Videogiochi > The Elder Scroll Series
Segui la storia  |       
Autore: Widelf    05/01/2013    0 recensioni
La storia di Varg, il fedele compagno di Casemir, il Guerriero Scelto di Uriel Septim.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il luccichio emanato dai palmi delle mie mani tremolò e di colpo scomparve. Poi la potenza della magicka si abbattè sul muro con la potenza di un enorme maglio. L’urto che ne scaturì fu immane, ma il risultato andò ben oltre le mie più rosee speranze: il muro di solidissimo ebano si sgretolò in migliaia di frammenti che schizzarono ovunque, mentre il mio corpo cominciava  a lamentarsi per l’enorme sforzo compiuto.
Sentii Casemir esultare con un poderoso ruggito di giubilo, e con la coda dell’occhio vidi l’espressione a metà tra il terrorizzato e lo stupefatto di Ilend Vonius. –Ce l’hai fatta! Per i Nove, non ho la più pallida idea di come tu ci sia riuscito, ma l’hai disintegrato!- disse il soldato di Kvatch. Tutto quello che riuscii a dire fu un miserabile “Già…l’ho fatto”, prima di sputare a terra un grumo di sangue. Abbattere una parete del genere era un affare per studenti almeno di livello superiore dell’Università Arcana, non certo per apprendisti come me. Eppure, davanti a noi, dove una volta c’era la porta, si apriva un buco nella struttura largo abbastanza da permettere il transito a un carro trainato da buoi. Oltre il varco che avevo aperto, uno strettissimo ponte conduceva fino a un'altra torre, dalla quale sommità scaturiva un enorme fascio di luce arancio. – Quella deve essere la chiave di tutto - disse Casemir – altrimenti non vedo la ragione per la quale i Dremora volessero tenere l’ingresso così sigillato -.
- Ed è lì dentro che quei dannati mostri hanno i loro appartamenti privati, ci scommetto le mie dannatissime brache puzzolenti! – aggiunse Vonius. Casemir gli lanciò un’occhiata divertita e ne convenne. – Se quelli sono i loro appartamenti privati, allora è sicuramente lì che tengono i loro segreti, e se c’è un posto dove trovare quel Menien Goneld che dicevi, non può essere che quello – aggiunse il mio amico Bretone.
Non potevo che concordare con i miei due compagni d’avventura. Cominciammo quindi ad avanzare sullo stretto ponte, procedendo uno dietro l’altro: Casemir era l’aprifila, Ilend Vonius lo seguiva e io arrancavo a fatica dietro loro due, procedendo con una lentezza sovrumana e soppesando ogni mio singolo passo. Ecco, nel corso della mia vita ho affrontato innumerevoli creature infernali e sono passato attraverso situazioni di ogni genere; ma ancora oggi niente mi fa rabbrividire come il pensiero di aver attraversato in condizioni più che precarie i ponti di collegamento tra le torri della dimensione di Oblivion.
Arrivati alla fine del ponte, ci trovammo di fronte a un'altra delle porte ogivali caratteristiche delle costruzioni daedriche. Stavolta Casemir non ebbe alcuna difficoltà ad aprirla, ma lo spettacolo che ci si parò davanti gli fece rivoltare lo stomaco. Il Bretone cadde in ginocchio, distogliendo lo sguardo, e vomitò. Io dovetti tenere la mano sul naso e sulla bocca per non avere la stessa reazione. Ilend Vonius fissava la scena inebetito dall’orrore, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
La stanza sembrava l’esatta riproduzione di quella che il Furfante aveva chiamato “Banchetto di Sangue”. Solamente le dimensioni cambiavano: questa era nettamente più piccola. Sospese a mezz’aria, per mezzo di enormi argani e catene, almeno una trentina di strettissime gabbie d’acciaio, delle dimensioni di un uomo adulto. Dentro di esse, quelli che una volta, forse, erano uomini e Furfanti. I corpi erano stati straziati in innumerevoli modi diversi: decapitati, impalati su orribili rostri, bruciati vivi…tutto ciò che una mente umana non avrebbe mai nemmeno avuto modo di escogitare. Ma noi sapevamo benissimo che gli umani con quello scempio non c’entravano assolutamente nulla; quella era un’opera dei Dremora, si leggeva a chiare lettere.
