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Autore: Emrys    12/01/2013    1 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I suoni provenienti dall’esterno la raggiunsero con la delicatezza del canto di un usignolo e Ilaria aprì gli occhi con la fugace impressione di essere cullata da una ninna nanna gentile. Cominciò a stiracchiarsi e mugugnando si mise a sedere, poi saltò giù dal letto e aprì la porta della camera con un’inconsueta circospezione: Eric aveva l’irritante abitudine di sorprenderla alle spalle senza mai farsi sentire e lei cominciava ad odiare la sua supervelocità angelica. Quando Ilaria mise piede in corridoio la sua attenzione fu subito attratta da uno strano trambusto proveniente dalla zona della cucina, non aveva idea di cosa stesse succedendo, indossò la felpa e corse ad indagare. Arrivò al salottino del pian terreno e aperta la porta raggiunse la cucina. Lo spettacolo che si trovò davanti fu per lei tanto sconcertante quasi quanto l’apparizione di Suriel nella casa in cui era cresciuta: Eric indossava un paio di jeans con una maglietta nera e le dava le spalle, era chino su i fornelli e sembrava concentratissimo. La quantità di fumo non era molto rassicurante, ma quando l’odore le investì le narici lo trovò delizioso: lo assaporò con un respiro deliziato e chiuse la porta alle proprie spalle. “Non pensi che sia pericoloso farti interagire con altri elettrodomestici? Non amo mettere il dito nella piaga, però di recente abbiamo avuto una prova alquanto clamorosa di quanto possa essere rischioso  chiederti di occuparti del bucato.” Era accostata alla porta, teneva le braccia incrociate dietro la schiena e sul volto aveva stampata un’espressione maliziosa. Eric fece saltare l’omelette e con un’occhiata fugace controllò il livello di cottura delle frittelle. “Molto spiritosa, Rossa, prima di criticare assaggia ! Decidere a priori che qualcosa ci piace o meno non è mai sensato.” “Dopo un invito tanto elegante non posso certo rifiutare, quanto manca per gustare i tuoi manicaretti?” La ragazza inclinò il capo, continuando a studiargli la schiena: il ricordo delle sue ali che si dischiudevano era ancora troppo fresco e sentiva un desiderio irrazionale di accarezzargli la schiena. Non era il caso di perdere anche l’ultimo brandello di controllo, soprattutto a stomaco vuoto, quindi era bene che le sue mani continuassero a restare intrecciate dietro di lei. Eric prese due tovaglioli e ci coprì l’interno di una ciotola, poi ci versò le frittelle e mise l’omelette nel piatto accanto. Allora spense il fornello e depositò il tutto sul tavolo di cucina. “Vieni?” Ilaria inghiottì un singulto e annuì, concentrò lo sguardo sulle fritte e lo raggiunse al tavolo. Sapeva che era una follia, eppure percepiva lo sguardo di Eric come se le accarezzasse la pelle e questa cosa le faceva provare una strana eccitazione: i suoi neuroni non volevano proprio capire.

