Cap 11
Under
the moon
“Papà, svegliati!”
Sentii qualcuno toccarmi il braccio
destro più volte, prima di aprire finalmente gli occhi.
Due fari azzurri e delle labbra rosee distese
in un dolce sorriso, mi diedero un buongiorno meraviglioso.
“Buongiorno,
tesoro. Che c’è?” La presi tra le braccia,
appoggiando la schiena sulla testiera del letto.
Quel sabato mattina, faceva dannatamente
caldo, tanto che mi ero decisamente rifiutato di
dormire con la canotta. Odiavo terribilmente la sensazione che lasciano i vestiti sulla pelle sudata quando fa fin troppo
caldo. Una sorta di disagio e malessere che a stento riuscivo a sopportare.
“Daddy, ho
fatto un brutto sogno…”
Le accarezzai una guancia, avvicinandola
al mio petto. “Che cosa hai sognato di così tanto
brutto, principessa?”
Lei si alzò in piedi tra le mie braccia,
piantando i suoi grandi occhi azzurri nei miei.
Aveva gli occhi lucidi e le labbra
leggermente increspate dal dispiacere.
“Papà…”
L’abbracciai di
nuovo, immergendo il capo nei suoi lunghi e riccioluti capelli biondi. Il suo
respiro era leggermente accelerato, ed io mi preoccupai all’istante. Aveva la
febbre? Forse aveva avuto un sogno agitato che l’aveva
fatta muovere troppo e quindi farsi male in qualche modo?
La tastai delicatamente, misurandole la
temperatura e controllando eventuali lividi o rossori. Niente, apparentemente
Lily stava bene.
“Tesoro, cosa è
successo? Dai, è tutto passato… Non vedi che sei qui con me al sicuro?
Nessun mostro cattivo ti porterà via dal tuo papà.”
Lei scosse la testa, ancora rifugiata nell’incavo
del mio collo. “Ma se tu vai dalla mamma, io rimango
tutta sola.”
Mi bloccai con la bocca leggermente
socchiusa e una mano posata ancora sul suo capo.
Era quello che aveva sognato? Che io un
giorno l’abbandonassi, morendo come Madeline?
Mi si strinse il cuore e una velata
tristezza avvolse la mia anima.
“Non dire queste cose; non ho nessuna
intenzione di lasciarti sola, capito? Il papà è troppo bello e giovane per
andare in paradiso. Abbiamo tante cose da fare io te, ricordi? Troppe.”
Lei si staccò da me, con quasi le lacrime
agli occhi e le labbra che le tremavano.
“Anche mamma lo era… Non mi lasciare, papà.”
Si rifugiò ancora contro il mio petto ed
io la cullai proprio come facevo anni prima, quando ancora era troppo piccola
anche per parlare.
“Non ti lascerò,
scricciola.
Il papà resta qui con te per tutto il tempo che vorrai.”
Si sciolse nel pianto; un pianto silenzioso, da adulto.
Non era un pianto capriccioso e
infantile; piangeva lacrime ricolme di dolore.
Avevo tra le braccia una bambina che
soffriva e lottava come una guerriera.
“Oh
piccola mia, cosa ti ho fatto?” Ripetevo dentro
di me quel mantra, cercando di esorcizzare il dolore che attanagliava il mio
cuore come una morsa letale. La mia piccola, dolce e tenera bambina aveva
ancora paura della solitudine.
“Sssh, Lily, sssh. Il papà è qui: sono qui.”
La cullai per minuti lenti e dolorosi;
ogni suo singhiozzo, era una pugnalata dritta e precisa nel petto.
Era quella la paura più grande per un
genitore: non poter alleviare il dolore e il peso del mondo dai cuori dei propri
figli.
Avevo cresciuto Lily con tutta la mia
forza, energia e vita; eppure non sarei mai riuscito a colmare il posto vacante
accanto al mio. Non avrei mai potuto riportarle indietro una madre che,
purtroppo, non sarebbe più tornata.
Un madre che non
avrebbe mai abbracciato, baciato e amato.
Una madre che non le avrebbe mai messo i
cerotti sulle ferite.
Un madre che non l’avrebbe
mai scortata per mano, verso la
crescita; il futuro.
Ero così desolatamente solo e inerme contro
il mondo ed il dolore.
Potevo solo stringermela al petto;
accostare il suo viso al mio cuore e baciarle il capo, sussurrandole parole
dolci e d’affetto.
Era quella la vera impotenza per gli
uomini.
Niente immortalità, cura del cancro o
soldi infiniti… Il vero problema che l’uomo voleva e doveva risolvere era il dolore dell’anima.
E in quel momento la mia anima
sanguinava, intrecciata a quella di mia figlia. Unite dal dolore ancora da un
briciolo di speranza; ancora da un nome e un viso che stavano sbiadendo davanti
ai miei occhi.
Dov’era la cura? Dove potevamo dissetarci
e sfamarci di speranza io e Lily?
“Daddy,
piangi?”
“No, tesoro. Asciugo le
tue lacrime.”
Iniziai così quel sabato mattina. Ero
turbato, frastornato e terribilmente scosso per quel risveglio così doloroso e
sofferto. Perché? Dov’era la pace per Nicholas Moore? Era possibile che, in
passato, fossi stato così malvagio e meschino per meritarmi tutto quello?
Volevo la pace, l’espiazione, la gioia.
Volevo che Lily sorridesse sempre, come faceva di solito. Invece rimasi tutta
la mattina assorto nei miei pensieri, con gli occhi sporchi ancora di
quell’immagine così degradante: mia figlia in lacrime e tremante.
“Papy, papy! Pomeriggio andiamo dai
nonni?”
Mentre facevo il bucato, chinato davanti
alla lavatrice ed intento a prelevare i panni appena
lavati e profumati dall’elettrodomestico, Lily si dondolava sui talloni.
“Certo, tesoro.” Presi la bacinella e la
portai con me fino al balcone, iniziando così a stendere i pochi vestiti di
Lily, due miei paia di boxer e le nostre lenzuola.
“Papy.”
