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Autore: ArchiviandoSogni_    09/01/2013    7 recensioni
Nicholas Moore aveva tutto quello che poteva desiderare : il successo,  l’amore e un futuro da sognatore, come ogni adolescente.
Ma la vita cambia e sconvolge ogni programma e ogni progetto.
A quattro anni di distanza, Nick è cambiato radicalmente.
Ora ha 23 anni, un lavoro e una figlia da crescere da solo.
Una figlia. Lui, l’ex capitano di baseball del liceo bello e desiderato da tutti, è diventato tutto ciò che non voleva essere : un uomo maturo con una famiglia a carico e senza più la spensieratezza di un tempo.
Ma Nick è un ragazzo forte. Non ha bisogno dell’ amore, a suo dire, ma sarà vero?
E se un ragazzaccio di nome Elena, entrerà improvvisamente nella sua vita, lui avrà il coraggio di allontanarla?
Forse, basta davvero un sorriso, per sconvolgere la vita.                       
Forse è proprio quello che Nick sta cercando da tempo, per essere davvero felice.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Cap 11

Cap 11

 

 

Under the moon

 

 

 

“Papà, svegliati!”

Sentii qualcuno toccarmi il braccio destro più volte, prima di aprire finalmente gli occhi.

Due fari azzurri e delle labbra rosee distese in un dolce sorriso, mi diedero un buongiorno meraviglioso.

“Buongiorno, tesoro. Che c’è?” La presi tra le braccia, appoggiando la schiena sulla testiera del letto.

Quel sabato mattina, faceva dannatamente caldo, tanto che mi ero decisamente rifiutato di dormire con la canotta. Odiavo terribilmente la sensazione che lasciano i vestiti sulla pelle sudata quando fa fin troppo caldo. Una sorta di disagio e malessere che a stento riuscivo a sopportare.

Daddy, ho fatto un brutto sogno…”

Le accarezzai una guancia, avvicinandola al mio petto. “Che cosa hai sognato di così tanto brutto, principessa?”

Lei si alzò in piedi tra le mie braccia, piantando i suoi grandi occhi azzurri nei miei.

Aveva gli occhi lucidi e le labbra leggermente increspate dal dispiacere.

“Papà…”

L’abbracciai di nuovo, immergendo il capo nei suoi lunghi e riccioluti capelli biondi. Il suo respiro era leggermente accelerato, ed io mi preoccupai all’istante. Aveva la febbre? Forse aveva avuto un sogno agitato che l’aveva fatta muovere troppo e quindi farsi male in qualche modo?

La tastai delicatamente, misurandole la temperatura e controllando eventuali lividi o rossori. Niente, apparentemente Lily stava bene.

“Tesoro, cosa è successo? Dai, è tutto passato… Non vedi che sei qui con me al sicuro? Nessun mostro cattivo ti porterà via dal tuo papà.

Lei scosse la testa, ancora rifugiata nell’incavo del mio collo. “Ma se tu vai dalla mamma, io rimango tutta sola.”

Mi bloccai con la bocca leggermente socchiusa e una mano posata ancora sul suo capo.

Era quello che aveva sognato? Che io un giorno l’abbandonassi, morendo come Madeline?

Mi si strinse il cuore e una velata tristezza avvolse la mia anima.

“Non dire queste cose; non ho nessuna intenzione di lasciarti sola, capito? Il papà è troppo bello e giovane per andare in paradiso. Abbiamo tante cose da fare io te, ricordi? Troppe.”

Lei si staccò da me, con quasi le lacrime agli occhi e le labbra che le tremavano.

“Anche mamma lo era… Non mi lasciare, papà.”

Si rifugiò ancora contro il mio petto ed io la cullai proprio come facevo anni prima, quando ancora era troppo piccola anche per parlare.

“Non ti lascerò, scricciola. Il papà resta qui con te per tutto il tempo che vorrai.

Si sciolse nel pianto; un pianto silenzioso, da adulto.

Non era un pianto capriccioso e infantile; piangeva lacrime ricolme di dolore.

Avevo tra le braccia una bambina che soffriva e lottava come una guerriera.

“Oh piccola mia, cosa ti ho fatto?” Ripetevo dentro di me quel mantra, cercando di esorcizzare il dolore che attanagliava il mio cuore come una morsa letale. La mia piccola, dolce e tenera bambina aveva ancora paura della solitudine.

Sssh, Lily, sssh. Il papà è qui: sono qui.”

La cullai per minuti lenti e dolorosi; ogni suo singhiozzo, era una pugnalata dritta e precisa nel petto.

Era quella la paura più grande per un genitore: non poter alleviare il dolore e il peso del mondo dai cuori dei propri figli.

Avevo cresciuto Lily con tutta la mia forza, energia e vita; eppure non sarei mai riuscito a colmare il posto vacante accanto al mio. Non avrei mai potuto riportarle indietro una madre che, purtroppo, non sarebbe più tornata.  

Un madre che non avrebbe mai abbracciato, baciato e amato.

Una madre che non le avrebbe mai messo i cerotti sulle ferite.

Un madre che non l’avrebbe mai scortata per mano, verso la crescita; il futuro.

Ero così desolatamente solo e inerme contro il mondo ed il dolore.

Potevo solo stringermela al petto; accostare il suo viso al mio cuore e baciarle il capo, sussurrandole parole dolci e d’affetto.

Era quella la vera impotenza per gli uomini.

Niente immortalità, cura del cancro o soldi infiniti… Il vero problema che l’uomo voleva e doveva risolvere era il dolore dell’anima.

E in quel momento la mia anima sanguinava, intrecciata a quella di mia figlia. Unite dal dolore ancora da un briciolo di speranza; ancora da un nome e un viso che stavano sbiadendo davanti ai miei occhi.

Dov’era la cura? Dove potevamo dissetarci e sfamarci di speranza io e Lily?

Daddy, piangi?”

“No, tesoro. Asciugo le tue lacrime.”

