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Autore: Nina Ninetta    13/01/2013    5 recensioni
Ogni anno Victoria prende parte al pranzo del Ringraziamento, dove incontra i suoi famigliari e si sente sempre più fuori luogo a causa del divorzio da Miguel e per non aver esaudito il desiderio dei suoi genitori di diventare nonni. Questa volta però rincontrerà i suoi vecchi vicini di casa e - in particolare - Arthur: un ragazzo innamorato di lei da quando era bambino...
N.B. Il titolo è chiaramente tratto da una canzone di G.Nannini "Amami Ancora".
III posto nel contest "Magiche Feste" indetto da Dollarbaby e valutato da E.Comper sul forum di EFP
III posto nel contest "As strong as a woman" indetto da Sbasby EFP sul forum di Efp.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda parte

 
Consultò l'orologio inchiodato alla parete alle sue spalle. Un quarto alle tre del pomeriggio.
Fuori la pioggia continuava a venir giù come se non piovesse da mesi, nonostante il riscaldamento un brivido di freddo la percorse tutta.
Proprio un bel Giorno del Ringraziamento di merda!
Victoria ingollò il terzo bicchierino di whisky e strizzò le palpebre in una smorfia, mentre l'alcol le bruciava lungo la gola, fin giù nello stomaco.
C'era solo un'altra festa che detestava quasi quanto il Ringraziamento, ed era ovviamente il Natale. Un tempo aveva avuto tutto ciò che una donna può desiderare dalla vita: un marito invidiabile, un lavoro di rilievo, una casa lussuosa. Poi un giorno si era risvegliata come da un sogno a occhi aperti, tutto ciò che l'aveva circondata fino a quel momento aveva smesso di esistere, il suo mondo perfetto le era crollato addosso sgretolandosi, simile ad un castello di sabbia inghiottito da uno tsunami.
Attraverso la finestrella sul lavabo, sul quale era china con i capelli che le ricadevano oltre il seno, vide il SUV parcheggiato in giardino. Iniziava a detestare anche quello. In un moto di rabbia si disse che non lo voleva più, che l'avrebbe dato via l'indomani stesso. Magari avrebbe comprato una Ferrari o una Porche, chi glielo impediva?
Afferrò il pacchetto di Wiston e ne tirò fuori una sigaretta a mo' di sciabola. Se la lasciò rigirare fra le dita mentre meditava sulla prossima auto che avrebbe potuto acquistare (una Jaguar magari?), distrattamente se la portò alle labbra e fece per accenderla, ma l'accendino pareva deciso a tradirla.
«Fottuto accendino!» esclamò gettandolo sul pavimento, quindi si passò una mano sul viso e poi fra i capelli, chiudendo gli occhi per un attimo. Li riaprì di scatto, quasi sobbalzando, quando si accorse che qualcuno si era chinato ai suoi piedi per raccogliere l'oggetto che lei aveva lanciato.
Arthur si rialzò, sovrastandola di qualche centimetro appena, nonostante fosse molto alta. Con un gesto repentino accese fiamma come per magia, illuminando i volti di entrambi. Attraverso il fuoco il volto di Arthur le sembrò ancora più affascinante e misterioso. Possibile che fosse davvero quel bambino che giocava per ore e ore nel cortile di casa con un pallone da calcio?
Era diventato un ragazzo grande. Anzi no, era diventato un uomo.
Per diversi secondi nessuno dei due parlò. I loro occhi di studiarono mediante la fiamma proprio come avevano fatto dal momento in cui si erano incrociati all'ingresso di casa Gonzales. Fu guardando il viso di Victoria, sul quale danzavano vivide fiamme, che Arthur decise: avrebbe esaudito il suo desiderio di bambino innamorato che ancora albergava in lui.
Victoria si accese la sigaretta e ringraziò, adagiandosi con il busto ai mobili della cucina, inspirando del fumo. In quel momento si maledisse per aver bevuto troppi bicchieri di whisky, non era astemia, ma sentiva le palpebre pesanti e la mente iniziare ad offuscarsi, come sepolta sotto una densa nebbiolina.
Oppure erano i pensieri leggermente scabrosi che continuava a fare su di lui, ora più che mai avendolo a qualche centimetro di distanza, ad ottenebrarle la mente?
«Mi spiace che tu e la tua famiglia abbiate dovuto assistere alla scena patetica di pocanzi» gli disse sperando di spezzare quell'atmosfera imbarazzante che si era instaurata fra loro due. Quando l'ex detective Gonzales si era accorto che Victoria era l'unica persona a non essersi congratulata e a non aver brindato per la splendida notizia che Alonso aveva appena rivelato, non aveva esitato a farlo notare. Non solo a sua figlia, ma anche al resto dei commensali. Ne era scaturita una vivida diatriba, degenerata con l'assurda spiegazione di Victoria al suo comportamento.