Eric aveva passato la nottata a riflettere e rimuginando sulla situazione, ma era riuscito a distendere  i nervi solo verso l’alba: quando gli era venuto in mente di fare una sorpresa alla ragazza e decise di prepararle la colazione. Aprendo il frigo fu però assalito da un atroce dubbio di natura culinaria: c’erano così tante ricette e lui non era molto abituato a cucinare per qualcuno, se le avesse fatto qualcosa che non le piaceva? Era indeciso ma alla fine accantonò ogni titubanza: Sorprenderla gli piaceva e il resto passava in secondo piano. Cominciò preparare un’omelette e tirò fuori anche gli in gradienti per delle frittelle: non sapeva se preferisse dolce o salato, ma sarebbe caduto in piedi. “Vediamo un po’, quante uova servono?” Era strano, in un certo senso quei piccoli gesti riuscivano a trasmettergli un calore molto simile a quello che gli riempiva il petto tutte le volte che la guardava.
Il profumo di lei lo sorprese mentre copriva con un coperchio la padella delle frittelle, perché restava a fissarlo in silenzio? Era forse successo qualcosa? “Non pensi che sia pericoloso farti interagire con altri elettrodomestici? Non vorrei mettere il dito nella piaga, di recente abbiamo avuto una prova alquanto clamorosa di quanto possa essere rischioso chiederti di occuparti del bucato.” Lui s’imbronciò, emettendo un impercettibile sospiro: quella ragazza avrebbe mai smesso di rinfacciargli la quasi estinzione del suo guardaroba? “Molto spiritosa, Rossa, prima di criticare assaggia ! Decidere a priori che qualcosa ci piace o meno non è mai sensato.” “Dopo un invito tanto elegante non posso certo rifiutare, quanto manca per gustare i tuoi manicaretti?” Le sue frecciatine erano sempre in grado di rubargli un sorriso: dopo averla osservata così a lungo, rimanendo nell’ombra, parlarci ogni giorno senza temere di essere scoperto lo riempiva di un calore nuovo, splendido e nel contempo disarmante. Allora verso le frittelle in una ciotola e la omelette in un piattino preparati in precedenza. “Vieni…” Aveva continuato a darle le spalle, istintivamente, ma quando alzò gli occhi su di lei quel semplice richiamo gli morì in gola: le studiò le gambe da cerbiatta, risalendo poi alla maglietta sformata che le occultava le forme e fermandosi sul suo volto sereno. La sua protetta era bella, anche con quell’espressione ipnotizzata con cui fissava le frittelle fumanti. Le passò i piatti e nel vederla studiare le pietanze trattenne una risata. Si aspettava forse che fossero avvelenate? Per tranquillizzarla dette il primo morso e quando le assaggiò anche lei il sospetto sul volto d’Ilaria fu sostituito da un assaporare convulso. Dopotutto, non era un cuoco così arrugginito.

§§§

Iris aprì gli occhi, mugugnò qualcosa con la voce ancora impastata dal sonno e, scese dal letto con mosse ancora incerte. Sin dalla prima famiglia affidataria aveva preso l’abitudine di lasciare aperte le imposte delle finestre, così da svegliarsi con le prime luci e non essere mai colta di sorpresa, e per quanto fosse ormai un’abitudine consolidata non ne aveva mai parlato con nessuno. Neanche gli strizzacervelli ne sapevano niente, aveva troppa paura di essere vista ancor più paranoica e problematica. “Ok, adesso è meglio darci una sistemata,” Raggiunse il bagno con passo strascicato, dette uno sguardo alla propria immagine riflessa e si sciacquò la faccia con foga. Lavati i denti s’incamminò verso la cucina e qui trovò la signora Anderson che cantava, aggirandosi tra fornelli e sportelli con la grazia di una danzatrice. Suo malgrado, Iris si scoprì ad ammirarla e una familiare morsa la colpì allo stomaco: non ricordava bene i suoi veri genitori, ma fin dal primo incontro con gli Anderson la signora le aveva trasmesso quell’affetto incondizionato e quel calore che doveva dare una mamma.

