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Autore: Daphne_Descends    13/01/2013    1 recensioni
Emma odia sorbirsi le lamentele senza fondamento della sua migliore amica. Così, quando Chiara ricomincia ad assillarla, si rimbocca le maniche e fa tutto il possibile per tranquillizzarla.
Anche se questo significa pedinare il suo nuovo ragazzo, sospettato di tradimento, e rendersi conto che quel Lele è davvero il ragazzo più eccitante su cui ha mai posato lo sguardo.
Ma Lele è di Chiara. O no?
"«Emma, che diavolo ci fai qua? Conciata così, poi!» esclamò Valentina, spostandosi per farle spazio.
«Sto facendo un favore a Chiara».
«Stai di nuovo seguendo qualcuno?» si stupì Maria, mentre le altre due sbuffavano.
«Dovresti smetterla» le consigliò Anna «Sarà anche la tua migliore amica, ma quello che stai facendo è un reato».
«Stalker» la insultò Valentina."

[Torre dei cliché: #39, Qui pro quo]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Questo capitolo è solo la versione della stessa storia raccontata dal punto di vista di Gabriele.
“Questione di punti di vista” è completa anche solo col primo capitolo, ma ci tenevo a scrivere anche il pov di Gabriele, per rendere più chiara la faccenda.
Spero vi piaccia anche questa versione e che non ci siano molti errori, dato che non l’ho ricontrollata benissimo.
Grazie a tutti quelli che l’hanno letta e inserita tra le preferite e le ricordate. E grazie anche a chi ha recensito e chi lo vorrà fare. Significa molto per me.
 
 
 
 
 
Gabriele aveva conosciuto Emanuele in prima media e avevano stretto amicizia giocando nella stessa squadra di calcio. Gabriele era sempre stato al centro del gruppo e non aveva mai avuto problemi a trovare qualcuno con cui uscire, ma con Emanuele era stato diverso e, prima che se ne fosse accorto, avevano legato più di quello che si era mai immaginato.
Emanuele era divertente e aveva spesso la testa fra le nuvole; avevano gli stessi gusti in fatto di videogiochi, squadre e caramelle; ad entrambi piaceva lo sport ed entrambi odiavano letteratura. Si assomigliavano talmente tanto e avevano un nome talmente simile che gli amici avevano cominciato a chiamarli “i due Lele”. Il nome era rimasto lo stesso anche al liceo, dove erano finiti in classe insieme, e si erano così abituati che spesso era solo uno di loro a girarsi quando sentivano chiamare “Lele”.
Per anni, niente era mai riuscito ad intaccare il loro rapporto, tanto che Gabriele era sicuro che sarebbe stato così per sempre. Era stupidamente sicuro che sarebbe stato così per sempre.
Perché all’orizzonte era comparsa Chiara e tutto era cambiato.
Non aveva mai visto di persona quella fantomatica Chiara e non ne sapeva molto, perché quando parlava di lei Lele si limitava a ripetere che era bellissima, adorabile, simpatica e tante altre qualità che facevano credere a Gabriele che quella Chiara non fosse umana.
La loro storia sembrava quella di uno stupido film per ragazzine: lei e lui che si scontrano per volere del destino e, zac, amore a prima vista. Emanuele doveva proprio essersi fritto il cervello per trovare adorabile una tizia che gli era caduta nel carrello e che l’aveva seguito per tutto il supermercato. E doveva essere ancora più imbecille per invitarla ad uscire senza nemmeno conoscerla. Dove si era mai vista una storia simile?
Gabriele non credeva affatto all’amore a prima vista o ai colpi di fulmine o a qualsiasi altra stupidata simile. Ma quello che sapeva era che Chiara gli aveva portato via il suo migliore amico, che aveva cominciato a passare ore al telefono, mandando messaggi idioti e dicendo fesserie con un’espressione da idiota. E quello non poteva sopportarlo.
Ma erano amici e per Lele avrebbe cercato di fare del suo meglio per accettare anche la sua ragazza, nonostante a pelle già non la sopportasse per niente. Perché Lele era innamorato cotto di Chiara e Gabriele sperò che lei non lo facesse soffrire, altrimenti se la sarebbe vista con lui e al diavolo la galanteria.
