A HARD DAY’S NIGHT
CAPITOLO
3: I never realized what a kiss could be
Per un nanosecondo parve che tutto stesse andando liscio,
sul treno, ma improvvisamente Norman e Shake si resero conto che il nonno di
Paul ci stava mettendo un po’ troppo a tornare dal bagno. Il primo subito capì
che non avrebbe dovuto sottovalutare gli avvertimenti del bassista, quindi, con
il suo fidato compare si mise alla
ricerca dell’anziano combinaguai. A metà del treno incontrarono i ragazzi, che
si stavano appartando per fumare, e Paul, all’udire la notizia della scomparsa
del nonno, naturalmente andò su tutte le furie. Lui e John andarono avanti,
Norman e Shake tornarono indietro e Ringo e George si fermarono giusto il tempo
di fumare una sigaretta.
«Che hai?» domandò il chitarrista, mentre si avvicinava a
lui.
«È il nonno... Non gli sto simpatico, è perché sono
piccolo...» rispose seccato l’altro.
«Nah, tu soffri un complesso di inferiorità! Dai,
raggiungiamo gli altri...»
Intanto Paul e John stavano perlustrando tutti i vagoni
palmo a palmo e avevano anche trovato il tempo di intrattenersi con un gruppo
di studentesse che erano impazzite con un paio di parole dette da Lennon... e
poi il rubacuori era McCartney! Continuarono il loro giro di perlustrazione e
John si imbatté in Amelia, la ragazza della cabina delle foto.
«Ehy, ma tu non sei quella che è attratta dalla piantagione
tra i denti di George?»
Lei lo guardò sconvolta, ma non ebbe modo di ribattere, poiché
Paul lo tirò via: stavano per arrivare in stazione e non avevano tempo da
perdere.
Amelia non seppe cosa rispondere all’osservazione di John,
per tanti motivi.
Comunque, siccome non riusciva a evitare per bene i quattro
musicisti, decise che sarebbe andata a darsi una sistemata nel bagno del treno;
entrò timorosa, quasi trattenendo il respiro.
Aprì l’acqua, che ovviamente era più che congelata, quando
la porta si aprì di nuovo, facendo sì che la ragazza si buttasse l’acqua
addosso per lo spavento.
«G… George, che ci fai qui? » chiese, chiamandolo per nome
come fanno le fan, anche se in realtà non si erano praticamente mai conosciuti.
«No, che ci fai tu qui, è il bagno degli uomini, quello
delle donne è nel vagone successivo» la
ragazza sperò si sprofondare.
«E… E comunque… Non si bussa?» cercò di sviare la colpa, mentre si tamponava
i vestiti con un fazzolettino di carta.
«Qui dentro c’è talmente poco spazio che in due non ci stiamo!»
si lamentò George, mettendosi in ordine
la giacca.
«Si chiama bagno pubblico» commentò Amelia mentre cercava di
non strusciare troppo contro il chitarrista, più gli stava vicino più cercava
di capire cosa fosse quella cosa in tasca contro cui in quel momento
strusciava.
«Staremo più vicini, allora» la minacciò lui, con quella
selva fra gli incisivi.
La ragazza accennò un sorriso, cercando di distogliere lo
sguardo da quell’ecosistema con una vita a sé.
«Ho qualcosa fra i denti?» il chitarrista stava per girarsi verso lo
specchio e lei si sentì morire solo pensando alla situazione che sarebbe nata.
George che tentava di cavare quella verdura, lei che lo avrebbe fissato basita.
Gli prese il viso fra le mani, di colpo, e lo baciò, quasi
con foga, stupendo addirittura se stessa.
Dopo quell’incontro disordinato e confuso fra le due lingue,
la creatura verde traslocò dalla bocca di George a quella di Amelia, ma lei
neanche se ne accorse.
Sgattaiolò fuori dal bagno senza dire nulla, colta dalla
vergogna, senza immaginare cosa alloggiasse all’interno della sua cavità orale.
Mentre tutto questo accadeva, John e Paul continuavano a
setacciare il treno. Si trovarono di fronte ad una cabina di alta classe.
«Dovremmo controllare anche qui?» chiese il bassista, indicandola.
«No, probabilmente ci sarà una coppietta in luna di miele, o
qualche dirigente, o qualcosa del genere...»
«Non m’importa. Allargherò i miei orizzonti ...»
Paul bussò e aprì la porta. Il nonno era accomodato insieme
ad una signora e stava mangiando.
«Congratulatevi con me, ragazzi! Mi sono fidanzato!»
Una volta arrivati a destinazione, ognuno prese la sua
strada.
I Fab dovettero inventare un’altra delle loro escamotage per
sfuggire dalla masnada di fan che si era accalcata al binario. Tutti gli altri
passeggeri subirono ritardi a causa dell’intasamento che la folla aveva creato:
Kate e Amelia, ad esempio, persero l’autobus. La prima fu costretta, a
malincuore, a prendere un taxi, mentre la seconda si convinse che, visto come
stava andando la giornata, onde evitare incidenti stradali mortali, sarebbe
stato meglio andare a piedi. Anche quella si rivelò una pessima idea: l’auto
dei Fab le passò a fianco e la inondò con il fango di una pozza.
«Perché a me?!» domandò isterica, attirando l’attenzione dei
passanti. Quello era solo l’inizio, visto che una folla di persone stava
inseguendo la vettura e lei ne rimase inevitabilmente travolta.
L’attenzione della bella Kate, al sicuro nel suo taxi, fu
attirata da grida e schiamazzi. Si voltò per guardare dal lunotto posteriore
che cosa stesse succedendo e mentre lo faceva incrociò la faccetta simpatica e
morbida di Paul McCartney, seduto sul sedile posteriore di un’altra auto che
stava superando la sua.
‘Cavolo!’ pensò, e si spalmò sui sedili per non farsi vedere.
I Fab, tra una peripezia e l’altra, riuscirono ad arrivare
in albergo e rilassarsi giusto per qualche istante. George era ossessionato
dall’idea di dover essere lui a dormire con Ringo, russatore di professione,
mentre Paul e John se la spassavano. La discussione era andata avanti a lungo,
e sembrava non essere in procinto di concludersi nell’immediato.
«Io non russo» protestò Ringo entrando nel salotto della
suite, con George al suo seguito.
«E invece sì!» replicò il chitarrista.
«Maddai… Paul, tu credi che io russi?»
Il signorino chiamato in causa si girò lentamente mentre le
dita esercitavano sempre meno pressione sui tasti del pianoforte:
«Con un trombone come naso, mi stupirei del contrario...»
«Paulie!» lo richiamò il nonno, con tono vagamente serio, o
irritato «Non è corretto sottolineare la mastodontica grandezza del suo naso…
Poverino… Pensa alla sua povera testolina che deve sorreggere quella
proboscide!»
I quattro sospirarono rassegnati, mentre il soggetto della
discussione si osservava allo specchio, toccandosi il viso e il naso, quando
vide uno degli altri tre che si infilava la giacca dopo essersi alzato dalla
poltrona,
«John che stai facendo?»
«Usciamo,
dai!» esclamò ansioso di varcare la soglia, non solo per divertirsi, ma per
creare un po’ di scompiglio nella mente di Norman: era una guerra di nervi.