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Autore: BlackPearl    14/01/2013    13 recensioni
Come definire Elettra? Apparentemente cinica, piuttosto indisponente, amante del 'vivi, lascia vivere e non rompere le scatole'.
In termini matematici, Elettra sta alla gente come i gatti stanno all'acqua.
Elettra conosce Christian.
Come definire Christian? Affascinante, provocatorio, autentico.
Prendete Elettra, prendete Christian, e metteteli in una camera d'albergo, costretti a una notte di convivenza forzata.
Io, fossi in voi, mi metterei comoda. Perché questo, signori miei, è solo l'inizio.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Christian, la verità è che mi sei piaciuto dal primo momento in cui sei magicamente apparso in quella camera d’albergo. Solo che ero troppo cogliona per ammetterlo, devi scusarmi.»

«Anche tu, Elettra. E credo di averlo ammesso ogni giorno da quando ti ho incontrata.»

Christian si avvicina a me e proprio quando sta per baciarmi, Danny – voce dei The Script – mi strappa dal suo abbraccio urlandomi “Standing in the hall of fame!”

Sussulto, svegliandomi di soprassalto.

Con gli occhi sbarrati cerco tracce di Christian intorno a me. Tutto quello che vedo, però, è solo il soffitto sgangherato della mia stanza. Sbuffo, snocciolando un paio di imprecazioni a voce alta. Spengo la sveglia e urlo con la faccia contro il cuscino.

Odio i sogni. ODIO. I. SOGNI.

«Maledetti, maledetti, maledetti!» Ringhio mentre mi alzo per andare a fare colazione. Accendo la televisione sintonizzandola su un canale di intrattenimento, con la segreta speranza che la scia del sogno svanisca nel nulla, o finisca nel dimenticatoio con tutti gli altri.

 

***

 

«Buongiorno a tutti.» Oggi ho un diavolo per capello. Già. E ho tanti capelli, nel caso non ve ne siate accorti. I miei colleghi – o almeno, quelli che sono arrivati – ricambiano il mio saluto ed evitano accuratamente di rivolgermi la parola. Ormai si può dire che abbiano imparato a conoscermi: sanno quando possono e quando non possono. Oggi non possono.

Sbatto la porta della mia stanza facendo tremare la veneziana e butto la borsa sulla scrivania, irritata.

«Ti senti bene?»

Ah, c’è Lily. Non l’avevo vista. Mi sta guardando con gli occhi sbarrati, sembrano ancora più a palla del solito.

«Mai stata meglio.» Commento, acida. Mi siedo e accendo il computer. Tamburello con le dita sul legno della scrivania, e osservo la mia compagna d’ufficio controllare delle carte e sistemarle in tanti plichi ordinati.

«Io oggi dovrei aiutare Danny con delle rilegature, però se hai bisogno di me gli chiedo se posso rimandare.» Mi informa, cauta.

Io scuoto la testa. «No, vai pure, non mi servi.» La liquido con un gesto nervoso della mano. Lei si defila senza aggiungere nulla. Tra l’altro non so neanche io cosa fare, oggi. Devo aspettare ordini superiori da Martin, oppure mal che vada posso chiamare Thomas. Sì, adesso lo chiamo.

Il lieve bussare della porta interrompe il mio flusso di pensieri.

«Avanti.» Dico scocciata. Alzo la cornetta del telefono e quando la porta si apre resto col dito a mezz’aria sul numero quattro.

Christian. Caffè. Maglia bianca. Muscoli. Occhi. Christian. Sorriso. Christian.

ELETTRA, RIPRENDITI!

«Buongiorno. Come stai?» Orione – sì, perché decisamente mi perseguita – chiude la porta accompagnandola con un fianco e viene avanti con due tazze di caffè tra le mani.

No, no, no.

Le appoggia sulla mia scrivania e prende la sedia di Lily.

No, no, no.

Si siede di fronte a me e mi rivolge un sorriso mozzafiato.

No, no, NO!

«Che ci fai qui? Cosa vuoi?» Sotto la scrivania, agito la gamba come in aereo. Sembra attaccata agli elettrodi di Tesmed. O a una centralina elettrica.

«Avevo sentito qualcuno borbottare “Oggi è la reincarnazione di Hitler”, ma non credevo dicessero sul serio. È successo qualcosa?»

Tu mi sei successo, ecco cosa.

E ora la mia mente si prende anche la libertà di sognarti. Questo è un cattivissimo, pericolosissimo segno. Devo prendere le distanze.

«Niente che ti riguardi.» Bugia.

Christian espira lentamente, gli occhi fissi su di me che non oso guardarlo.

«Guardami.» Appunto. Scuoto la testa, non ci penso nemmeno.

«Non hai da fare?» Clicco su una finestra a caso, per far finta di essere impegnata. Dalla sua posizione non può vedere lo schermo del mio computer.

«Sta’ zitta e guardami.» Una mano blocca la mia, quella posata sul mouse; l’altra mi prende il mento e mi costringe a rivolgergli lo sguardo. «Cos’hai? Non me ne vado finché non me lo dici.» Allora staremo qui fino alla fine dei tempi, caro.

«Primo: smettila di bloccarmi il viso.» Sibilo, e lui allontana la mano dal mio mento. Okay, ora si inizia a ragionare. «Secondo: non ho nulla. Una persona non può essere nervosa per i cazzi suoi?» Che sono anche cazzi tuoi in questo caso, ma sorvoliamo.

«Parla bene.» Mi rimprovera, e io alzo gli occhi al cielo. «Oggi dobbiamo lavorare insieme, quindi stammi bene a sentire. E guardami, ti ho detto.» Il tono si fa più duro e mi costringo a fare come dice. Poi riascolto mentalmente le sue parole.

«Dobbiamo lavorare insieme?!» Oh no. No, no, no. NO!

Ora mi metto a piangere.

«Sì. Bevi e calmati.» Alza la tazza di caffè e me la mette sotto il naso. La prendo con un gesto stizzito e ne sorseggio un po’.

«A saperlo ti avrei portato una camomilla.» Aggiunge, ironico.

«Ah ah ah, sto morendo dal ridere.»

Faccio appena in tempo a posare la tazza sulla scrivania che sento uno schiaffetto sulla tempia sinistra. Leggero, ma pur sempre uno schiaffo.

