Benvenuti
cari lettori,
grazie per avermi seguito sinora. Mi rendo conto che il ragionamento
sia un po'sadico,
considerando il trillione di capitoli. In ogni caso vi sono grata per
questo.
Grazie.
TEMPO
Girodelle quel giorno scese di buon
mattino nel giardino della dimora.
Aveva dormito poco o nulla, scombussolato dal litigio della sera prima.
Non si
aspettava che il generale venisse fin lì, soprattutto in
presenza di
Madame...ma quello che davvero lo lasciava perplesso era il fatto che
la sua
consorte avesse deciso di insediarsi in pianta stabile nella sua dimora.
Era effettivamente qualcosa a cui
non era abituato.
Il giardino era illuminato dai
tiepidi raggi del giorno, dipingendo le
foglie di nuovi colore.
Dal piano inferiore, sentiva il
profumo del pane appena sfornato.
Una novità,
indubbiamente
si disse, scuotendo il capo.
Con la coda dell'occhio, vedeva
l'ombra di Madame passare da un punto
all'altro della stanza.
Il piede batteva nervoso a terra,
creando un ticchettio strano e
frenetico.
Discretamente si
avvicinò.
-Buongiorno, Madame-
salutò questi, facendo il suo ingresso.
-Buongiorno a voi, Girodelle-
rispose lei, girandosi, con la teglia
calda tra le mani- un momento e sarà pronta.-
-Vi ringrazio- disse l'ex militare,
accomodandosi sulla panca.
Marguerite lo guardò
sorpresa.
-Non mangiate in soggiorno?-chiese.
Victor scosse la testa.
-Il soggiorno è freddo e
non voglio sprecare la legna.- rispose
laconico. Da quando aveva preso il castello, frequentava quella sala il
meno
possibile. Era terribilmente fredda e poi, abitandoci da solo, poteva
permettersi il lusso di dare un calcio all'etichetta quando desiderava.
Marguerite si accomodò
su una delle panche.
-Allora mangeremo qui- disse
conciliante.
-Monsieur Girodelle- disse, durante
la colazione, la dama- voi sapevate
che mio marito era vivo, come tutti gli altri.-
Victor si fermò.
La voce della donna era lenta e
cadenzata ma sapeva di biasimo.
Se lo sapeva? La risposta era un
secco sì. -Ero io il finto legale
della farsa testamentaria- disse- come potevo ignorare tutto? Io
stesso,
insieme alla signorina O'Neal, ho condotto vostro marito in salvo,
benché a
seguito delle ferite sia stato per molti giorni tra la vita e la morte.-
-Capisco- rispose la donna,
sorseggiando il latte.
L'ex militare chinò la
testa, leggermente impacciato da quel silenzio.
Non voleva immischiarsi nelle questioni dei De Jarjayes ma era chiaro
che non
era possibile non rimanerne coinvolti. Si era mantenuto ai margini per
evitare
di creare troppi danni ma era chiaro che una simile cura non aveva
evitato
l'insorgere di nuovi problemi. La sua vita, dal giorno di
quell'incontro
casuale e determinante, aveva subito una serie di scossoni non da poco.
La sua
esistenza di nobile ordinario era stata drammaticamente sconquassata
dall'ingresso impetuoso di una donna che si vestiva e comportava da
uomo. -
Quello che è certo, Madame- disse- è che non si
aspettava di essere salvato.-
La donna si fermò.
-Che intendete dire?- chiese,
tentando di non mostrare segni
d'incertezza.
Girodelle sospirò.
-Il nostro intervento è
avvenuto indipendentemente dalla volontà vostra
e del generale. Se non fosse stato per Marie che ha fatto leggere i
diari di
vostro marito ai coniugi Chatelet, molto probabilmente le cose
avrebbero preso
una piega diversa.- disse.
Madame abbassò la testa.
-Avete...avete letto
tutto?-domandò, tremando.