Iniziai così quel sabato mattina. Ero turbato, frastornato e terribilmente scosso per quel risveglio così doloroso e sofferto. Perché? Dov’era la pace per Nicholas Moore? Era possibile che, in passato, fossi stato così malvagio e meschino per meritarmi tutto quello?

Volevo la pace, l’espiazione, la gioia. Volevo che Lily sorridesse sempre, come faceva di solito. Invece rimasi tutta la mattina assorto nei miei pensieri, con gli occhi sporchi ancora di quell’immagine così degradante: mia figlia in lacrime e tremante.

Papy, papy! Pomeriggio andiamo dai nonni?”

Mentre facevo il bucato, chinato davanti alla lavatrice ed intento a prelevare i panni appena lavati e profumati dall’elettrodomestico, Lily si dondolava sui talloni.

“Certo, tesoro.” Presi la bacinella e la portai con me fino al balcone, iniziando così a stendere i pochi vestiti di Lily, due miei paia di boxer e le nostre lenzuola.

Papy.”

Mi chinai a prendere una molletta sul davanzale e le spettinai i capelli.

“Dimmi principessa.”

Lei però non parlò, il che mi fece insospettire.

“Lily?” Abbassai lo sguardo, mentre con le mani raddrizzavo le lenzuola rosa di mia figlia.

“Papà, tu hai baciato tanto la mamma?”

Quella mattina era davvero un lento e lungo cammino verso il supplizio.

Parlare di Mad, anno dopo anno, faceva meno male. Però certe domande, erano ancora offlimits per me.

“Come mai me lo chiedi, bambolina?”

Bambolina. Proprio come la chiamavi tu, Mad. Ricordi?

“Perché…”

Non parlò ed io mi accovacciai al suo fianco, accarezzandole i capelli.

Aveva lo sguardo perso, lontano.

“Ho baciato tantissime volte la mamma;  ci volevamo tanto bene.”

Lei annuì, muovendo velocemente la testa e facendomi comparire un sorriso a fior di labbra.

“Allora è ok. Tutti i genitori dei miei amichetti si baciano tanto e davanti a loro. Jenny mi racconta che li vede sempre abbracciati, quando sono soli in una stanza. Tu e la mamma vi abbracciavate, papà?”

“Sempre.”

Lei sorrise, toccandomi il collo. “Papà, vuoi baciare qualche altra mamma ora che la mamma non c’è più?”

Qualcosa si incrinò. Qualcosa di piccolo, quasi inesistente, si incrinò dentro di me.

E il volto di Elena comparve davanti ai miei occhi.

“Tu lo vorresti?”

Lily mi abbracciò con forza. “Non lo so. Sono solo triste, perché quando parlano di queste cose, sono sempre zitta. Matty dice che mi lascerai per un’altra mamma… È vero, papà? Io lo picchio sempre quando lo dice, ma ho tanta paura di un’altra mamma. Matty dice che gli uomini grandi vogliono tanti baci e io gli urlo che al mio papà ci penso io! E lui…”

“Oh, piccola. Cosa ti dice, Matthew?”

Le lacrime rigarono le sue piccole e soffici guance rosee. “Lui dice che i baci dei bambini non sono come quelli dei grandi... Matty dice che papà ha tanti bisogni diversi da quelli di Lily.”

I bambini sono la bocca della verità.

Per quanto Matthew avesse facilmente perso la mia simpatia, aveva in qualche modo riportato a galla tutta la paura e l’insicurezza che la frenesia, il calore e la purezza di Elena avevano perfettamente nascosto ed occultato.

Perché non poteva essere semplice?

Perché non potevo vivere serenamente almeno un po’ di affetto senza che i sensi di colpa e i luoghi comuni mi schiacciassero inesorabilmente?

“Lily, Matty non sbaglia riguardo a certe… cose. Però un padre, per quante madri possa avere al suo fianco, amerà sempre i propri figli. Per la mia principessa, io ci sarò sempre e vorrò sempre i suoi baci, più di chiunque altro.

Non ero sicuro di voler affrontare quel discorso con una bambina di soli quattro anni… Il suo sguardo limpido, mi intimoriva e mi sentivo così sporco, per aver desiderato una storia con Elena che aveva tutti i presupposti per fallire inesorabilmente.

“Allora mi vuoi ancora bene, papà?”

Le baciai teneramente la fronte, le guance, il mento. “Certo, piccola mia. Sempre.”

Lei sorrise e, accendendo con il telecomando lo stereo che avevo in camera, iniziammo a cantare le canzoni che lei amava di più; quelle che anche io amavo cantare a quattro anni.

Saltammo sul letto, la presi poi in spalletta e iniziai a trasportarla per la casa, imitando il camion di mio padre che, in qualche modo ancora a noi sconosciuto, provocava sempre un sorriso o una gioiosa risata in mia figlia.

Facemmo colazione con pane, nutella e un bicchiere di latte. Sporcandoci così le dita e le labbra, prendendo quel nettare divino direttamente con le mani.

Di solito non glielo permettevo, ma, quel sabato, volevo riportare la serenità nei nostri cuori.

Nel pomeriggio andammo dai miei genitori e mentre mio padre prese la mia piccola per mostrarle i nuovi frutti del suo orto, mia madre mi si sedette accanto, porgendomi la sua meravigliosa limonata fresca.

“Grazie.”

Alzai lo sguardo, inseguendo la figura di mio padre, con in braccio la gioia della mia vita.

“Come stai, figliolo? Hai uno sguardo così triste.”

Sorrisi contro il bordo del bicchiere. “In passato mi ostinavo a non capire il perché tu e papà riuscivate sempre a capire cosa mi turbasse o cosa, invece, mi rendesse improvvisamente felice. Da quando ho Lily al mio fianco, comincio a capire che fingere con i propri genitori è come cercare di prendere una A o una B ad un compito di storia, lasciato completamente in bianco.”

La mano di mia madre, piccola e leggermente rugosa, si posò sul mio braccio grande, muscoloso e abbronzato.

I miei occhi, raggiunsero i suoi.

“Tesoro, sai che ti voglio bene, ma non costringermi a farti parlare con la forza. Ho preparato il gelato alla stracciatella, il tuo preferito.