«EHI!» Mi alzo e ricambio la sberla, colpendolo però sulla mano che usa per schivarsi. Continuo a picchiarlo con tutta la foga possibile e lui si difende splendidamente, beccandosi ogni tanto qualche colpo solo per farmi contenta.

«Ora basta.» Due secondi dopo si stufa e mi blocca le braccia, serrando le mani attorno ai miei polsi. La scrivania separa i nostri corpi, ma i nostri visi sono a poco meno di venti centimetri di pericolosa distanza.

“EH! EH! EH! DANGER! DANGER! MAYDAY! MAYDAY! PREPARARSI ALL’IMPATTO!” L’immaginaria sirena schiamazza impazzita nella mia testa, come i sensori di parcheggio di un’auto.

«Lasciami.» Sussurro, torva. Lui stringe gli occhi e fa la faccia da cattivo.

«No. Dimmi cos’hai, altrimenti te lo scordi.» Aaaahhh, ma che ho fatto di male per meritare un bambino capriccioso come capo?!

«Ti ho già detto che NON-HO-NIE-»

Mentre sto per urlargli in faccia la porta si apre ed entrambi ci voltiamo di scatto. I capelli sparati di Tony fanno capolino e osservo distintamente la sua espressione cambiare quando vede come siamo messi.

«Ho interrotto qualcosa?» La cosa bella è che né io né Christian ci muoviamo di mezzo millimetro. «Posso aggiungermi?» A queste parole, scoppio in una risata isterica. Christian mi lascia e io mi piego letteralmente in due. Sto talmente male che mi siedo per terra e continuo a ridere. Tony entra e chiude la porta, per poi avvicinarsi circospetto.

«Cosa le hai fatto? Mi sa che non ha funzionato.» Bisbiglia a Christian, che sta sghignazzando. Io smetto di ridere con uno strascico di mugolii e li guardo dal basso in alto.

«Aiutatemi ad alzarmi, per favore.» Allungo una mano e l’impiccione – al secolo Christian Orione Wayne – la afferra e mi tira su.

Mi liscio la gonna e torno a respirare normalmente. «Okay, sono pronta.»

Tony sorride sornione e si porta una mano sulla cerniera dei pantaloni. «Mi spoglio?»

Gli mollo uno schiaffetto sulla spalla e guardo Christian che ha fatto lo stesso dall’altro lato.

«Tra moglie e marito non mettere il dito, avete ragione. Ero venuto a darvi il buongiorno con uno dei miei abbracci stritolanti e pieni di amore ma noto che qui di amore ce n’è abbastanza. Me ne vado!» Alza le mani in segno di saluto e sparisce sgambettando.

«È sempre il solito.» Commenta Christian con un mezzo sorriso. Io lo fisso ancora vagamente inebetita per tutte quelle risate. «Allora? Ti sei calmata? Possiamo tornare a parlare di lavoro o vuoi picchiarmi ancora un po’?»

«L’idea non mi dispiace, ma è una lotta persa in partenza.» Indico il bicipite che si intravede dalla maglia e mi appoggio alla scrivania, riappropriandomi della tazza di caffè.

«Prima o poi scoprirai i miei punti deboli, è solo questione di tempo.» Mi fa l’occhiolino e si siede. «Comunque, tornando a noi, oggi mi aiuterai con la correzione di un manoscritto.»

E a quelle parole, si aprono le porte del paradiso.

 

***

 

«Questo è un paragrafo con alcuni errori ricorrenti dell’autore, che ho riscontrato anche nei successivi due capitoli. Se non capisci qualche simbolo te lo spiego.» Christian mi porge un piccolo fascicolo pieno di correzioni in rosso sul margine laterale destro. «Inizia a guardare e a inquadrare gli errori e poi passi a correggere i capitoli tre e quattro.»

Mi sento eccitata come un cane a cui stanno lanciando un osso. Tra un po’ scodinzolo.

Ti rendi conto di essere lunatica quanto una cinquantenne in crisi di mezza età, vero?

Chi, io? Davvero?

Siamo nel suo ufficio, lui al suo posto davanti al computer e io appollaiata su una delle due sedie davanti alla scrivania.

«Hai una bella grafia.» È ordinata, chiara. Mi piace, sì.

«Senza quella non potrei fare il lavoro che faccio.» Risponde lui senza alzare gli occhi dal suo manoscritto.

«Antipatico.» Bofonchio. Mezza volta che gli faccio un complimento... da non ripetere mai più, prendi nota Elettra.

Okay, questo simbolo significa che la parola va scritta in corsivo. Lo slash semplice si usa per sostituire una lettera errata, mentre lo slash con un pallino a ciascuna estremità per inserire una parola omessa in una riga. L’arco tra due parole serve per regolare la distanza tra due parole spaziate... mmm. Questa specie di ipsilon rovesciata invece credo serva per inserirlo, lo spazio.

«Questo cos’è?» Mostro il foglio a Christian col dito puntato su un simbolo strano.

«Questo indica che la frase deve andare a capo.» Spiega. «Quest’altro invece è l’esatto contrario. Vedi? Questi periodi vanno scritti di seguito, senza interruzioni.» Annuisco.

«Okay, grazie.» Quando ho finito di interpretare i vari simboli, inizio a leggere il nuovo capitolo, armata di penna rossa. Mi sento potente.

Ah-ha! Scovato il primo errore. Incerta, torno a confrontare il testo precedente per essere sicura del simbolo da scrivere. Sì, è quello. Lo traccio con la massima precisione accanto alla riga in questione e poi alzo lo sguardo, incrociando quello di Christian.

«Che c’è?» Mi sta guardando con un mezzo sorriso nascosto dalla mano su cui ha appoggiato il viso.

«Ho la sensazione che quei fogli cambieranno totalmente colore. Oggi non è il giorno giusto per farti correggere una bozza, forse. Stai impugnando quella penna come se fosse un coltello.»

«Sono solo precisa.» Protesto. «E se mi guardi non mi concentro.» Ho sempre avuto questo pallino, anche a scuola. Durante le verifiche in classe, per esempio, se un professore passava tra i banchi per controllare lo svolgimento del compito – nonostante avesse tutte le intenzioni di aiutarmi, magari – io coprivo il foglio con la mano sostenendo che non riuscivo a lavorare con gli occhi addosso. Della serie: piccole fissate crescono. Già.