“Iris, piccola, vieni avanti.” Il suo canto l’aveva fatta imbambolare sulla soglia e lei le aveva rivolto subito uno sguardo carico di dolcezza. “Se la canzone ti piace te la posso insegnare, hai molta fame?” Aprì il frigo senza aspettare risposta e prese un cartone di latte con delle ciambelle. Iris strascicò i piedi, sedendosi rigida e mantenendo lo sguardo basso, tuttavia nei momenti in cui la Anderson le dava le spalle tornava a fissarla con sentimenti che lei stessa faticava ad accettare o tantomeno riconoscere. Voleva fidarsi di lei. “Grazie signora Anderson.” L’aveva ringraziata con un filo di voce, eppure la donna era riuscita a sentirla: si bloccò e le arrivò davanti con uno scatto, Iris non sapeva cosa aspettarsi e lei si chinò appoggiando la fronte sulla sua, per poi farle l’occhiolino. “Capisco che può essere difficile chiamarmi mamma, però non devi aver paura.” Le accarezzò una guancia e scostandosi di un passo le lasciò un bacio sulla fronte. “Non hai niente da temere da me o da Paul, so che un mese con qualcuno è poco eppure io ti voglio bene. Qualunque cosa accada, io sarò sempre dalla tua parte.” Tornò a trafficare con i fornelli e dopo qualche minuto mise davanti a Iris una tazza di latte fumante. La ragazza teneva entrambi i pugni serrati contro il tavolo: la signora Anderson era una donna buona e questo lei lo sapeva già, comunque le era impossibile parlarle delle proprie paure e in realtà faticava a immaginare se ne avrebbe mai avuto il coraggio. “Spero che turante questa estate tu riesca ad abituarti a noi, per la scuola non devi preoccuparti: Paul ed io pensiamo sia giusto parlare con te per scegliere l’istituto che frequenterai.” Nelle pause tra le frasi fischiettava, come se la sua testa continuasse a sentire un sottofondo di musica classica. Iris si sforzava di fare finta di niente, nascondendo il volto con la tazza, ma dopo qualche minuto si alzò in piedi e la abbracciò alle spalle. Quando la mano della Anderson sfiorò le sue si staccò, subito, e uscendo le urlò che andava a correre: scoppiare in lacrime davanti a quella donna era l’ultima cosa che  desiderava.

§§§

Il Megastore aveva un’insegna color arcobaleno, al centro della quale spiccava una famiglia che faceva una grigliata in giardino, era tanto grande da essere visibile a distanza di chilometri e più di una volta Eric si era chiesto se il cattivo gusto dei commercianti negli ultimi decenni non avesse ricevuto una spinta eccessiva. Comunque decise anche questa volta di non esprimere a Ilaria la propria perplessità: era già più che scocciata per dover buttar via un pomeriggio a scegliere una nuova lavatrice, non era il caso di aizzarla ulteriormente. Lui non lo aveva fatto certo a posta, ma da quando la lavatrice era saltata per aria la ragazza era diventata un vero e proprio fascio di nervi. Aveva persino iniziato a lasciargli post-it lungo tutta la casa. Un modo come un altro per chiarire che lo stanzino del bucato per lui era diventato off-limits.

“Allora…” Lei alzò la mano aperta, fermandolo e lo fulminò con lo sguardo. “Ho detto che scelgo io.” Erano entrati da una buona mezz’ora, gli addetti al negozio lanciavano loro occhiate sempre più curiose, ma Ilaria sembrava perfettamente a suo agio: passeggiò lungo i corridoi della zona elettrodomestici per un altro quarto d’ora e alla fine si decise a scegliere uno dei modelli col maggior periodo di garanzia. Doveva interpretarlo come un attestato di sfiducia ? Quando lasciarono il negozio Eric sentì il commento di un commesso, su come lui e Ilaria fossero una coppia ben assortita e ne fu allo stesso tempo sia irritato che compiaciuto. Se lo avesse visto uno qualunque degli angeli che conosceva da secoli si sarebbe piegato in due dal ridere. Lui che era noto per essere il distacco personificato, cosa stava diventando ?