Fregato.

Sospirai, sistemandomi meglio sulla sedia di paglia.

“Stamattina Lily ha avuto un incubo. Si è svegliata ed è corsa a piangere tra le mie braccia, supplicandomi di non lasciarla mai sola, come ha fatto Mad. Mi sono sentito al pari di una mer-” Mi fermai, mordendomi l’interno della guancia, per lo sguardo severo di mia madre. “Diciamo che mi sono sentito davvero male e anche in colpa, perché sto cercando di conoscere una ragazza…

L’avevo detto! Bravo, Nicholas, bravo!

“Oh…” Mia madre mi guardò prima allibita e poi, con un sorriso dolcissimo sulle labbra, avvicinò la sua sedia alla mia. Le nostre ginocchia si toccavano.

“Scusami, sono così sorpresa!” Con la mano libera, si fece aria, sorridendomi imbarazzata.

“Lo so che è sbagliato, mamma, ma caz-” Mi fermai in automatico per censurare la parolaccia, ma mia madre - stranamente incurante della mia distrazione - mi prese entrambe le mani tra le sue, continuando a sorridere con una dolcezza disarmante.

Ma no, sciocchino! Che cosa hai capito?! È la prima volta che mi dici una cosa simile; credevo che non sarebbe mai arrivato questo momento. Ne sono felice. Allora? Com’è? Conosco sua madre?”

Deglutii rumorosamente. Non ero più abituato a quel tipo di discorsi… Mi sentii improvvisamente di nuovo un adolescente in preda ad una folle cotta per la ragazza di turno.

“È la figlia dei Rinaldi.”

“Uh, la maestra di Lily? Che cara ragazza! Sì, molto carina… Assomiglia anche a Mad; capelli scuri, fisico formoso e minuto. Mi piace, tesoro!”

Deglutii di nuovo e più rumorosamente di prima. Dovevo essere più preciso.

“Mamma… la sorella di Alice: Elena Rinaldi.”

La sua bocca si spalancò e io lasciai le sua mani, per poggiarci sopra la testa e grattarmi la nuca nervosamente.

Che casino allucinate.

“Quella biondina con le stampelle che era alla recita? Oddio… Nicholas, ma è maggiorenne, vero?”

Sorrisi, sollevando di nuovo lo sguardo. “Sì, ha diciotto anni ed è all’ultimo anno di liceo. Gioca a baseball come un ragazzo, adora le sfide e mi ha provocato fin dall’inizio con il suo sguardo così fiero e limpido. Mamma è piccola; dannatamente piccola e mi sto incasinando la vita.

Il sorriso tornò sulle sue labbra. “Baseball, eh?”

Scossi la testa, sorridendo imbarazzato. “Sì ed è totalmente diversa da Mad.. E’ slanciata, sicura di sé e bella per la sua grinta e la sua forza. Sa cosa vuole dalla sua vita e non scende mai a compromessi… Versa caffè bollenti addosso agli estranei e si infastidisce se viene chiamata principessa da un ragazzo. È tosta e testarda! Terribilmente, inevitabilmente tosta e testarda.”

Mia madre si portò le mani sulle labbra, nascondendo gli occhi lucidi.

“Mamma? Tutto ok?”

“Assolutamente sì… E poi? Raccontami.”

Mi portai una mano sul collo, arrossandolo per quanto lo torturassi con le mani sudate. “È così attaccata alla vita! In quel frangente le assomiglia moltissimo; hanno lo stesso sguardo fiero e sicuro di chi vuole combattere per il proprio futuro e per le proprie ambizioni. Non l’ho mai vista con un paio di tacchi o con scollature generose, eppure è così dannatamente ammaliante! L’ho anche baciata… Più volte.”

Scoppiai a ridere, vendendo che mia madre si era avvicinata con il busto al mio viso.

La curiosità è donna!’ Lo diceva spesso nonna Josephine.

 “E poi?”

“Mamma, non crederai che ti racconti i dettagli!?

Lei mi diede una leggera spinta, facendomi sorridere. “Che sciocchino che sei, Nicholas Moore! Sono nata e cresciuta molto prima di te! Ho vissuto a pieno gli anni ‘70 e se pensi che parlare di sesso e strusciamenti vari mi possa scandalizzare, non hai proprio idea di che pasta sono fatta! Tutti così questi giovani… Anche noi ci divertivamo, tesoro mio.”

Mi portai una mano davanti agli occhi, completamente imbarazzato. “Oddio mamma.. No, non aggiungere altro! Non voglio avere incubi su te e papà! Mi avete già scandalizzato abbastanza durante l’adolescenza.

Riaprii gli occhi e scoppiamo a ridere entrambi.

“Io e tuo padre abbiamo dieci anni di differenza. Te lo ricordi, vero?”

Mi morsi le labbra, annuendo. “Lo so, mamma; ma papà non aveva già una figlia e i tempi erano diversi.”

Lei, pensierosa, mi diede ragione. “È vero anche questo, ma non dovete mica sposarvi! Siete giovani e belli.. Vuoi un consiglio da una povera donna che ha un po’ più esperienza di te con gli affari di cuore?”

Alzai gli occhi al cielo, fingendomi risentito. “E secondo te perché sono qui a parlartene?”

Lei mi accarezzò prima il ginocchio, poi il viso.

“Questa Elena ti piace molto e in un modo che ancora non ti è facile capire. Lasciati andare, vivi queste nuove sensazioni, ma non prenderla in giro. È dannatamente giovane e tu potresti essere il suo primo amore… Capisci cosa intendo, tesoro? Primo, in tutto e per tutto...

Scoppia a ridere incredulo, ma lo sguardo serio di mia madre, mi fece davvero preoccupare.

“Mamma siamo nel XXI secolo! Non pensi davvero che io sia il primo per lei. Io stesso…”

Mi fermai, deglutendo, ma sua attenzione non era su di me. In qualche modo, la situazione sentimentale di Elena era più importante di suo figlio stesso.