«Va bene, proverò a non guardarti.» Dice, col tono di chi asseconda il capriccio di un bambino. «Ci vuole un libretto di istruzioni con te, ogni volta tiri fuori una novità.»

«Stai dicendo che sono una persona difficile?» La cosa non è che mi piaccia poi tanto.

«No, tu fai la difficile. Per qualche nebuloso motivo che sono deciso a scoprire.»

«Nebuloso motivo?»

«Sì, l’ho appena letto. Questo autore si diverte a inserire aggettivi a caso.» Scuote la testa e io rido.

«Che dici, ci iniettiamo un’altra dose di caffeina? Non sono ancora del tutto sveglio.» Me lo sta chiedendo ma in realtà già ha alzato la cornetta del telefono per comporre il numero dello Starbucks. Gli dico che sono d’accordo e lui ritorna a leggere. Mentre aspetta che rispondano, si mordicchia distrattamente l’interno del labbro.

«Salve, Christian Wayne.» Dice con tono solenne qualche istante dopo.

Ma chi sei, Gesù? Simulo un inchino e lui mi pizzica il braccio.

«Ahia.» Mi massaggio il punto dolente e gli metto il broncio.

«Sì, vorrei due caffè. Anzi, due cappuccini. Con la mousse al caramello.» Esiste la mousse al caramello? Mi stanno brillando gli occhi, sicuramente. Per un istante ho smesso di tenere il broncio, ma corro subito ai ripari. Quando Christian se ne accorge, si porta un dito all’angolo delle labbra e fa finta di tirarlo verso l’esterno per invogliarmi a sorridere.

È talmente carino che ci riesce.

«Sì, grazie mille. Buona giornata anche a lei.»

«Grazie infinitissime, le auguro una splendida giornata, spero che la costellazione di Pandora si allinei perfettamente con quella di Saturno e le faccia avverare l’oroscopo.» Gli faccio il verso vivacizzando le sue affermazioni, e lui scoppia a ridere di cuore. «Ma quanto sei gentile?» Chiedo, quasi schifata.

«Sono gentile per me e per te, visto che tu non lo sei mai.» Spiega lui, alzando le sopracciglia come un maestrino scrupoloso.

«Gne gne gne.» Gli faccio la linguaccia e torno a leggere. Sembriamo due bambini delle elementari, vero?

Ma anche dell’asilo, guarda.

 

***

 

Sono arrivata a metà del terzo capitolo quando sentiamo bussare alla porta. Christian dice “avanti” e io osservo soddisfatta tutte le modifiche che ho apportato. In effetti, noto con una smorfia, ci sono quasi più correzioni che parole esatte. Forse mi sono lasciata un tantino prendere la mano.

«Buongiorno, duca. Oh, c’è anche la duchessa.» A parlare è Thomas, che entra diretto e si siede sulla sedia accanto a me. Mi sorride e io ricambio, discreta.

«Christian, ho bisogno di anticipare l’uscita del libro di Annette Simmons. Lo so, la scadenza era fissata per lunedì prossimo, ma il suo agente mi sta letteralmente succhiando il sangue dalle vene. Lo vuole per questo venerdì.»

Guardo Christian per scrutare la sua reazione. È mai possibile che niente al mondo scalfisca quest’uomo?

«Volevo approfittare di questa settimana per indirizzare Elettra alla correzione...» Mi guarda pensieroso. «Va bene, non fa niente, la seguirò comunque. Tanto è brava, se la caverà anche senza una supervisione costante.» Si rivolge a me con un sorriso.

«Certo, mi fa anche più piacere.» Ops, non volevo davvero dirlo ad alta voce. «Cioè, nel senso che così imparerò più in fretta...» Basta, taci!

Thomas ci guarda interessato. «Questa donna ti darà filo da torcere, Wayne.»

«Ah, me lo dà già, se è per questo.» A me non sembrano così rivali come mi vogliono far credere tutti. Lo vedete come si divertono a prendermi in giro?

«Quindi credi di farcela per venerdì? Cosa ti manca?» Thomas torna serio.

«Il controllo della copia cianografica, la scheda promozionale e la quarta di copertina. Dopo controllo Danny, ma dovrebbe aver finito.» Replica Christian. Thomas annuisce, valutando ciò che ha appena ascoltato.

«Va bene, dovresti farcela senza problemi. Ah, Annette vuole anche il sito web. Le ho detto che al massimo possiamo darle uno spazio maggiore nella nostra sezione autori, ma lei ha insistito.» Continua il vice, seccato.

«Isterica megalomane.» Commenta Christian con uno sbuffo. «Va bene, parlerò anche con Christopher e Mike. C’è altro?»

«No, credo sia tutto... ah, ho sentito anche la-» Thomas si blocca quando qualcun altro bussa alla porta. Dio mio, sembra di stare agli uffici comunali.

«Ehm, permesso?» Il viso dolce di Rachel compare al di là della porta.

«Ah, sì, entra, entra.» Christian le sorride gentile e lei si fa avanti con il vassoio di Starbucks tra le mani. Lancia un’occhiata fugace alla stanza e immediatamente avvampa. L’effetto di Christian, sicuramente. Seguo il suo sguardo e vedo che invece sta guardando Thomas. Mhmm...

«Salve.» Ci saluta, riservandomi un sorriso. Posa i due cappuccini – che profumano di caramello in un modo assurdo – e si riprende il vassoio.

«A me niente?» Scherza Thomas, e lei se possibile diventa ancora più rossa. Questo è un altro che si diverte a burlarsi di dolci fanciulle innocenti come noi.

Come lei, semmai.

«Ehm, l’ordine era di due cappuccini...» Mormora lei, desolata.

«Non fare caso a lui. Si diverte a mettere in imbarazzo la gente, ma lo fa solo con le persone che gli piacciono.» Christian le fa l’occhiolino e Rachel sembra cercare conferma di quelle parole nello sguardo di Thomas, che le sta sorridendo. Mhmm...

Rachel si lascia sfuggire una minuscola risatina ad alto tasso di isterismo. «Bene, io torno giù. Buona giornata.» Ricambiamo tutti e tre insieme, Christian aggiunge un cenno della mano e Thomas ed io un sorriso. Poi il vice-boss riprende a parlare.