«Mi congratulerò con i futuri genitori solo quando nascerà il bambino.»
Se a suo padre quelle parole avevano dato fastidio era stato bravo a nasconderlo, poiché aveva risposto con la solita frase di rito che sempre sigillava gli incontri in famiglia.
«E poi ti chiedi perché Miguel ti abbia lasciata!»
La moglie l'aveva fulminato con un'occhiata, mentre la sua primogenita era scattata in piedi, rovesciando la sedia sul pavimento e battendo i palmi sul tavolo. Dai bicchieri pieni era zampillato del vino.
«Quello stronzo non mi ha lasciata papà, mi ha tradita!» Victoria era uscita dalla stanza di gran carriera, ignorando le suppliche di sua madre, gli inviti a calmarsi di Alonso, gli sguardi di scherno di Angela e - soprattutto - l'ordine di suo padre di restare esattamente dove si trovava, altrimenti...
Victoria non era riuscita a sentire le ultime parole, ma non le era difficile immaginare cosa avesse potuto dire. Si era così rifugiata in cucina, talmente arrabbiata da non riuscire neppure a piangere, sebbene avesse i nervi a fior di pelle. O probabilmente perché aveva esaurito tutte le lacrime a disposizione dopo quella maledetta mattina di marzo di due anni prima.
Arthur sorrise, sembrava divertito, e Victoria si chiese se avesse mai incontrato qualcuno con un sorriso bello e sincero come quello lì.
«È stato uno spasso invece, mi stavo proprio annoiando» questa volta fu lei a sorridere.
«Allora, quanti anni hai adesso? Ventidue? Ventitre?» il tono di Victoria era quasi irrisorio, come se avesse voluto farsi beffe di lui: un ragazzino che si sforzava di comportarsi da uomo.
«Che importanza ha?» Arthur avanzò di un passo e gli parve che lei si schiacciasse ancor di più contro il lavabo della cucina. In effetti ci aveva visto bene. La fantasia di Victoria pareva non voler arrestare la sua corsa, perciò si prese del tempo inspirando dalla sigaretta, inconsapevole che le sue labbra rosse chiuse su quel filtro color ocra trasmettevano al ragazzo una scarica di pura adrenalina lungo la schiena.
«Io ho trentanove anni» gli annunciò subitaneo e rimase in attesa di una risposta che non giunse mai, la sua età sembrava non turbarlo affatto «Trentanove anni buttati nel cesso!» sbottò d'improvviso senza rifletterci su, senza che lei potesse fermarle quelle parole erano saltate fuori d'impeto «Non ho un figlio, non ho un marito, non ho un lavoro!» si riempì un altro bicchierino di whisky e lo bevve tutto d'un fiato con la mano che stringeva la sigaretta, quindi si pulì le labbra con il dorso. Bruciava. Le delusioni bruciavano. Le soddisfazioni degli altri bruciavano.
Arthur in tutta risposta alzò un sopracciglio, quasi aspettandosi una spiegazione. Victoria abbassò le palpebre massaggiandosi le tempie con entrambi gli indici.
«Non so per quale motivo ti abbia detto queste cose. Scusami, è stato solo uno sfogo personale» ingerì l'ultimo tiro dalla cicca, quindi si voltò e fece scorrere l'acqua dal rubinetto, ove vi lasciò morire il mozzicone inzuppato. Afferrò con le mani il lavabo e strinse fino a farsi diventare le nocche esangui.
Arthur la scrutò impassibile, studiando il suo corpo di schiena: le spalle strette e la linea sottile della vita, il bacino sinuoso, l'ombra velata dei glutei. Il desiderio di lei spingeva e spingeva per emergere dalle tenebre degli anni, dai tempi in cui era solo un piccolo sogno quello di poter stringere fra le braccia quella ragazza che abitava nella casa accanto alla propria. Una fantasia che era stata ingenua, direttamente proporzionale all'età certo, ma che adesso era cresciuta e maturata con lui, fino ad evolversi in una voglia vera e propria che gli aveva popolato la mente dall'attimo in cui i suoi occhi l'avevano guardata.
«Sono patetica, lo so.»