Mi chinai a prendere una molletta sul
davanzale e le spettinai i capelli.
“Dimmi principessa.”
Lei però non parlò, il che mi fece
insospettire.
“Lily?” Abbassai lo sguardo, mentre con
le mani raddrizzavo le lenzuola rosa di mia figlia.
“Papà, tu hai baciato tanto la mamma?”
Quella mattina era davvero un lento e
lungo cammino verso il supplizio.
Parlare di Mad,
anno dopo anno, faceva meno male. Però certe domande,
erano ancora offlimits per me.
“Come mai me lo chiedi,
bambolina?”
Bambolina.
Proprio come la chiamavi tu, Mad. Ricordi?
“Perché…”
Non parlò ed io mi accovacciai al suo
fianco, accarezzandole i capelli.
Aveva lo sguardo perso, lontano.
“Ho baciato tantissime volte la mamma; ci volevamo tanto
bene.”
Lei annuì, muovendo velocemente la testa
e facendomi comparire un sorriso a fior di labbra.
“Allora è ok. Tutti i genitori dei miei
amichetti si baciano tanto e davanti a loro. Jenny mi racconta che li vede sempre
abbracciati, quando sono soli in una stanza. Tu e la mamma vi abbracciavate, papà?”
“Sempre.”
Lei sorrise, toccandomi il collo. “Papà,
vuoi baciare qualche altra mamma ora che la mamma non
c’è più?”
Qualcosa si incrinò.
Qualcosa di piccolo, quasi inesistente, si incrinò
dentro di me.
E il volto di Elena comparve davanti ai
miei occhi.
“Tu lo vorresti?”
Lily mi abbracciò con forza. “Non lo so. Sono solo triste, perché quando parlano di
queste cose, sono sempre zitta. Matty dice che mi
lascerai per un’altra mamma… È vero, papà? Io lo picchio sempre quando lo dice,
ma ho tanta paura di un’altra mamma. Matty dice che
gli uomini grandi vogliono tanti baci e io gli urlo
che al mio papà ci penso io! E lui…”
“Oh, piccola. Cosa ti dice,
Matthew?”
Le lacrime rigarono le sue piccole e
soffici guance rosee. “Lui dice che i baci dei bambini non sono come quelli dei
grandi... Matty dice che
papà ha tanti bisogni diversi da quelli di Lily.”
I
bambini sono la bocca della verità.
Per quanto Matthew avesse facilmente
perso la mia simpatia, aveva in qualche modo riportato a galla tutta la paura e
l’insicurezza che la frenesia, il calore e la purezza di Elena avevano
perfettamente nascosto ed occultato.
Perché non poteva essere semplice?
Perché non potevo vivere serenamente
almeno un po’ di affetto senza che i sensi di colpa e i luoghi comuni mi
schiacciassero inesorabilmente?
“Lily, Matty
non sbaglia riguardo a certe… cose. Però un padre, per quante madri possa avere al suo fianco,
amerà sempre i propri figli. Per la mia principessa, io ci sarò sempre e vorrò
sempre i suoi baci, più di chiunque altro.”
Non ero sicuro di voler affrontare quel
discorso con una bambina di soli quattro anni… Il suo sguardo limpido, mi intimoriva e mi sentivo così sporco, per aver desiderato
una storia con Elena che aveva tutti i presupposti per fallire inesorabilmente.
“Allora mi vuoi ancora bene,
papà?”
Le baciai teneramente la fronte, le
guance, il mento. “Certo, piccola mia. Sempre.”
Lei sorrise e, accendendo con il
telecomando lo stereo che avevo in camera, iniziammo a
cantare le canzoni che lei amava di più; quelle che anche io amavo cantare a
quattro anni.
Saltammo sul letto, la presi poi in
spalletta e iniziai a trasportarla per la casa, imitando il camion di mio padre
che, in qualche modo ancora a noi sconosciuto, provocava sempre un sorriso o
una gioiosa risata in mia figlia.
Facemmo colazione con pane, nutella e un
bicchiere di latte. Sporcandoci così le dita e le labbra,
prendendo quel nettare divino direttamente con le mani.
Di solito non glielo permettevo, ma, quel
sabato, volevo riportare la serenità nei nostri cuori.
Nel pomeriggio andammo dai miei genitori
e mentre mio padre prese la mia piccola per mostrarle i nuovi frutti del suo
orto, mia madre mi si sedette accanto, porgendomi la sua meravigliosa limonata
fresca.
“Grazie.”
Alzai lo sguardo, inseguendo la figura di
mio padre, con in braccio la gioia della mia vita.
“Come stai, figliolo? Hai uno sguardo
così triste.”
Sorrisi contro il bordo del bicchiere. “In passato mi ostinavo a non capire il perché tu e papà riuscivate
sempre a capire cosa mi turbasse o cosa, invece, mi rendesse improvvisamente
felice. Da quando ho Lily al mio fianco, comincio a capire che fingere
con i propri genitori è come cercare di prendere una A
o una B ad un compito di storia, lasciato completamente in bianco.”
La mano di mia madre, piccola e
leggermente rugosa, si posò sul mio braccio grande, muscoloso e abbronzato.
I miei occhi,
raggiunsero i suoi.
“Tesoro, sai che ti voglio bene, ma non
costringermi a farti parlare con la forza. Ho preparato il gelato alla stracciatella,
il tuo preferito.”
Fregato.
Sospirai, sistemandomi meglio sulla sedia
di paglia.
“Stamattina Lily ha avuto un incubo. Si è
svegliata ed è corsa a piangere tra le mie braccia, supplicandomi di non
lasciarla mai sola, come ha fatto Mad. Mi sono sentito al pari di una mer-”
Mi fermai, mordendomi l’interno della guancia, per lo sguardo severo di mia
madre. “Diciamo che mi sono sentito davvero male e anche in colpa, perché sto
cercando di conoscere una ragazza…”
L’avevo
detto! Bravo, Nicholas, bravo!
“Oh…” Mia madre mi guardò prima allibita
e poi, con un sorriso dolcissimo sulle labbra, avvicinò la sua sedia alla mia.