«Dicevo, mi ha telefonato la responsabile di Weekly, per chiedermi se potevamo recensire i libri di O’Malley e Thompson. Potresti occupartene tu? Io devo partire per la fiera del libro stasera, se hai qualche problema possiamo sentirci telefonicamente.»

«D’accordo, ci penso io. Fai buon viaggio.» Christian serra le labbra in un sorriso che mi sa di impostato, e Thomas va via.

«Sapevo già delle recensioni, Martin mi ha chiamato stamattina per dirmelo.» Mi spiega Christian, leggendomi nel pensiero. «Ma a volte è meglio tacere piuttosto che dire tutto quello che ci passa per la testa.» Mi scocca un’occhiata divertita e io ricambio con l’innocenza di un angelo.

«È quello che faccio sempre.»

«Al contrario, però.» Replica lui.

«Sottigliezze.»

**********

 

Credo di avere la vista a pallini.

Anzi, a linee e scarabocchi vari. Dopo una giornata intera a correggere bozze e disegnare geroglifici, ho davvero bisogno di qualcosa per ricaricarmi. Il nostro fidato Starbucks sembra chiamarmi a gran voce. Decido di assecondarlo.

All’interno non c’è troppa folla, noto sollevata: qualche coppia seduta in disparte, un paio di uomini al computer e Rachel che sta riordinando la vetrina delle meraviglie insieme ad Elizabeth, la cassiera.

«Ehi.» La saluto mentre mi arrampico su uno sgabello.

«Cara, come stai? Sei sempre piuttosto stanca a fine giornata, ma che ti fanno fare?» Chiede con un sorriso vagamente malizioso.

«Leggere, leggere, leggere.» Le rispondo con un’occhiataccia. «I libri sono la mia vita ma a volte vorrei bruciarli tutti.»

«Almeno sei in compagnia. Cogli il lato positivo.»

«E che compagnia.» Commento ironica, facendo roteare gli occhi. Rachel ride e mi mette davanti il mio frappuccino.

«Non mi sembrano antipatici, dai. Christian è estremamente gentile, e Thomas…» Quando pronuncia il suo nome le guance le diventano di quel colore indistinto tra il rosso carminio e il porpora che ho già visto in ufficio. Ho deciso che lo chiamerò “Rosso Thomas”.

«Beh, insomma, anche lui. E anche il ragazzo con gli occhiali, altissimo, sguardo tenero…» Sorrido al suo tentativo di cambiare argomento e le vengo in aiuto: «Danny?»

«Sì, Danny. Anche lui dev’essere un tipo a posto.»

«Lo è, sì.»

La conversazione va improvvisamente a scemare mentre lei fa finta di pulire briciole immaginarie dal bancone.

«Da quanto ti piace?» Le domando dopo aver tirato un sorso di frappuccino ed essermi momentaneamente congelata il cervello. Lei capisce subito a chi mi riferisco, perché assume di nuovo la tonalità Rosso Thomas. «Si vede lontano dieci miglia. Non trovare scuse e non dire “non so di cosa tu stia parlando”.»

«Che razza di domanda è “da quanto ti piace?”» Sbotta, punta sul vivo.

«Una domanda con varie opzioni di risposta: “Mi è piaciuto a prima vista”, “Mi piace da quando l’ho visto fare questa tale cosa”, “Mi piace da tutta la vita perché siamo cresciuti insieme”, che ne so io? Anche se non credo sia l’ultima. Spero.»

«No, è la prima. Contenta?» Rido alla sua esasperazione.

«Rachel, sto cercando di fare l’amica. Non mi conosci ancora, ma te lo dico io: non è proprio da me.» Lei mi guarda e prende uno sgabello dal lato suo del bancone, appollaiandosi sopra.

«Scusa, hai ragione. È che davvero mi piace da troppo tempo ed è una cotta troppo stupida. Ho venticinque anni, che cavolo.» Sbuffa, premendo la fronte contro il palmo della mano.

«Cosa c’entra l’età e cosa c’entra il tempo? Tu cos’hai fatto di concreto per farglielo capire?» Dalla sua espressione imbarazzata capisco la risposta, anche se non emette una sola sillaba.

«Ma non è colpa mia.» Balbetta infine. «È che non lo vedo spesso. E quando lo vedo è solo per qualche minuto, come stamattina.» Si stringe nelle spalle per giustificarsi. «Mica come te, che lo vedi tutti i giorni.»

«A dire il vero non lo vedo quasi mai.» È vero, se ne sta sempre al piano di sopra.

«Non parlavo di Thomas.» Ah. Fingo indifferenza e stupore assieme.

«E di chi?» Domando poi, innocente come una colomba.

Rachel alza un sopracciglio, non se l’è bevuta. «Sai benissimo di chi. L’orsacchiottone con gli occhi di ghiaccio.»

«L’orsacchiottone?» Scoppio a ridere, lei mi segue a ruota.

«Sì, mi sa di tenero, di protettivo. Un buon partito, sì. A quando le nozze?» Batte le mani come una bambina.

«Ma che dici? Se non ci hai mai visti insieme! Io almeno so come ti comporti tu in presenza di Thomas e studierò il suo comportamento nei tuoi confronti, ma tu cosa sai di Christian? E poi non mi piace. È troppo… alto.» Potevi impegnarti di più.

«Sì, e io sono la figlia di Cappuccetto Rosso.» Dice, ironica. «E comunque vedo come ti guarda. Chiamale coincidenze, ma l’ho visto osservarti dalla finestra del suo studio più di una volta quando andavi via. Vogliamo parlare del cappuccino al caramello? Non ha mai ordinato una cosa del genere da quando lavoro qui, e guarda un po’, ha deciso di cambiare quando è arrivata la nuova collega che metterebbe il caramello anche sulla pizza.» Finito il suo sermone, indica il mio frappuccino – al caramello – per sostenere la sua tesi.

«Ma…» Ma dai! Che significa?! Basare le proprie ipotesi sul gusto di un caffè! È ridicolo. «Come Stranamore vali poco, sai.» Scuoto la testa, succhiando nervosamente quel che resta della mia bevanda.

«Pensala come vuoi, intanto credo che tra noi due quella che ha più probabilità sei tu. Se non altro, hai il vantaggio di vederlo tutti i giorni. E senza dubbio lui sa che esisti.» Aggiunge, alzando gli occhi al cielo.

Sbuffo. Sembra che tutto il mondo si stia coalizzando contro di me. Chiunque conosca me e Christian inizia a fare battutine strane su Christian e me. Ma dico, è possibile?