Lui si mosse e adagiò i palmi delle mani sui suoi dorsi. La sentì irrigidirsi, tuttavia le mani dicevano il contrario, rilassandosi e diminuendo la pressione sul mobile. Intrecciò le dita alle sue e incrociò le loro braccia sul seno di Victoria, circondando in un abbraccio il suo corpo da troppi mesi privo di amore, privo di affetto, privo del calore di un uomo. La voce era un fruscio tiepido che le fece accapponare la pelle, più di quanto avesse fatto il tocco delle mani, grandi ma delicate.
«Non sei patetica. Sei bellissima» e prima che lei potesse replicare, prese a baciarle il collo scendendo fino alla spalla nuda.
Victoria socchiuse gli occhi.
Era sbagliato. Era tutto sbagliato. Lui era solo un ragazzino e lei una donna matura, con un passato tutt'altro che facile. Come poteva accettare di farsi consolare da Arthur, una persona che l'ultima volta che aveva visto aveva le ginocchia sbucciate e giocava ancora con le macchinine?
E se qualcuno li avesse beccati?
Ma quella nebbia diventava sempre più fitta nella sua mente e ogni pensiero razionale parve abbandonarla quando intuì che le labbra del ragazzo cercavano le proprie. Le bastò voltarsi appena un po' per permettere che quella lingua pretenziosa incontrasse la propria.
 
Arthur era il primo uomo che baciava dopo aver divorziato da suo marito. Anzi, non ricordava nemmeno più l'ultima volta che Miguel l'aveva baciata in quel modo. Un bacio vero, di quelli passionali che sembrano voler risucchiare via l'anima dal corpo, sospinti da un vortice di sensazioni forti e inarrestabili.
«No! È sbagliato!» esclamò poi Victoria, allora lo scostò da sé e si allontanò di qualche passo, ma Arthur le fu di nuovo accanto, per nulla intimidito o scoraggiato, aveva la voce bassa e tranquilla.
«Perché è sbagliato?» le bocche si sfioravano di nuovo e la voglia di assaporarsi ancora era pericolosamente tangibile.
«Perché io sono molto più grande di te e-»
«E poi?» Arthur le passò un braccio dietro la schiena e, in una sorta di valzer impacciato, la guidò verso la parete vuota.
«E poi potrebbero vederci» le labbra così vicine da toccarsi, i respiri mischiati, la sua mano salda sui reni.
«E poi?» quella voce calda e sfrontata da ragazzo poco più che ventenne pronto a far fronte ad ogni sfida che la vita gli avrebbe messo davanti, senza paure, con coraggio.
«E poi…» toccò il muro con le spalle, lo guardò e notò che stava sorridendo compiaciuto.
Era così bella che avrebbe potuto prenderla anche lì, rischiando di farsi cogliere sul fatto da tutti gli altri invitati. Victoria era a pochi millimetri di distanza e sapeva benissimo che un'occasione come quella non gli sarebbe capitata mai più.
Calò la bocca sulla sua, prendendo a divorarla e a gustare il suo sapore di donna. Sentì le mani carezzargli la nuca, allora le fece scivolare le dita lungo la curva dei seni e l'incavo della vita, poi giù sui fianchi e le cosce. E questa volta non lo fermò. Era chiaro che gli argini di razionalità avevano ceduto.
«Non qui» biascicò Victoria con il fiato corto per l'eccitazione «A casa mia. Dista solo qualche chilometro» riprese fiato e notò che i suoi occhi così dannatamente vicini erano scuri e profondi. E gentili.
«I tuoi non saranno contenti di sapere che hai marinato il Giorno del Ringraziamento»
«Non sarebbero comunque contenti di me» Victoria lo allontanò con garbo «Prendiamo la mia macchina» disse mentre si dava una sistemata all'abito e ai capelli scompigliati.
 
Più volte fu tentata di ascoltare quella vocina in fondo alla mente che le diceva di invertire la rotta di marcia e tornare all'abitazione dei suoi genitori. Di smetterla di comportarsi come una ragazzina invaghita di un bel ragazzo a cui non riesce a dire di no. Di non lasciarsi sopraffare da quelle sensazioni piacevoli ed eccitanti che l'avevano sconvolta poco fa, con la sua lingua infilata dentro la propria bocca e le mani che correvano dappertutto.
Più volte fu sul punto di arrestare la macchina e dirgli che non poteva farlo, non era giusto. Era sbagliato. Immorale. Ma lui era lì e le sorrideva e le raccontava cose assurde che gli erano accadute quella sera al tavolo con Mauricio e Alexis e - alla fine - avevano riso insieme. Addirittura era riuscito a farla sorridere del fatto che fra qualche mese quell'arpia di sua cognata avrebbe avuto un bambino.
