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Autore: HamletRedDiablo    16/01/2013    1 recensioni
Un mondo dove gli esseri umani vivono arroccati nelle Cattedrali, sotto la protezione degli Esorcisti e la minaccia congiunta di angeli e demoni. Un legame che non sarebbe mai dovuto nascere, tra due uomini che non si sarebbero mai dovuti amare.
Dal primo capitolo:
Un essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse quel pensiero facendo scivolare le dita sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo accelerato. Era sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita, fossero stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
[...]
«Deimos, tu mi ami, non è così?»
(Storia MOMENTANEAMENTE INTERROTTA, in fase di REVISIONE. Mi scuso per il disagio, l'Esorcista e il demone torneranno quanto prima su questi schermi)
Genere: Erotico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Due

«Il Principe ha difeso un umano! »

 

Deimos spiccava nella folla come una goccia di sangue sulla neve, a discapito dei suoi sforzi per assomigliare ad un umano comune.

Nonostante riuscisse ad imbrunire i suoi occhi in un castano intenso, non poteva cancellare la loro sinistra sensualità, capace di far rabbrividire di terrore e piacere al contempo. Così come i suoi lineamenti non potevano essere in alcun modo sbeccati in un viso ordinario, o la sua flessuosità mascherata con movimenti volgari.

Deimos pareva divertirsi, immerso nella rumorosa folla del piano sotterraneo, riservato alla gente comune. Si era cosparso il viso con un sorriso furfantesco e una manciata di malizia, e stava lì, ad attendere gli inevitabili approcci della marmaglia tutt’intorno.

I demoni erano troppo orgogliosi, e gli angeli troppo superbi: nessuno di loro si lasciava andare al rossore con la facilità delle donzelle di fronte a lui, e a nessuno tremavano le labbra come ai ragazzi che gli si avvicinavano, ancora non del tutto consapevoli dell’emozione che gli torceva le viscere. Gli umani erano molto più spassosi da sedurre: l’ingenuità tingeva le loro guance di mille sfumature diverse, dal rosa pallido al porpora congestionato, l’imbarazzo li faceva quasi ballare sul posto; quando poi i loro occhi cominciavano a saettare per la stanza, incapaci di sostenere il suo sguardo, Deimos sentiva una risata nascergli dal pozzo nero che aveva al posto del cuore. Avrebbe voluto avere a che fare con gli umani più spesso; in fondo, lui non voleva mangiare le loro anime come i suoi fratelli. Voleva solo confonderli, stregarli fino a portarli al tracollo, come era nella sua natura di Peccato Irrazionale.

Lastar sopraggiunse nella sala gremita, e vide un gruppo di giovani attorniare il demone con fare concitato. Le femmine parevano ipnotizzate dai suoi occhi scuri e dal modo in cui inclinava la testa per ascoltarle, mentre i maschi stavano provando quel misto di smarrimento e attrazione che il diavolo riusciva a stimolare con la sua voce modulata.

Conosceva quella sensazione fin troppo bene. Era stata la sua compagna costante, durante le prime visite del demone.

Deimos rialzò lo sguardo, lo scorse, e i suoi occhi divennero due strette mezzelune di scaltrezza. Spostò lo sguardo sulla ragazza alla sua destra, per alimentare l’incendio sulle sue guance quando la afferrò per la vita e la strinse a sé. Dopodiché, lanciò una seconda occhiata a Lastar, venata di sadica soddisfazione.

Per tutta risposta, l’Esorcista inalberò gli occhiali.

«Ordini del Messo Celeste» annunciò. La sala piombò improvvisamente nel silenzio; alcune persone trasferirono la loro attenzione sul soffitto o sui piedi, vergognose di non essersi accorte prima dell’arrivo dell’Esorcista.

«Lo straniero passerà la notte altrove» continuò, serrando le palpebre quando un brusio di malcontento si gonfiò nella calca.

«Oh, ti prego, Lastar» si lagnò la ragazza più spavalda del gruppo. «Fallo stare ancora un po’.»