“E cosa c’entra? Non vuol dire proprio niente, sai? Mi stupisco di te Nicholas Moore, figlio mio e gioia mia. Se lei è così diversa dalle altre, potrebbe avere anche dei valori diversi o delle aspettative più alte. Davvero non hai mai pensato che tu potresti essere il primo?

Il mondo si fermò per un momento e le parole di mia madre cominciarono a sortire l’effetto desiderato.

Avrei potuto essere il primo per lei?

Il primo bacio, la vedevo davvero dura visto come era stata sciolta nel baciare me, ma addirittura il primo amore? La prima volta e il primo batticuore?

In un certo senso mi sembrava tutto così assurdo, però una leggera ansia nacque dentro al petto, a livello del cuore.

“No, non l’ho mai lontanamente pensato. Oddio, allora è davvero tutto impossibile! Non posso proprio essere il suo tanto agognato principe azzurro.”

Sprofondai nella sedia e bevvi in due sorsi tutto il bicchiere di limonata.

“Cos’è questo muso? Non ti ho di certo cresciuto per fare il troglodita e il barbaro, sai? Se lei ti vorrà, sii solo gentile e premuroso. E poi, nonostante tu dica di essere uno sciupa femmine, hai sempre portato rispetto per tutte le ragazze che hai frequentato anche per poche ore. Lo so, ti ho cresciuto io e il rispetto per le persone è alla base di qualsiasi cosa; anche del sesso.

Ero troppo imbarazzato; decisamente troppo imbarazzato! Parlare di sesso e prime volte, con mia madre, mi rendeva nervoso ed insicuro.

Ero decisamente impreparato a tutto quello.

“E se non fosse così? Se lei volesse qualcosa in più che io non posso offrirle? Forse per non farla soffrire, dovrei lasciarla in pace.

Lei scosse la testa, prendendomi una guancia nella sua mano destra. “No tesoro, se lei ricambia il tuo affetto, la farei solo soffrire di più, impedendole di viverti come vorrebbe. Sii te stesso e cerca di dirle sempre la verità, senza ferirla. L’unico consiglio che posso darti è di seguire il tuo cuore, i sentimenti e di non usarla per un piacere prettamente fisico… Esistono ragazze che cercano solo quello e lo sai; credo che Elena meriti e pretenda di più da te.

Non risposi, forse nemmeno necessitava una mia risposta.

Poco dopo Lily e mio padre tornarono da noi e incominciammo a parlare dell’estate, delle imminenti vacanze estive e dei progressi di apprendimento di mia figlia.

Non toccammo più l’argomento, nemmeno dopo la cena che consumammo tutti insieme in giardino, con il tramonto di fronte.

Tornai a casa alle nove passate e dopo aver aiutato Lily con la doccia e i capelli, la misi a letto subito, visto che era visibilmente stravolta per il pomeriggio trascorso a giocare, sotto il caldo sole di metà maggio.

Poco dopo, mi lasciai andare anch’io sotto la doccia fresca, con il capo chino e continuamente accarezzato dall’acqua a corrente.

Ero stato così superbo e stupido. L’avevo addirittura invitata a cena fuori, come nei cliché più banali e scontati!

Che diamine dovevo fare?

Mi misi a letto con quei pensieri e, rigirandomi tra le lenzuola madide di sudore, mi addormentai con il sapore amaro dei suoi baci, inimmaginabilmente ancora sulle mie labbra. Li sognai tutta la notte.

 

 

“Nick ti devi calmare.”

Avevo il cellulare incastrato tra il collo e la spalla e stavo infilando i boxer che faticavano a scivolare sulle mie cosce ancora bagnate dalla doccia.

La domenica era decisamente volata via tra un picnic al parco con i ragazzi e Lily ed un pomeriggio sul mio divano a guardare le repliche delle nostre partite di baseball preferite. Lily era dai nonni a dormire ed io ero completamente lasciato solo a morire tra l’ansia e le paranoie degne di una prima donna.

“Sono calmo come un misero ramoscello nel centro di un ciclone. Rendo l’idea, Tom?”

Presi il telefono con la sinistra e cominciai a frugare nell’armadio alla ricerca di un qualcosa che evidentemente non riuscivo a trovare.

“Nicholas Moore, ti ordino di sederti, respirare e ascoltare me. Non dico Logan, ma almeno me!”

Sbuffai, rendendomi conto che stavo sfiorando una vera e propria crisi di nervi.

Logan era stato invitato a casa di Tom per una cena in famiglia, alla quale avrei dovuto presenziare anch’io, se non avessi avuto un altro tipo di impegno.

- Oh, un diavolo di appuntamento galante, altro che semplice impegno! – Per quel motivo erano entrambi in vivavoce a darmi manforte.

“Me la sto facendo sotto. Perché? Dici che il panino alla Logan mi abbia distrutto l’intestino tenue?”

Sentii Tom ridere e Logan urlarmi contro : “Brutto stronzo che non sei altro! Se sei un coglione cagasotto, non te la prendere con il mio panino al cetriolino, cipolla, hamburger e taaaanta senape. E’ l’orgasmo in versione tascabile, capito?

Non gli diedi retta.

“Va bene, ma io ora cosa mi metto? Cazzo, cazzo e cazzo.”

“Patata, per par condicio!”

“Logan!” Urlammo entrambi, seguiti da varie risatine idiote.

Per fortuna che avevo che quei due cretini sempre al mio fianco.

“Tornando seri, Nick… Dove la porti?”

Mi rialzai dal letto, ritornando dentro l’armadio. “Da Juliette.. Niente di troppo chic, non che non possa permettermelo, ma non voglio una cena per rimorchiare la trombata della serata… Devo conquistarla e Julie è la mia chicca.”

I due sospirarono al ricordo della donna. “Che donna, ragazzi… Hai fatto bene, amico. Poi con i vestiti troppo eleganti, ti si ammoscia prima che li sbottoni tutti.

Scossi la testa, come solevo fare dopo ogni uscita di Logan.

