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Autore: controcorrente    01/01/2013    5 recensioni
"Una volta ho letto la favola della Canna e della Quercia, madame. La Quercia si faceva beffe della Canna accusandola di debolezza, perché quest'ultima non possedeva la stessa corteccia ruvida, né il tronco imponente. Quando però una forte tempesta si abbatté su di loro, la Quercia, dopo aver fatto resistenza alla forza del vento, fu abbattuta mentre la Canna, per quanto violente fossero le raffiche, si piegava senza mai spezzarsi. Mi è sempre piaciuta quella storia e sapete perché? Perché anche la pianta più debole all'apparenza, può resistere alle difficoltà più insopportabili, se mantiene la flessibilità. Per questo motivo, non credo che siate una persona priva di temperamento. Non conosco molto di voi ma so che avete un buon carattere e se siete riuscita a mantenerlo in questo modo malgrado tutto, allora dovete sicuramente avere una qualche forza che vi ha permesso di conservarvi in questo modo." Questa è una nuova storia nella quale trovere una protagonista un po'insolita ma che secondo me merita attenzione. Auguro a chi volesse darci un'occhiata, buona lettura.
STORIA CONCLUSA
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Madri, famiglie e vicende varie'
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Benvenuti cari lettori, grazie per avermi seguito sinora. Mi rendo conto che il ragionamento sia un po'sadico, considerando il trillione di capitoli. In ogni caso vi sono grata per questo. Grazie.

 

TEMPO

 

Girodelle quel giorno scese di buon mattino nel giardino della dimora. Aveva dormito poco o nulla, scombussolato dal litigio della sera prima. Non si aspettava che il generale venisse fin lì, soprattutto in presenza di Madame...ma quello che davvero lo lasciava perplesso era il fatto che la sua consorte avesse deciso di insediarsi in pianta stabile nella sua dimora.

Era effettivamente qualcosa a cui non era abituato.

Il giardino era illuminato dai tiepidi raggi del giorno, dipingendo le foglie di nuovi colore.

Dal piano inferiore, sentiva il profumo del pane appena sfornato.

Una novità, indubbiamente si disse, scuotendo il capo.

Con la coda dell'occhio, vedeva l'ombra di Madame passare da un punto all'altro della stanza.

Il piede batteva nervoso a terra, creando un ticchettio strano e frenetico.

Discretamente si avvicinò.

-Buongiorno, Madame- salutò questi, facendo il suo ingresso.

-Buongiorno a voi, Girodelle- rispose lei, girandosi, con la teglia calda tra le mani- un momento e sarà pronta.-

-Vi ringrazio- disse l'ex militare, accomodandosi sulla panca.

Marguerite lo guardò sorpresa.

-Non mangiate in soggiorno?-chiese.

Victor scosse la testa.

-Il soggiorno è freddo e non voglio sprecare la legna.- rispose laconico. Da quando aveva preso il castello, frequentava quella sala il meno possibile. Era terribilmente fredda e poi, abitandoci da solo, poteva permettersi il lusso di dare un calcio all'etichetta quando desiderava.

Marguerite si accomodò su una delle panche.

-Allora mangeremo qui- disse conciliante.

 

 

 

 

-Monsieur Girodelle- disse, durante la colazione, la dama- voi sapevate che mio marito era vivo, come tutti gli altri.-

Victor si fermò.

La voce della donna era lenta e cadenzata ma sapeva di biasimo.

Se lo sapeva? La risposta era un secco sì. -Ero io il finto legale della farsa testamentaria- disse- come potevo ignorare tutto? Io stesso, insieme alla signorina O'Neal, ho condotto vostro marito in salvo, benché a seguito delle ferite sia stato per molti giorni tra la vita e la morte.-

-Capisco- rispose la donna, sorseggiando il latte.

