo la scena impotente e colpevole, visto che quel litigio era anche per colpa mia.

- Non puoi obbligarmi a fare medicina! Non sono un prolungamento della tua esistenza! Non sono come te e non vorrei mai esserlo! - Max aveva definitivamente alzato la voce.

Lo sguardo di James aveva qualcosa di nuovo: rabbia. - Se sentirò ancora parlare di basket in questa casa: sai dov'è la porta. Hai chiuso, d'ora in poi. Complimenti: la mia pazienza è finita! - Nello sguardo c'era finalmente un'emozione, ma quella non aveva raggiunto la voce. Finì così e dopo essersi alzato se ne andò, lasciando il piatto vuoto a metà.

E io non volevo più scappare, perchè Parker aveva bisogno di qualcuno e c'era un motivo se mi aveva chiesto di restare. Forse l'avevo capito.

- Guarda che uomo schifoso che hai sposato! - Fu l'ultima constatazione, a bassa voce, alla madre, poi, senza guardare nessuno, anche il figlio uscì dal cucinotto.

Era stata un'affermazione brutta, da persona che stava male e aveva voluto far stare male come lui. 

Io ero ancora seduta e rivolsi piano lo sguardo a Claire. Si era alzata nervosamente e aveva cominciato a raccogliere piatti e bicchieri. Gli occhi erano lucidi e le labbra serrate in una strana smorfia.

- Mi dispiace, Evelyne, che tu abbia dovuto essere qui, proprio adesso. - La voce era rotta come mi aspettavo: stava per scoppiare a piangere. Forse per la litigata, per il marito; forse perchè non era riuscita a capire che l'ultima frase di Max era falsa, ma nessuno lo capiva mai davvero, quando c'era dolore o verità nelle parole.

- Vado da Max, poi levo il disturbo - le annunciai, alzandomi piano.

Mi dispiaceva per lei, ma non potevo esserle di aiuto se non lasciandola sola.

Claire annuì, senza guardarmi, e continuò con quello che stava facendo.

Uscii velocemente dalla stanza, sperando di non incrociare James, poi su per le scale.

La porta della camera era chiusa. Mi sarei aspettata di sentire rumori, musica, già dall'esterno, ma c'era solo silenzio. E così mi sembrò quasi peggio.

Portai la mano sulla maniglia, lentamente, poi con una piccola pressione la abbassai.

La camera era ordinata come l'avevo già vista, ordinata tranne per la borsa di basket, aperta, sul letto.

- Ah, non sei ancora andata via? - Commentò ironico, dandomi il benvenuto.

Parker aveva aperto l'armadio e stava lanciando, con forza, magliette dentro la borsa.

- Cosa stai facendo? - Mi uscì involontariamente con tono preoccupato. Mi ero preoccupata vedendolo prepararsi a quella che sembrava, a tutti gli effetti, una fuga da casa.

- Non si capisce? - Chiese retorico. Chiuse con forza l'armadio e finalmente si fermò.

Vidi le sue spalle alzarsi lentamente, mentre, sospirando, cercava di calmarsi.

- Sì, si vede e per questo ti dico che non è una buona idea- dissi in un sussurro, chiudendomi dietro la porta.

Si girò e i suoi occhi sembrarono freddi, distanti, mi sembrava di essere tornata a mesi prima, nel parcheggio, di sera, davanti alla mia macchina.

- Puoi anche andartene!

Ma non volevo. Mi avvicinai a passi incerti, non sapevo nemmeno cosa fare.

Lui smise di guardarmi e muovendosi di nuovo, con rabbia, si mise a cercare altre cose da mettere nella borsa.

- E dove pensi di andare? A casa di Billy?! E vivere lì fino alla fine dell'anno scolastico? E poi?! - Non avrei voluto usare quel tono scettico, da paternale, ma non volevo, davvero, per qualche motivo, che si mettesse nei guai. Forse perchè mi ero sentita in tutti quei mesi, per la storia della foto, coinvolta in ogni sua cattiva scelta, coinvolta con lui; perchè in qualche modo pensavo che ci sarei poi finita in mezzo io. Forse per quello volevo che restasse a casa sua e provasse a sistemare le cose. Perchè c'era di sicuro un modo per sistemarle.

- No. Ho una macchina e ho un po' di soldi e ...

- E cosa? Dormirai in macchina? E poi i soldi finiranno, Max!