 
Quel martedì era iniziato come un giorno qualsiasi, ma Gabriele ancora non sapeva che avrebbe segnato la fine della sua normalità.
Erano usciti da scuola insieme a Simone e Andrea e si erano fermati vicino al cancello per aspettare Luca, che era rimasto indietro a provarci con Daniela della classe accanto. Dopo aver ricevuto l’ennesimo due di picche, li aveva raggiunti e si erano diretti verso il centro, scherzando come sempre. Fu in quel momento, tra un morso di pizza e un sorso di coca, che uscì fuori il discorso.
«Credo che Chiara mi voglia lasciare» aveva detto Lele, lasciando perdere il suo pranzo per un istante.
Simone inarcò un sopracciglio scuro e si sistemò gli occhiali con la mano libera, mentre Luca scoppiò a ridere con il solito poco tatto.
«Cosa te lo fa pensare?» chiese Andrea curioso.
«E’ da qualche giorno che mi evita».
«Forse si sarà accorta che spendere dieci euro al giorno in messaggi non fa bene al suo portafogli?» chiese ironico Gabriele, aprendo la sua lattina.
Emanuele scrollò la testa «No, abbiamo attivato un’offerta e paghiamo solo nove euro al mese».
Gabriele alzò gli occhi al cielo e decise di non rispondere.
«Forse ti nasconde qualcosa» esclamò Luca, masticando un boccone di pizza e quasi ingozzandosi quando Gabriele gli tirò un sonoro scappellotto, del tutto guadagnato.
Emanuele spalancò gli occhi in preda al panico e Simone sospirò.
«Bravo idiota» sibilò Gabriele a Luca, che ancora non aveva capito cosa aveva detto di male.
«Cosa dovrebbe nasconderti, dai!» disse Andrea, cercando di tranquillizzare l’amico.
«Magari lo tradisce» aggiunse di nuovo Luca, con un’espressione da beato innocente che gli fece guadagnare un altro schiaffo.
«Magari dovresti comprarti un filtro tra bocca e cervello» lo insultò poco velatamente Simone «O magari un cervello vero e proprio».
Ma Emanuele, che si era fermato alle prime battute troppo disperato per continuare ad ascoltare, afferrò Gabriele per un braccio e iniziò a strattonarlo con forza verso di sé.
«Devi aiutarmi!» esclamò disperato «Chiara non può tradirmi!»
Gabriele diede uno scossone, cercando di liberarsi e gli sibilò «Perché mai dovrebbe tradirti? E quando potrebbe farlo, visto che passate quasi tutta la giornata al telefono?»
Ma Emanuele non lo mollò e continuò a lamentarsi come una ragazzina, così che Gabriele raggiunse rapidamente il limite della sua pazienza.
«Cosa vuoi che faccia, sentiamo?» sbottò alla fine, riuscendo a farsi mollare dall’amico.
«Seguila!» esclamò Lele, con un’espressione da spiritato che incuteva decisamente terrore.
Ma Gabriele era ormai abituato ai momenti di panico di Lele e lo ignorò, decidendo invece di spalancare la bocca oltraggiato «Seguila? Ma sei deficiente?! Io non seguo proprio nessuno!»
«Per favore!»
«Fallo tu!»
«Mi riconoscerebbe subito! Invece voi non vi siete mai visti!»
«Scordatelo!»
Gabriele non aveva mai pedinato nessuno e non aveva certo intenzione di cominciare con quella Chiara che sopportava poco. Ma Emanuele tanto fece e tanto insistette che dovette arrendersi, mentre gli amici se la ridevano divertiti. Tanto non sarebbero stati loro quelli impegnati a seguire una cretina chissà fino a dove e per quanto tempo, il giorno dopo.
Gabriele fece una smorfia e appallottolò la carta della pizza, facendo vagare lo sguardo su tutta la piazza in cerca del cestino più vicino. Ce n’era uno sotto i portici a sinistra del duomo, così si alzò e andò a buttare tutti i rifiuti che gli amici gli avevano quasi lanciato, approfittando del fatto che fosse in piedi.