“Comunque” riprese Tom “Direi che canotta bianca, camicia rossa ‘alla boscaiola’ che ti ha regalato tua madre al tuo compleanno e jeans stretti con Timberland ai piedi. Direi che tanto l’abbigliamento è l’ultimo dei tuoi problemi, comunque. Non lo è mai stato, Nick!”

Annuii, ma mi accorsi che non potevano vedermi. “Avete ragione, non so cosa mi prende… Ve l’ho detto oggi la storia delprimo’, no? Sono terrorizzato.”

Logan scoppiò a ridere. “Amico, ma dovresti gasarti come un pazzo, invece! Sei come il primo uomo sulla luna; come un bambino in una fabbrica di giocattoli appena aperta… È tutta tua, ancora da togliere l’incarto e non devi temere nessun’altro! E poi non sai se lei è già stata scartata o maneggiata da altri con sicurezza. Quindi…”

Tom si intromise. “Log sta cercando di dirti di non fasciarti la testa prima di rompertela. Vai, sii te stesso e basta. Smettila e preparati che è tardi!”

Chiusero così la telefonata, senza nemmeno farmi dire la mia o almeno salutare.

Rimasi a bocca aperta, prima di sorridere e gettare il cellulare sul letto.

Io non ero mai stato insicuro; non del mio fisico e questo era un dato di fatto.

Osservai tutti i tatuaggi che avevo sulla pelle; dal primo quando avevo fatto a  quattordici anni all’ultimo, solo di quattro anni prima. Due erano i più importanti e mentre mi infilavo la canottiera, mi posai le dita sulla labbra e poi sul cuore, sopra a quel tatuaggio.

Vedevo i miei pettorali e addominali in rilievo sotto il cotone leggero e finsi diverse mosse stupide con le braccia, per alleviare la tensione.

Mai prepararmi per un appuntamento fu così difficile.

Indossai però un altro paio di scarpe, le Timberland erano invernali e poi volevo essere il più comodo possibile, visto che avrei voluto passeggiare un po’ con lei.

Infilai il cellulare nella tasca anteriore destra, il portafogli dietro nella tasca sinistra e presi le chiavi per chiudere casa.

Arrivai al pickup e misi in moto, sfrecciando per una Boston caotica e piena di vita.

L’estate stava arrivando e portava con sé la gioia e la speranza di un po’ di relax per molti miei concittadini. Anche la mia, ovviamente.

Mi fermai a qualche casa di distanza da quella di Elena, decisione presa da lei stessa per evitare gli occhi indiscreti della madre.

Se non le andavo a genio, la capivo perfettamente. Non ero proprio il ragazzo perfetto per la sua amata figlioletta.

Accesi la radio e tamburellai le dita sul volante a tempo di musica, in attesa della ragazza.

Sollevai lo sguardo giusto in tempo per vederla uscire da casa e dirigersi verso di me. 

Era bellissima.

Indossava un top senza spalline – e forse anche senza reggiseno – nero, degli shorts molto corti e della ballerine nere con un fiocchetto sulla punta.

Appena entrò mi soffermai sulle sue lunghe e toniche gambe, dovute ad anni di movimento e di sport. Passai poi alle braccia lunghe e magre ed infine al decolté modesto, ma strizzato in quel top che lo risaltava fin troppo per i miei occhi affamati.

“Buona sera, eh! Finita la radiografia?”

Scossi la testa, sorridendo malizioso. “Oh, non ho ancora incominciato, principessa.”

Ingranai la prima, godendomi i suoi sono sbuffi infastiditi.

Profumava di shampoo e bagnoschiuma. Niente profumi intensi. Niente modi di porsi congeniati e programmati.

Era Elena in tutta la sua semplicità dirompente e nella sua bellezza tanto genuina quanto dolorosa.

“Siamo silenziosi, stasera.”

Muoveva le mani, torturando il suo giacchetto nero e la pochette piccola che aveva sulle ginocchia.

“Perché voglio sentire parlare te. Che hai fatto oggi?”

Rimase qualche secondo di troppo in silenzio, tanto che con la coda dell’occhio la osservai mentre il vento le scompigliava i capelli.

Era sempre più bella, dannazione.

Ma, solite cose. Sono stata la mattina a casa a studiare e ad aiutare Alice a sistemare un po’ il giardino. Pomeriggio, Ash è venuta da me e siamo andate al campetto a fare qualche tiro. Te?”

Qualche settimana prima avevo ritenuto la sua voce fin troppo fastidiosa.

Era fastidiosissima come una zanzara, quando voleva, ma in quel momento era semplicemente cordiale, ironica e sincera.

Avrei potuto lasciarla parlare per ore, senza stancarmene.

Dio, cosa stavo dicendo? Logan mi avrebbe deriso a vita se l’avesse saputo.

Se, ovviamente.

“Picnic con gli amici e pomeriggio a guardare le repliche di qualche vecchia partita. Stai migliorando il lancio?”

Lei incrociò le braccia sotto al seno. “Certo! Sarei pronta a sfidarti anche ora.”

Risi, girando a destra ad un incrocio. “Sono lusingato del tuo invito, ma con quel top, ti sarebbe difficile muoverti senza far uscire qualcosa. Non che mi farebbe schifo...

La guardai di sottecchi e la vidi prima arrossire e poi riscuotersi per rispondermi.

“Nick, vaffanculo.”

Risi di nuovo, accostando sul marciapiede e avvicinandomi al suo viso.

“Solo se vieni con me, Mademoiselle.”

Ne ora e ne mai!”

Sorrisi e mi avvicinai alle sue labbra, ma all’ultimo dirottai il bacio e le solleticai la fronte.

Il primo.

Ma che cavolo! Quel pensiero mi avrebbe fatto morire lentamente.

Scesi dalla macchina e lei mi seguì un po’ titubante, ma ancora così testardamente e adorabilmente risentita nei miei confronti.

“Vuoi il bacio del principe azzurro per ritornare a sorridere?”

Camminavamo vicini, lei che si spostava i capelli da una spalla all’altra ed io che mi immaginavo di scioglierli per dispetto.

“Penso che stasera mangerò tanto di quell’aglio da farti stare lontano da me almeno venti metri.”