Si infilò il portafogli che aveva appena trovato nella tasca dei jeans e mi guardò. - Evelyne, cosa vuoi?! - La sua voce calda era solo arrabbiata, bella ma arrabbiata. - Hai qualche motivo per essere ancora qua e per farmi questi discorsi?!

La domanda mi lasciò spiazzata.

- Mi sembra che tu sia stata chiara!

- Sì, sul fatto che non devi ...

- Che non siamo amici, cazzo! - Alzò la voce, facendomi di riflesso abbassare lo sguardo sul parquet. Ci fu un attimo di silenzio. - L'hai sempre detto - aggiunse piano, come a voler compensare.

Sempre con lo sguardo basso lo sentii spostarsi verso il letto. - E non ti piaccio, l'hai detto prima. - La cerniera della borsa si chiuse con uno scatto. - Quindi hai qualche motivo per essere qua? No! Vattene e smettila di fingerti preoccupata.

Alzai gli occhi e lo vidi mentre si infilava velocemente la giacca. - Non sei diversa da tutti gli altri: senza un motivo nessuno rimane - disse piatto, senza tono, senza luce negli occhi. Tutto sembrava spento in quel momento.

Prese la tracolla, sollevando la borsa con facilità.

- E la storia della foto è finita. Possiamo tornare alle nostre vite. Addio!

Senza nemmeno guardarmi mi superò.

Avrei dovuto essere felice e andarmene, chiamando entusiasta Francy, aspettare che la porta sbattesse alle mie spalle per sorridere soddisfatta, avrei fatto così, dopo tutto, ad ottobre. Sì.

Invece in quel momento, a febbraio, mi ero aggrappata alla giacca di Parker, per la foga di fermarlo nella mano sinistra stringevo anche buona parte della maglietta, sotto.

Non so cosa poté pensare, girandosi e incrociando i miei occhi.

- Parker! - sussurrai. Lui non rispose, ma nel verde non vedevo più rabbia, solo sorpresa.

- Non farlo! Se te ne vai dopo con tuo padre non riuscirai più a risolvere facilmente, e da solo, fuori, non si può andare avanti! - Non mi chiesi se quella affermazione fosse autobiografica e continuai solo a parlare. - Resta! Riuscirai a giocare comunque, di nascosto, lo sai! Quindi resta!

- Perchè? - Chiese.

- Perchè scappando faresti qualcosa di cui poi, prima o poi, ti pentiresti ed è la tua famiglia e ...

- Perchè mi stai dicendo questo? - Specificò, diventando più impassibile mentre cancellava la sorpresa.

Non c'era un motivo. - Non sono come tutti! Non ho un bisogno costante di motivi!

Mi guardò, insoddisfatto dalla risposta. - Saresti l'unica eccezione al mondo?

- Sì - risposi, deglutendo il nodo che mi si era formato in gola.

Sbuffò e si spostò, cercando di allontanarsi dalla mia presa.

- Parker! - Lo chiamai supplichevole. Non avevo mai fatto così né con lui né con nessuno.

- Gray, non sarei più solo fuori da questa casa che rimanendo qui. Avrò solo meno soldi. - Ed era deciso, lo si vedeva.

- Pensaci solo per una sera! - Provai come ultima spiaggia, ma sapendo che non sarebbe cambiato niente prendendo solo tempo.

- Non passo un'altra sera sotto il suo stesso tetto!

Sentii che ormai non c'era più niente da fare, ma sentivo anche che se Max fosse uscito da quella camera non ci saremmo parlati mai più. Sentivo che fuori da quella camera c'era ottobre; ottobre prima della scommessa. Ed era possibile che mi fossi in qualche modo affezionata al mio carnefice? Proprio poco, come ci si può affezionare a qualche animaletto, insetto, inutile e insignificante, che però osservi e alla fine ti scoccia uccidere. Non sapevo in che modo ma sembrava l'unica spiegazione per tutto il casino che stavo facendo venir fuori. Perchè non volevo ottobre; non lo volevo assolutamente!

- Solo una notte e dopo non ti dirò più niente! - Tentai ancora. Che ottobre almeno arrivasse il giorno dopo.

- Preferisco essere solo fuori che qua dentro ... - Si oppose con lo stesso argomento di prima, com'era ovvio.

Ma non era ovvia la risposta: - Solo per stanotte! Solo per stanotte sarò un'amica, fingeremo questo, stasera! E se sono tua amica non posso lasciarti solo oggi! - Sulla lingua sapeva poco di bugia l'affermazione di essere sua amica. Sapeva poco di bugia, ma tanto di tentativo di rimanere in quella stanza.