L'ex militare chinò la testa, leggermente impacciato da quel silenzio. Non voleva immischiarsi nelle questioni dei De Jarjayes ma era chiaro che non era possibile non rimanerne coinvolti. Si era mantenuto ai margini per evitare di creare troppi danni ma era chiaro che una simile cura non aveva evitato l'insorgere di nuovi problemi. La sua vita, dal giorno di quell'incontro casuale e determinante, aveva subito una serie di scossoni non da poco. La sua esistenza di nobile ordinario era stata drammaticamente sconquassata dall'ingresso impetuoso di una donna che si vestiva e comportava da uomo. - Quello che è certo, Madame- disse- è che non si aspettava di essere salvato.-

La donna si fermò.

-Che intendete dire?- chiese, tentando di non mostrare segni d'incertezza.

Girodelle sospirò.

-Il nostro intervento è avvenuto indipendentemente dalla volontà vostra e del generale. Se non fosse stato per Marie che ha fatto leggere i diari di vostro marito ai coniugi Chatelet, molto probabilmente le cose avrebbero preso una piega diversa.- disse.

Madame abbassò la testa.

-Avete...avete letto tutto?-domandò, tremando.

Il militare stette un po'zitto, poi ricordò la ragione...e non poté fare a meno di tacere, colmo d'imbarazzo. I diari del generale mettevano a nudo varie cose della personalità dell'uomo che tanto ammirava e, purtroppo, anche l'aspetto sentimentale.

Quel silenzio valse per la donna come una conferma.

-Non importa Monsieur- rispose, tentando di allontanare la vergogna che la diffusione di simili frasi potevano suscitare- tanto non serve più.-

Girodelle la fissò interdetto.

-Non sono io ad aver sbagliato nei suoi confronti e, anche se sono delusa dal comportamento che tutti voi avete tenuto, malgrado sapeste che io ero infelice, non posso andarmene via. Non ho più niente...o meglio, ho molto meno di quanto avessi prima.- rispose, mentre si faceva strada dentro di lei, l'odioso senso di essere in trappola. Non le piaceva quell'emozione, così drammaticamente simile a quella vissuta in passato.

Victor studiò la sua espressione.

-Ne siete convinta?- domandò.

Marguerite non rispose.

-Le emozioni hanno vari livelli d'interpretazione e dipendono dal contesto e dalla natura delle circostanze. Probabilmente, in passato, siete rimasta delusa e frustrata da varie esperienze che vi hanno toccato nel profondo. - disse, passandosi una mano sulla testa -Però, dovete ammettere che il generale, scheletri nell'armadio a parte, ha cercato di vegliare su di voi in ogni modo, per quanto possibile. Sposarvi è stata una sua scelta...ma voi come moglie non eravate un buon partito.-

La dama rimase interdetta.

-Io vi consiglio di parlare con il generale, prima di prendere le vostre decisioni. Chiedetegli quello che davvero vi preme e perché tutto questo vi offenda così tanto- concluse, sorridendole.

 

 

 

Marie camminava silenziosamente per il cortile. Mancavano ancora dei mesi, prima del travaglio ma non riusciva a stare ferma un minuto. La tensione occupava ogni singola parte del suo corpo e, per sua fortuna, il dottore non le aveva posto divieti particolari. Nemmeno la figlia di Madame ne aveva ricevuti e poteva svolgere tutti i passatempi che voleva, tranne la scherma e la pistola.

Ogni tanto, la vedeva girare da una stanza all'altra, preda di un'oscura frenesia, seguita da suo marito, una presenza silenziosa e discreta...a quel pensiero, il cuore della signorina Chevalier si gonfiò di una nuova tensione. Non era ancora tornato Alain e lei si chiedeva se lo avrebbe mai fatto.

Ultimamente, la nostalgia della sua sagoma si era fatta sempre più pressante.

Quando si recava a Brehan, le sembrava di sentire costantemente gli occhi dei compaesani addosso, come se avesse qualcosa d'infamante scritto in fronte. In quelle occasioni, avrebbe preferito avere qualcuno accanto, pronto a mettere al ripare lei ed il bambino dalla vergogna. Non era mai accaduto.

Ed ora si ritrovava a muovere i suoi passi di donna gravida, con il peso di una colpa che non sentiva tale.