Il militare stette un po'zitto, poi
ricordò la ragione...e non poté fare
a meno di tacere, colmo d'imbarazzo. I diari del generale mettevano a
nudo
varie cose della personalità dell'uomo che tanto ammirava e,
purtroppo, anche
l'aspetto sentimentale.
Quel silenzio valse per la donna
come una conferma.
-Non importa Monsieur- rispose,
tentando di allontanare la vergogna che
la diffusione di simili frasi potevano suscitare- tanto non serve
più.-
Girodelle la fissò
interdetto.
-Non sono io ad aver sbagliato nei
suoi confronti e, anche se sono
delusa dal comportamento che tutti voi avete tenuto, malgrado sapeste
che io
ero infelice, non posso andarmene via. Non ho più niente...o
meglio, ho molto
meno di quanto avessi prima.- rispose, mentre si faceva strada dentro
di lei,
l'odioso senso di essere in trappola. Non le piaceva quell'emozione,
così
drammaticamente simile a quella vissuta in passato.
Victor studiò la sua
espressione.
-Ne siete convinta?-
domandò.
Marguerite non rispose.
-Le emozioni hanno vari livelli
d'interpretazione e dipendono dal
contesto e dalla natura delle circostanze. Probabilmente, in passato,
siete
rimasta delusa e frustrata da varie esperienze che vi hanno toccato nel
profondo. - disse, passandosi una mano sulla testa -Però,
dovete ammettere che
il generale, scheletri nell'armadio a parte, ha cercato di vegliare su
di voi
in ogni modo, per quanto possibile. Sposarvi è stata una sua
scelta...ma voi
come moglie non eravate un buon partito.-
La dama rimase interdetta.
-Io vi consiglio di parlare con il
generale, prima di prendere le
vostre decisioni. Chiedetegli quello che davvero vi preme e
perché tutto questo
vi offenda così tanto- concluse, sorridendole.
Marie camminava silenziosamente per
il cortile. Mancavano ancora dei
mesi, prima del travaglio ma non riusciva a stare ferma un minuto. La
tensione
occupava ogni singola parte del suo corpo e, per sua fortuna, il
dottore non le
aveva posto divieti particolari. Nemmeno la figlia di Madame ne aveva
ricevuti
e poteva svolgere tutti i passatempi che voleva, tranne la scherma e la
pistola.
Ogni tanto, la vedeva girare da una
stanza all'altra, preda di
un'oscura frenesia, seguita da suo marito, una presenza silenziosa e
discreta...a quel pensiero, il cuore della signorina Chevalier si
gonfiò di una
nuova tensione. Non era ancora tornato Alain e lei si chiedeva se lo
avrebbe
mai fatto.
Ultimamente, la nostalgia della sua
sagoma si era fatta sempre più
pressante.
Quando si recava a Brehan, le
sembrava di sentire costantemente gli
occhi dei compaesani addosso, come se avesse qualcosa d'infamante
scritto in
fronte. In quelle occasioni, avrebbe preferito avere qualcuno accanto,
pronto a
mettere al ripare lei ed il bambino dalla vergogna. Non era mai
accaduto.
Ed ora si ritrovava a muovere i
suoi passi di donna gravida, con il
peso di una colpa che non sentiva tale.
Come ogni giorno, volgeva il capo
al profilo lontano del porto,
sussultando ogni volta che vedeva la sagoma di una nave...e
rilassandosi, allo
stesso modo di un guscio vuoto, nel momento in cui si rendeva conto che
era
un'imbarcazione qualsiasi.
La donna, a quella scomoda
verità, chinava la testa...con non poca
fatica.
La verità era che non
voleva accettare quello stato di cose. Non aveva
mai avuto una famiglia ed ora che aspettava un bambino, per la prima
volta in
vita sua, aveva desiderato poter avere quello che sinora le era stato
negato.
Sì, Marie, continua
a sognare. La pancia cresce ma hai qualcosa a mezzo, te ne rendi conto? si disse, tentando di
tirarsi su con un sano sarcasmo. Gli occhi seguivano con un filo
d'invidia le
rade coppiette con bambini appresso.