Ripresosi dall’improvvisa nausea, Casemir si rialzò e cominciò ad avanzare tra le gabbie, con le lacrime agli occhi. – Guardate qui…guardate. Questo è un pezzo giallo delle tuniche della Guardia cittadina di Kvatch…questo è un Furfante…questo deve essere stato un civile, o almeno non porta alcun segno di riconoscimento… - diceva, guardando all’interno delle tremende intelaiature.
Io lo seguivo passo passo, cercando a mia volta di scorgere qualche particolare in più nei cadaveri. Poco dietro di noi avanzava Ilend, che a gran voce chiamava Menian Goneld.
A un tratto, e contro ogni previsione, Menian Goneld rispose. Era chiuso nella gabbia sospesa più in alto di tutte quante. – Ilend! Ilend Vonius! Caro vecchio Ilend…sei vivo! -. L’uomo, stretto tra le strettissime sbarre della sua prigione, aveva una voce che quasi non aveva più nulla di umano. Il mio primo pensiero fu quello che doveva aver sofferto chissà cosa per mano dei Daedra. – Menian! Siamo venuti a prenderti! E’ finita, amico mio, è finita! Ti veniamo a prendere! – gli urlò Ilend Vonius dal di sotto, con un tono di voce che tradiva la sua commozione per il ritrovamento dell’amico vivo, mista all’eccitazione della prospettiva di poter finalmente riuscire a chiudere il Cancello grazie alle conoscenze dell’uomo.
Cominciammo a salire i ripidi gradini che ci portavano sempre più vicini alla gabbia di Menian. Una volta giunti sul posto però, l’iniziale felicità lasciò il posto a una crescente delusione; qualche giorno di prigionia e di tortura continua da parte dei Daedra avevano sfinito anche un uomo prestante ed atletico come Menian Goneld, che era ridotto a poco di più di una larva umana. – Apprezzo i vostri sforzi, davvero – ci disse l’uomo imprigionato – ma per me oramai è finita. Sento che la lucidità mi sta ormai abbandonando, e non posso offrirvi altro aiuto se non condividere con voi le conoscenze che appresi tempo fa durante i miei studi di occultismo. Da quanto ne so, un Cancello è sempre presidiato da un Dremora Custode del Sigillo, che è deputato alla protezione della Pietra del Sigillo. Quest’ultima è la chiave di volta dell’intero impianto; essa serve infatti a convogliare e a stabilizzare l’energia daedrica, che sarebbe altrimenti immateriale nella dimensione tamrielica. Se gli studi sono esatti, una volta rimossa la Pietra del Sigillo, l’intero Cancello dovrebbe collassare su se stesso, e con esso tutto quello che ne è uscito -.
Il volto di Casemir si scurì. – Dove possiamo trovare questa Pietra del Sigillo, Goneld? – chiese a quel povero disgraziato. – E soprattutto, se ci troviamo ancora all’interno del Cancello mentre il Sigillo viene rimosso, che ne sarà di noi? -. Effettivamente io non avevo minimamente pensato a quel fatto, e l’idea di dover trascorrere l’eternità in Oblivion mi sembrava davvero poco allettante.
- Hai poca fede in me, straniero. Mi pare di aver detto che tutto ciò che è USCITO dal Cancello collassi con esso. E voi siete entrati qui, non appartenete all’Oblivion…almeno per ora. Rimanete vivi, e questo dovrebbe bastare affinchè questo dannato Cancello vi sputi fuori – rispose Menian Goneld. Ilend Vonius intanto stava cercando un modo per aprire la gabbia dell’amico, ma tutto sembrava inutile. – E’ inutile, amico mio – disse mestamente Menian – è ebano, non riuscirai mai ad aprirlo. E poi la mia ora è giunta. Muoio con la consolazione di aver fatto il possibile per salvare voi e quello che rimane della mia adorata Kvatch…-. Detto ciò, l’uomo si rannicchiò su se stesso, mise la testa tra le ginocchia e cominciò a lamentarsi piano.