Le nostre ginocchia si toccavano.
“Scusami, sono così sorpresa!” Con la
mano libera, si fece aria, sorridendomi imbarazzata.
“Lo so che è sbagliato, mamma, ma caz-” Mi fermai in
automatico per censurare la parolaccia, ma mia madre - stranamente incurante
della mia distrazione - mi prese entrambe le mani tra le sue, continuando a
sorridere con una dolcezza disarmante.
“Ma no,
sciocchino! Che cosa hai capito?! È la prima volta che
mi dici una cosa simile; credevo che non sarebbe mai arrivato questo momento.
Ne sono felice. Allora? Com’è? Conosco sua madre?”
Deglutii rumorosamente. Non ero più
abituato a quel tipo di discorsi… Mi sentii improvvisamente di nuovo un
adolescente in preda ad una folle cotta per la ragazza di turno.
“È la figlia dei Rinaldi.”
“Uh, la maestra di Lily? Che cara
ragazza! Sì, molto carina… Assomiglia anche a Mad;
capelli scuri, fisico formoso e minuto. Mi piace, tesoro!”
Deglutii di nuovo e più rumorosamente di
prima. Dovevo essere più preciso.
“Mamma… la
sorella di Alice: Elena Rinaldi.”
La sua bocca si spalancò e io lasciai le sua mani, per poggiarci sopra la testa e
grattarmi la nuca nervosamente.
Che casino allucinate.
“Quella biondina con le stampelle che era
alla recita? Oddio… Nicholas, ma è maggiorenne, vero?”
Sorrisi, sollevando di nuovo lo sguardo.
“Sì, ha diciotto anni ed è all’ultimo anno di liceo.
Gioca a baseball come un ragazzo, adora le sfide e mi ha provocato fin
dall’inizio con il suo sguardo così fiero e limpido. Mamma è piccola;
dannatamente piccola e mi sto incasinando la vita.”
Il sorriso tornò sulle sue labbra.
“Baseball, eh?”
Scossi la testa, sorridendo imbarazzato.
“Sì ed è totalmente diversa da Mad..
E’ slanciata, sicura di sé e bella per la sua grinta e la sua forza. Sa cosa
vuole dalla sua vita e non scende mai a compromessi… Versa caffè bollenti
addosso agli estranei e si infastidisce se viene
chiamata principessa da un ragazzo. È tosta e testarda! Terribilmente,
inevitabilmente tosta e testarda.”
Mia madre si portò le mani sulle labbra,
nascondendo gli occhi lucidi.
“Mamma? Tutto ok?”
“Assolutamente sì… E poi? Raccontami.”
Mi portai una mano sul collo,
arrossandolo per quanto lo torturassi con le mani sudate. “È
così attaccata alla vita! In quel frangente le assomiglia moltissimo;
hanno lo stesso sguardo fiero e sicuro di chi vuole combattere per il proprio
futuro e per le proprie ambizioni. Non l’ho mai vista con un paio di tacchi o
con scollature generose, eppure è così dannatamente ammaliante! L’ho anche baciata… Più volte.”
Scoppiai a ridere, vendendo che mia madre
si era avvicinata con il busto al mio viso.
‘La
curiosità è donna!’ Lo diceva spesso nonna Josephine.
“E
poi?”
“Mamma, non crederai che ti racconti i
dettagli!?”
Lei mi diede una leggera spinta, facendomi sorridere. “Che sciocchino
che sei, Nicholas Moore! Sono nata e cresciuta molto prima di te! Ho vissuto a
pieno gli anni ‘70 e se pensi che parlare di sesso e strusciamenti vari mi
possa scandalizzare, non hai proprio idea di che pasta sono fatta! Tutti così
questi giovani… Anche noi ci divertivamo, tesoro mio.”
Mi portai una mano davanti agli occhi,
completamente imbarazzato. “Oddio mamma.. No, non
aggiungere altro! Non voglio avere incubi su te e papà! Mi avete già
scandalizzato abbastanza durante l’adolescenza.”
Riaprii gli occhi e scoppiamo a ridere
entrambi.
“Io e tuo padre abbiamo dieci anni di
differenza. Te lo ricordi, vero?”
Mi morsi le labbra, annuendo. “Lo so,
mamma; ma papà non aveva già una figlia e i tempi erano diversi.”
Lei, pensierosa, mi diede ragione. “È vero anche questo, ma non dovete mica sposarvi! Siete
giovani e belli.. Vuoi un consiglio da una povera
donna che ha un po’ più esperienza di te con gli affari di cuore?”
Alzai gli occhi al cielo, fingendomi
risentito. “E secondo te perché sono qui a parlartene?”
Lei mi accarezzò prima il ginocchio, poi
il viso.
“Questa Elena ti
piace molto e in un modo che ancora non ti è facile capire. Lasciati andare, vivi queste nuove sensazioni, ma non prenderla in
giro. È dannatamente giovane e tu potresti essere il suo primo amore… Capisci
cosa intendo, tesoro? Primo, in tutto e per tutto...”
Scoppia a ridere incredulo, ma lo sguardo
serio di mia madre, mi fece davvero preoccupare.
“Mamma siamo nel
XXI secolo! Non pensi davvero che io sia il primo per lei. Io
stesso…”
Mi fermai, deglutendo, ma sua attenzione
non era su di me. In qualche modo, la situazione sentimentale di Elena era più
importante di suo figlio stesso.
“E cosa c’entra? Non vuol dire proprio
niente, sai? Mi stupisco di te Nicholas Moore, figlio mio e gioia mia. Se lei è
così diversa dalle altre, potrebbe avere anche dei valori diversi o delle aspettative più alte. Davvero non hai mai pensato che tu
potresti essere il primo?”
Il mondo si fermò per un momento e le
parole di mia madre cominciarono a sortire l’effetto desiderato.
Avrei potuto essere il
primo per lei?
Il primo bacio, la vedevo davvero dura visto come era stata sciolta nel baciare me, ma
addirittura il primo amore? La prima volta e il primo batticuore?
In un certo senso mi sembrava tutto così
assurdo, però una leggera ansia nacque dentro al petto,
a livello del cuore.
