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Autore: Nocturnia    03/01/2013    2 recensioni
Fino a quando avresti potuto sopportarlo?
Fino a che punto avresti potuto spingere te stesso e chi ti stava attorno?
Fino a che punto sei stato consumato, pipistrello?
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bat Family, Batman, Selina Kyle aka Catwoman, Thomas Elliot/Hush
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Disclaimer: Bruce Wayne, Selina Kyle e tutti gli altri personaggi appartengono a Bob Kane, alla DC Comics e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Dietro la maschera


Due giorni dopo
Manicomio di Arkham. Ore 20:00

"Ti trovo in ottima forma."
Hush aveva tossito, espettorando impalpabili goccioline di sangue e squadrandoti malevolo.
"Faccio quello che posso per mantenermi. Sai, addominali, flessioni, alimentazione sana e regolare, cose del genere."
Aveva un timbro setoso e sarcastico Elliot, la sottile bellezza del serpente dietro la pelle di un uomo.
Si era passato il dorso della mano sulle labbra, facendo tintinnare le manette e riportando lo sguardo su di te.
"Cosa ci fai qui?"
Gli avevi sorriso, poggiando i gomiti sul tavolo in metallo e facendo scricchiolare la sedia mentre ti avvicinavi a lui.
"Sono il tuo psichiatra, Dott. Elliot. Dovresti sapere bene cosa ci faccio qui."

Menzogna.

Hush ti aveva rivolto l'ennesimo sguardo contrariato, malcelato dalle bende che gli intrappolavano il viso.
"Piantala."
Il tuo sorriso si era ampliato, rivelando una dentatura perfetta e bianchissima.
"Ho una laurea in Medicina e la specializzazione in Psichiatria. Sono stato un illustre professore e nessuno, nessuno, ha mai potuto confutare le mie tesi. Tu sarai chi io voglio che tu sia."
Elliot aveva ridacchiato, premendosi il naso tra l'indice e il pollice.
"Oh certo, un medico. Uno di quei figli di puttana in bianco che crede d'essere Dio."
Aveva alzato di scatto la testa, la pupilla un granello nerastro sul fondo di quelle iridi artiche.
"Signora, suo marito ha una neoplasia, non ce la farà. Signore, sua moglie è morta di parto, complicanze. Signora, dovrei proteggere la vita, ma essa è solo la sciocca invenzione di noi uomini. Un'altra stupida catena in questo mondo di vincoli e guinzagli."
La risata di Hush era cresciuta, assieme al suo delirio.
Avevi alzato un sopracciglio, artigliandogli la casacca arancione del manicomio e scrollandolo.
"Noi soli sappiamo come vanno le cose, Hush. Noi e NOI solo. Siamo medici, siamo Dei. Siamo il bisturi che affonda e deforma, salvo poi creare. " e mentre lo dicevi - lo urlavi - gli staccavi quelle bende una per una, rivelando le geometrie di un uomo disperato e contratto nella sua follia "Siamo la comprensione, la conoscenza. Siamo coloro che sorvegliano sulle loro inutili, patetiche, vite! Siamo i padroni di questa città corrotta e immonda, Hush. Noi, non il pipistrello." l'avevi issato dalla sedia, barcollando per il troppo peso "Noi e solo noi."

Menzogna. Inganno.

Hush aveva sbattuto un paio di volte le palpebre, prima di stornare lo sguardo e piantarlo oltre la finestra.
Fuori, la neve aveva ripreso a cadere in violente e gelide raffiche.
Era calato un silenzio compatto e durissimo, reso fastidioso dal fetore di disinfettante che ti inondava la gola e dal grigiore sconfortante delle pareti.
Aveva poi emesso un sospiro secco, aspro, quasi una foglia calpestata nel mezzo dell'autunno.
"Ha fallito."
Eri arretrato di qualche passo, lasciando la sua camicia e passandoti una mano tra i capelli.
"Cosa?"
Hush aveva inclinato il collo, raggiungendoti con una pupilla vorace e ferina.
"Lui non ha paura. Non ne ha mai avuta."