- Non arrenderti, Menian! Non arrenderti! Guarda, quest’uomo è un mago…può aiutarti ad uscire, può curarti! Menian! C’è ancora speran…- KLAK.
La frase di Ilend Vonius si interruppe proprio sulla parola “speranza”. L’uomo si portò le mani alla gola, dove una lunga freccia nera gli aveva trapassato la trachea. Il soldato di Kvatch cadde all’indietro gorgogliando, mentre io e Casemir assistevamo stupefatti alla scena. – Non dovevate venire qui, mortali. E’ stato un grosso sbaglio. Il Sigillum Sanguis non sarà spezzato a causa vostra…almeno finchè ci sarò io a custodirlo. Morirete qui, come l’altro umano che vi accompagnava.
Una voce rauca e metallica ci stava apostrofando così. Apparteneva a Mimlir, Alto Dremora Valkynaz, custode del Sigillo di Kvatch, luogotenente di Mehrunes Dagon in persona. Che era in piedi davanti a noi, ricoperto dalla scintillante armatura daedrica che sembrava composta da lava pura, mentre riponeva il suo lungo arco da guerra dietro la schiena.
 Il luccichio emanato dai palmi delle mie mani tremolò e di colpo scomparve. Poi la potenza della magicka si abbattè sul muro con la potenza di un enorme maglio. L’urto che ne scaturì fu immane, ma il risultato andò ben oltre le mie più rosee speranze: il muro di solidissimo ebano si sgretolò in migliaia di frammenti che schizzarono ovunque, mentre il mio corpo cominciava  a lamentarsi per l’enorme sforzo compiuto.
Sentii Casemir esultare con un poderoso ruggito di giubilo, e con la coda dell’occhio vidi l’espressione a metà tra il terrorizzato e lo stupefatto di Ilend Vonius. –Ce l’hai fatta! Per i Nove, non ho la più pallida idea di come tu ci sia riuscito, ma l’hai disintegrato!- disse il soldato di Kvatch. Tutto quello che riuscii a dire fu un miserabile “Già…l’ho fatto”, prima di sputare a terra un grumo di sangue. Abbattere una parete del genere era un affare per studenti almeno di livello superiore dell’Università Arcana, non certo per apprendisti come me. Eppure, davanti a noi, dove una volta c’era la porta, si apriva un buco nella struttura largo abbastanza da permettere il transito a un carro trainato da buoi. Oltre il varco che avevo aperto, uno strettissimo ponte conduceva fino a un'altra torre, dalla quale sommità scaturiva un enorme fascio di luce arancio. – Quella deve essere la chiave di tutto - disse Casemir – altrimenti non vedo la ragione per la quale i Dremora volessero tenere l’ingresso così sigillato -.
- Ed è lì dentro che quei dannati mostri hanno i loro appartamenti privati, ci scommetto le mie dannatissime brache puzzolenti! – aggiunse Vonius. Casemir gli lanciò un’occhiata divertita e ne convenne. – Se quelli sono i loro appartamenti privati, allora è sicuramente lì che tengono i loro segreti, e se c’è un posto dove trovare quel Menien Goneld che dicevi, non può essere che quello – aggiunse il mio amico Bretone.
Non potevo che concordare con i miei due compagni d’avventura. Cominciammo quindi ad avanzare sullo stretto ponte, procedendo uno dietro l’altro: Casemir era l’aprifila, Ilend Vonius lo seguiva e io arrancavo a fatica dietro loro due, procedendo con una lentezza sovrumana e soppesando ogni mio singolo passo. Ecco, nel corso della mia vita ho affrontato innumerevoli creature infernali e sono passato attraverso situazioni di ogni genere; ma ancora oggi niente mi fa rabbrividire come il pensiero di aver attraversato in condizioni più che precarie i ponti di collegamento tra le torri della dimensione di Oblivion.