Non voleva vedere quelle persone
proprio perché comprendeva quanto il
vedere ciò che sembrava esserle negato, la faceva soffrire
enormemente. Eppure,
la speranza continuava a farsi largo, spingendo le gambe in quella
direzione.
Anche quel giorno, quindi,
raggiunse il porticciolo di Brehan.
L'aria salmastra le colpiva il
viso, portandole al naso l'odore, per
lei ora nauseante, del pesce che essiccava all'aria.
Fissava silenziosa l'orizzonte,
allo stesso modo delle vede dei
pescatori.
In attesa.
Fu proprio allora, mentre gli occhi
si perdevano nella foschia
dell'oceano, che vide una sagoma alta ed imponente.
Si avvicinava a poco a poco, con
passo deciso e incerto al tempo
stesso.
Il cuore della signorina Chevalier
accellerò, eppure non si mosse dalla
sua posizione né, tantomeno, abbassò lo sguardo.
Nemmeno quando i contorni si
fecero definiti e la sua forma divenne perfettamente riconoscibile.
Anche lui si fermò.
Immobile come lei a fissarla.
Marie non fiatava, limitandosi a
guardarlo.
Gli occhi leggermente sgranati.
Non poteva crederci.
Alain era di fronte a lei.
Diamine! Quanto è
andata avanti?
si chiese il soldato, mentre fissava, tentando di frenare il senso
d'allarme che permeava ogni cosa, il ventre ingrossato della piccola
donna. Fra
un po' sarebbe cresciuto ancora...o almeno così aveva visto
nelle vicine di
casa, quando viveva a Parigi.
Lei non si muoveva, guardandolo
senza alcuna espressione particolare in
viso.
Quel particolare lo
innervosì un po'.
Non si aspettava le braccia al
collo.
Al massimo per
strozzarmi per averla lasciata in un momento così delicato fu la risposta ironica che
riuscì a pensare.
Le persone passavano avanti e
indietro ma lui non vedeva
nessuno...tranne la signorina Chevalier, che lo osservava immobile come
una
statuina di cera.
-Sei tornato- disse infine.
Nessuna accusa.
Nessuna reazione da romanzo
d'appendice.
No.
Solo una frase obiettiva, prima di
ogni inclinazione che lasciasse
pensare il contrario. Alain rimase spiazzato. Era pronto a ricevere
tempesta...non quella falsa bonaccia. Istintivamente, si
guardò attorno...ma
della donna dagli occhi di giada, non c'era più nessuna
traccia.
Era sparita al momento dello
sbarco, complice forse la foschia di quel
giorno.
Il gigante si massaggiò
la testa.
Si era aspettato tutto ed aveva
immaginato di dover affrontare la
giusta rabbia per essere scappato via.
E invece...
Di getto, abbassò lo
sguardo.
Che ti aspettavi?
Una specie di abbraccio, tipo quello che avresti voluto per la tua
Diane?
Oppure che ti perdonasse? Tu, genio, gli hai fatto vedere quanto sei
inaffidabile, quando c'è bisogno!si diceva, dandosi dello sciocco.
-Dovreste andare dai coniugi
Grandier- disse infine la signorina
Chevalier, fissando apatica l'orizzonte- considerando che siete unito a
loro da
un solido legame d'amicizia, dovreste andare da loro.- Poi gli dette le
spalle
e riprese la strada verso quella che era la sua casa.
Erin camminava lungo il sentiero.
I passi erano lenti e cadenzati.
Nessuna incertezza, nessun
ripensamento.
Aveva visto l'amica al porto, con
quella gravidanza in corso, insieme
al soldato fuggitivo ma non se l'era sentita di andare da lei. Aveva
comunque
visto, dall'incarnato, che la sua salute doveva essere buona. Poi si
erano
allontanati, verso la casa dei Grandier.
Erin non se l'era sentita di
seguirli.
Non ci era riuscita.