«Ma te lo immagini povero bimbo con una mamma così? Per fortuna avrà una zia su cui fare affidamento» già, un'eventualità alla quale Victoria non aveva pensato.
Il SUV BMW si fermò lungo un viale inalberato, le strade erano deserte e coperte da vecchie foglie ingiallite. La pioggia aveva smesso di venir giù, ma si stava alzando un leggero vento gelido e in ogni caso le nubi non sembravano intenzionate ad allontanarsi più del dovuto. Arthur la seguì lungo gli scalini d'ingresso, guardandosi attorno con curiosità. Nonostante fosse andato via da quella città da diversi anni e questa fosse cambiata radicalmente, non gli fu difficile riconoscere il quartiere della gente per bene, quella coi soldi che manda i figli in college prestigiosi e abiti firmati. Attese sull'uscio della porta che Victoria illuminasse l'entrata della casa prima di entrarvi. Un fischio d'apprezzamento gli uscì spontaneo e lei non riuscì a trattenere un risolino.
«Lo so, è una bella casa.»
Victoria aveva comprato quell'appartamento in contanti dopo aver venduto la villa sul mare. Alonso e suo padre avevano provato a dissuaderla in tutti i modi, ma sebbene lei sapesse che svendere una casa di oltre 220 mq per comprarsi un appartamento piccolo più della metà fosse da pazzi, aveva deciso che non vi sarebbe rimasta un minuto di più in quelle quattro mura dove suo marito l'aveva tradita. E poi adorava quell'appartamento, sembrava fatto su misura per lei, così come il viale alberato le donava un senso di appagamento, soprattutto quando dopo la bella stagione gli alberi iniziavano a spogliarsi delle foglie che, cadendo sulla strada, formavano un tappeto scricchiolante.
Arthur sorrise a sua volta chiudendosi la porta d'ingresso alle spalle.
«Alla faccia della modestia» disse con ironia e la osservò mentre gli dava le spalle per liberarsi della giacca (che gettò sul divano ad L), quindi si avvicinò ai fornelli e prese ad armeggiare con la macchina per il caffè che si avviò borbottando.
«Ti va un caffè?» gli chiese e senza attendere una risposta preparò due tazze, intanto che lui sbirciava la biblioteca ricolma di libri di medicina e in particolare la collezione di dischi anni '50. Victoria si accostò, porgendogli la tazza fumante.
«Non farci caso, sono una patita di musica vintage. Zucchero?»
«No, va bene così» Arthur scostò le tende per guardare il panorama fuori. Aveva ripreso a piovere, alcune foglie smorte e fradice si erano posate sul davanzale del balcone. Bevve un sorso di caffè muovendosi nell'ambiente con circospezione; Victoria lo seguiva con lo sguardo, in silenzio.
Nell'angolo in alto a sinistra alcune braci proseguivano a fumare nel camino fatto di mattoni, qui alcune foto ritraevano una Victoria più giovane in camice bianco e capelli legati sul capo, mentre riceveva alcuni premi. Il ragazzo le studiò a fondo, abbozzando un sorrisetto quando riconobbe tra questi personaggi illustri Barack Obama, il Presidente degli Stati Uniti d'America.
«Sai cosa mi ricordi?» le chiese d'un tratto e lei fu presa così alla sprovvista da non riuscire neanche a rispondere «Un albero» Arthur adagiò la tazza sul camino - tra una foto e l'altra - e fece lo stesso con quella di Victoria che continuava a fissarlo inebetita.
Le si accostò sfiorandole i capelli che ricadevano morbidi sul viso, lei provò a dire qualcosa - qualsiasi cosa - ma lui non glielo permise, posando le labbra sulle sue. Un tocco delicato, lieve, appena percettibile, ma che accese un desiderio apparentemente assopito, di nuovo quella fitta nebbiolina le offuscò la ragione. Questa volta fu lei a spingersi oltre, a chiedere di più, e Arthur non si lasciò attendere troppo. Si accarezzarono e si cercarono bramosi e impazienti, come se quel momento fosse stato rimandato per troppo tempo. E in un certo senso era vero, sebbene per ragioni diverse. Finalmente lui aveva realizzato il sogno di averla per sé, finalmente anche lui poteva abbracciarla proprio come faceva quel bell'imbusto anni fa, quando era solo un ragazzino invaghito della bella ventenne che gli abitava accanto.
Per Victoria era diverso. Arthur era il primo uomo che aveva avuto dopo Miguel - non che ne avesse avuti così tanti prima di sposarsi a essere sinceri. E mentre lui si muoveva sopra e dentro di lei, in una maniera così amabile e perciò inaspettata, si ritrovò a desiderare di avere venti anni in meno, per amarlo e lasciarsi amare senza vergogna, né paure, né incertezze.