“No, non l’ho mai lontanamente pensato. Oddio, allora è davvero tutto impossibile! Non posso proprio essere il suo tanto agognato principe
azzurro.”
Sprofondai nella sedia e bevvi in due
sorsi tutto il bicchiere di limonata.
“Cos’è questo muso? Non ti ho di certo
cresciuto per fare il troglodita e il barbaro, sai? Se lei ti vorrà, sii solo
gentile e premuroso. E poi, nonostante tu dica di essere uno sciupa femmine, hai sempre portato
rispetto per tutte le ragazze che hai frequentato anche per poche ore. Lo so,
ti ho cresciuto io e il rispetto per le persone è alla base di qualsiasi cosa;
anche del sesso.”
Ero troppo imbarazzato; decisamente troppo imbarazzato! Parlare di sesso e prime
volte, con mia madre, mi rendeva nervoso ed insicuro.
Ero decisamente
impreparato a tutto quello.
“E se non fosse così? Se lei volesse
qualcosa in più che io non posso offrirle? Forse per
non farla soffrire, dovrei lasciarla in pace.”
Lei scosse la testa, prendendomi una
guancia nella sua mano destra. “No tesoro, se lei ricambia il
tuo affetto, la farei solo soffrire di più, impedendole di viverti come vorrebbe.
Sii te stesso e cerca di dirle sempre la verità, senza
ferirla. L’unico consiglio che posso darti è di seguire il tuo cuore, i
sentimenti e di non usarla per un piacere prettamente fisico… Esistono ragazze
che cercano solo quello e lo sai; credo che Elena meriti e pretenda di più da
te.”
Non risposi, forse nemmeno necessitava
una mia risposta.
Poco dopo Lily e mio padre tornarono da
noi e incominciammo a parlare dell’estate, delle imminenti vacanze estive e dei
progressi di apprendimento di mia figlia.
Non toccammo più l’argomento, nemmeno
dopo la cena che consumammo tutti insieme in giardino,
con il tramonto di fronte.
Tornai a casa alle nove passate e dopo
aver aiutato Lily con la doccia e i capelli, la misi a letto subito, visto che
era visibilmente stravolta per il pomeriggio trascorso a giocare, sotto il caldo
sole di metà maggio.
Poco dopo, mi lasciai andare anch’io
sotto la doccia fresca, con il capo chino e continuamente accarezzato
dall’acqua a corrente.
Ero stato così superbo e stupido. L’avevo
addirittura invitata a cena fuori, come nei cliché più banali e scontati!
Che diamine dovevo fare?
Mi misi a letto con quei pensieri e,
rigirandomi tra le lenzuola madide di sudore, mi addormentai con il sapore
amaro dei suoi baci, inimmaginabilmente ancora sulle mie labbra. Li sognai
tutta la notte.
“Nick ti devi
calmare.”
Avevo il cellulare incastrato tra il
collo e la spalla e stavo infilando i boxer che faticavano a scivolare sulle
mie cosce ancora bagnate dalla doccia.
La domenica era decisamente
volata via tra un picnic al parco con i ragazzi e Lily ed un pomeriggio sul mio
divano a guardare le repliche delle nostre partite di baseball preferite. Lily
era dai nonni a dormire ed io ero completamente lasciato solo a morire tra
l’ansia e le paranoie degne di una prima donna.
“Sono calmo come un misero ramoscello nel
centro di un ciclone. Rendo l’idea, Tom?”
Presi il telefono con la sinistra e
cominciai a frugare nell’armadio alla ricerca di un qualcosa che evidentemente
non riuscivo a trovare.
“Nicholas Moore, ti ordino di sederti,
respirare e ascoltare me. Non dico Logan, ma almeno me!”
Sbuffai, rendendomi conto che stavo
sfiorando una vera e propria crisi di nervi.
Logan era stato invitato a casa di Tom
per una cena in famiglia, alla quale avrei dovuto presenziare
anch’io, se non avessi avuto un altro tipo di impegno.
- Oh, un diavolo di appuntamento galante,
altro che semplice impegno! – Per quel motivo erano entrambi in vivavoce a
darmi manforte.
“Me la sto
facendo sotto. Perché? Dici che il panino alla Logan
mi abbia distrutto l’intestino tenue?”
Sentii Tom ridere e Logan urlarmi contro : “Brutto stronzo che non sei altro! Se sei un coglione cagasotto, non te la prendere con il mio panino al
cetriolino, cipolla, hamburger e taaaanta senape. E’
l’orgasmo in versione tascabile, capito?”
Non gli diedi retta.
“Va bene, ma io ora cosa mi metto? Cazzo,
cazzo e cazzo.”
“Patata, per par condicio!”
“Logan!” Urlammo entrambi, seguiti da
varie risatine idiote.
Per fortuna che avevo che quei due
cretini sempre al mio fianco.
“Tornando seri, Nick… Dove la porti?”
Mi rialzai dal letto, ritornando dentro
l’armadio. “Da Juliette.. Niente di troppo chic, non
che non possa permettermelo, ma non voglio una cena per rimorchiare la trombata
della serata… Devo conquistarla e Julie è la mia chicca.”
I due sospirarono al ricordo della donna.
“Che donna, ragazzi… Hai fatto bene, amico. Poi con i
vestiti troppo eleganti, ti si ammoscia prima che li sbottoni tutti.”
Scossi la testa, come solevo fare dopo
ogni uscita di Logan.
“Comunque” riprese Tom “Direi che canotta
bianca, camicia rossa ‘alla boscaiola’ che ti ha regalato tua madre al tuo
compleanno e jeans stretti con Timberland ai piedi. Direi che tanto
l’abbigliamento è l’ultimo dei tuoi problemi, comunque. Non lo è mai stato,
Nick!”
Annuii, ma mi accorsi che non potevano
vedermi. “Avete ragione, non so cosa mi prende… Ve l’ho detto oggi la storia
del ‘primo’, no? Sono terrorizzato.”