Incrociò di nuovo le braccia e io non riuscii a trattenermi dallo sfiorare una porzione di pelle nuda.

Soffice, tonica, perfetta.

Lei sciolse le braccia, forse grazie al mio tocco, ed io le presi una mano con naturalezza.

“Deduco che la minaccia dell’aglio non abbia funzionato.”

“No, mi spiace.”

La condussi così nella parte più divertente e colorata di Boston : il North End, il quartiere italiano della città.

Ero da sempre un ottimo osservatore, fin dai tempi del liceo, e sapevo delle origini italiane di Elena. Anche il nome era un ottimo indizio, no?

Il mio amore per l’Italia, invece, era dovuto ad un viaggio fatto con i miei genitori e mio fratello molti anni prima. Avevo appena otto anni, eppure ricordavo con nostalgia il calore e l’allegria di una Roma spumeggiante e irriverente.

Mi sarebbe piaciuto ritornarci un giorno, magari con Lily. Le sarebbe piaciuta l’Italia, soprattutto il cibo.

Scossi la testa e mi accorsi degli occhi luccicanti di Elena che mi scrutavano stupiti.

“Come lo sai?”

Inclinai la testa, sorridendo. “Nome e cognome non ti dicono niente?”

Lei aggrottò le sopracciglia, prima di darmi un buffetto sul braccio. “Ma no, scemo! Intendevo… Come fai a sapere che North End è la parte che amo di più di Boston? Accidenti, questo è un colpo basso.”

Lo disse sorridendo e mi imbarazzai per aver fatto centro.

“Perché è anche la mia preferita.”

In quell’istante, dopo quelle parole, Elena intrecciò per la prima volta le sue dita con le mie.

Mi stupii così tanto che mi voltai verso di lei con le labbra leggermente socchiuse, ma lei aveva il viso completamente girato verso i negozi di Salem Street, non permettendomi di osservarla o baciarla.

Camminammo un po’ in silenzio, anche se la baraonda di turisti e gli stessi commercianti chiassosi riempivano le nostre orecchie.

Trovammo anche un bambino che, con il bavaglino legato al collo, scappava tutto sorridente dalla madre un po’ meno felice.  

Marcolì! O vieni qui e mangi da solo o ti faccio mangiare con tuo padre! Tanto, porci per porci!”

Sorpassammo il bambino e vidi il viso di Elena solare e con un sorriso biricchino sulle labbra.

“Hai capito cos’ha detto?”

Lei annuì. “Sì, anche se non parlo benissimo italiano, capisco quasi tutto. Il bambino stava scappando, perché non voleva mangiare.

Proseguimmo così per Salem St, prima di svoltare e raggiungere Richmond Street, la nostra meta.

I palazzi erano tutti colorati, dai rossi vermigli ai verdi smeraldi.

Tra due enormi palazzi c’era una minuscola via che ci condusse di fronte al nostro ristorante.

“Benvenuta da Ju-

Ma lei mi interruppe. “Juliette! Oddio da quanto non venivo qui! Non ci credo, Nick... Mi stai facendo ritornare bambina.”

E quel sorriso sincero, mi lasciò senza parole. Era troppo bella quella sera.

“Ma tu sei ancora una bambina. Guarda come sei piccola.”

E senza darle il tempo per imbarazzarsi, la portai all’interno del locale.

Il profumo di pesce, pizza e caffè mi fecero ritornare indietro nel tempo.

Guardai di sottecchi Elena e aveva gli occhi chiusi e un sorriso ancora più bello sulle labbra. Avrei voluto baciarla, tecnicamente lo stavo per fare, ma dirottai ancora il bacio su una guancia.

Lei aprì gli occhi e le sue gote leggermente arrossate, mi scaldarono il cuore.

Nicolino mio!”

Mi voltai, un po’ scocciato dal dover distogliere lo sguardo da quella piccola canaglia, per sorridere alla donna che mi veniva incontro sorridente.

Juliette mi stritolò tra le sue braccia grosse e il seno troppo prosperoso.

Era una donna in carne, con i capelli marroni e il rossetto sempre e perennemente rosso scarlatto.

Era italiana in tutte le sue divertenti e sensuali sfumature.

Che avesse cinquant’anni, nessuno ci avrebbe creduto.

“Julie! Quanto tempo.. E quanto sei sexy.”

Le scoccai un’occhiata maliziosa e lei mi stritolò una guancia, sorridendo gioconda.

“Sempre il solito, Nick. Non crescerai mai! Come stanno i tuoi? E Lilian? Uh e questo bocconcino..

Elena le sorrise, mentre Juliette prese anche lei tra le sue grandi e soffici braccia.

“Elena Rinaldi! Come sei cresciuta, santo cielo! Ciliegina dolcissima..

La donna riservò il medesimo trattamento anche a lei, che quasi versò una lacrima per la stretta poderosa riservata alle sue piccole guance.

“Ciliegina…”

Lei mi guardò completamente in imbarazzo e io registrai quell’informazione come se fosse di vitale importanza.

Ciliegina.

Ma voi state insieme? Oh.Mio.Dio! Giuseeeeppe! Beppe, vieni qua!”

Il marito di Juliette - o meglio Giulia - era un uomo altissimo, muscoloso e dagli occhi più verdi che avessi mai visto.

Aveva la stessa età della moglie, ma entrambi erano troppo allegri, innamorati e belli per sembrare sposati da trent’anni e con ben cinque figli e sei nipoti.

Dov’era la tristezza dell’età che passava inesorabilmente?

Loro erano da sempre – insieme ai miei genitori – il prototipo di coppia innamorata che avrei voluto essere insieme alla mia futura compagna.

“Eccomi, Giulietta mia. Oh! Nicholas, ma sei sempre più bello!”

Mi diede una pacca affettuosa sulla spalla e nonostante non avessi più sei anni, quell’uomo era rimasto sempre grosso, virile e terribilmente imponente.

Non che io fossi basso e mingherlino, ma Giuseppe mi batteva alla grande.