Pedinare Chiara. Che idea idiota. Come faceva a pedinare qualcuno senza farsi vedere? Non era certo un film e lui non era certo James Bond, superspia in missione. Forse sarebbe bastato vestirsi con colori scuri e mimetizzarsi tra la folla. Di certo non mettersi un cappello vistoso, come quello arancione con il pompon di una ragazza qualche metro più in là. Con quello nemmeno James Bond sarebbe riuscito a spiare qualcuno.
Tornò dagli amici, che finalmente si decisero ad alzare le chiappe dai gradini della chiesa e si avviarono verso il negozio di elettronica, dove Simone doveva fare acquisti.
Gabriele non capiva perché l’amico si fosse impuntato a comprare il nuovo portatile in quel negozio, invece che in un qualsiasi supermercato, ma Simone aveva liquidato le loro domande con un discorso palloso sui piccoli negozi, le grandi catene, il lavoro, i prezzi e altre cose che nessuno di loro aveva seguito. Però fu divertente spulciare tra gli scaffali e assistere alla discussione tecnologica tra Simone e il proprietario, che gli valse persino uno sconto simpatia.
Quando uscirono stava facendo buio e l’aria iniziava a raffreddarsi, così decisero di andare al bar a bere qualcosa di caldo. Gabriele era l’ultimo, insieme a Simone, e guardandosi distrattamente attorno i suoi occhi si posarono su un cappello arancione, lo stesso che aveva visto in piazza. Aggrottò la fronte, essendo sospettoso di natura, ma decise di lasciare perdere perché era di sicuro una coincidenza e, a sentire parlare di pedinamenti da parte di Lele, si stava di sicuro condizionando. Infondo il centro era pieno di gente, soprattutto in quei giorni di dicembre, e le ragazze che facevano shopping erano più di quante uno poteva immaginarsi.
Così seguì il gruppo, ignorando volutamente Luca e Andrea che lanciavano occhiatine a tutti gli esseri di sesso femminile di età inferiore ai trent’anni che incrociavano.
Il bar sull’angolo era pieno come al solito, ma furono abbastanza fortunati perché, quando arrivarono, una compagnia se ne stava andando e riuscirono ad accaparrarsi il loro posto senza la minima fatica. Il locale era bello caldo e poterono togliersi giubbotti, sciarpe, cappelli e guanti con un sospiro di sollievo, prima di dare le ordinazioni alla cameriera carina e sorridente e rilassarsi in attesa delle loro bevande. Luca cominciò il suo giro di imitazioni, per cui era particolarmente dotato, e quando arrivò il turno di quella di latino fu talmente bravo che nessuno di loro riuscì a trattenere le risate. Se fosse stato così portato anche per le relazioni sociali, forse avrebbe reso la vita più facile a più di una persona.
Gabriele osservò Lele con la coda dell’occhio e lo trovò a scrivere un messaggio con un sorriso ebete sulla faccia. Per fortuna che Chiara lo evitava. Perché doveva seguirla se tutto sembrava essere normale?
Passarono il resto del pomeriggio lì dentro, tra cioccolate, cappuccini, toast e brioche, fino a quando Simone decise che era ora per tutti di tornare a casa e studiare, cosa che provocò non poche lamentele, ma bastò ricordare loro che il giorno dopo si sarebbero trovati davanti la già nominata prof di latino per convincerli. Così si rivestirono, presero le loro cose ed uscirono, sicuramente meno allegri di quando erano entrati.
 
«Beh, vedete di fare i compiti, che non ho intenzione di farveli copiare» disse Simone per congedarsi, una volta raggiunto il primo incrocio.
Luca fece una smorfia «Che palle! Odio il latino, non lo capisco!»
«Che novità. Non capisci quasi niente» ribatté Simone con un sospiro esasperato.
«Ahah, aspetta che rido».
«Ci vediamo domani» li salutò Andrea, decidendo saggiamente di tirarsi dietro Luca, prima che potessero cominciare a discutere come dei bambini.
«Vado anch’io. Ciao, Lele» disse Simone con un cenno del capo, rivolgendosi ad entrambi, prima di avviarsi.
Gli altri due svoltarono a sinistra e Gabriele si infilò le mani nelle tasche del giubbotto.