Come ogni giorno, volgeva il capo al profilo lontano del porto, sussultando ogni volta che vedeva la sagoma di una nave...e rilassandosi, allo stesso modo di un guscio vuoto, nel momento in cui si rendeva conto che era un'imbarcazione qualsiasi.

La donna, a quella scomoda verità, chinava la testa...con non poca fatica.

La verità era che non voleva accettare quello stato di cose. Non aveva mai avuto una famiglia ed ora che aspettava un bambino, per la prima volta in vita sua, aveva desiderato poter avere quello che sinora le era stato negato.

Sì, Marie, continua a sognare. La pancia cresce ma hai qualcosa a mezzo, te ne rendi conto? si disse, tentando di tirarsi su con un sano sarcasmo. Gli occhi seguivano con un filo d'invidia le rade coppiette con bambini appresso.

Non voleva vedere quelle persone proprio perché comprendeva quanto il vedere ciò che sembrava esserle negato, la faceva soffrire enormemente. Eppure, la speranza continuava a farsi largo, spingendo le gambe in quella direzione.

Anche quel giorno, quindi, raggiunse il porticciolo di Brehan.

L'aria salmastra le colpiva il viso, portandole al naso l'odore, per lei ora nauseante, del pesce che essiccava all'aria.

Fissava silenziosa l'orizzonte, allo stesso modo delle vede dei pescatori.

In attesa.

Fu proprio allora, mentre gli occhi si perdevano nella foschia dell'oceano, che vide una sagoma alta ed imponente.

Si avvicinava a poco a poco, con passo deciso e incerto al tempo stesso.

Il cuore della signorina Chevalier accellerò, eppure non si mosse dalla sua posizione né, tantomeno, abbassò lo sguardo. Nemmeno quando i contorni si fecero definiti e la sua forma divenne perfettamente riconoscibile.

Anche lui si fermò.

Immobile come lei a fissarla.

Marie non fiatava, limitandosi a guardarlo.

Gli occhi leggermente sgranati.

Non poteva crederci.

Alain era di fronte a lei.

 

 

 

Diamine! Quanto è andata avanti? si chiese il soldato, mentre fissava, tentando di frenare il senso d'allarme che permeava ogni cosa, il ventre ingrossato della piccola donna. Fra un po' sarebbe cresciuto ancora...o almeno così aveva visto nelle vicine di casa, quando viveva a Parigi.

Lei non si muoveva, guardandolo senza alcuna espressione particolare in viso.

Quel particolare lo innervosì un po'.

Non si aspettava le braccia al collo.

Al massimo per strozzarmi per averla lasciata in un momento così delicato fu la risposta ironica che riuscì a pensare.

Le persone passavano avanti e indietro ma lui non vedeva nessuno...tranne la signorina Chevalier, che lo osservava immobile come una statuina di cera.

-Sei tornato- disse infine.

Nessuna accusa.

Nessuna reazione da romanzo d'appendice.

No.

Solo una frase obiettiva, prima di ogni inclinazione che lasciasse pensare il contrario. Alain rimase spiazzato. Era pronto a ricevere tempesta...non quella falsa bonaccia. Istintivamente, si guardò attorno...ma della donna dagli occhi di giada, non c'era più nessuna traccia.

Era sparita al momento dello sbarco, complice forse la foschia di quel giorno.

Il gigante si massaggiò la testa.

Si era aspettato tutto ed aveva immaginato di dover affrontare la giusta rabbia per essere scappato via.

E invece...

Di getto, abbassò lo sguardo.

Che ti aspettavi? Una specie di abbraccio, tipo quello che avresti voluto per la tua Diane? Oppure che ti perdonasse? Tu, genio, gli hai fatto vedere quanto sei inaffidabile, quando c'è bisogno!si diceva, dandosi dello sciocco.

-Dovreste andare dai coniugi Grandier- disse infine la signorina Chevalier, fissando apatica l'orizzonte- considerando che siete unito a loro da un solido legame d'amicizia, dovreste andare da loro.- Poi gli dette le spalle e riprese la strada verso quella che era la sua casa.

 

 

Erin camminava lungo il sentiero.

I passi erano lenti e cadenzati.

Nessuna incertezza, nessun ripensamento.