Avrei scommesso qualsiasi cosa che in quel momento sarebbe uscito comunque da quella stanza, sotto i miei occhi. Ma io lo avrei seguito. Solo per quella sera, lo avrei fatto.

Parker invece, sorprendendomi, abbassò lo sguardo e lo puntò nel mio.

- Che tentativo disperato di tenermi in questa stanza ... - Sbuffò, ma i lineamenti si ammorbidirono un poco, avvicinandosi a com'erano sempre.

- Funziona?

Esitò un attimo.


 

Non ero una con l'ansia facile; prima delle verifiche o di eventi non avevo mai avuto, se non in un caso sporadico o due, lo stomaco in subbuglio.

Eppure, mentre aprivo la porta della camera di Parker per sgattaiolare nel suo bagno - prima porta a sinistra, - il mio stomaco si stava contorcendo per cercare di non farmi pensare alle probabilità di incrociare in qualche modo i suoi genitori.

Che era poi un timore idiota, dato che se ne sarebbero accorti.

Si sarebbero accorti che la morettina con la felpona beige e le occhiaie non era uscita di casa quella sera.

Stetti sulle spine, mentre chiudevo la porta a chiave. Chissà cosa avrebbero pensato Claire e soprattutto James! Ma in effetti l'importante era essere riuscita a trattenere Parker Junior in casa.

Al prezzo di rimanere a dormire.

Mi chinai davanti al lavandino, cercando nei cassetti in basso lo spazzolino ancora da aprire a cui aveva accennato Parker. Ne trovai uno blu, diverso e riconoscibile dal rosso che lui stava usando e mi lavai i denti osservandomi.

Avevo il volto arrossato, come spesso ultimamente, la mia carnagione pallida quasi mi mancava.

Finii di sistemarmi e poi, con un'altra piccola corsa tornai nella camera del mio “amico per una sera”. Mi venne quasi da ridere da quanto la situazione fosse ormai paradossale.

Quando entrai, Parker stava finendo di infilarsi la maglietta con cui avrebbe dormito; intravidi solo, e di sfuggita, un po' di schiena. Si girò tranquillo. - Trovato lo spazzolino? - Chiese, grattandosi la testa: stava trattenendo per qualche motivo una risata.

- Sì, poi domani mattina lo butto. - Cercai di sembrare impassibile, come in realtà non ero, e camminai verso la mia tracolla, alla ricerca del cellulare.

- Non ci farei niente in ogni caso, tranquilla ... - precisò aprendo l'armadio.

Sbuffai senza rispondere e aprii il messaggio che mi era arrivato. Sperai, nei pochi secondi che servivano per visualizzarlo, che non fosse zia Lizzy che mi avvisava di essere venuta a sorpresa a trovarmi quella sera: dove sei, Eve?! Rabbrividii solo a pensarci.

- Sono le 9, è vergognoso che io mi sia messo il pigiama alle 9 il sabato sera!  - Blaterò intanto Parker, lamentandosi.

 

Vieni da me appena puoi?? Ci guardiamo qualche bel film, magari con qualche bel figo (;DD) e mangiamo schifezze così forse mi crescono le tette o dici che va tutto nel culo?!
Ho sentito che il mais fa crescere le tette ma non ci credo particolarmente
potrei provare in effetti …
comunque vieni che mi sento sola e parlo a casooooooo!

 

Quel messaggio di Francy faceva capire quanto poco stesse bene. Mentalmente.

- Le 9! - Ripeté Parker, sentendosi ignorato.

Risposi a Francy:

 

Non posso …
ti spiego domani, prometto!

 

- Guardiamo un film? - Proposi, abbassando il cellulare e guardandolo finalmente. Perchè le 9 erano decisamente presto ma chiedere “cosa vuoi fare?” a uno come Parker non era mai la scelta giusta, e anche dopo tutto quello che era successo a cena, bisognava sempre tenere conto di cos'era successo prima.

- Mi rompe. Il tuo pigiama! - Sorrise divertito, lanciandomi una maglietta.

L'afferrai al volo.

- Ma con solo una maglietta gelo! - Ribattei. Non era poi tanto vero visto che il riscaldamento era ancora acceso e il letto di Parker era coperto da una pesante trapunta. E ci sarebbe stata una seconda persona a scaldare il letto. Mi innervosii, accigliandomi.

Alzò gli occhi al cielo, divertito, sedendosi tranquillo sul letto.

Che si fosse calmato, e avesse messo via la borsa da basket, dava un problema in meno al mio stomaco, almeno.