Manicomio di Arkham. Ore 20:20

Era uno stupido.
Non nel modo classico d'esserlo, ma Crane era uno stupido.
Si divertiva a catturare patetici topi e a farli correre per un labirinto d'orrori e menzogne, credendo - sperando - che la paura si presentasse a lui come una puttana al suo amante migliore.
La paura è il pugno che sgretola ogni certezza, il rostro che lì penetra e non molla, fino a quando della tua forza non è rimasto altro che un guscio vuoto.
Avevi espirato debolmente, lasciando che le maglie del dolore si sciogliessero un poco alla volta.
Era uno che picchiava duro, Damian Wayne.
Ti aveva sfondato le zigomo e spappolato la milza, distruggendo mesi e mesi del tuo faticoso lavoro.
Ti aveva percosso come una pecora indifesa, mostrando tutti i crismi di Talia al Ghul.
Un sorriso osceno ti aveva attraversato i lineamenti, facendo brillare d'ombra il tuo sguardo.
Era un assassino nato quel ragazzino e solo l'intervento di Nightwing l'aveva fermato dall'ucciderti.
Dal vendicare un'onta che solo il sangue avrebbe potuto lavare.
Assolvere.
"Thomas."
Avevi socchiuso gli occhi, sedendoti nuovamente e indicando il posto libero davanti a te.
Crane si era accomodato, lisciandosi i pantaloni e sistemandosi la cravatta.
A suo modo, disturbato e disturbante, era bello Jonathan Crane.
Possedeva il profilo dritto e imbronciato di chi è stato partorito da Gotham e lì lasciato, tra brandelli di placenta informi e incubi notturni.
Aveva mani affusolate e nervose, che troppo spesso si muovevano inquiete sulle superfici a lui vicine.
Ma più di ogni altra cosa, aveva il cervello impressionante e rapido d'un vero dottore.
O di un vero pazzo, questione di punti vista.
La sua laurea era stato solo il vettore con cui aveva inoculato la sua terribile malattia all'intera città, mascherandosi dietro la paglia sudicia e intrecciata di uno spaventapasseri che era invece il più disciplinato dei medici.
È un assioma assoluto quello per cui il 'camice bianco' non può - non deve - lavorare per scopi egoistici.
È un credo su cui Thomas Wayne aveva fondato una carriera, scevro d'ogni meschina forma di guadagno.
Nessuno calcola mai il sapore della conoscenza, l'anatomia implacabile d'essere veggenti in un mondo di ciechi.
Nessuno calcola mai che vi è un uomo dietro il giuramento d'Ippocrate e quanto esso possa essere corrotto.
Quanto possa essere pericoloso.

"Gli hai dato la dose che ti avevo detto?"
Crane ti aveva richiamato all'attenzione, picchiettando un dito magro sul tavolo.
Avevi sputato al suolo, fissandolo con astio.
"Certo che l'ho fatto, brutto idiota. So come riempire una siringa."
Jonathan si era reclinato all'indietro, piegando un angolo della bocca in un sorriso derisorio.
"Che stupido che sono, certo che lo sai fare. Altrimenti come avresti fatto a sminuzzarti la faccia in tanti pezzetti e poi a ricucirtela da solo, eh Hush?" aveva incrociato le dita tra loro, nascondendosi nell'ombra gettata dalla lampada.

Menzogna. Inganno. Dolore.

Avevi digrignato i denti, consapevole di non poter fare molto con le guardie alle tue spalle, se non mormorare e mormorare ancora.
Ruggiva però il tuo petto, diventando una tempesta ricolma di frustrazione e rancore.
Crane aveva estratto gli occhiali dalla tasca, infilandoseli e raccogliendo la sua cartellina.
"Te ne vai già?"
Aveva annuito, senza perdere il suo sorriso a mezza bocca.
"Non sei molto collaborativo, Elliot. Il pipistrello è sempre stato difficile da spaventare, ma contavo che qualcuno tanto pazzo da farsi incollare la faccia di Bruce Wayne addosso ne fosse in grado."

Crick crick.