«Credi che Chiara mi tradisca sul serio?» chiese ad un certo punto Emanuele.
Gabriele sospirò e gli lanciò un’occhiata veloce «Senti, io questa Chiara non la conosco, però da quello che mi hai raccontato non mi sembra il tipo. Magari è un periodo che ha problemi a scuola, o con i genitori, o con le amiche e allora ti sembra un po’ distante, ma scommetto che tu non c’entri niente».
Emanuele fece una smorfia «Ma non mi ha detto niente. Di solito se c’è qualcosa che la preoccupa me lo dice, ma invece sembra tutto normale. A parte che ci sentiamo meno».
Gabriele non rispose subito, perché tutta la situazione sembrava surreale. Si conoscevano da due settimane e già si raccontavano tutto? Sembravano una coppia di fidanzati. Gabriele proprio non capiva l’attrattiva di una relazione: le ragazze a lui piacevano perché erano morbide e avevano un buon profumo. Tutto qui. Cos’altro poteva mai esserci di così affascinante dal voler stare insieme a loro a tempo indeterminato?
«Sarà il periodo» si limitò a rispondere, accettando finalmente il fatto di pedinare Chiara sul serio. Se ci fosse stato qualcosa di strano in lei, come migliore amico aveva la responsabilità di informare Lele.
Si salutarono ad un incrocio e ognuno proseguì per la sua strada. La via dove abitava Gabriele era abbastanza trafficata e illuminata, ma nonostante questo si accorse che c’era qualcosa di strano.
A costo di sembrare un idiota, si sentiva osservato, come se ci fosse stato qualcuno che lo stesse seguendo. Ignorando tutti i ragionamenti razionali, si decise a fermarsi e girarsi di colpo, senza aspettarsi in realtà chissà cosa.
Invece, rimase stupito quando i suoi occhi si posarono sullo stesso cappello arancione con il pompon che aveva visto in centro.
Incrociò lo sguardo della ragazza che lo indossava e non poté non notare come i suoi occhi azzurri si spalancarono, quasi presi alla sprovvista, cosa che lo rese ancora più sospettoso.
«Mi stai seguendo?» le chiese incredulo.
«Scusa?» bisbigliò lei, affondando il naso ancora di più nella sciarpa.
Gabriele aggrottò la fronte sospettoso e strinse le labbra. Poteva essersi sbagliato? La sua parte razionale credeva proprio di no, considerando l’atteggiamento di quella ragazza «Mi stai seguendo?» si decise a ripetere più lentamente.
La ragazza inspirò con stizza e alzò appena la testa, lasciando che alcune ciocche di capelli castani le sfiorassero le guance rosse per il freddo.
«Avevo capito la prima volta» esclamò con una voce completamente diversa da prima, incrociando le braccia stizzita.
Gabriele ghignò, divertito dal suo atteggiamento, e la studiò con attenzione. Da quello che era riuscito a cogliere, sembrava proprio un bel tipo, così decise di punzecchiarla ancora un po’, perché poteva anche trattarsi di un malinteso, ma almeno si sarebbe rifatto gli occhi.
«Perché mi stai seguendo?»
Come aveva previsto, la ragazza col cappello arancione spalancò gli occhi «Non ti sto seguendo! Perché mai dovrei farlo?» esclamò con una voce che sembrava terribilmente offesa, ma il suo sguardo tremò per un istante e bastò quell’istante a convincere Gabriele di averci azzeccato in pieno.
Così continuò a provocarla, curioso di vedere quello che avrebbe fatto «Me ne sono accorto. E’ da oggi pomeriggio in centro».
Calò il silenzio e lei si infilò le mani in tasca, prendendo tempo, prima di limitarsi ad esalare un «Ah, sì?» con una voce molto più esile di quella di prima, tanto che gli fece quasi pena. Dopotutto sapeva di essere un bel ragazzo e non poteva darle torto se aveva voluto seguirlo per saperne di più su di lui. Poteva quasi perdonarla, ma giusto perché quell’aria imbarazzata gli infiammava le vene.
«E’ difficile non notare il tuo cappello» le disse divertito, trattenendo una risata quando i suoi occhi si posarono ancora su quel ridicolo cappello. Davvero qualcuno aveva avuto il coraggio di indossarlo durante un pedinamento?