Appena confermata l’ordinazione Ilaria si sentì più calma. Comunque, il fatto che Eric non si rendesse conto di aver decimato il suo guardaroba ancora la irritava notevolmente. Gli uomini erano tutti uguali, che avessero le piume o meno. “Andiamo ? Abbiamo altre cose da …” Aveva avuto un tono più duro di quanto fosse sua intenzione e una volta tornati in macchina si accorse che Eric la stava guardando come se fosse uno spettacolo curioso. “Che c’è?” Le sue labbra disegnarono uno dei suoi tanti sorrisi ironici, però invece di risponderle chiuse la portiera e le cinse le spalle con un abbraccio. “Va bene, sotterra l’ascia di guerra e andiamo a mangiare qualcosa. Per oggi salteremo l’allenamento, ma non te ne approfittare !” Aveva un’aria divertita e soltanto quando le scompigliò i capelli Ilaria comprese che stava scherzando. “Non spettinarmi, per le donne la loro cura può essere un incubo.” Si guardò intorno e lo seguì passeggiando in silenzio, tuttavia resistette soltanto per un paio di marciapiedi: “Non dovremmo stare all’erta?” potrebbero trovarci e allora.” La sua debole protesta fu bloccata sul nascere dall’indice con cui Eric le sfiorò le labbra e inaspettatamente le trasmise una piccola scarica elettrica, tanto che dovette guardare altrove per non fargli capire di essere arrossita come una ragazzina. “Non dobbiamo abbassare la guardia, è vero, ma per poterci difendere dovremo essere anche abbastanza riposati. Ultimamente sei stata così tesa per quel marchingegno che hai dormito male e potresti avere reazioni più lente.” Alzò gli occhi al cielo e per quale istante a Ilaria sembrò che la sua espressione assomigliasse a quella di un bambino. “Un pomeriggio di relax on può farti che bene, da quando ti ho trascinato qui non abbiamo praticamente visitato la città e abbiamo sempre lavorato: non credi che potrebbe essere una buona occasione?” Lei annuì incerta, pensando che in fondo anche il suo pennuto potesse essere stanco. Avrebbe potuto cogliere l’occasione per guardare le vetrine dei negozi, con un po’ di fortuna avrebbe potuto iniziare a ricreare il suo scomparso guardaroba.

§§§

Per quei momenti la sua uniforme d’ordinanza era sempre costituita da un paio di pantaloni di una tuta da ginnastica, delle Nike scure e una maglietta abbastanza grande da permetterle di farci un noto all’altezza della vita. Lasciava il ventre parzialmente scoperto e ogni volta la parte più timida di lei aveva un moto di protesta, ma quando correva per lei non c’era niente di più importante che sentire il vento sulla propria pelle. Iris Inspirò una, due, tre volte e si preparò a cominciare. Sapeva che correre senza riscaldamento non era una buona idea, infatti di solito si fermava appena fuori casa e faceva stretching per una decina di minuti, adesso però l’idea non le passava neanche per l’anticamera del cervello. Aveva soltanto bisogno di sentire il vento ed estraniarsi da tutto il resto: cominciò piano, lungo il solito percorso attraverso vialetti identici a quelli rappresentati nelle serie televisive e man mano che aumentava la velocità le immagini intorno a lei diventavano sempre più nebulose. Era sempre così: ogni volta la sua visuale si concentrava soltanto sulla linea retta del percorso e sul controllo della respirazione. Svoltò l’angolo scansando una cassetta della posta e l’espressione tesa che aveva in faccia finalmente si distese: correre le trasmetteva ogni volta una meravigliosa sensazione di libertà. Gli Anderson erano buoni, pensavano addirittura di pianificare il suo futuro e per quanto la cosa le desse i brividi, la parte più intima di lei gongolava. La sensazione di potersi affidare a un adulto era bella e stranamente rassicurante. In ogni caso, la scuola restava comunque un argomento maledettamente spinoso e tutto soltanto perché si era picchiata con un gruppo di ragazzetti che allungavano troppo le mani. Il preside non aveva saputo che altro fare se non espellerla, non gli capitava tutti i giorni di trovare quattro ragazzi a terra e in mezzo a loro una ragazza con i vestiti strappati. Quella volta i suoi genitori affidatari avevano preferito lavarsene le mani e dopo che il provveditorato aveva insabbiato la storia lei si era ritrovata nuovamente tra le grinfie dei servizi sociali. Era così stanca di sentirsi sola e indifesa contro il mondo. Asciugò una lacrima con la manica, spaventata dai suoi stessi pensieri e aumentò il ritmo, forse sperando di poter davvero fuggire dalle proprie paure.

   
 
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