Logan scoppiò a ridere. “Amico, ma dovresti gasarti come un pazzo, invece! Sei come il
primo uomo sulla luna; come un bambino in una fabbrica di giocattoli appena
aperta… È tutta tua, ancora da togliere l’incarto e non devi temere nessun’altro! E poi non sai se lei è già stata scartata o
maneggiata da altri con sicurezza. Quindi…”
Tom si intromise.
“Log sta cercando di dirti di non fasciarti la testa prima di rompertela. Vai,
sii te stesso e basta. Smettila e
preparati che è tardi!”
Chiusero così la telefonata, senza
nemmeno farmi dire la mia o almeno salutare.
Rimasi a bocca aperta, prima di sorridere
e gettare il cellulare sul letto.
Io non ero mai stato insicuro; non del
mio fisico e questo era un dato di fatto.
Osservai tutti i tatuaggi che avevo sulla
pelle; dal primo quando avevo fatto a quattordici anni all’ultimo, solo di
quattro anni prima. Due erano i più importanti e mentre mi infilavo
la canottiera, mi posai le dita sulla labbra e poi sul cuore, sopra a quel tatuaggio.
Vedevo i miei pettorali e addominali in
rilievo sotto il cotone leggero e finsi diverse mosse stupide con le braccia, per
alleviare la tensione.
Mai prepararmi per un appuntamento fu
così difficile.
Indossai però un altro paio di scarpe, le
Timberland erano invernali e poi volevo essere il più comodo possibile, visto che avrei voluto passeggiare un po’ con lei.
Infilai il cellulare nella tasca
anteriore destra, il portafogli dietro nella tasca sinistra e presi le chiavi
per chiudere casa.
Arrivai al pickup e misi in moto,
sfrecciando per una Boston caotica e piena di vita.
L’estate stava arrivando e portava con sé
la gioia e la speranza di un po’ di relax per molti
miei concittadini. Anche la mia, ovviamente.
Mi fermai a qualche casa di distanza da
quella di Elena, decisione presa da lei stessa per evitare gli occhi indiscreti
della madre.
Se non le andavo a genio, la capivo
perfettamente. Non ero proprio il ragazzo perfetto per la sua amata
figlioletta.
Accesi la radio e tamburellai le dita sul
volante a tempo di musica, in attesa della ragazza.
Sollevai lo sguardo giusto in tempo per
vederla uscire da casa e dirigersi verso di me.
Era bellissima.
Indossava un top senza spalline – e forse
anche senza reggiseno – nero, degli shorts molto corti e della
ballerine nere con un fiocchetto sulla punta.
Appena entrò mi
soffermai sulle sue lunghe e toniche gambe, dovute ad anni di movimento e di sport.
Passai poi alle braccia lunghe e magre ed infine al
decolté modesto, ma strizzato in quel top che lo risaltava fin troppo per i
miei occhi affamati.
“Buona sera, eh! Finita la radiografia?”
Scossi la testa, sorridendo malizioso.
“Oh, non ho ancora incominciato, principessa.”
Ingranai la prima, godendomi i suoi sono
sbuffi infastiditi.
Profumava di shampoo e bagnoschiuma.
Niente profumi intensi. Niente modi di porsi congeniati e
programmati.
Era Elena in tutta la sua semplicità
dirompente e nella sua bellezza tanto genuina quanto dolorosa.
“Siamo silenziosi, stasera.”
Muoveva le mani, torturando il suo
giacchetto nero e la pochette piccola che aveva sulle ginocchia.
“Perché voglio sentire parlare te. Che hai fatto oggi?”
Rimase qualche secondo di troppo in
silenzio, tanto che con la coda dell’occhio la osservai mentre il vento le
scompigliava i capelli.
Era sempre più bella, dannazione.
“Ma, solite
cose. Sono stata la mattina a casa a studiare e ad aiutare Alice a sistemare un
po’ il giardino. Pomeriggio, Ash è venuta da me e siamo andate al campetto a
fare qualche tiro. Te?”
Qualche settimana prima avevo ritenuto la
sua voce fin troppo fastidiosa.
Era fastidiosissima come una zanzara,
quando voleva, ma in quel momento era semplicemente cordiale, ironica e
sincera.
Avrei potuto lasciarla parlare per ore,
senza stancarmene.
Dio,
cosa stavo dicendo? Logan mi avrebbe deriso a vita se l’avesse saputo.
Se, ovviamente.
“Picnic con gli
amici e pomeriggio a guardare le repliche di qualche vecchia partita. Stai migliorando il lancio?”
Lei incrociò le braccia sotto al seno. “Certo! Sarei pronta a sfidarti anche ora.”
Risi, girando a destra ad
un incrocio. “Sono lusingato del tuo invito, ma con quel top, ti sarebbe
difficile muoverti senza far uscire qualcosa. Non che mi farebbe schifo...”
La guardai di sottecchi e la vidi prima
arrossire e poi riscuotersi per rispondermi.
“Nick, vaffanculo.”
Risi di nuovo, accostando sul marciapiede
e avvicinandomi al suo viso.
“Solo se vieni con me, Mademoiselle.”
“Ne ora e ne
mai!”
Sorrisi e mi avvicinai alle sue labbra,
ma all’ultimo dirottai il bacio e le solleticai la fronte.
Il
primo.
Ma che cavolo! Quel
pensiero mi avrebbe fatto morire lentamente.
Scesi dalla macchina e lei mi seguì un
po’ titubante, ma ancora così testardamente e adorabilmente risentita nei miei
confronti.
“Vuoi il bacio del principe azzurro per
ritornare a sorridere?”
Camminavamo vicini, lei che si spostava i
capelli da una spalla all’altra ed io che mi immaginavo
di scioglierli per dispetto.
“Penso che stasera mangerò tanto di
quell’aglio da farti stare lontano da me almeno venti metri.”
Incrociò di nuovo le braccia e io non riuscii a trattenermi dallo sfiorare una porzione
di pelle nuda.
Soffice, tonica, perfetta.
Lei sciolse le braccia, forse grazie al
mio tocco, ed io le presi una mano con naturalezza.
“Deduco che la minaccia dell’aglio non
abbia funzionato.”