«Sai, i tuoi tentativi di deviare la conversazione evitando l’argomento “Thomas” non attaccano.»

«Nemmeno i tuoi se è per questo. Più che una conversazione sembra una partita di palla avvelenata.» Ci guardiamo minacciose per qualche istante e poi ridiamo.

Aspetto che serva un paio di clienti e poi le domando cosa le è piaciuto a prima vista di Thomas. Mi piace sentire queste storie.

«A dire il vero mi ha colpito prima la sua personalità. Non è una bellezza da colpo di fulmine, ci vuole un po’ per notarlo, ma ho sempre avuto davanti i suoi sorrisi, i suoi sguardi gentili, le sue buone maniere, le perle di saggezza che dispensa al mondo intero.» Sorride da sola, guardando il vuoto. È proprio persa, sì. «E poi ha quelle mani…»

«Ti sta partendo un cuoricino dall’orecchio.» La sfotto, e lei mi fa una linguaccia.

«Ha le mani sottilissime da pianista. Christian invece le ha grosse. Sempre affusolate, ma grosse. Come tutto il resto.»

Trattengo a stento una risatina nasale. Lei si accorge del doppio senso e sostiene che non voleva far nascere fraintendimenti. Come no.

«Però secondo me ce l’avrà un bel Mjolnir nei pantaloni.» Mi fa l’occhiolino.

Colgo il riferimento al martello di Thor e la guardo scettica. «Hai testato?»

«No, ho notato.» Si mette un dito sotto l’occhio con l’aria esperta da tenente Colombo degli attributi maschili. Le do un leggero spintone e faccio schioccare la lingua. «Ma va, va.»

La osservo servire i nuovi clienti mentre mi lancia occhiate complici, e decido che è ora di andarmene.

«Vado. Qualche volta dobbiamo vederci, ci prendiamo un caffè. Non qui, però.» Propongo, ridacchiando.

«Ma sì. Andiamo dalla concorrenza.» Annuisce lei e mi saluta con un abbraccio.

 

**********

 

Quando il mattino seguente varco la porta dello studio di Christian, pronta – più o meno – per affrontare una nuova giornata di scarabocchi, tutto quello che vedo è la scrivania vuota. Chiudo la porta e mi avvicino, notando un post-it attaccato su un plico di fogli accuratamente impilati. Faccio il giro della scrivania e lo stacco delicatamente.

Per Elettra – questi sono i successivi tre capitoli da correggere.”

Mentre l’area destra del mio cervello è impegnata a osservare la curva delicata della E, l’area sinistra si chiede cosa significhi questo biglietto: verrà? Non verrà? Perché è stato così sintetico?

Con uno sbuffo nasale degno del toro Ferdinando, mi tolgo il trench e lo poggio sulla sedia. Senza pensarci, mi siedo sulla poltrona di Christian. Con tutta probabilità non lo scoprirà mai.

Questa stanza profuma di lui. Con la coda dell’occhio vedo che ieri ha dimenticato la sciarpa qui. Non ho pensato di alzarmi e annusarla, no.

E se l’ho fatto, comunque, è perché mi piace Hugo Boss. Giusto per puntualizzare.

 

***

 

A metà mattinata mi decido a uscire da quella stanza.

«Ehi Elettra, ci sei anche tu? Ho visto il tuo ufficio vuoto, pensavo non ci fossi.» Mi dice Danny sorpreso quando mi vede.

«Sì, sto lavorando qui con Christian. Che non c’è, in effetti. Vabbè.» Clara mi lancia un’occhiata strana. Che vuole, quella secchiona antipatica? Scuoto la testa, disinteressata, e attraverso il corridoio per andare da Alexandra. Nel tragitto incrocio Tony.

«Buongiorno! Hai resistito parecchio, pensavo di vederti vagare piagnucolando molto prima.» Mi dà un bacio sulla tempia e io lo guardo perplessa.

«Perché dovrei vagare piagnucolando?» Un formicolio mi attraversa la nuca quando credo di aver indovinato la sua risposta.

«Perché tuo marito ti ha abbandonata.» Ecco. Se non avesse questa faccia da bambino cresciuto lo picchierei. O proprio per questo dovrei picchiarlo? Mi sa la seconda.

«Simpatico come un dito chiuso nella sedia a sdraio.» Replico, spazientita.

«Ahia.» Fa una smorfia di dolore all’idea e mi dà una pacca sulla spalla. «Ci vediamo dopo, se ti senti troppo sola ti vengo a fare compagnia. Non lo dico a Christian, tranquilla.» Sorride accattivante. Mi sembra Jafar, il cattivo di Aladdin.

Fingo stupore ed eccitazione. «Non mi dire, sarà il nostro piccolo segreto?» Poi torno subito seria e lui scoppia a ridere.

«Sei adorabile. A dopo, piccola.»

Piccola? Piccola? Razza di donnaiolo andato a male.

«Alex, sai mica che fine ha fatto Christian?» Chiedo, appoggiando i gomiti al banco della reception. Lei mi guarda coi suoi occhioni blu.

«Mmm, è venuto stamattina presto ma è dovuto subito andare via. Problemi di famiglia, credo. Non ho indagato.» Mi domando a che ora arrivi questa tizia: all’alba? Scaccio il desiderio di chiederle se ha lasciato detto qualcosa, o almeno se sa che tornerà, grattandomi il capo come se questo prurito fosse dovuto alla curiosità morbosa che mi sta divorando lo stomaco.

«Va bene. Grazie.» Mi costringo ad andarmene. Torno nella stanza di Christian e mi siedo di nuovo al suo posto. Sprofondo nella poltrona e mi puntello coi piedi contro il pavimento girando a destra e a sinistra come a cullarmi. Sembro una pazza invasata, lo so.

Guardo fuori dalla finestra. Da qui si vede benissimo tutta la strada principale, Starbucks incluso, e l’incrocio che porta alla metropolitana. Come se stessi ascoltando una registrazione, mi vengono in mente le parole di Rachel: l’ho visto osservarti dalla finestra del suo studio più di una volta quando andavi via. Sospiro. Ci pensate? Magari è un maniaco che mi spia.

Scuoto la testa e mi rigiro verso la scrivania.

Basta, Elettra. Focus. Concentrazione.