Arrivati alla fine del ponte, ci trovammo di fronte a un'altra delle porte ogivali caratteristiche delle costruzioni daedriche. Stavolta Casemir non ebbe alcuna difficoltà ad aprirla, ma lo spettacolo che ci si parò davanti gli fece rivoltare lo stomaco. Il Bretone cadde in ginocchio, distogliendo lo sguardo, e vomitò. Io dovetti tenere la mano sul naso e sulla bocca per non avere la stessa reazione. Ilend Vonius fissava la scena inebetito dall’orrore, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
La stanza sembrava l’esatta riproduzione di quella che il Furfante aveva chiamato “Banchetto di Sangue”. Solamente le dimensioni cambiavano: questa era nettamente più piccola. Sospese a mezz’aria, per mezzo di enormi argani e catene, almeno una trentina di strettissime gabbie d’acciaio, delle dimensioni di un uomo adulto. Dentro di esse, quelli che una volta, forse, erano uomini e Furfanti. I corpi erano stati straziati in innumerevoli modi diversi: decapitati, impalati su orribili rostri, bruciati vivi…tutto ciò che una mente umana non avrebbe mai nemmeno avuto modo di escogitare. Ma noi sapevamo benissimo che gli umani con quello scempio non c’entravano assolutamente nulla; quella era un’opera dei Dremora, si leggeva a chiare lettere.
Ripresosi dall’improvvisa nausea, Casemir si rialzò e cominciò ad avanzare tra le gabbie, con le lacrime agli occhi. – Guardate qui…guardate. Questo è un pezzo giallo delle tuniche della Guardia cittadina di Kvatch…questo è un Furfante…questo deve essere stato un civile, o almeno non porta alcun segno di riconoscimento… - diceva, guardando all’interno delle tremende intelaiature.
Io lo seguivo passo passo, cercando a mia volta di scorgere qualche particolare in più nei cadaveri. Poco dietro di noi avanzava Ilend, che a gran voce chiamava Menian Goneld.
A un tratto, e contro ogni previsione, Menian Goneld rispose. Era chiuso nella gabbia sospesa più in alto di tutte quante. – Ilend! Ilend Vonius! Caro vecchio Ilend…sei vivo! -. L’uomo, stretto tra le strettissime sbarre della sua prigione, aveva una voce che quasi non aveva più nulla di umano. Il mio primo pensiero fu quello che doveva aver sofferto chissà cosa per mano dei Daedra. – Menian! Siamo venuti a prenderti! E’ finita, amico mio, è finita! Ti veniamo a prendere! – gli urlò Ilend Vonius dal di sotto, con un tono di voce che tradiva la sua commozione per il ritrovamento dell’amico vivo, mista all’eccitazione della prospettiva di poter finalmente riuscire a chiudere il Cancello grazie alle conoscenze dell’uomo.
Cominciammo a salire i ripidi gradini che ci portavano sempre più vicini alla gabbia di Menian. Una volta giunti sul posto però, l’iniziale felicità lasciò il posto a una crescente delusione; qualche giorno di prigionia e di tortura continua da parte dei Daedra avevano sfinito anche un uomo prestante ed atletico come Menian Goneld, che era ridotto a poco di più di una larva umana. – Apprezzo i vostri sforzi, davvero – ci disse l’uomo imprigionato – ma per me oramai è finita. Sento che la lucidità mi sta ormai abbandonando, e non posso offrirvi altro aiuto se non condividere con voi le conoscenze che appresi tempo fa durante i miei studi di occultismo. Da quanto ne so, un Cancello è sempre presidiato da un Dremora Custode del Sigillo, che è deputato alla protezione della Pietra del Sigillo. Quest’ultima è la chiave di volta dell’intero impianto; essa serve infatti a convogliare e a stabilizzare l’energia daedrica, che sarebbe altrimenti immateriale nella dimensione tamrielica. Se gli studi sono esatti, una volta rimossa la Pietra del Sigillo, l’intero Cancello dovrebbe collassare su se stesso, e con esso tutto quello che ne è uscito -.