“No, mi spiace.”
La condussi così nella parte più divertente
e colorata di Boston : il North End, il quartiere
italiano della città.
Ero da sempre un ottimo osservatore, fin
dai tempi del liceo, e sapevo delle origini italiane di Elena. Anche il nome
era un ottimo indizio, no?
Il mio amore per l’Italia, invece, era
dovuto ad un viaggio fatto con i miei genitori e mio
fratello molti anni prima. Avevo appena otto anni, eppure ricordavo con
nostalgia il calore e l’allegria di una Roma spumeggiante e irriverente.
Mi sarebbe piaciuto ritornarci un giorno,
magari con Lily. Le sarebbe piaciuta l’Italia,
soprattutto il cibo.
Scossi la testa e mi accorsi degli occhi
luccicanti di Elena che mi scrutavano stupiti.
“Come lo sai?”
Inclinai la testa, sorridendo. “Nome e
cognome non ti dicono niente?”
Lei aggrottò le sopracciglia, prima di
darmi un buffetto sul braccio. “Ma no, scemo!
Intendevo… Come fai a sapere che North End è la parte che amo di più di Boston?
Accidenti, questo è un colpo basso.”
Lo disse sorridendo e mi
imbarazzai per aver fatto centro.
“Perché è anche la mia preferita.”
In quell’istante, dopo quelle parole,
Elena intrecciò per la prima volta le sue dita con le mie.
Mi stupii così tanto
che mi voltai verso di lei con le labbra leggermente socchiuse, ma lei aveva il
viso completamente girato verso i negozi di Salem Street, non permettendomi di
osservarla o baciarla.
Camminammo un po’ in silenzio,
anche se la baraonda di turisti e gli stessi commercianti chiassosi riempivano
le nostre orecchie.
Trovammo anche un bambino che, con il
bavaglino legato al collo, scappava tutto sorridente dalla madre un po’ meno
felice.
“Marcolì! O vieni qui e mangi da
solo o ti faccio mangiare con tuo padre! Tanto, porci per
porci!”
Sorpassammo il bambino e vidi il viso di
Elena solare e con un sorriso biricchino sulle labbra.
“Hai capito cos’ha detto?”
Lei annuì. “Sì, anche
se non parlo benissimo italiano, capisco quasi tutto. Il bambino stava
scappando, perché non voleva mangiare.”
Proseguimmo così per Salem St, prima di
svoltare e raggiungere Richmond Street, la nostra
meta.
I palazzi erano tutti colorati, dai rossi
vermigli ai verdi smeraldi.
Tra due enormi palazzi c’era una
minuscola via che ci condusse di fronte al nostro ristorante.
“Benvenuta da Ju-
”
Ma lei mi interruppe.
“Juliette! Oddio da quanto non venivo qui! Non ci credo, Nick... Mi stai facendo ritornare bambina.”
E quel sorriso sincero, mi lasciò senza
parole. Era troppo bella quella sera.
“Ma tu sei ancora
una bambina. Guarda come sei piccola.”
E senza darle il tempo per imbarazzarsi,
la portai all’interno del locale.
Il profumo di pesce, pizza e caffè mi
fecero ritornare indietro nel tempo.
Guardai di sottecchi Elena e aveva gli
occhi chiusi e un sorriso ancora più bello sulle labbra. Avrei voluto baciarla,
tecnicamente lo stavo per fare, ma dirottai ancora il bacio su una guancia.
Lei aprì gli occhi e le sue gote
leggermente arrossate, mi scaldarono il cuore.
“Nicolino mio!”
Mi voltai, un po’ scocciato dal dover
distogliere lo sguardo da quella piccola canaglia, per sorridere alla donna che
mi veniva incontro sorridente.
Juliette mi stritolò tra le sue braccia
grosse e il seno troppo prosperoso.
Era una donna in carne, con i capelli marroni e il rossetto sempre e perennemente rosso scarlatto.
Era italiana in tutte le sue divertenti e
sensuali sfumature.
Che avesse cinquant’anni, nessuno ci
avrebbe creduto.
“Julie! Quanto tempo..
E quanto sei sexy.”
Le scoccai un’occhiata maliziosa e lei mi
stritolò una guancia, sorridendo gioconda.
“Sempre il solito, Nick. Non crescerai
mai! Come stanno i tuoi? E Lilian? Uh e questo bocconcino..”
Elena le sorrise, mentre Juliette prese
anche lei tra le sue grandi e soffici braccia.
“Elena Rinaldi!
Come sei cresciuta, santo cielo! Ciliegina dolcissima..”
La donna riservò il medesimo trattamento
anche a lei, che quasi versò una lacrima per la stretta poderosa riservata alle
sue piccole guance.
“Ciliegina…”
Lei mi guardò completamente in imbarazzo e io registrai quell’informazione come se fosse di vitale
importanza.
Ciliegina.
“Ma voi state
insieme? Oh.Mio.Dio! Giuseeeeppe! Beppe, vieni qua!”
Il marito di Juliette - o meglio Giulia - era un uomo altissimo, muscoloso e dagli
occhi più verdi che avessi mai visto.
Aveva la stessa età della moglie, ma
entrambi erano troppo allegri, innamorati e belli per sembrare sposati da
trent’anni e con ben cinque figli e sei nipoti.
Dov’era la tristezza dell’età che passava
inesorabilmente?
Loro erano da sempre – insieme ai miei
genitori – il prototipo di coppia innamorata che avrei voluto essere insieme
alla mia futura compagna.
“Eccomi, Giulietta mia. Oh! Nicholas, ma sei sempre più
bello!”
Mi diede una pacca affettuosa sulla
spalla e nonostante non avessi più sei anni, quell’uomo era rimasto sempre
grosso, virile e terribilmente imponente.
Non che io fossi basso e mingherlino, ma Giuseppe mi batteva alla grande.
“E lei è la tua donna? Elena? Giulia mia
è la nostra Elena, figlia di Giovà e Allison?”
La moglie annuì, venendo di nuovo da me e stritolandomi ancora.