“E lei è la tua donna? Elena? Giulia mia è la nostra Elena, figlia di Giovà e Allison?

La moglie annuì, venendo di nuovo da me e stritolandomi ancora.

Guardai Elena che, tra le braccia di Beppe, aveva la mia stessa espressione addolorata.

Scoppiamo a ridere di gusto, seguiti poi dalla stramba coppia di coniugi.

“Sì, stiamo insieme.” Mi sfuggì, ancora saturo del clima gioviale e allegro che mi circondava.

Elena si ammutolì e deviò il mio sguardo, facendomi serrare la bocca dello stomaco.

“Oh, che notizia eccezionale! Il mio tavolo migliore, in terrazza: subito! Vincé, dove sei? Forza, scorta questi due pasticcini. Beppe, cuciniamo noi due personalmente per loro, vero?

Il marito baciò la moglie dolcemente, sparendo poi in cucina.

Perché per noi non poteva essere così semplice?

Dannazione…

Vincenzo, secondogenito alto come il padre e con gli occhi allegri e scuri della madre, ci scortò per i tre piani del locale.

Le pareti erano bordeaux, poi rosse e in fine arancio. Scoppiava tutto di vita e felicità che quasi dimenticai lo sguardo di Elena.

“Scusa…”

Le mormorai scrutando le spalle larghe e forti del cameriere che ci precedeva.

Se possibile, il suo umore peggiorò.

“Eccoci qua, ragazzi. Il nostro terrazzo solo per voi. Scegliete il tavolo e godetevi la vista del Boston Inner Harbor.. Il porto, in questo periodo dell’anno, è bellissimo.”

Ci lasciò così e io mi persi nella contemplazione della mia città dall’alto. Vedevo le luci, le persone che camminavano sotto di noi e mi sporsi sulla ringhiera - piena di gerani colorati ed edera - con espressione sognante. Il porto, il faro, qualche peschereccio abbandonato sulla riva e la luce sfavillante della luna che increspava le onde e illuminava la pelle di Elena, al mio fianco.

Tra il viaggio in macchina, la breve passeggiata tra le vie chiassose di North End e l’accoglienza calorosa di Julie e Beppe, si erano fatte già le nove; la luna non era ancora alta, ma risplendeva con lenta e dolce pigrizia.

“Non stiamo insieme, mi sono lasciato sfuggire la situazione di mano.”

Riprovai, ma continuavo a sbagliare qualcosa.

Lei mi lanciò uno sguardo rancoroso. “Prima dici una cosa e poi la ritratti. Ah, Nicholas Moore, che uomo tutto d’un pezzo.”

Era amarezza quella che sentivo?

“Non fare la scontrosa, ciliegina. Ci sediamo?”

Lei sbuffò e poi mi sorrise più sciolta.

Ci sedemmo nel tavolo più vicino alla ringhiera; una candela tra di noi e i suoi occhi nei miei.

“Come mai non ti ho mai vista qua?” Era decisamente strano che lei conoscesse benissimo questo posto ed io non l’avessi mai incontrata nemmeno di sfuggita.

“Venivo qui molto spesso quando ero più piccola. Poi Alice è cresciuta ed io sono sempre così impegnata per dare retta ai miei... Siamo due donne ormai e abbiamo sempre così tante cose da fare; troppe uscite con le amiche e i ragazzi, che per una cosa o per l’altra, ci hanno costretta ad accantonare molte uscire in famiglia. Non giudicarci, vogliamo bene ai nostri genitori, però penso sia normale allontanarsi da loro con la crescita.

Sorrise, prendendo il tovagliolo bianco per posarlo sulle ginocchia nude.

“E come mai non ci sei tornata da sola o con gli amici?”

Fece spallucce. “Perché non sarebbe stata la stessa cosa. Non so come spiegarmi, è una sorta di tradizione dei Rinaldi ed è strano condividerla con degli estranei.”

Mi piegai verso di lei, scrutandola. “Anche con me?”

Lei distolse ancora lo sguardo, non riuscendo a nascondere un sorriso. “Soprattutto con te.”

Arrivò Vincenzo che, sorridendo ad entrambi, posò una cesta di pane al centro del tavolo e ci versò del vino bianco nei nostri bicchieri. Cercai quasi di fermarlo, lei era una bambina, ma poi scossi la testa e mi diedi dello stupido.

Era piccola, ma era una donna… E io sarei stato il primo? Dio, non riuscivo a pensare ad altro.

“Vincenzo, il menù?”

Lui mi sorrise benevolo. “Nick, mi spiace. Mamma e papà sono partiti per la tangente e vogliono farvi una sorpresa. Sapete come sono fatti.”

Si congedò così e mi passai una mano tra i capelli, un po’ nervoso.

Eravamo soli. Soli sotto la luna.

“Come sta Lily?”

Elena sorseggiò il suo vino, alzando lo sguardo su di me.

Chiedeva di mia figlia, nonostante fossimo ad un appuntamento romantico e i nostri discorsi dovessero essere incentrati su tutt’altro.

Sorrisi con naturalezza. “Sta bene, ogni giorno ne combina una, ma è troppo adorabile per potermi far arrabbiare davvero. Alice sta bene?”

“Sì, sempre immersa nella sua vita.”

Vincenzo arrivò di nuovo con l’insalata di mare che mi coccolò il palato come una dolce e lenta carezza.

“Buonissima. Juliette è magnifica come sempre.”

Annuii, tornando a guardarla mentre mangiava.

Assaporava e mi guardava, si puliva le labbra con la punta della lingua.. Ma si rendeva conto quanto fosse dannatamente sexy?

La sua naturalezza mi spiazzava continuamente.

“Quanti ragazzi hai baciato prima di me?”

Non era la mia voce, vero?

Ahimè, lo era e la conferma mi arrivò da Elena che quasi si stava strozzando con il cibo.

Cof- Cos- cof, Cosa?”

I miei occhi erano liquidi, e appoggiando il mento ad una mano, la pregai con lo sguardo.

“Non sono affari tuoi.”