Il volto di Casemir si scurì. – Dove possiamo trovare questa Pietra del Sigillo, Goneld? – chiese a quel povero disgraziato. – E soprattutto, se ci troviamo ancora all’interno del Cancello mentre il Sigillo viene rimosso, che ne sarà di noi? -. Effettivamente io non avevo minimamente pensato a quel fatto, e l’idea di dover trascorrere l’eternità in Oblivion mi sembrava davvero poco allettante.
- Hai poca fede in me, straniero. Mi pare di aver detto che tutto ciò che è USCITO dal Cancello collassi con esso. E voi siete entrati qui, non appartenete all’Oblivion…almeno per ora. Rimanete vivi, e questo dovrebbe bastare affinchè questo dannato Cancello vi sputi fuori – rispose Menian Goneld. Ilend Vonius intanto stava cercando un modo per aprire la gabbia dell’amico, ma tutto sembrava inutile. – E’ inutile, amico mio – disse mestamente Menian – è ebano, non riuscirai mai ad aprirlo. E poi la mia ora è giunta. Muoio con la consolazione di aver fatto il possibile per salvare voi e quello che rimane della mia adorata Kvatch…-. Detto ciò, l’uomo si rannicchiò su se stesso, mise la testa tra le ginocchia e cominciò a lamentarsi piano.
- Non arrenderti, Menian! Non arrenderti! Guarda, quest’uomo è un mago…può aiutarti ad uscire, può curarti! Menian! C’è ancora speran…- KLAK.
La frase di Ilend Vonius si interruppe proprio sulla parola “speranza”. L’uomo si portò le mani alla gola, dove una lunga freccia nera gli aveva trapassato la trachea. Il soldato di Kvatch cadde all’indietro gorgogliando, mentre io e Casemir assistevamo stupefatti alla scena. – Non dovevate venire qui, mortali. E’ stato un grosso sbaglio. Il Sigillum Sanguis non sarà spezzato a causa vostra…almeno finchè ci sarò io a custodirlo. Morirete qui, come l’altro umano che vi accompagnava.
Una voce rauca e metallica ci stava apostrofando così. Apparteneva a Mimlir, Alto Dremora Valkynaz, custode del Sigillo di Kvatch, luogotenente di Mehrunes Dagon in persona. Che era in piedi davanti a noi, ricoperto dalla scintillante armatura daedrica che sembrava composta da lava pura, mentre riponeva il suo lungo arco da guerra dietro la schiena.
 Il luccichio emanato dai palmi delle mie mani tremolò e di colpo scomparve. Poi la potenza della magicka si abbattè sul muro con la potenza di un enorme maglio. L’urto che ne scaturì fu immane, ma il risultato andò ben oltre le mie più rosee speranze: il muro di solidissimo ebano si sgretolò in migliaia di frammenti che schizzarono ovunque, mentre il mio corpo cominciava  a lamentarsi per l’enorme sforzo compiuto.
Sentii Casemir esultare con un poderoso ruggito di giubilo, e con la coda dell’occhio vidi l’espressione a metà tra il terrorizzato e lo stupefatto di Ilend Vonius. –Ce l’hai fatta! Per i Nove, non ho la più pallida idea di come tu ci sia riuscito, ma l’hai disintegrato!- disse il soldato di Kvatch. Tutto quello che riuscii a dire fu un miserabile “Già…l’ho fatto”, prima di sputare a terra un grumo di sangue. Abbattere una parete del genere era un affare per studenti almeno di livello superiore dell’Università Arcana, non certo per apprendisti come me. Eppure, davanti a noi, dove una volta c’era la porta, si apriva un buco nella struttura largo abbastanza da permettere il transito a un carro trainato da buoi. Oltre il varco che avevo aperto, uno strettissimo ponte conduceva fino a un'altra torre, dalla quale sommità scaturiva un enorme fascio di luce arancio. – Quella deve essere la chiave di tutto - disse Casemir – altrimenti non vedo la ragione per la quale i Dremora volessero tenere l’ingresso così sigillato -.