Mi armo di penna rossa e riprendo a leggere da dove avevo interrotto.

 

***

 

A circa mezz’ora dalla pausa pranzo, getto la penna sulla scrivania, stizzita.

Che fine ha fatto quel maledetto codino biondo? Dannazione, ora mi preoccupo. Non ha nemmeno telefonato, niente di niente. Mi lascia qui a sbrigare un lavoro di cui non so praticamente nulla, con un misero post-it e la sciarpa che continua a emanare il suo profumo come se fosse un nebulizzatore per ambienti.

Mi massaggio le tempie, cercando di respirare a ritmi lenti e regolari. Sto pensando di chiamare Rachel o Anne, per disperazione, quando improvvisamente la porta si apre.

Alzo di scatto lo sguardo e lo vedo. Giubbotto di pelle, maglia nera e grigia, occhiali da sole. (*) Sembra appena uscito da Top Gun. Non l’ho mai visto in tenuta “sportiva”. Wow.

Si toglie gli occhiali e mi rivolge un sorriso sorpreso. «Mi assento per mezza giornata e già mi soffi il posto?» Si avvicina alla scrivania e alza una mano, portandola a qualche centimetro dai miei capelli. «Posso scompigliarteli? Dai, una volta sola.» Quasi mi fa il musetto da cucciolo. O da orsacchiottone, come dice Rachel.

Alzo le mani, consegnandomi al nemico, e lo lascio fare. Chiudo gli occhi quando sento le sue dita tra i capelli e non posso fare a meno di sbuffare, tanto per ricordargli quanto mi dia fastidio questo gesto. Li riapro quando sento la sua mano spostarsi sulla mia guancia e lo vedo chinarsi su di me per posare un lieve bacio sull’altra.

«Hai lavorato bene senza di me?» Si toglie la giacca e si siede di fronte a me, sulla sedia dove dovrei stare io. Ormai sembra essersi capovolto tutto. Maledetti sogni e maledette Rachel e Anne e Eva e Tony e Lily e tutti quanti. E Violet, ovviamente, altrimenti s’offende.

«Una favola.» Mormoro, poco convinta. Oggi Elettra non è in sé. No, per niente. Questa giornata sta andando di male in peggio.

Mi domando se dovrei chiedergli se va tutto bene, poi mi dico che è meglio farmi gli affari miei. Sì. Mostrarmi interessata non è la migliore delle mosse.

«A cosa sei arrivata? Fammi vedere.» Mentre gli porgo il plico, si sente lo squillo del telefono interno. Alzo la cornetta e la passo a Christian.

«Sì? Ah, sì, fallo entrare. Grazie.» Rimetto la cornetta al suo posto e mi chiedo chi stia per entrare. Il mistero è presto svelato.

Un tizio in impermeabile fa il suo ingresso e Christian si alza per andargli a stringere la mano. Imbarazzata, mi sposto e torno alla mia posizione originale. Poi ci ripenso e mi metto in un angolino, lasciando che il tizio si sieda davanti alla scrivania.

«Salve.» Noto che Christian ha perso il sorriso ed è fin troppo serio mentre invita il tizio ad accomodarsi. Lui scuote la testa e poi mi guarda. Quando incrocio i suoi occhi, aggrotto la fronte. Io questo tipo l’ho già visto. Cerco di fare mente locale e dopo un po’ ci arrivo: l’ho visto al night club due o tre volte. Ora sono ancora più confusa. Come si conoscono lui e Christian? Che razza di gente frequenta?

Anche lui sembra riconoscermi e viene a stringermi la mano. «Sergei.» Si presenta, e io rispondo pronunciando il mio nome. «Tu sei ragazza del Vagabond?» Chiede con un forte accento russo, e vedo che Christian si irrigidisce.

«Lei è la nostra traduttrice, Sergei. Era al Vagabond per errore.» Mi lancia un’occhiataccia e io mi sento arrossire. Fortuna ha voluto che non ci incontrassimo più, e io ho accuratamente evitato di dirglielo, ma al night club ci lavoro ancora nei weekend.

Il russo mi scruta pensoso. «Mmm… capisco.»

«Elettra, puoi scusarci un attimo? Ti chiamo appena ho finito.» Annuisco alla richiesta di Christian ed esco dalla stanza, ancora più turbata.

 

Nei quindici minuti seguenti, fisso il telefono senza ricevere nessuna telefonata. Ho giocato circa trentasei volte a solitario – vincendo solo dieci partite – e sette volte a scacchi, imbrogliando col comando ‘annulla’ – e perdendo lo stesso.

Quando Mike passa col solito blocchetto a prendere le ordinazioni per il pranzo, gli comunico distrattamente la mia e vado in bagno a lavarmi le mani. Approfitto anche per fare la pipì, va. Seduta sulla tazza del water, mi rendo conto di essere proprio giù di morale, senza sapere neanche il perché.

Belle queste rivelazioni nel momento del ‘bisogno’.

Sto impazzendo, sì, è ufficiale.

«Oggi si pranza in sala riunioni!» Sento dire da qualcuno quando esco dal bagno, e la notizia non fa che peggiorare il mio umore. È sempre così, quando vuoi startene per i cavoli tuoi ti costringono a stare in mezzo al mondo intero.

La prima persona che vedo in sala riunioni è Lily, che agita la mano per attirare la mia attenzione. Vado a sedermi accanto a lei e le sorrido. Sorriso tirato, ma almeno è un sorriso.

«Non ti ho proprio vista tutta la mattina, stai bene?» Mi chiede, e io annuisco distrattamente. Nel frattempo i posti a tavola si riempiono e fanno il loro ingresso anche Martin e Christian; quest’ultimo viene a sedersi alla mia sinistra, come d’abitudine.

Iniziamo a mangiare e per un po’ si sente soltanto il rumore di forchette, bottiglie d’acqua e un lieve chiacchiericcio di fondo. Poi Martin si schiarisce la gola e attira l’attenzione di tutti.