Aprii la maglietta: Coldplay, riconoscevo il nome dell'ultimo CD.

- Me l'ha regalata Billy l'anno scorso per Natale ...

Annuii. Poi lo guardai. Ricambiò il mio sguardo dal letto. - Vai in bagno che mi cambio, maniaco! - Esclamai accigliandomi.

- Gli amici non hanno paura di mostrare il proprio corpo ai proprio amici! - Ribatté convinto.

- Tu non so che amici hai presente! - Risi però, scuotendo la testa.

Alla fine cedette, perchè in bagno prima o poi ci doveva andare, e appena si chiuse la porta dietro mi tolsi la felpa velocemente.

La maglietta di Parker che mi ero infilata di colpo, visto che avevo il terrore che quello là tornasse subito, mi faceva da vestito, arrivandomi a metà coscia.

Rimasi ferma, indecisa se togliermi i jeans. Mettere in mostra le gambe, anche solo con vestiti, o senza calze, non mi piaceva per niente, e in quel momento l'avrei odiato anche più del solito.

Alla fine mi decisi e col cellulare in mano cominciai ad alzare le coperte. Appena ebbi fatto, mi sfilai i jeans, guardando circospetta verso la porta e poi, a gambe nude mi infilai sotto le coperte. Mi sistemai al calduccio e stetti davvero comoda. Anche il suo letto era più comodo del mio!

Il mio cellulare vibrò.

 

Perchè penso che qua centri un certo Max? EVELYNE, PORCA
domani mi chiami.

 

Non risposi scuotendo la testa.

Parker alla fine tornò e, dopo essere entrato, si chiuse dietro la porta. Mi osservò un attimo, da fermo.

- Capisco che hai fretta di metterti a letto con me, però così mi sembra quasi esagerato ... - Commentò. Gli rivolsi una smorfia.

Lui sorrise e alzando un braccio schiacciò l'interruttore, con un colpo secco. Buio.

Deglutii, sentendolo pian piano camminare verso il letto.

- Quindi dormiamo? - Chiesi, mentre sentivo il materasso abbassarsi.

Sbuffò divertito. - Vuoi fare altro?

- Se vuoi parlare - sottolineai il verbo. - Come due bravi amici, a me va bene.

Rise e sentii lenzuola che venivano spostate e il cuscino mosso. - E quindi riesci a fingere? Così dal nulla?

- Da Dio! Non si vede? - E in qualche modo mi sentii isterica.

- A me sembri la solita, sinceramente. - Al buio non riuscivo a vedere bene l'espressione, ma sapevo che mi stava prendendo in giro.

- Cioè? - Chiesi acida e raggomitolandomi tra le coperte morbide.

- Acida, prima di tutto; poi dai, non mi hai fatto vedere le tette prima, quindi anche antipatica; e alla fine brutta, ma quello sempre. - Allungò la mano, arrivando al mio viso. La sua mano, bollente come sempre, mi afferrò per il naso, solo per farmi un dispetto. Mi dimenai.

- Prima, sul divano, non sembrava! - Biascicai, mentre cercavo di spostarlo facendo forza sul polso.

Scoppiò a ridere. - Avevo solo voglia di figa, tranquilla! Non intendevo niente di quello che ho detto.

Gli morsi le dita che riprovavano ad attaccarmi, stizzita. - Ahia! - Si lamentò.

- So che sei innamorato alla follia di me e fingi perchè hai l'orgoglio ferito! - Ribattei, continuando la lotta con la sua mano.

Sentii le lenzuola frusciare e poi la maglietta che veniva tirata. - Orgoglio ferito?! Vieni qua! - Gli uscì una voce che mi sembrò davvero, in un certo senso, minacciosa.

Quasi squittii, cercando di evitare che raggiungesse i miei fianchi. - Dai, Parker! - Lui rise.

Oh, se me l'avessero detto ad ottobre che una sera mi sarei ritrovata a fare la lotta con Parker, nel suo letto, continuando a sentire le sue mani sui fianchi, sulle braccia, dietro la nuca, sarei probabilmente morta dalle risate.

E ovviamente si sentì bussare alla porta.

Io finii di dare il pizzico sulla spalla del castano che mi avrebbe dovuto liberare, ma lui si era già bloccato.

Bloccato, ma per poco perchè con uno scatto si alzò in piedi. La chiave che girava nella toppa, chiudendoci dentro, fu l'unica cosa che si udì.

- Max! - Era una voce femminile. - Evelyne rimane a dormire?