«Sì, Lastar.»

Il tono del demone strisciò sulla sua caviglia come un serpente, e si inerpicò sul corpo fino ad insinuarsi nel suo orecchio con una carezza leziosa. L’Esorcista trattenne un brivido; ancora non aveva capito come Deimos riuscisse a rendere la sua voce così palpabile.

«Fammi restare ancora un po’» tutto il sangue della giovinetta che il demone abbracciava doveva essersi addensato sulle guance a giudicare dal calore e dalla tinta paonazza che emanavano.

«Sono ordini superiori. Non posso disubbidire. E nemmeno tu» Lastar pressò volutamente sull’ultima parte della frase. Non aveva intenzione di discutere con lui: era frustrante ed infruttuoso quando erano soli, e lo sarebbe stato maggiormente se circondati da una folla che appoggiava il diavolo.

Le ciocche ondulate sembrarono ridere assieme alle labbra quando Deimos scosse la testa.

«Sono subito da te» il demone lasciò andare la fanciulla, che riprese gradualmente un colorito normale, e fendette la folla fino a raggiungerlo.

Non aveva ancora stabilito se il modo in cui Deimos ancheggiava fosse studiato o involontario: qualunque fosse la verità, era sufficiente a catturare l’attenzione delle persone intorno a lui. Come avvenne anche quella sera. Lastar desiderò che il diavolo si fosse chiuso il mantello sulle spalle, anziché portarlo ripiegato sul braccio.

«Andiamo» con quella parola cercò di troncare in un colpo solo ogni possibile recalcitranza del demone o proteste da parte dei civili. La folla espresse il suo dissenso con sbuffi sonori, mentre Deimos si avviò al suo seguito docilmente. Escludendo il secondo in cui si voltò per lanciare un bacio alla fortunata ragazza di poco prima e vederla avvampare di nuovo fino alle orecchie.

«Voi umani siete proprio divertenti» ridacchiò Deimos, saltellando al suo fianco.

«Non siamo giocattoli» fu la brusca difesa di Lastar.

Una folata colorata gli spazzò il cammino, e l’Esorcista si rese conto che il demone si era appena aggrovigliato di nuovo il petto con le sue corde piene di stracci. Non voleva nemmeno sapere come le avesse nascoste fino a quel momento.

«Non ho detto che lo siete» cinguettò tranquillo Deimos, saltandogli praticamente davanti ai piedi per il gusto di vederlo inciampare. Lastar gli negò quella gratificazione: lo anticipò di un secondo e lo fissò truce finché il diavolo non tornò al suo posto.

«Era un complimento» chiarì. La seconda volta, l’Esorcista non riuscì a schivare il suo attacco: la piroetta con cui Deimos si spostò fu troppo veloce, e Lastar si ritrovò con il petto del diavolo premuto sul suo fianco. Il lamento del ragazzo venne articolato contro la sua costola:

«I demoni e gli angeli spesso sono noiosi.»

«Non credo che siano discorsi adatti ad un corridoio pubblico» cercò di frenarlo Lastar. Ovviamente l’altro, anziché acquietarsi, rincarò la dose:

«Ma è la verità! I demoni… quelli superiori, intendo, quelli inferiori sono degli scarti bavosi che non toccherei nemmeno con la punta di un bastone» il diavolo gli pizzicò un fianco, come se questo lo aiutasse a riconnettersi al filo principale del discorso. «I demoni superiori sono troppo innamorati della propria fierezza: cercare di sedurli è come stuzzicare una parete di granito. Solo io ogni tanto riesco a strappargli qualcosa. Comunque, in camera da letto…»

«Deimos, non voglio essere aggiornato sui vizi notturni della tua razza» lo interruppe Lastar.