- Ed è lì dentro che quei dannati mostri hanno i loro appartamenti privati, ci scommetto le mie dannatissime brache puzzolenti! – aggiunse Vonius. Casemir gli lanciò un’occhiata divertita e ne convenne. – Se quelli sono i loro appartamenti privati, allora è sicuramente lì che tengono i loro segreti, e se c’è un posto dove trovare quel Menien Goneld che dicevi, non può essere che quello – aggiunse il mio amico Bretone.
Non potevo che concordare con i miei due compagni d’avventura. Cominciammo quindi ad avanzare sullo stretto ponte, procedendo uno dietro l’altro: Casemir era l’aprifila, Ilend Vonius lo seguiva e io arrancavo a fatica dietro loro due, procedendo con una lentezza sovrumana e soppesando ogni mio singolo passo. Ecco, nel corso della mia vita ho affrontato innumerevoli creature infernali e sono passato attraverso situazioni di ogni genere; ma ancora oggi niente mi fa rabbrividire come il pensiero di aver attraversato in condizioni più che precarie i ponti di collegamento tra le torri della dimensione di Oblivion.
Arrivati alla fine del ponte, ci trovammo di fronte a un'altra delle porte ogivali caratteristiche delle costruzioni daedriche. Stavolta Casemir non ebbe alcuna difficoltà ad aprirla, ma lo spettacolo che ci si parò davanti gli fece rivoltare lo stomaco. Il Bretone cadde in ginocchio, distogliendo lo sguardo, e vomitò. Io dovetti tenere la mano sul naso e sulla bocca per non avere la stessa reazione. Ilend Vonius fissava la scena inebetito dall’orrore, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.
La stanza sembrava l’esatta riproduzione di quella che il Furfante aveva chiamato “Banchetto di Sangue”. Solamente le dimensioni cambiavano: questa era nettamente più piccola. Sospese a mezz’aria, per mezzo di enormi argani e catene, almeno una trentina di strettissime gabbie d’acciaio, delle dimensioni di un uomo adulto. Dentro di esse, quelli che una volta, forse, erano uomini e Furfanti. I corpi erano stati straziati in innumerevoli modi diversi: decapitati, impalati su orribili rostri, bruciati vivi…tutto ciò che una mente umana non avrebbe mai nemmeno avuto modo di escogitare. Ma noi sapevamo benissimo che gli umani con quello scempio non c’entravano assolutamente nulla; quella era un’opera dei Dremora, si leggeva a chiare lettere.
Ripresosi dall’improvvisa nausea, Casemir si rialzò e cominciò ad avanzare tra le gabbie, con le lacrime agli occhi. – Guardate qui…guardate. Questo è un pezzo giallo delle tuniche della Guardia cittadina di Kvatch…questo è un Furfante…questo deve essere stato un civile, o almeno non porta alcun segno di riconoscimento… - diceva, guardando all’interno delle tremende intelaiature.
Io lo seguivo passo passo, cercando a mia volta di scorgere qualche particolare in più nei cadaveri. Poco dietro di noi avanzava Ilend, che a gran voce chiamava Menian Goneld.
A un tratto, e contro ogni previsione, Menian Goneld rispose. Era chiuso nella gabbia sospesa più in alto di tutte quante. – Ilend! Ilend Vonius! Caro vecchio Ilend…sei vivo! -. L’uomo, stretto tra le strettissime sbarre della sua prigione, aveva una voce che quasi non aveva più nulla di umano. Il mio primo pensiero fu quello che doveva aver sofferto chissà cosa per mano dei Daedra. – Menian! Siamo venuti a prenderti! E’ finita, amico mio, è finita! Ti veniamo a prendere! – gli urlò Ilend Vonius dal di sotto, con un tono di voce che tradiva la sua commozione per il ritrovamento dell’amico vivo, mista all’eccitazione della prospettiva di poter finalmente riuscire a chiudere il Cancello grazie alle conoscenze dell’uomo.