Se avessero potuto avere una vita insieme? Chissà. Forse.
 
Adesso il fuoco alle sue spalle scoppiettava allegro, a ritmo con il suo spirito rinvigorito. Era seduta su di una vecchia coperta lisa, con la schiena contro il camino e le gambe distese. Arthur aveva adagiato il capo sul suo ventre e teneva le palpebre abbassate mentre lei gli accarezzava i capelli radi. I loro corpi ancora nudi erano nascosti da un morbido plaid a quadri verdi e blu. Victoria si accese una sigaretta, quindi riprese a carezzargli la testa. Aveva sempre adorato fumare dopo aver fatto l'amore, ma Miguel s'indispettiva e a poco a poco aveva smesso di farlo.
L'autunno improvvisamente le pareva essere la stagione più romantica delle quattro.
«Prima hai detto che somiglio ad un albero» disse godendosi un altro tiro dalla Wiston.
La bocca di Arthur s'increspò all'insù, senza tuttavia aprire gli occhi rispose che si, le ricordava uno di quegli alberi che in autunno perdono le foglie e sembrano morti.
«Invece sono solo in attesa della primavera per rinascere e ogni volta tutti si meravigliano e si chiedono come abbia fatto a sopravvivere alle intemperie e al gelo» sollevò le palpebre accorgendosi che lo stava fissando come se le avesse rivelato un segreto capitale «Tu sei un albero che quando rifiorirà lascerà tutti di stucco!»
Victoria si chinò a baciarlo sorridendogli felice. Era il primo sorriso vero e sincero che gli rivolgeva, tutti quegli abbozzi e sorrisetti sarcastici erano spariti ed era ancora più bella.
«Allora, me lo vuoi dire quanti anni hai?»
«Questa sera una parte di me ne aveva dieci» lei non comprese appieno quelle parole e onestamente poco le importava. Perché rovinare il momento?
La suoneria del suo cellulare prese a trillare come un'ossessa. Victoria si alzò e spiò il nome sul display lampeggiante: Alonso.
«Non rispondi?» le chiese Arthur
«No» Victoria aprì il frigo e sbirciò al suo interno «Ti va della pizza?»
«Altroché!» rise il ragazzo sfiorandosi l'addome che da un po' si contraeva dalla fame.
Victoria lasciò la pizza a riscaldare nel microonde, mentre indossava velocemente il tubino nero. Arthur s'infilò i jeans e la raggiunse al tavolo. Qui un piccolo block notes attirò la sua attenzione, benché i fogli fossero ancora tutti immacolati.
«In California ci sono ospedali e cliniche che farebbero a gara per accaparrarsi un cardiochirurgo» Victoria lo guardò aggrottando la fronte, non capiva, lo vide solo scarabocchiare qualcosa su un foglio con la penna dall'inchiostro blu che teneva sempre a portata di mano. In tutta la sua vita aveva sempre scritto con l'inchiostro blu, perché il nero proprio non le piaceva, le ricordava i numerosi taccuini di suo padre pieni di parole scure e incomprensibili per lei. Arthur le porse il foglietto con sopra un numero di telefono e un indirizzo.
«Se mai decidessi di fare un salto sulla West Coast» le fece l'occhiolino e Victoria sorrise, accomodandosi al suo fianco e adagiando sul tavolo la pizza riscaldata e una birra da discount.
«Felice Giorno del Ringraziamento.»
«Felice Giorno del Ringraziamento, Arthur.»
Victoria addentò la sua parte di pizza tenuta con le mani. Se l'avessero vista i suoi genitori mangiare quello schifo nel giorno più importante dell'anno per gli americani sarebbe venuto loro un infarto. E questo lo rendeva ancora più speciale.
Lesse l'indirizzo sul foglio. La California. Guardò di sottecchi Arthur alla sua destra. La pelle naturalmente ambrata, gli occhi color cioccolato, il taglio militare, i tatuaggi tribali che correvano sulle braccia, il sorriso sornione di chi la sa lunga. Di chi sa che la giornata non è ancora finita, che la vita è lunga e imprevedibile, ma non per forza in senso negativo. Victoria ricambiò quel sorrisetto insolente, mentre la voglia di lui rifioriva nel basso ventre, finalmente libera dalla vergogna e da ogni inibizione morale.
Tutto sommato, non era stato un così brutto Giorno del Ringraziamento.

Fine



 
  
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