«Beh, ti sarai sbagliato! Ora devo andare, sono in ritardo!» esclamò lei con le guance e il naso rossi, prima di abbassare lo sguardo e superarlo in fretta, lasciandosi dietro una scia di profumo che gli entrò prepotentemente nelle narici.
Gabriele osservò il suo cappello arancione sparire dietro l’angolo con un sorriso divertito sulle labbra. C’era gente strana in giro, ma qualcuno sapeva risultare anche terribilmente interessante.
 
Relegò la ragazza col cappello arancione in un angolo della mente e credeva fermamente che sarebbe rimasta lì, scomparendo piano dai suoi ricordi, come un avvenimento qualsiasi, fino a quando non si rese conto di essersi completamente sbagliato e che forse quel cappello era una vera e propria maledizione.
Perché il giorno dopo si ritrovò fuori dal liceo linguistico con Lele accanto, che scrutava la folla di ragazze che uscivano da scuola come un falco, in cerca di Chiara.
«Eccola!» esclamò di colpo, facendolo sobbalzare «E’ quella, vedi? Lì, il cappello arancione!»
A quelle parole, Gabriele si voltò di scattò, seguendo la direzione che Lele gli indicava con aria agitata, e i suoi occhi si posarono su un cappello dannatamente famigliare. Era lì, sulla testa castana di una ragazza che si incamminava verso il centro con un’amica, quella che Lele gli stava indicando e che molto probabilmente era la famigerata Chiara.
Si prese un istante per osservarla, prima di voltarsi verso la ragazza che le stava accanto. E fu la prima volta che rimpianse di avere i gusti simili a quelli di Lele.
Perché Chiara, che finalmente poteva vedere di persona dopo averne sentito tanto parlare, riuscì a mozzargli il fiato e fargli dimenticare per un momento lo strano interessamento che aveva provato per la ragazza dal cappello arancione.
«La vedi?» gli chiese Lele, continuando ad indicargliela.
Gabriele poté soltanto annuire. La vedeva fin troppo bene. E tutto quello che vedeva avrebbe preferito non vederlo. O avrebbe preferito vederlo e sapere che avrebbe potuto essere suo. Ma era la Chiara di Lele e lui doveva starle ben lontano se voleva evitare di fare cazzate.
Però si ritrovò obbligato a seguirla, perché l’aveva promesso a Lele e perché un buon amico non si rimangiava le promesse.
Nemmeno la ragazza con il cappello arancione riuscì a distrarlo ed alleviare la sua sofferenza, mentre le seguiva a distanza per le vie del centro.
Si concentrò sul suo compito il più possibile, ripetendosi di non abbandonare la missione a metà, soprattutto con tutta la fatica che quella mattina ci aveva messo a sforzarsi a non indossare le lenti a contatto, ma gli occhiali. Non era uscito con gli occhiali per niente, diamine!
Così le seguì per tutto il pomeriggio, mentre entravano ed uscivano dai negozi come se ci fossero i saldi, mentre le loro esclamazioni riuscivano a raggiungerlo nonostante i metri di distanza e il sorriso di Chiara si incideva a forza nella sua mente.
Le vide entrare nel bar sull’angolo e si fermò ad osservarle dal bancone, nonostante non riuscisse a vederle molto bene.
Fu una sofferenza quando si separarono perché, nonostante una parte di lui volesse seguire la ragazza con il cappello arancione – e i suoi occhi azzurri e la scia ammaliante del suo profumo –, la parte più responsabile e masochista doveva continuare a seguire Chiara – e i suoi capelli castani e le sue gambe perfette.
Fu una sofferenza ancora maggiore seguirla fino a casa e sapere che lei era di Lele. Del suo migliore amico. E se era di Lele, prima o poi sarebbe stato costretto ad incontrarla davvero e allora non sapeva se fosse stato in grado di resistere all’attrazione che provava per lei. Lele era sempre stato il suo migliore amico e non voleva deluderlo per nessun motivo al mondo.
Quindi si limitò a guardarla e guardarla e immergersi in ogni suo singolo movimento, dal modo in cui si tirava indietro i capelli, a come le sue labbra si muovevano appena, seguendo le parole della canzone che stava ascoltando.