Il paesaggio, con lentezza, si fece
sempre più selvatico e spoglio,
battuto dal vento del mare. Istintivamente si fermò,
lasciando che l'aria
salata asciugasse i suoi capelli. Alla fine, giunse nei pressi di una
delle
innumerevoli scogliere dell'isola. Era situata nei pressi della
chiesetta del
posto, un minuscolo edificio di fede che riusciva a vedere in
lontananza.
Di getto socchiuse gli occhi.
- Sei qui per lavarti la
coscienza?- domandò beffarda.
La sagoma si voltò e due
occhi di giada, gemelli dei suoi, si
piantarono sul suo viso.
Vide lo stupore disegnarsi su quel
volto.
-Sì- fece- sono qui. -
-Sei tornata a finire il lavoro?-
domandò calmo il medico.
Erin scosse il capo.
-Ucciderti non mi restituirebbe 30
anni di vita. No, non sono qui per
farti fuori...e comunque, non ho alcuna intenzione d'insudiciare la mia
anima
più di quanto già non lo sia, per farmi carico
dei tuoi errori.- rispose,
prendendo il sacco da viaggio che portava con sé.
Eamonn sgranò gli occhi,
non appena la figlia tirò fuori la mano.
-Voglio però che tu mi
racconti tutta la verità.- disse, guardandolo
terrea- e questa volta non accetterò ritocchi.-
Il medico la guardò
interdetto.
Non si aspettava una cosa del
genere...e, in fondo, nemmeno Erin. Aveva
covato rabbia per quasi 30 anni, solo per trovare la spinta necessaria
a
sopravvivere. Non sapeva nemmeno lei dove avesse trovato quel
compromesso.
Finora non lo aveva nemmeno preso in considerazione. Aveva troppi
problemi per
prendersi il lusso di riflettere su quella cosa. Ora però,
non aveva più motivo
di farlo...e quindi era tempo di saldare i conti.
Vide suo padre mettersi a sedere
poco distante dal ciglio.
-Accomodati pure- disse, sbrigativo.
-Voglio tutto- fece questa, mentre
si appoggiava al muretto- e non
fregarmi. Questa volta non posso permettertelo...non con la prova che
ho in
mano.-
Eamonn inarcò la fronte.
- Che altro vuoi sapere?-
domandò- Hai visto le catene...e sai cosa
significa...io...io l'ho fatto perché non potevo agire in
altra maniera. Tu non
sai che posti sono le celle dei galeotti...volevi finire forse in quel
covo di
topi.-
Erin lo guardò beffarda.
-Non dirmi che lo hai fatto per il
mio bene. Tieniti questa frase
idiota per te, dannato. Anche se non ero in una fetida cella, ho
passato
l'inferno.- rispose, assottigliando lo sguardo.
Il gigante si passò una
mano sulla fronte.
- Lo so- disse- Ti vidi una notte,
quando ti cercai a Parigi. Eri alla
finestra di un bordello...a esporre la merce.-
Erin si irrigidì.
-Eri a Parigi?- domandò
tremando.
Eamonn annuì.
-Sono sempre stato un buon medico.
Il villaggio dove sei nata ha
sfruttato queste mie doti, come sai...ma ero un galeotto. Tuo zio mi
teneva
alla catena ma le cose non durarono. Ero una fonte di guadagno preziosa
e
voleva tenermi per sé...ma il parroco aveva altre mire. In
un primo tempo,
aveva pensato di servirsi della sua autorità per strapparmi
ad Armand ma la
sorte aveva altre mire.- disse- Un giorno, vennero degli ufficiali
inglesi alla
sua porta, scortati dagli uomini del nobilastro che possedeva quelle
terre.
Erano della marina e, dopo aver ripescato alcuni dei naufraghi del
vascello in
cui mi trovavo, erano venuti a cercarmi. Il prete, allora, fece il nome
di tuo
zio, decretando la mia condanna.-
Erin non commentò.