Probabilmente erano i tuoi denti quelli che sfregavano gli uni contro gli altri.
"Bruce Wayne è Batman."
Crane si era fermato di colpo, guardandoti da sopra la spalla.
Per alcuni, interminabili, secondi, Jonathan ti aveva scrutato curioso, quasi eccitato.
Poi una risata si era liberata nell'aria, diventando una pioggia di vetro e collera.
"Tu sei matto, Hush." aveva berciato Crane "Matto da legare."
"È la verità."
"Oh certo. E io dovrei credere che Bruce Wayne, l'eccentrico e molle miliardario di questa sudicia città, sia il Cavaliere Oscuro. Certo, come no."
Crane aveva continuato a ridere tra una parola e l'altra, stringendo convulsamente la stoffa della sua giacca.
"È la verità."
Una lama che non incideva più alcuna carne, né alcun nervo.
Si era raddrizzato, asciugandosi gli occhi da dietro le lenti.
"Wayne finanzia pubblicamente Batman, ma questo non fa di lui il pipistrello, Hush."
Ti aveva rivolto uno sguardo gonfio di commiserazione e divertimento, una frustata al cuore e un morso divorante all'orgoglio.
"Sei uno schizofrenico, Thomas Elliot. Hai un delirio paranoide e l'abbandono della realtà ha raggiunto in te vertici inaspettati. Hai dovuto strapparti la pelle per essere altro, per sfamare un filo logico assolutamente assente. Ti sei mutilato, una cosa per nulla anomala nelle persone affette da DDI, come te. Sei un uomo a metà, Thomas. Sei un riflesso distorto di ciò che vuoi e non otterrai mai."
Avevi ribaltato il tavolo sull'impiantito con un calcio ben assestato, la rabbia un montare sordo e tumultuoso al centro dell'addome.
Alcune cose sono proprio reazioni di pancia ti eri trovato a pensare, prima che il taser della guardia di riducesse a un ammasso tremolante di muscoli e ossa.
A terra, era stata l'ombra di un pipistrello a ricoprirti, annichilendoti.
Ancora.

Manicomio di Arkham.Ore 20:45

Hush vibrava ancora per le scosse ricevute quando ti eri allontanato da lui, tra le gambe una chiazza d'urina e vergogna.
Il taser ha qualche piccolo effetto collaterale, tra cui la perdita di coscienza e del controllo della maggior parte delle proprie funzioni volontarie.
Le porte scorrevoli si erano poi chiuse alle tue spalle con un sibilo soffice, lasciandoti solo in mezzo al lungo corridoio.
"Tutto bene Dott. Gleaman? Ha bisogno di qualcosa?"
Avevi guardato di sfuggita la guardia alla tua sinistra che, garbatamente, ti porgeva il documento d'uscita.
"Certo, nessun problema. Il paziente è un po'...indisposto. Tornerò domani."
La guardia aveva annuito, lanciando un'ultima occhiata al tuo abbigliamento elegante, ai capelli biondi e alla gamba zoppicante.

Menzogna. Inganno. Dolore. Dissimulazione.

Avevi raccolto i tuoi oggetti personali, lasciando che Arkham ti rendesse un uomo libero e preda dell'inverno, uno spauracchio in mezzo al candore accecante della neve.
Il cielo era una cupola nerastra sopra di te, buio e colmo d'ogni paura.
Era un utero sempre gravido Gotham e tu il suo più fedele seguace.
Ti eri passato una mano sul volto, incerto.
Bruce Wayne e Batman.
Una risatina timida ti aveva accarezzato le labbra, strette tra loro dal freddo.
Impossibile ti eri detto Wayne è un brutto figlio di puttana con troppi soldi e troppe donne. Diavolo, probailmente non sa più nemmeno dove metterlo, ha solo l'imbarazzo della scelta.
Una corrente d'aria troppo forte ti aveva scostato i capelli dalla nuca, facendoti rabbrividire.
Mr. Freeze avrebbe dovuto piantarla con quei suoi assurdi esperimenti per la moglie morta.
Wayne non è un figlio di Gotham, ma solo il suo più viziato cavaliere ti eri ripetuto incamminandoti per le strade di Gotham Un cavaliere che ha troppo e che vuole sempre di più.
E se avessi prestato più attenzione, ti saresti accorto della verità celata tra quelle parole.

Menzogna. Inganno. Dolore. Dissimulazione. Morte. Resurrezione.

Tra gli edifici, pallidi occhi d'una città morta, un pipistrello ti stava ancora osservando.
Implacabile.



Nota dell'autrice: il DDI è il "disturbo dissociativo dell'identità."
   
 
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