Ma era Chiara e Chiara era di Lele.
 
Quando Lele quella sera lo chiamò e lui dovette riferire di non aver visto niente di strano o sospetto nei comportamenti di Chiara, gli sembrò che il suo stomaco venisse strizzato da una mano invisibile e nemmeno il videogioco che gli aveva prestato Andrea riuscì a distrarlo.
Ma Gabriele non sapeva che il peggio doveva ancora venire e quando arrivò si ritrovò impreparato ad affrontarlo.
 
Era tutta colpa di Lele se lui stava da cani.
Era Lele che aveva una ragazza che lo eccitava, era Lele che l’aveva obbligato a seguirla ed era Lele che avrebbe davvero fatto sesso con lei, mentre lui sarebbe stato obbligato ad accontentarsi di qualche sogno erotico. E, cazzo, non avrebbe nemmeno dovuto farli. Perché quella era Chiara e non una qualsiasi. E lui Chiara non l’aveva mai sopportata.
Ed era colpa di Lele se quel venerdì si trovava di nuovo davanti al liceo linguistico per conoscere ufficialmente – e non in senso biblico, come avrebbe tanto voluto – Chiara. Chiara e la sua migliore amica, che sospettava essere la ragazza col cappello arancione.
Forse era meglio se si fosse concentrato su di lei e sull’espressione eccitante che aveva quando si offendeva e i suoi occhi azzurri si spalancavano. Forse era meglio che la sua mente venisse occupata dalla ragazza col cappello arancione e il suo profumo sensuale, invece che dalla Chiara di Lele.
Ma nonostante questo, prima che fosse pronto, Lele agitò un braccio e, in un istante troppo corto perché Gabriele potesse obbligarsi a respirare normalmente, si ritrovò davanti Chiara e la sua amica col cappello arancione.
Incrociò gli occhi azzurri – più famigliari del previsto – di Chiara, che però si affrettò a distogliere lo sguardo e affondare il naso nella sciarpa, in un modo che aveva già visto fare.
Qualcosa gli pungolò la mente, cercando di farsi notare, ma lui la ignorò e spostò lo sguardo sulla ragazza col cappello arancione che sorrideva allegramente.
C’era qualcosa di strano, perché non gli sembrava per niente famigliare, ma forse quando l’aveva vista era troppo buio per distinguerla bene.
Poi, proprio lei, aprì la bocca ed esclamò, con una voce completamente diversa da quella che ricordava «Emma, lui è Lele!» e il mondo si fermò.
Perché la ragazza col cappello arancione stava indicando proprio Lele, che se ne stava lì con un sorriso beota e l’aria più tranquilla del mondo. E Chiara aveva alzato lo sguardo su di loro, come se fosse perfettamente normale che una ragazza le presentasse quello che avrebbe dovuto essere il suo ragazzo.
Gabriele sbatté le palpebre, ignorando il proprio cuore che aveva preso inspiegabilmente ad aumentare i battiti «C-cosa?» esclamò, nello stesso momento in cui lo fece anche Chiara, che evidentemente non era Chiara, ma si chiamava… Emma?
Spostò lo sguardo su di lei, incrociando i suoi occhi spalancati, dello stesso azzurro della ragazza di martedì, e si tirò uno schiaffo mentalmente, perché era stato proprio un idiota a non riconoscerla subito.
«Lui è Lele» ripeté Chiara, prendendo Emanuele sottobraccio.
Ma Emma non sembrava per niente soddisfatta «Aspetta! Io pensavo che fosse lui Lele! L’hanno chiamato così!» esclamò con la stessa voce che l’aveva affascinato martedì, puntando a sorpresa una dito contro di lui.
Ma Gabriele non era meno sorpreso di lei «Io credevo che Chiara fosse lei!» esclamò infatti, indicando Emma «Quella senza il cappello arancione!»
Lele scoppiò a ridere, passando un braccio intorno alle spalle di Chiara «Ci deve essere stato un equivoco!» Gabriele l’avrebbe voluto strangolare. Altro che equivoco, era stata tutta colpa di quel deficiente se lui aveva passato una settimana infernale «Io mi chiamo Emanuele e lui è Gabriele, ma ci chiamano Lele tutti e due. E’ facile confondersi, in effetti» spiegò ad Emma, come se nulla fosse.