Aveva visto l'amica al porto, con quella gravidanza in corso, insieme al soldato fuggitivo ma non se l'era sentita di andare da lei. Aveva comunque visto, dall'incarnato, che la sua salute doveva essere buona. Poi si erano allontanati, verso la casa dei Grandier.

Erin non se l'era sentita di seguirli.

Non ci era riuscita.

Il paesaggio, con lentezza, si fece sempre più selvatico e spoglio, battuto dal vento del mare. Istintivamente si fermò, lasciando che l'aria salata asciugasse i suoi capelli. Alla fine, giunse nei pressi di una delle innumerevoli scogliere dell'isola. Era situata nei pressi della chiesetta del posto, un minuscolo edificio di fede che riusciva a vedere in lontananza.

Di getto socchiuse gli occhi.

- Sei qui per lavarti la coscienza?- domandò beffarda.

La sagoma si voltò e due occhi di giada, gemelli dei suoi, si piantarono sul suo viso.

Vide lo stupore disegnarsi su quel volto.

-Sì- fece- sono qui. -

-Sei tornata a finire il lavoro?- domandò calmo il medico.

Erin scosse il capo.

-Ucciderti non mi restituirebbe 30 anni di vita. No, non sono qui per farti fuori...e comunque, non ho alcuna intenzione d'insudiciare la mia anima più di quanto già non lo sia, per farmi carico dei tuoi errori.- rispose, prendendo il sacco da viaggio che portava con sé.

Eamonn sgranò gli occhi, non appena la figlia tirò fuori la mano.

-Voglio però che tu mi racconti tutta la verità.- disse, guardandolo terrea- e questa volta non accetterò ritocchi.-

Il medico la guardò interdetto.

Non si aspettava una cosa del genere...e, in fondo, nemmeno Erin. Aveva covato rabbia per quasi 30 anni, solo per trovare la spinta necessaria a sopravvivere. Non sapeva nemmeno lei dove avesse trovato quel compromesso. Finora non lo aveva nemmeno preso in considerazione. Aveva troppi problemi per prendersi il lusso di riflettere su quella cosa. Ora però, non aveva più motivo di farlo...e quindi era tempo di saldare i conti.

Vide suo padre mettersi a sedere poco distante dal ciglio.

-Accomodati pure- disse, sbrigativo.

-Voglio tutto- fece questa, mentre si appoggiava al muretto- e non fregarmi. Questa volta non posso permettertelo...non con la prova che ho in mano.-

Eamonn inarcò la fronte.

- Che altro vuoi sapere?- domandò- Hai visto le catene...e sai cosa significa...io...io l'ho fatto perché non potevo agire in altra maniera. Tu non sai che posti sono le celle dei galeotti...volevi finire forse in quel covo di topi.-

Erin lo guardò beffarda.

-Non dirmi che lo hai fatto per il mio bene. Tieniti questa frase idiota per te, dannato. Anche se non ero in una fetida cella, ho passato l'inferno.- rispose, assottigliando lo sguardo.

Il gigante si passò una mano sulla fronte.

- Lo so- disse- Ti vidi una notte, quando ti cercai a Parigi. Eri alla finestra di un bordello...a esporre la merce.-

Erin si irrigidì.

-Eri a Parigi?- domandò tremando.

Eamonn annuì.

-Sono sempre stato un buon medico. Il villaggio dove sei nata ha sfruttato queste mie doti, come sai...ma ero un galeotto. Tuo zio mi teneva alla catena ma le cose non durarono. Ero una fonte di guadagno preziosa e voleva tenermi per sé...ma il parroco aveva altre mire. In un primo tempo, aveva pensato di servirsi della sua autorità per strapparmi ad Armand ma la sorte aveva altre mire.- disse- Un giorno, vennero degli ufficiali inglesi alla sua porta, scortati dagli uomini del nobilastro che possedeva quelle terre. Erano della marina e, dopo aver ripescato alcuni dei naufraghi del vascello in cui mi trovavo, erano venuti a cercarmi. Il prete, allora, fece il nome di tuo zio, decretando la mia condanna.-

Erin non commentò.