«Ragazzi, come ben sapete ogni anno alla Macmillan Publishers organizziamo un viaggio di circa una settimana nel periodo natalizio, a cui tutto lo staff è libero di partecipare. A beneficio di Elettra, ripetiamo che è tutto pagato dal sottoscritto – chiaramente in misura al fatturato della società al quale contribuite anche voi, cari dipendenti – e che la meta si deciderà mettendo ai voti le varie destinazioni che proporrò.» Tutti parlottano eccitati scambiandosi commenti e sguardi felici. «La novità di quest’anno» prosegue poi Martin «è che il viaggio sarà anticipato a Novembre.» Aspetta che tutti abbiano assimilato la notizia e va avanti, spiegandone il motivo: «A dicembre abbiamo preso dei lavori importanti e acquisito nuovi autori, grazie anche al prezioso impegno del nostro redattore, quindi con tutta probabilità non avremo tempo di organizzare e prendere parte al viaggio in quel periodo.»

Wow. Un viaggio tra colleghi.

Oh no. Un viaggio tra C O L L E G H I. Dove la C sta sicuramente per Christian.

«Nancy vi girerà una mail con le destinazioni. Avete una settimana per rifletterci e confermare la vostra partecipazione.»

«E se volessimo proporre una meta diversa?» Chiede Tony, passandosi una mano sul pizzetto.

«Questa è una dittatura, non l’hai ancora capito?» Scherza Martin, strappandoci una risata. «Certo, potete proporre una destinazione a testa senza varcare i confini del territorio americano. In ogni caso, avete parecchia scelta.» Dice, pulendosi poi la bocca col tovagliolo. «Ah, ricordo che potete portare una persona con voi, ma a vostre spese. Dovete comunicarmelo ugualmente, per farla rientrare nel numero che darò all’agenzia. Detto ciò, andate in pace.» Conclude, e chi ha finito di mangiare, come me, si alza e va via, sparpagliandosi nel corridoio. Io vado diretta all’ascensore. Premo il pulsante di chiamata e mi volto quando qualcuno mi affianca.

«Allora, che te ne pare? Nemmeno un mese e mezzo che sei qui e già ti portiamo in giro per il mondo.» Mi punzecchia Christian con un sorriso. Quel plurale sottintende la sua partecipazione, suppongo. E certo, come potrebbe mancare il redattore nonché mio persecutore personale?

«La tua adesione è un forte deterrente a restarmene qui, sai?» Gli dico mentre entriamo nell’ascensore.

«Coooosa? Ho sentito “restarmene qui” o mi sono impressionata?» La voce squillante di Lily ci raggiunge ancora prima di vederla entrare insieme a noi. «Non fare l’asociale del cazzo, per favore. Scusate il termine. Duke, è vero che deve venire anche lei? È vero? È vero?» Oddio, penso mentre mi porto una mano sulla fronte, questi mi ci portano di peso.

«Non starla a sentire, sta blaterando, poverina. Certo che verrà.» Risponde Christian battendo piano la mano sulla mia testa come si fa a un bambino scemo per assecondare i suoi scleri. Lo guardo torva, allontanando la sua mano con uno schiaffo. Lily sorride a sessantacinquemila denti.

«Ci divertiremo un sacco!» Batte le mani eccitata.

«Sì, sì, certo.» Mormoro distrattamente mentre usciamo dalla cabina dell’ascensore. Sto aprendo la porta della mia stanza quando la mano di Christian si posa sulla mia spalla, costringendomi a guardarlo.

«Appena ti sei sistemata ci vediamo nel mio ufficio per continuare con la correzione.» Mi comunica e io annuisco mentre osservo Lily tornare alla scrivania accanto a quella di Danny. Quando apro la casella e-mail noto che Nancy ha già fatto il suo dovere.

 

 

Da: Nancy Bishop – Amministrazione

A: Staff

Oggetto: Destinazioni viaggio Novembre 2012

 

Come anticipato da Martin, ecco le dieci possibili destinazioni del viaggio di quest’anno:

·         Vancouver

·         Toronto

·         Philadelphia

·         Sacramento

·         San Diego

·         Manhattan

·         La Paz

·         Panama

·         Havana

·         Caracas

Potete rispondere entro le ore 16:00 a questa e-mail per suggerire un’altra meta. Nel caso in cui una destinazione fosse proposta da più persone, l’elenco sarà aggiornato entro le ore 17:00. Da domani potete invece comunicare le vostre preferenze definitive – due al massimo – inviando un e-mail con le destinazioni che avete scelto ed eventuali richieste particolari (posti extra, partenze anticipate/posticipate etc.)

 

Buona giornata e buon lavoro.

 

Nancy Bishop

Amministrazione Macmillan Publishers Ltd.

 

 

Ah, però. San Diego, Toronto... wow.

Devo dirlo a Eva. Morirà d’invidia. Chissà che non possa venire anche lei...

Mentre ci sto pensando la spia rossa del telefono indica che sto ricevendo una telefonata da un interno. Alzo la cornetta e prima che possa rispondere sento: «Vota PANAMA!»

«Lily?»

«No, Babbo Natale. Chi altro ha una voce così carina?»

«Così stridula, vorrai dire.»

«Non cambiare argomento e domani vota Panama. Se non sei convinta vai un po’ a cercare le immagini dei litorali panamensi su Google.» E riattacca. Poi richiama. «Anzi, te le invio per posta. Poi cancella l’e-mail.»

Due secondi dopo Outlook mi avverte della ricezione di un nuovo messaggio di posta elettronica con mittente Lilian Bradshaw. Apro e mi trovo davanti due fotografie giganti che ritraggono un mare dalle mille sfumature di blu e spiagge chilometriche di sabbia bianchissima. Eh, beh. Non male. Chiudo e decido che ci penserò domani.

 

***

 

Quando apro la porta dello studio di Christian, lo trovo al telefono. Mormora un “Mh, d’accordo” e attacca.

«Mi hanno appena minacciato di morte se non voto Panama.» Mi informa, mentre mi siedo.

«Anche a me. La minaccia non era esplicita, ma adesso che mi ci fai pensare il tono coercitivo e il ringhio di sottofondo c’erano tutti.» Rispondo, con aria grave.

«Non hanno capito che posso farli licenziare in tronco per mobbing?»

«Interessante. Dovrei pensarci anch’io.» Replico con un ghigno. Lui mi dà una spintarella sul braccio e iniziamo a lavorare.

«Partecipate tutti, al viaggio?» Gli chiedo dopo un po’. Christian alza lo sguardo dal foglio e ci pensa su.