Mi sentii morire e sprofondai sotto le coperte, come se fosse stata lì a guardarmi.

Parker non rispose e tornò a letto, con un passo più rigido.

- Va bene … - Fu l'ultima cosa a sentirsi.

Max si sistemò e poi rimanemmo un po' in silenzio.

- Avrei dovuto andarmene: visto che sei qui, visto che ci sei tu, mia madre sarà ossessiva più del solito; normalmente non sarebbe venuta a dirmi niente.

- Vuoi … Vuoi che me ne vada? - Chiesi piano, rispuntando fuori dalle coperte, anche se nel buio non potevamo vederci.

- No! - Esclamò subito. - Cioè, no, massimo andiamo via insieme, da qualche parte. Sei mia amica stasera, no? - Chiese retorico, ma con tono spento.

- No, qui, Max ...

Sospirò. - Tu non hai idea di quanta forza mi debba fare per starmene qua. Mio padre è forse tra le persone peggiori al mondo. Vuole farmi fare medicina, vuole a tutti i costi che io faccia medicina; mi ci iscriverà! Lo farà lui stesso se non riesco a convincerlo in qualche modo di valere qualcosa o se semplicemente non me ne vado! E la prima ipotesi non è realizzabile con lui. Per mio padre io non valgo niente, meno di zero. Sono un diciassettenne che pensa solo a feste, ad alcool, ragazze. Secondo lui non ho sogni, secondo lui non ho nemmeno un carattere!

Mi sentii in colpa, in colpa per tutte le volte che avevo pensato di Parker le tre cose che aveva elencato. Ma c'era di più. Senza rendermene conto il più lo stavo scoprendo. Per quel più che avevo intravisto ero rimasta lì.

La voce gli si stava abbassando sempre di più, sempre più rigida e fredda. - Dice che non valgo niente, che sono una pessima persona. Lo sono? Forse sì. Ma se lo sono non ha idea di che cosa possa essere lui: perchè lui è peggio. Lui che non c'è mai stato né per me né per sua moglie ...

E si zittì.

Non sapevo cosa fare. Cos'avrei dovuto fare?

Cos'avrebbe fatto un'amica? Cos'avrei fatto con Francy?

Cos'avrei dovuto fare io con Parker?

Senza pensare oltre mi spostai, la risposta venne naturale: sfiorai il braccio di Parker, caldo, e avvicinandomi ancora di più, la mia mano sorpassò la sua pancia per poi aggrapparsi al suo fianco, alla maglietta. Appoggiai la testa contro la sua spalla e la mano libera afferrava debolmente la manica sotto il mio mento.

Non sapevo se poteva essere d'aiuto, ma io stavo bene.

- Questo cosa sarebbe? - Chiese, scoppiando a ridere.

Quasi mi offesi. - Era un abbraccio! - Feci per allontanarmi, ma mi trattenne con uno scatto.

- Che abbraccio storpio! - Commentò e dal tono sapevo che stava sorridendo. Tirandomi mi risistemò come prima e io acconsentii volentieri. Era caldo e profumava di buono.

- Gli amici si abbracciano, quando serve - borbottai, strusciando la fronte contro la sua spalla, quasi involontariamente e aveva un buon odore; l'avevo già detto? Suo, naturale, nessun profumo, nessuna finzione, non c'era finzione in quel momento. O forse sì? Mi stavo fingendo sua amica, dopo tutto.

Max sbuffò divertito e invece di un commento ironico lo sentii girarsi, di lato, rivolto verso di me: così con un braccio mi circondò la vita.

Ci fu uno scontrarsi di braccia, una serie di lamentele per la posizione scomoda sul fianco o perchè gli pesavo sul braccio, ma alla fine ci sistemammo. Con un sorriso trattenuto riappoggiai la fronte contro di lui, ma questa volta contro il suo petto.

- Gli amici si abbracciano. E poi che altro fanno? - Chiese, a voce bassa.

Risi sommessamente. - Te la vuoi proprio godere per bene questa serata da amiconi, eh?

- Come potrei non sfruttare un'occasione così ghiotta? - Ribatté.

- Gli amici poi sanno le cose importanti e le cose non importanti che riguardano l'altro - mi uscì.

- Tipo? - Chiese e sentii il suo sbuffo sui capelli.

- Quando compi gli anni? - Non lo sapevo e mi era venuta da domandarlo, senza un motivo.

Rimase un attimo in silenzio, sorpreso, probabilmente. - Il 23 aprile.