-Quindi hai detto che andavi in Inghilterra in cerca di fortuna per proteggermi dalla verità...non è così?- domandò inerte -Ho pensato a quell'evento per tanti anni, per cercare di capire come sia potuta finire in quello schifo di posto. Quando fuggii nel convento, dove ho reincontrato Marie, ho continuato a credere che saresti tornato a salvarmi...ed è per questa sciocca debolezza che mi hanno catturata e venduta. Lo zio mi raccontò, mentendo, che tu eri tornato...se non mi avessi dato illusioni, non avrei mai fatto una sciocchezza simile. Ecco perché non sono mai riuscita a perdonarti per avermi lasciato una simile debolezza. Se mi avessi detto che non mi avevi mai voluto e che ero un peso per te, ti avrei seriamente odiato, riuscendo però a rimanere vigile. Mi hai reso vulnerabile...perché?-

Eamonn sospirò.

Le ombre si allungavano sulla via, creando strisce nere.

-Nella mia vita degradata e cupa, le uniche luci che ho ricevuto sono state Anjelique...e te. Se ti avessi detto una cosa del genere, avrei infangato la memoria di tua madre. Io non sono una bestia...e se non lo sono diventato il merito è di Anjelique e tuo. Non nego di essere stato un colossale egoista ma non ce l'ho fatta. Ciò che è meglio non sempre corrisponde alla verità...dovresti saperlo.-rispose il dottore, fissando le sagome.

Erin non disse una parola.

-Ed ora cosa intendi fare?- chiese il medico.

La figlia rimise le catene al suo posto.

-Nulla. Odiarti mi è servito a non crepare in questo modo abietto e degradato, dove nemmeno i legami più sacri possono qualcosa contro il denaro. E'stato uno strumento, nulla di più. Se non l'avessi agito così, avrei finito con il soccombere. Ora però è qualcosa di assolutamente inutile. Non posso permettermi il lusso di odiarti per le tue remore passate. Se ho fatto quello che fatto, è stato solo perché non mi piace essere presa in giro. La mia infanzia è stata un colossale schifo. Questa premura era del tutto inutile. Ha fatto solo più danni.- disse- Per cui puoi tranquillamente continuare a colpevolizzarti, come hai fatto sinora, crogiolandoti nel vittimismo, oppure guardare al passato con il distacco che merita. Sono qui, sto meno peggio di allora...il resto è secondario.-

Erin parlò con calma, calibrando accuratamente le sue parole. Era come se ci avesse riflettuto da una vita...da quando aveva ricevuto una sosta dagli affanni e poteva concedersi il lusso di rifletterci sopra. -Le cose stanno in questi termini. Io non me ne vergogno e non intendo nasconderle. Non serve. Farebbe solo più male...ed io sono stanca di sentire questo pungolo.- disse, rimettendosi in piedi - E'vero, ho provato ad ucciderti ma ero talmente convinta che fosse unicamente colpa tua da non sentire. Non intendo chiederti scusa e nemmeno voglio il tuo perdono. Semplicemente lascia perdere questo rimorso inutile. Anjelique ti ha dato tanto, con i ricordi che ti ha lasciato...concentrati su di loro e smettila di avvelenarti con il rimpianto.-

Eamonn inarcò la fronte.

-Da quando mi dai lezioni?- chiese il dottore.

-Da quando ho capito che non possiamo avere un rapporto padre-figlia normale. Noi non lo siamo. Non ne siamo capaci. Segui il mio consiglio.-disse, allontanandosi.

 

Buon 2013! Questo capitolo è un po'breve ma questa volta siamo davvero alle battute finali. In questo capitolo, Erin e Alain tornano a casa. Onestamente non sono molto soddisfatta di alcuni passaggi ma è così che volevo il capitolo. Non mi piacciono le cose scontate e cerco di evitarle, anche se l'incontro tra Erin ed il padre, tra Marie ed Alain era rischioso da realizzare.

Mi auguro però di finire prima del 7 gennaio. Tornerò all'università allora e non potrei scrivere così liberamente come adesso.

Grazie ancora.

   
 
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