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Autore: leo rugens    10/01/2013    12 recensioni
Nell’antichità, il Destino era figlio del Caos e della Notte e nessuno, dèi compresi, poteva ostacolarne il percorso. Si dice collaborasse a braccetto con il Caso, combinandone di tutti i colori, nascosto dietro a una nuvola di passaggio. Liz Hemingway abitava in un condominio benestante, sulla IV Avenue, ed era una delle missioni di un angelo, caduto da chissà dove. Vi chiederete cosa c’entri tutto questo con il Fato. Beh, quel palazzo era anche casa di un musicista sfigato, pazzo, con i capelli rossi. Voi chiamatelo Ed, se vi va.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Hello people, eccoci con il primo capitolo!
Oddio, mi sto emozionando, l'ho scritto oggi un po' a scuola e un po' in biblioteca, speriamo vada bene. Grazie infinite alle 15 recensioni solo al prologo, sono tipo morta infartata. Niente, spero di non deludere nessuno.
Vi lascio una gif di Andrew (Danny dei The Script),


Sun.


 

Capitolo uno



Scienziati (1)



 

Camminava silenziosa, attenta che ogni passo non pesasse, non destasse attenzione.
L’arco impugnato distrattamente nella mano destra, le frecce sulla spalla, i lacci degli stivaletti che ogni tanto battevano sull’asfalto bagnato. La gente non si fermava, non la vedeva, non faceva caso alla ragazza a naso insù che passeggiava sul ponte, come se stesse aspettando qualcuno. Eppure lei li vedeva tutti.
L’uomo di mezza età che rientrava a casa dopo l’ennesima giornata sfiancante in ufficio, suo figlio spiaccicato contro la finestra che sorrideva perché di lì a poco sapeva che lui avrebbe varcato la soglia dell’appartamento a braccia aperte, pronto per abbracciarlo. Sentiva odore di pollo e detersivi, segno che sua moglie aveva già mangiato ma aveva lasciato qualcosa di caldo anche per lui.
 Aria era lì proprio per quello: per l’amore.



Liz era sempre stata una ragazzina piuttosto particolare.
I suoi compagni di liceo se la ricordavano ancora con la salopette di jeans, i libri sottobraccio e la treccia disfatta sulla spalla. Era una matematica nata, per lei tutto si poteva contare: gli aghi di un pino, le bolle che fa il sapone, i trucioli della gomma che cancella, quanto una persona possa amare.
‘Ti amo tanto.’ Tanto quanto? Quanto una meteora si infiamma a contatto con l’atmosfera? Quanto le tartarughe che, appena uscite dal guscio dell’uovo, cercano subito di raggiungere il mare?
Credeva, da brava matematica qual’era, che ogni cosa fosse una grandezza, che tutto si potesse misurare; dai secondi che le porte della metro ci mettono per chiudersi a quanta sincerità, quanti abbracci, quanti piatti rotti possono esserci in una relazione. Aria, Liz l’aveva trovata per caso qualche settimana prima, nel reparto dei surgelati al supermercato con la solita treccia scombinata che portava dai tempi del liceo, le maniche del maglioncino pesca tirato su fino al gomito, il telefono cellulare pronto a cadere da un momento all’altro dalla tasca del jeans chiaro. Liz era qualcuno che Aria cercava, quel qualcuno a cui apparteneva una delle sue frecce.



Fin dai tempi dell’Antica Grecia si tramandavano oralmente leggende sull’anima gemella. Si dice che in principio l’uomo fosse sferico e  che un giorno Zeus, adirato con lui, lo spaccò a metà con una delle sue potenti folgori. Mise poi, fra i due, oceani e continenti di distanza. Ognuna cercava disperatamente di ricongiungersi all'altra. Ormai non bastava più trovarsi, ilembi non coincidevano più come prima: dovevano scegliersi, accettare le parti che non combaciavano più.
Imparare ad amare ogni singolo spigolo, smussarlo con i propri vuoti. Quella era la freccia di cui Liz aveva bisogno, fabbricata apposta per lei.