Cominciammo a salire i ripidi gradini che ci portavano sempre più vicini alla gabbia di Menian. Una volta giunti sul posto però, l’iniziale felicità lasciò il posto a una crescente delusione; qualche giorno di prigionia e di tortura continua da parte dei Daedra avevano sfinito anche un uomo prestante ed atletico come Menian Goneld, che era ridotto a poco di più di una larva umana. – Apprezzo i vostri sforzi, davvero – ci disse l’uomo imprigionato – ma per me oramai è finita. Sento che la lucidità mi sta ormai abbandonando, e non posso offrirvi altro aiuto se non condividere con voi le conoscenze che appresi tempo fa durante i miei studi di occultismo. Da quanto ne so, un Cancello è sempre presidiato da un Dremora Custode del Sigillo, che è deputato alla protezione della Pietra del Sigillo. Quest’ultima è la chiave di volta dell’intero impianto; essa serve infatti a convogliare e a stabilizzare l’energia daedrica, che sarebbe altrimenti immateriale nella dimensione tamrielica. Se gli studi sono esatti, una volta rimossa la Pietra del Sigillo, l’intero Cancello dovrebbe collassare su se stesso, e con esso tutto quello che ne è uscito -.
Il volto di Casemir si scurì. – Dove possiamo trovare questa Pietra del Sigillo, Goneld? – chiese a quel povero disgraziato. – E soprattutto, se ci troviamo ancora all’interno del Cancello mentre il Sigillo viene rimosso, che ne sarà di noi? -. Effettivamente io non avevo minimamente pensato a quel fatto, e l’idea di dover trascorrere l’eternità in Oblivion mi sembrava davvero poco allettante.
- Hai poca fede in me, straniero. Mi pare di aver detto che tutto ciò che è USCITO dal Cancello collassi con esso. E voi siete entrati qui, non appartenete all’Oblivion…almeno per ora. Rimanete vivi, e questo dovrebbe bastare affinchè questo dannato Cancello vi sputi fuori – rispose Menian Goneld. Ilend Vonius intanto stava cercando un modo per aprire la gabbia dell’amico, ma tutto sembrava inutile. – E’ inutile, amico mio – disse mestamente Menian – è ebano, non riuscirai mai ad aprirlo. E poi la mia ora è giunta. Muoio con la consolazione di aver fatto il possibile per salvare voi e quello che rimane della mia adorata Kvatch…-. Detto ciò, l’uomo si rannicchiò su se stesso, mise la testa tra le ginocchia e cominciò a lamentarsi piano.
- Non arrenderti, Menian! Non arrenderti! Guarda, quest’uomo è un mago…può aiutarti ad uscire, può curarti! Menian! C’è ancora speran…- KLAK.
La frase di Ilend Vonius si interruppe proprio sulla parola “speranza”. L’uomo si portò le mani alla gola, dove una lunga freccia nera gli aveva trapassato la trachea. Il soldato di Kvatch cadde all’indietro gorgogliando, mentre io e Casemir assistevamo stupefatti alla scena. – Non dovevate venire qui, mortali. E’ stato un grosso sbaglio. Il Sigillum Sanguis non sarà spezzato a causa vostra…almeno finchè ci sarò io a custodirlo. Morirete qui, come l’altro umano che vi accompagnava.
Una voce rauca e metallica ci stava apostrofando così. Apparteneva a Mimlir, Alto Dremora Valkynaz, custode del Sigillo di Kvatch, luogotenente di Mehrunes Dagon in persona. Che era in piedi davanti a noi, ricoperto dalla scintillante armatura daedrica che sembrava composta da lava pura, mentre riponeva il suo lungo arco da guerra dietro la schiena.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > The Elder Scroll Series / Vai alla pagina dell'autore: Widelf