«L’anno scorso sì, mancava solo Clara mi sembra. Però c’erano Margot e Jessica, la vecchia traduttrice. Siamo andati a Santa Monica, uno spasso.» Racconta esaltandosi. «Sembra di tornare alle gite scolastiche. Dal viaggio vero e proprio, alle stupidate in albergo... no, non puoi non venire.» Dice alla fine. «Devi.»

«Ehi, ehi, questo è mobbing. Attento.» Lo prendo in giro. «Ti faccio mettere in camera con Thomas.»

Lui fa spallucce. «Io non ho nessun problema nei suoi confronti. Nemmeno lui, sotto sotto, o almeno niente di personale. È Martin che mette tutta questa pressione per fargli dare il massimo.» Spiega. «In ogni caso preferirei stare in camera con Tony, se proprio dovessi scegliere.» Sì, già ce li vedo. Tony darebbe il meglio di sé, proprio.

«Spero di non capitare accanto a voi, allora.» Commento con una linguaccia.

«Non so se Thomas verrà, comunque. Di solito viene in compagnia, con suo fratello – che ora mi sembra stia in Svizzera per uno stage – o con la sua ragazza. Beh, ex, adesso.»

Le rotelline del mio cervello girano come ballerine del San Carlo. «Sai, a proposito di Thomas... mi serve il tuo aiuto.» Dico dopo un po’, con tanto tanto tanto sforzo.

Christian si volta a guardare fuori dalla finestra e poi torna a puntare quell’azzurro su di me. «Scusa, controllavo se era in corso qualche uragano.»

«Ah-ha, quanto sei spiritoso.» Mi compiaccio della sua risata e proseguo. «Seriamente, ho un’idea. A Rachel piace Thomas.» Quando sente queste parole, Christian posa la penna e incrocia le mani sotto il mento.

«Uh, non mi dire.» Sbatte in modo volutamente leggiadro le palpebre, fingendosi estremamente interessato. Gli allungo uno spintone e lui torna serio. Forse. Alza le mani e mi incita a proseguire.

«Pensavo che dovremmo fare qualcosa. Insomma, a me sembrano carini insieme. Lei è completamente persa, lui non mi è sembrato dispiaciuto ieri. Almeno, potrebbero provarci. E lei potrebbe distrarlo dall’ossessione di avere la meglio su di te. Quest’unione va anche a tuo vantaggio. Che ne pensi?» Gli chiedo, sorridente.

«Ma tu non sei contro l’amore e le relazioni e la vita sociale in genere?» Mi domanda in risposta, alzando un sopracciglio.

Sbuffo. «Non quelle degli altri.»

Christian annuisce lentamente, valutando la cosa. «Ti aiuto solo se vieni a bere qualcosa con me.» Ahhhh, di nuovo?! «Stasera.» Conclude, con l’aria di chi sa che ha già vinto.

«Infimo ricattatore.» Sibilo, ormai con le spalle al muro. Lui mi sfiora la punta del naso col dito e poi si alza per prendere il cellulare che sta squillando nella tasca del suo giubbotto.

«Lo prendo come un sì.»

 

**********

 

«Allora, Hitch, cos’hai in mente?»

Siamo seduti a uno dei tavolini bianchi dell’Ocean’s Ten Lounge Bar, illuminati ancora per poco da un sole arancione che sta scomparendo oltre la linea dell’orizzonte. La brezza fresca mi scompiglia i capelli, provocandomi un piacevole brivido lungo la schiena.

Una giovane donna dai capelli neri ci ha appena portato le nostre ordinazioni. Christian ha insistito perché prendessi la ‘specialità della casa’: l’Ocean’s Ten Daiquiri. Ha un aspetto davvero invitante, se proprio devo ammetterlo.

«Non ho nulla in mente, è per questo che ho chiesto il tuo aiuto.» Replico come se fosse ovvio. «Potevo chiederlo a Lily, ma non mi ispira esattamente discrezione. Nancy è sempre super indaffarata, e Tony non ne parliamo proprio. Farebbe un annuncio mondiale a reti unificate.»

«Lo prendo come un “sei tutto quello che mi resta” e non come un “sei la mia ruota di scorta”.» Dice, scuotendo la testa. «Anche se sono praticamente la stessa cosa.»

«Prendilo come un “sembri il più affidabile”.» Suggerisco, e lui sembra soddisfatto della risposta. «Cavolo, è buonissimo!» Esclamo dopo aver assaggiato il mio drink.

Christian mi sorride con l’aria di chi sa il fatto suo. «Potevo mai consigliarti male?»

«Ah però, modesto.» Fingo sorpresa. «Fammi assaggiare il tuo. Cosa c’è dentro?» Mi sembra che si chiami Miami Vice, ma non ho idea di quali siano gli ingredienti. Christian mi allunga il bicchiere.

«È un mix tra piña colada e daiquiri alla fragola. O al lampone, non ricordo.» Tiro un sorso dalla cannuccia e mugolo di soddisfazione.

«Anche questo è buonissimo!» Ci devo venire con Rachel, penso, mentre restituisco il bicchiere al suo proprietario. «Adesso torniamo a noi, però.» Cerco di riportare la conversazione al suo topic originale. Christian annuisce e ci pensa su.

Qualche istante dopo, alza l’indice. «Credo di avere un’idea.»

 

 

~ Note

Splendori! Sono tornata! (Potevi anche restartene dov’eri, dite voi.)

Mi piace tanto questo capitolo, le cose si iniziano a smuovere anche se Elettra è come al solito satura di pisellaggine, ma Christian non demorde. Voi fate il tifo per lui e vedrete che prima o poi griderete al miracolo. (Dite la verità, avevate sperato in qualcosa durante l’aperitivo!)

Novitààààà: il viaggio!

Novitààààà n. 2: il piano “Cupido”!

Riusciranno i nostri eroi a far incontrare Thomas e Rachel? E riusciranno i nostri altri due eroi a convincere Elettra a partecipare al viaggio? Già prevedo il peggio, devo ammetterlo.

Fatemi sapere che pensate di tutto ciUò, sono davvero interessata a conoscere i vostri pareri! Anche dei lettori/trici in passamontagna!

Per premiarvi in anticipo, vi lascio uno spoiler succoso:

 

Quando il suo viso si trova sopra il mio, penso che non vorrei essere in nessun’altro posto al mondo. Il suo sguardo è titubante, incerto, sembra aspettare ancora qualche altra conferma.

 

Un abbraccio accaldato,

Sara.

 

   
 
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