-Quindi hai detto che andavi in
Inghilterra in cerca di fortuna per
proteggermi dalla verità...non è
così?- domandò inerte -Ho pensato a
quell'evento per tanti anni, per cercare di capire come sia potuta
finire in
quello schifo di posto. Quando fuggii nel convento, dove ho
reincontrato Marie,
ho continuato a credere che saresti tornato a salvarmi...ed
è per questa
sciocca debolezza che mi hanno catturata e venduta. Lo zio mi
raccontò,
mentendo, che tu eri tornato...se non mi avessi dato illusioni, non
avrei mai
fatto una sciocchezza simile. Ecco perché non sono mai
riuscita a perdonarti
per avermi lasciato una simile debolezza. Se mi avessi detto che non mi
avevi
mai voluto e che ero un peso per te, ti avrei seriamente odiato,
riuscendo però a
rimanere vigile. Mi hai reso vulnerabile...perché?-
Eamonn sospirò.
Le ombre si allungavano sulla via,
creando strisce nere.
-Nella mia vita degradata e cupa,
le uniche luci che ho ricevuto sono
state Anjelique...e te. Se ti avessi detto una cosa del genere, avrei
infangato
la memoria di tua madre. Io non sono una bestia...e se non lo sono
diventato il
merito è di Anjelique e tuo. Non nego di essere stato un
colossale egoista ma
non ce l'ho fatta. Ciò che è meglio non sempre
corrisponde alla
verità...dovresti saperlo.-rispose il dottore, fissando le
sagome.
Erin non disse una parola.
-Ed ora cosa intendi fare?- chiese
il medico.
La figlia rimise le catene al suo
posto.
-Nulla. Odiarti mi è
servito a non crepare in questo modo abietto e
degradato, dove nemmeno i legami più sacri possono qualcosa
contro il denaro.
E'stato uno strumento, nulla di più. Se non l'avessi agito
così, avrei finito
con il soccombere. Ora però è qualcosa di
assolutamente inutile. Non posso
permettermi il lusso di odiarti per le tue remore passate. Se ho fatto
quello
che fatto, è stato solo perché non mi piace
essere presa in giro. La mia
infanzia è stata un colossale schifo. Questa premura era del
tutto inutile. Ha
fatto solo più danni.- disse- Per cui puoi tranquillamente
continuare a
colpevolizzarti, come hai fatto sinora, crogiolandoti nel vittimismo,
oppure
guardare al passato con il distacco che merita. Sono qui, sto meno
peggio di
allora...il resto è secondario.-
Erin parlò con calma,
calibrando accuratamente le sue parole. Era come
se ci avesse riflettuto da una vita...da quando aveva ricevuto una
sosta dagli
affanni e poteva concedersi il lusso di rifletterci sopra. -Le cose
stanno in
questi termini. Io non me ne vergogno e non intendo nasconderle. Non
serve.
Farebbe solo più male...ed io sono stanca di sentire questo
pungolo.- disse,
rimettendosi in piedi - E'vero, ho provato ad ucciderti ma ero talmente
convinta che fosse unicamente colpa tua da non sentire. Non intendo
chiederti
scusa e nemmeno voglio il tuo perdono. Semplicemente lascia perdere
questo rimorso
inutile. Anjelique ti ha dato tanto, con i ricordi che ti ha
lasciato...concentrati su di loro e smettila di avvelenarti con il
rimpianto.-
Eamonn inarcò la fronte.
-Da quando mi dai lezioni?- chiese
il dottore.
-Da quando ho capito che non
possiamo avere un rapporto padre-figlia
normale. Noi non lo siamo. Non ne siamo capaci. Segui il mio
consiglio.-disse,
allontanandosi.
Buon
2013! Questo capitolo
è un po'breve ma questa volta siamo davvero alle battute
finali. In questo
capitolo, Erin e Alain tornano a casa. Onestamente non sono molto
soddisfatta
di alcuni passaggi ma è così che volevo il
capitolo. Non mi piacciono le cose
scontate e cerco di evitarle, anche se l'incontro tra Erin ed il padre,
tra Marie
ed Alain era rischioso da realizzare.
Mi
auguro però di finire
prima del 7 gennaio. Tornerò all'università
allora e non potrei scrivere così
liberamente come adesso.
Grazie
ancora.