Risi. Ridevo fin troppo, per essere normale, ma non ci facevo caso. - Sai cosa vuol dire?! - Mugugnò per farmi continuare.

- Che io che li faccio il 13 marzo sono più grande di te!

Parker fece un verso fintamente schifato ed accennò ad allontanarsi da me. - Una vecchia, una vecchia mi sta abbracciando!

La mia risposta fu un colpo sul petto.

- Vecchia acida, si spiegano molte cose ... - Prima che potessi ribattere, iniziò di nuovo a parlare: - Colore preferito?

Non me l'aspettavo.

- Hai parlato di cose non importanti, no? - Mi ricordò, divertito e sentii il suo respiro caldo sulla testa.

Cominciavo a distinguerlo meglio al buio e ormai vedevo i suoi lineamenti e quando sorrideva; mi bastava spostare la testa un po' indietro. - Verde - risposi istintivamente.

- Rosso. E ammettilo che è il verde perchè è il colore dei miei occhi!

Lo ignorai, alzando gli occhi al cielo, anche se probabilmente non poteva vederlo. - Uhm, piatto preferito?

- Pollo alle mandorle - rispose di getto.

Scoppiai a ridere. - Cinese?! Io purè!

Silenzio. - Come cazzo fai a dire che il tuo piatto preferito è il purè?!

- Ma saranno fatti miei! - Mi lamentai.

- Ah, va bene - si arrese e sentii le sue labbra sui capelli. - Hai mai preso un'insufficienza? - Chiese e si mise a ridere.

- Sei un idiota - lo sgridai, accigliandomi.

- Su che scherzo! - Scimmiottò, soffiandomi contro la testa, senza allontanarsi di molto.

Dopo altre domande a caso, ne uscì una importante: - Mi racconti della tua famiglia? - Chiese.

E forse fu il buio, forse perchè quella sera eravamo amici, forse il suo profumo di frutta, non lo seppi bene: ma sul serio raccontai tutto. Da Cecilia la nonna a Cecilia la figlia; di quel Charles che avevo visto un paio di volte, delle sue scuse, ma che tanto erano inutili, e della sua nuova famiglia; raccontai di Lizzy e di Emme; soprattutto di Lizzy, perchè io la chiamavo zia, ma infondo era la mia mamma. Parlai di quelle cose che non avevo mai raccontato, se non a Francy, con tante difficoltà in un pomeriggio. E finii per parlare di Evelyne, quella che voleva diventare una giornalista ma non aveva soldi, quella con pochi amici, quella dal caratteraccio, ma che riusciva alla fine ad avere quello che voleva.

Finii per dire cose che, del mio passato, non avrei mai voluto Parker sapesse, ma che, ora, Max poteva sentire.

Parlavo e lui giocava coi miei capelli, come a tranquillizzarmi, e ne avevo bisogno.

Parker su di sé non disse nulla e io non chiesi niente. Dopo quella sera mi sembrava di conoscerlo e non volevo altro.

Ci addormentammo, probabilmente mi addormentai per prima, e chiudendo gli occhi finiva quella sera.

La sera dove eravamo amici.

Quell'unica sera.


 

*Angolo autrice

Ciao a tutte!
Prima di tutto spero che abbiate passato un buon Capodanno :D magari migliore del mio … Ieri è successo un casino: mio cugino e un ragazzo quasi si picchiavano eee … Vabbè, so che non ve ne importa e l'importante è che il capitolo alla fine sia arrivato e spero non vi deluda :)
Immagino che non tutte si aspettassero un capitolo del genere! Max, avendo visto suo padre non particolarmente di buon umore, chiede ad Evelyne di restare, come una specie di sostegno, distrazione e sperando anche di evitare quello che poi invece succede.
Il rapporto tra Parker padre e Parker figlio verrà rivisto più avanti e chiarito, non vi smollo questa situazione familiare particolare senza poi spiegarla e concluderla bene :3
E le famiglie dei miei personaggi sono problematiche … Non so perchè, io ne ho una che è tutta il contrario, non so a chi mi ispiro AHAHAHAH
Poi che direee, in questo capitolo credo che si veda un'altra faccia di Max :)
Adesso, per quanto riguarda il prossimo capitolo. Il rapporto tra Max ed Eve cambierà dopo questa sera? Parker davvero non se ne andrà di casa?
Lascio spoiler :D :

Mi tirò leggermente verso di sé e fece un passo. -Ho avuto un'idea improvvisa-.
Deglutii. -Che idea?-.


Alba.

   
 
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