Ma ci avrebbe pensato lui a farlo secco. Oh, si sarebbe divertito a sfogarsi su quell’idiota che si ritrovava come migliore amico «Quindi io mercoledì ho seguito la ragazza sbagliata?» esclamò, fulminandolo infuriato. Se gliel’avesse indicata meglio, invece di fargli perdere il sonno e dieci anni di vita, a quell’ora il suo corpo sarebbe stato benissimo.
Emanuele si coprì la faccia con una mano, ma a Gabriele non interessava l’imbarazzo che gli stava facendo provare, non dopo tutte le crisi di coscienza che aveva dovuto passare per colpa sua.
Ma era evidente che ad Emma e Chiara interessasse, perché infatti Emma esclamò uno «Scusa?!» con un tono talmente irritato e sorpreso che quello di martedì era un niente a confronto.
Ma Gabriele si limitò ad incrociare le braccia irritato e concentrarsi solamente su quel cretino di Emanuele «Potevi indicarmela meglio! Pensavo fosse quella senza cappello, visto che quella con il cappello mi ha seguito martedì pomeriggio».
«Mi hai seguito mercoledì?» gli chiese Emma sconcertata.
«Tu mi hai seguito martedì!» ribatté Gabriele, lanciandole uno sguardo offeso. Perché lei non era certo più innocente di lui.
«Ma è stato uno sbaglio! Io dovevo seguire lui!» esclamò Emma, puntando un dito contro Lele, che spalancò gli occhi stupito, mentre Chiara arrossiva imbarazzata.
«E io dovevo seguire lei!» esclamò Gabriele, indicando Chiara.
Calò il silenzio, mentre la portata delle rivelazioni ricadeva sul gruppetto e Lele e Chiara si fissavano come due imbecilli. Come aveva anche solo potuto pensare che lo tradisse? Non vedeva il modo disgustoso in cui lo guardava?
«Quindi, fatemi capire» cominciò Emma, massaggiandosi velocemente le tempie e attirando l’attenzione di Gabriele, che guardandola sentì sciogliere la morsa che da un paio di giorni aveva preso il suo stomaco «Tutti e due avete avuto la stessa stupida idea di farvi seguire dai vostri amici per svelare chissà che mistero inesistente?» Che idea del cazzo «Quindi io martedì ho sbagliato persona e ho seguito il ragazzo sbagliato?»
Gabriele tagliò fuori il resto della discussione, perché l’unica cosa che gli sarebbe interessata era insultare Lele, ma in quel momento preferiva lasciare che tutta la sua attenzione si concentrasse su Emma. Emma che si era rivelata essere la ragazza dal cappello arancione di martedì, quella con gli occhi azzurri e il profumo inebriante, e la Chiara di mercoledì, quella con i capelli morbidi e le gambe perfette. In pratica, le due ragazze che avevano catturato la sua attenzione nell’arco di tre giorni si erano rivelate essere la stessa persona, un concentrato di eccitazione allo stato puro. Perché quella ragazza, che gli faceva battere il cuore e fremere le viscere, non era di Lele e quello sistemava tutto.
Si accorse appena di quando gli occhi di lei incrociarono i suoi e della frase che sussurrò tra le labbra piegate in un ghigno provocante, ma non poté non accorgersi di quando le sue mani sottili gli strinsero il giubbotto e lo tirarono con una forza inaspettata verso il basso, né di quando quelle stesse labbra si posarono decise sulle sue.
E no, non ci mise nemmeno un secondo a passarle le braccia intorno alla vita, sentendo finalmente quel corpo morbido e profumato contro il suo, e quando lei dischiuse le labbra gli sembrò di entrare finalmente in paradiso.
Cosa importava se Lele e Chiara li stavano guardando o se si erano conosciuti per colpa di un paio di equivoci? Emma lo eccitava da matti e sapeva usare la lingua. In tutti i sensi.
E, cavolo, era da martedì che aveva voglia di baciarla.
 
   
 
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