Mise il broncio e io risi divertito. “Sei uno spasso, Elena. Perché non mi rispondi?”

Non potevo essere stato il primo o volevo esserlo?

Il vino, il cibo e i suoi occhi mi rendevano diverso ed allegro. Forse fin troppo curioso.

“Due.”

Sorrisi, spazzolando il mio piatto. Poca competizione. “Baciavano bene?”

Lei posò entrambe le mani sul tavolo, guardandomi imbarazzata e scandalizzata.

“Non intendo parlare di queste cose mentre mangio. Ma sei impazzito, Nicholas?”

“Un pochino. Sarà il vino.”

Lei si risistemò, finendo l’ultima forchettata di polipo.

“Ne hai bevuto solo mezzo bicchiere; forse reggi meno di me.”

“Al massimo mi farai ricordare tutto tu, vero?”

Era troppo divertente vederla sussultare e nascondere in tutti i modi le sue guance rosee per l’imbarazzo.

Due soli ragazzi.. Insomma, forse non si era mai innamorata. Questa sì che era forse la parte più difficile di tutte. Il corteggiamento era fin troppo bello e semplice.

Ma prima di ricevere una sua risposta, il telefono cominciò a vibrare nella mia tasca e quando lessi il numero di mia madre, mi preoccupai all’istante.

“Mamma che succede?”

Elena mi guardò allarmata.

“Tesoro, scusami per il disturbo, ma Lily si è svegliata di colpo piangendo. Stava dormendo da nemmeno mezz’ora ed corsa da noi qui sul divano e non mi ascolta. Vuole il suo papà..

Mi rabbuiai, portandomi una mano sulla fronte. “Passamela.”

Sentii un leggero rumore, delle voci di sottofondo e la voce disperata di mia figlia. “Papy…”

Mi si strinse il cuore. “Tesoro, ancora i brutti sogni? Vuoi che vengo a prenderti?”

Spostai lo sguardo di nuovo su Elena che annuì comprensiva, cercando di sorridermi.

Stavo per rovinare tutto.

“Sì, papà.. Vieni e non andare dalla mamma. Ho paura… Non voglio stare sola.”

“Riesci ad aspettare un secondo in linea, tesoro?.

“Sì, daddy.”

Posai una mano sul microfono del cellulare, cercando di trovare le parole giuste, ma il mio sguardo parlò per me.

“Andiamo, Nick, possiamo tornare un’altra volta.”

Scusami, Elena.. Io..”

“Non fa niente, tranquillo.”

E invece faceva male, troppo male.

Era questo il nostro futuro? Era questo il rapporto che potevo offrirle?

“Lily, il papà arriva tra mezz’ora, ok? Devo salutare il mio amico, se no poi non mi vuole più bene. Posso? Ce la fai a resistere?”

Elena mi guardò tristemente.

Questo è quello che sono, Elena. Questo è quello che non posso cambiare di me stesso.

“Sì, va bene! Ti aspetto, papà.”

“Arrivo, piccola.”

Chiusi la chiamata, sentendomi dannatamente e profondamente sbagliato ed inutile. Ma mia figlia era e sarebbe sempre rimasta una costante nella mia vita e niente e nessuno poteva sostituirla: questa era la realtà.

“Elena, mangiamo quello che riusciamo e poi ti riaccompagno a casa. Scusami, davvero; Lily non dorme bene da qualche giorno.

Lei annui, dicendo più volte di non preoccuparmi, ma avevamo perso quella magia che ci aveva avvolto fino a pochi minuti prima.

Mangiammo un primo e anche velocemente un fetta di tiramisù. Quando andai a pagare per entrambi, nonostante Elena si ostinasse a voler tirare fuori del denaro dal suo portafogli, Juliette e Beppe ce lo impedirono.

“Consideratelo un regalo per il vostro giovane amore e tornate a trovarci quando volete.” E con quelle parole, salutai Julie che mi sussurrò ad un orecchio : “È bellissima; non lasciartela scappare.”

Ma sembravano parole vane, perché lei non riusciva più nemmeno a guardarmi.

Il ritorno in macchina fu così silenzioso e tetro, da farmi dimenticare tutti i piccoli passi avanti che avevamo compiuto solo poche ore prima.

Ero distrutto, abbattuto. Continuavo a tormentarmi con mille ‘perché’ che non trovavano risposta.

“Allora, ciao.”

Sussurrai, vicino a casa sua. Lei mi guardò per pochi istanti, non riuscendo a nascondere la tristezza. “Buonanotte, Nick.”

E mi lasciò così senza un bacio, una carezza od un sorriso.

Non c’era speranza e voglia di risentirmi.

Ritornai a casa devastato, cullando Lily per mezz’ora e facendola finalmente addormentare dopo la mezzanotte.

Avrei voluto chiamare Elena, scusarmi ancora, ma forse avevamo bisogno entrambi di dormirci sopra.

Quella notte l’unica cosa che pensai prima di dormire erano le sue labbra, i suoi sorrisi e le sue guance rosse e morbide.

 

Buonanotte, Ciliegina.

 

 

_________________________

 

 

Ed eccoci di ritorno con un nuovo e lunghissimo capitolo (sedici pagine, ragazze :O ) e abbiamo anche quasi completato il prossimo :) Finalmente riusciamo a postare senza ritardi imbarazzanti!

Allora, che ne pensate?

Un capitolo pieno di moltissime cose! Uno dei nostri preferiti, probabilmente :)

Nick che si espone sempre di più, ma sembra che nemmeno questo basti.. Elena che si scioglie pian pianino, ma al tempo stesso non vuole essere presa in giro.

Penso che questo finale dolceamaro vi abbia incuriosito già abbastanza; non dobbiamo aggiungere altro :)

Pensate che Nick abbia fatto bene a correre da Lily ed Elena ad andarsene con quell’evidente tristezza dipinta sul volto?

Fateci sapere!

Noi nel frattempo vi ringraziamo moltissimo, perché siete sempre dolcissime e carine con noi. Grazie, grazie e GRAZIE :3

 

Un bacio immenso e a presto <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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