Andrew si stropicciò le palpebre con il dorso della mano, stiracchiandosi. Dopo tutto quel lavorare in laboratorio gli occhi bruciavano e non sentiva più le gambe. Ordinò una pizza al ristorante del quartiere e, conoscendo il proprietario, chiese di farsela recapitare per le otto e mezza. Aria lo osservava fuori dalla finestra, appollaiata pigramente su un ramo delle quercia secolare di fronte al condominio. Andrew era un ricercatore, passava metà dei suoi giorni davanti a fiale e provette e, se l'amore non si poteva imbottigliare, allora non lo aveva mai visto, sentito o provato. Aria lo aveva trovato per caso mentre seguiva Liz a lavoro. Si erano urtati un paio di volte e chiesti scusa imbarazzati sotto lo sguardo assente del mondo. Ma a lei non era sfuggito niente e aspettava solo il momento giusto: il loro.



Liz uscì di casa sistemandosi meglio il basco. Aria la seguiva qualche passo più indietro, sicura di non dare nell’occhio. Arrivata davanti ad un ristorante spinse la porta ed entrò, facendo tintinnare le campanelle appese.
"Ciao Liz!"
"‘Sera Mark." Rispose con voce sottile.
"Come posso esserti utile?"
"Avevo chiesto a Tina di farmi un po’ di take away."
Il cameriere sparì in cucina, lasciandola alla cassa a tamburellare con le dita sul mogano. Aria aspettava fuori, battendo il piede ad un ritmo che conosceva soltanto lei. Non si era accorta minimamente del ragazzo con i capelli rossi dentro al locale che, ogni due sorsi di caffè, le gettava un’occhiata fugace.
"Ecco a te!"
La donna si chinò sulla borsa intenta a cercare il portafoglio. Mark si voltò verso il suo capo, intento a mormorargli qualcosa all’orecchio. Liz aspettava impaziente, una consunta banconota da venti sterline in mano.
"Successo qualcosa?"



Aria osservava il luccichio dell’anello poggiata serenamente alla penombra di un muro. Finalmente Liz uscì dal ristorante, il suo giapponese che penzolava placido in una bustina di plastica e un cartone per pizza in mano.
"Grazie mille!" La salutò il cameriere con la mano.
"Mi devi un favore!" Scherzò lei.
Aria buttò l’ultima occhiata annoiata al negozio per poi seguirla nella notte, non notando due occhi azzurri che la seguirono finché fu loro possibile.



Arrivarono davanti al condominio di Andrew e Liz suonò un paio di volte un campanello.
"Si?" Gracchiò l’altoparlante.
"Pizza a domicilio!"
La serratura dal portone scattò e la donna lo aprì, entrando tranquilla, con lei che la seguiva a debita distanza. Quando si fu accertata che avesse preso l’ascensore, Aria cominciò con calma a salire la prima rampa di scale, l’arco che sbatacchiava leggermente contro gli scalini. Fece l’ultimo e il campanello dell’appartamento 67 trillò allegramente, facendo correre Andrew ad aprire.
"Oh." Mormorò appena la vide.
Lei sorrise imbarazzata porgendogli la pizza.
"Mark ha avuto un contrattempo, mi ha chiesto di portarla al posto suo."
Annuì pensieroso prendendo il cartone fra le mani.
"Grazie mille…"
"Liz." Lo aiutò lei.
"Liz. Credo di averti già visto da queste parti, forse in Thunder Road…"
"Può darsi…"
"Andrew."
"Bene Andrew, il mio giapponese mi aspetta, buona serata!"
"Anche a te!"



Andrew non chiuse finché Liz non scomparve dietro alle porte scorrevoli dell’ascensore, quella sera. Lei, del canto suo, mentre riscaldava i suoi okonomiyaki freddi al microonde, pensava al suo sorriso e al suo maglioncino stropicciato. Aria si buttò sul letto, prendendo la freccia in mano: bruciava.
Era arrivato il momento giusto.



 

***
 

 



I was just guessin’ at numbers and figures,
pulling your puzzles apart.

Coldplay - The Scientist

  
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