Guardai Elena che, tra le braccia di
Beppe, aveva la mia stessa espressione addolorata.
Scoppiamo a ridere di gusto, seguiti poi
dalla stramba coppia di coniugi.
“Sì, stiamo insieme.” Mi sfuggì, ancora
saturo del clima gioviale e allegro che mi circondava.
Elena si ammutolì e deviò il mio sguardo,
facendomi serrare la bocca dello stomaco.
“Oh, che notizia eccezionale! Il mio
tavolo migliore, in terrazza: subito! Vincé, dove
sei? Forza, scorta questi due pasticcini. Beppe, cuciniamo noi due
personalmente per loro, vero?”
Il marito baciò la moglie dolcemente,
sparendo poi in cucina.
Perché per noi non poteva essere così
semplice?
Dannazione…
Vincenzo, secondogenito alto come il padre
e con gli occhi allegri e scuri della madre, ci scortò per i tre piani del
locale.
Le pareti erano bordeaux,
poi rosse e in fine arancio. Scoppiava tutto di vita e felicità che quasi dimenticai lo sguardo di Elena.
“Scusa…”
Le mormorai scrutando le spalle larghe e
forti del cameriere che ci precedeva.
Se possibile, il suo umore peggiorò.
“Eccoci qua, ragazzi. Il nostro terrazzo
solo per voi. Scegliete il tavolo e godetevi la vista del
Boston Inner Harbor.. Il porto, in questo periodo
dell’anno, è bellissimo.”
Ci lasciò così e
io mi persi nella contemplazione della mia città dall’alto. Vedevo le luci, le
persone che camminavano sotto di noi e mi sporsi sulla ringhiera - piena di
gerani colorati ed edera - con espressione sognante.
Il porto, il faro, qualche peschereccio abbandonato sulla riva e la luce
sfavillante della luna che increspava le onde e illuminava la pelle di Elena,
al mio fianco.
Tra il viaggio in macchina, la breve
passeggiata tra le vie chiassose di North End e l’accoglienza calorosa di Julie
e Beppe, si erano fatte già le nove; la luna non era ancora alta, ma
risplendeva con lenta e dolce pigrizia.
“Non stiamo insieme, mi sono lasciato
sfuggire la situazione di mano.”
Riprovai, ma continuavo a sbagliare
qualcosa.
Lei mi lanciò uno sguardo rancoroso. “Prima dici una cosa e poi la ritratti. Ah,
Nicholas Moore, che uomo tutto d’un pezzo.”
Era amarezza quella che sentivo?
“Non fare la scontrosa, ciliegina. Ci sediamo?”
Lei sbuffò e poi mi sorrise più sciolta.
Ci sedemmo nel tavolo più vicino alla
ringhiera; una candela tra di noi e i suoi occhi nei miei.
“Come mai non ti ho mai vista qua?” Era decisamente strano che lei conoscesse
benissimo questo posto ed io non l’avessi mai incontrata nemmeno di sfuggita.
“Venivo qui
molto spesso quando ero più piccola. Poi Alice è cresciuta ed io sono sempre
così impegnata per dare retta ai miei... Siamo due donne ormai e abbiamo sempre
così tante cose da fare; troppe uscite con le amiche e i ragazzi, che per una
cosa o per l’altra, ci hanno costretta ad accantonare
molte uscire in famiglia. Non giudicarci, vogliamo bene ai nostri genitori,
però penso sia normale allontanarsi da loro con la crescita.”
Sorrise, prendendo il tovagliolo bianco
per posarlo sulle ginocchia nude.
“E come mai non ci sei tornata da sola o
con gli amici?”
Fece spallucce. “Perché
non sarebbe stata la stessa cosa. Non so come spiegarmi, è una sorta di
tradizione dei Rinaldi ed è
strano condividerla con degli estranei.”
Mi piegai verso di lei, scrutandola.
“Anche con me?”
Lei distolse ancora lo sguardo, non
riuscendo a nascondere un sorriso. “Soprattutto con te.”
Arrivò Vincenzo che, sorridendo ad entrambi, posò una cesta di pane al centro del tavolo e
ci versò del vino bianco nei nostri bicchieri. Cercai quasi di fermarlo, lei
era una bambina, ma poi scossi la testa e mi diedi dello stupido.
Era piccola, ma era una donna… E io sarei stato il
primo? Dio, non riuscivo a pensare ad altro.
“Vincenzo, il menù?”
Lui mi sorrise benevolo. “Nick, mi spiace. Mamma e papà sono partiti per la tangente e
vogliono farvi una sorpresa. Sapete come sono fatti.”
Si congedò così e mi passai una mano tra
i capelli, un po’ nervoso.
Eravamo soli. Soli sotto la luna.
“Come sta Lily?”
Elena sorseggiò il suo vino, alzando lo
sguardo su di me.
Chiedeva di mia figlia, nonostante
fossimo ad un appuntamento romantico e i nostri
discorsi dovessero essere incentrati su tutt’altro.
Sorrisi con naturalezza. “Sta bene, ogni
giorno ne combina una, ma è troppo adorabile per potermi
far arrabbiare davvero. Alice sta bene?”
“Sì, sempre immersa nella sua vita.”
Vincenzo arrivò di nuovo con l’insalata
di mare che mi coccolò il palato come una dolce e lenta carezza.
“Buonissima. Juliette è
magnifica come sempre.”
Annuii, tornando a guardarla mentre
mangiava.
Assaporava e mi guardava, si puliva le labbra con la punta della lingua.. Ma si rendeva
conto quanto fosse dannatamente sexy?
La sua naturalezza mi spiazzava
continuamente.
“Quanti ragazzi hai baciato prima di me?”
Non
era la mia voce, vero?
Ahimè, lo era e la conferma mi arrivò da
Elena che quasi si stava strozzando con il cibo.
“Cof- Cos- cof, Cosa?”
I miei occhi erano liquidi, e appoggiando
il mento ad una mano, la pregai con lo sguardo.
“Non sono affari tuoi.”
Mise il broncio e
io risi divertito. “Sei uno spasso, Elena. Perché non mi
rispondi?”
Non potevo essere stato il primo o volevo esserlo?
Il vino, il cibo e i suoi occhi mi
rendevano diverso ed allegro. Forse fin troppo
curioso.
“Due.”
Sorrisi, spazzolando il mio piatto. Poca
competizione. “Baciavano bene?”
Lei posò entrambe le mani sul tavolo,
guardandomi imbarazzata e scandalizzata.
“Non intendo parlare di queste cose
mentre mangio. Ma sei impazzito, Nicholas?”
“Un pochino. Sarà il
vino.”
Lei si risistemò, finendo l’ultima
forchettata di polipo.
“Ne hai bevuto solo mezzo bicchiere;
forse reggi meno di me.”
“Al massimo mi farai ricordare tutto tu,
vero?”
Era troppo divertente vederla sussultare
e nascondere in tutti i modi le sue guance rosee per
l’imbarazzo.
Due soli ragazzi..
Insomma, forse non si era mai innamorata. Questa sì che era forse la parte più
difficile di tutte. Il corteggiamento era fin troppo bello e semplice.
Ma prima di
ricevere una sua risposta, il telefono cominciò a vibrare nella mia tasca e
quando lessi il numero di mia madre, mi preoccupai all’istante.
“Mamma che succede?”
Elena mi guardò allarmata.
“Tesoro, scusami per il disturbo, ma Lily si è svegliata di colpo piangendo. Stava
dormendo da nemmeno mezz’ora ed corsa da noi qui sul
divano e non mi ascolta. Vuole il suo papà..”
Mi rabbuiai, portandomi una mano sulla
fronte. “Passamela.”
Sentii un leggero rumore,
delle voci di sottofondo e la voce disperata di mia figlia. “Papy…”
Mi si strinse il cuore. “Tesoro, ancora i brutti sogni? Vuoi che vengo
a prenderti?”
Spostai lo sguardo di nuovo su Elena che
annuì comprensiva, cercando di sorridermi.
Stavo per rovinare tutto.
“Sì, papà..
Vieni e non andare dalla mamma. Ho paura… Non voglio stare
sola.”
“Riesci ad aspettare un secondo in linea,
tesoro?.”
“Sì, daddy.”
Posai una mano sul microfono del
cellulare, cercando di trovare le parole giuste, ma il mio sguardo parlò per
me.
“Andiamo, Nick, possiamo tornare un’altra
volta.”
“Scusami,
Elena.. Io..”
“Non fa niente, tranquillo.”
E invece faceva male, troppo male.
Era questo il nostro futuro? Era questo
il rapporto che potevo offrirle?
“Lily, il papà arriva tra mezz’ora, ok?
Devo salutare il mio amico, se no poi non mi vuole più bene. Posso? Ce la fai a
resistere?”
Elena mi guardò tristemente.
Questo
è quello che sono, Elena. Questo è quello che non posso cambiare di me stesso.
“Sì, va bene! Ti aspetto, papà.”
“Arrivo, piccola.”
Chiusi la chiamata, sentendomi
dannatamente e profondamente sbagliato ed inutile. Ma mia figlia era e sarebbe sempre rimasta una costante
nella mia vita e niente e nessuno poteva sostituirla: questa era la realtà.
“Elena, mangiamo quello che riusciamo e
poi ti riaccompagno a casa. Scusami, davvero; Lily non dorme bene da qualche
giorno.”
Lei annui, dicendo più volte di non
preoccuparmi, ma avevamo perso quella magia che ci aveva avvolto fino a pochi
minuti prima.
Mangiammo un primo e anche velocemente un fetta di tiramisù. Quando andai a pagare per entrambi,
nonostante Elena si ostinasse a voler tirare fuori del denaro dal suo
portafogli, Juliette e Beppe ce lo impedirono.
“Consideratelo un regalo per il vostro
giovane amore e tornate a trovarci quando volete.” E con quelle parole, salutai
Julie che mi sussurrò ad un orecchio : “È bellissima;
non lasciartela scappare.”
Ma sembravano
parole vane, perché lei non riusciva più nemmeno a guardarmi.
Il ritorno in macchina fu così silenzioso
e tetro, da farmi dimenticare tutti i piccoli passi avanti che avevamo compiuto
solo poche ore prima.
Ero distrutto, abbattuto. Continuavo a
tormentarmi con mille ‘perché’ che non trovavano risposta.
“Allora, ciao.”
Sussurrai, vicino a casa sua. Lei mi
guardò per pochi istanti, non riuscendo a nascondere la tristezza. “Buonanotte,
Nick.”
E mi lasciò così senza un bacio, una
carezza od un sorriso.
Non c’era
speranza e voglia di risentirmi.
Ritornai a casa devastato, cullando Lily
per mezz’ora e facendola finalmente addormentare dopo la mezzanotte.
Avrei voluto chiamare Elena, scusarmi
ancora, ma forse avevamo bisogno entrambi di dormirci sopra.
Quella notte l’unica cosa che pensai
prima di dormire erano le sue labbra, i suoi sorrisi e le sue
guance rosse e morbide.
Buonanotte, Ciliegina.
_________________________
Ed eccoci di ritorno con un nuovo e
lunghissimo capitolo (sedici pagine, ragazze :O ) e abbiamo
anche quasi completato il prossimo :) Finalmente riusciamo a postare senza
ritardi imbarazzanti!
Allora, che ne pensate?
Un capitolo pieno di moltissime cose! Uno
dei nostri preferiti, probabilmente :)
Nick che si espone sempre di più, ma
sembra che nemmeno questo basti.. Elena che si
scioglie pian pianino, ma al tempo stesso non vuole essere presa in giro.
Penso che questo finale dolceamaro vi abbia incuriosito già abbastanza; non dobbiamo aggiungere
altro :)
Pensate che Nick abbia fatto bene a
correre da Lily ed Elena ad andarsene con quell’evidente tristezza dipinta sul
volto?
Fateci sapere!
Noi nel frattempo vi ringraziamo
moltissimo, perché siete sempre dolcissime e carine con noi. Grazie, grazie e GRAZIE :3
Un bacio immenso e a presto <3