«Davvero?» la gamba del demone si allacciò alla sua vita, per permettere al viso diabolico di raggiungere la mascella dell’Esorcista. «E dire che ci sono delle cose molto interessanti da…»

«Deimos

«Gli angeli» proseguì serafico il diavolo, come se l’altro non avesse mai urlato. Scese dalla sua scala umana e seguitò a meditare ad alta voce, gesticolando incoerentemente: «Al contrario, gli angeli sono troppo gonfiati dalla propria perfezione. Sempre a fare un’espressione disgustata come se sentissero puzza di cadavere. Danno il peggio di sé, e poi si pentono per settimane.»

«Danno il peggio di sé?» gli fece eco l’Esorcista.

«Quando si accoppiano con me. Cadono in tentazione, si pentono e poi cadono di nuovo e il ciclo si ripete. I demoni, invece, nella maggior parte dei casi sono sadici» le orecchie vennero quasi spinte fuori dalla testa tanto fu ampio il sorriso malevolo di Deimos: «Forse sono cose come queste che offendono il tuo udito delicato?»

Gli occhiali vennero sollevati, le palpebre stropicciate e le lenti rimesse al loro posto.

«Non hai il minimo pudore?» sbuffò Lastar, il respiro gravato da un principio di emicrania.

Deimos scollò le spalle, con disarmante noncuranza.

«Tu sei un Esorcista, e uccidi i demoni. Io sono il demone del Peccato Irrazionale, e seduco le persone. O faccio crollare le loro convinzioni. O le porto alla pazzia. Ognuno ha il suo compito.»

«Io non parlo di come squarto i demoni» replicò l’altro.

«Potresti anche farlo. Non mi interessa e non mi infastidisce.»

Un fruscio, una nota di un profumo conturbante nell’aria e Deimos l’aveva sorpassato.

Le parole del diavolo fecero scattare una scia di ricordi nella mente dell’Esorcista. La memoria gli gettò nel naso l’afrore sulfureo della pelle squamosa dei demoni inferiori e le mani avvertirono di nuovo il peso del sangue versato in quella giornata. I momenti della lotta ripresero vita nella sua mente.

 

***

 

Aveva affrontato battaglie assai peggiori, nonostante l’inferiorità numerica: i satanassi di quel rango infimo erano mossi dall’istinto e non dall’intelletto. Erano bestie cieche e furiose, ed era sufficiente schivare i loro assalti e colpirli: non avevano abbastanza cervello per pianificare un contrattacco. Non erano lotte impegnative come quelle ingaggiate con i demoni di classe superiore, aguzzi nella furbizia e nelle arti magiche.

Deimos si era unito a quella battaglia perché affamato, e aveva lacerato la gola ai primi due abomini che gli si erano gettati addosso, nutrendosi del loro sangue e del loro spirito. Ne aveva uccisi altri tre per placare la sua sete, mentre Lastar si occupava dei restanti: la lama Vampira turbinò nell’aria tingendola di spruzzi rossi, e le membra recise dei demoni ricaddero al suolo, le terminazioni nervose che ancora si muovevano.

Una delle bestie primordiali si avventò sulla schiena dell’Esorcista, e tentò di cavargli gli occhi con le unghie scheggiate. Ma prima che le sue dita adunche avessero raggiunto le lenti degli occhiali, una mano dai nerbi di acciaio si era stretta attorno al suo collo ossuto, spezzandolo con una semplice pressione del pollice.

Lastar colse un movimento alle sue spalle, ed il corpo inerte dell’abominio ricadde al suolo polveroso, le pupille immobili e il collo ritorto in un modo orribile.

«Il Principe!» gracidò l’ultimo satanasso rimasto, graffiandosi il muso gonfio. «Ucciso dal Principe! E il Principe non l’ha mangiato! Ha difeso l’umano! L’ha ucciso per difendere un umano!»

Lastar sentì grido di quella bestia scorticargli il petto.

Deimos veniva a infastidirlo di continuo, da quando quello strano rapporto di schermaglie si era instaurato tra di loro; la sua presenza insolente era pressoché scontata. E la leggerezza con cui il diavolo trascorreva del tempo in sua compagnia gli aveva quasi fatto dimenticare che mai, mai e poi mai un demone sarebbe diventato l’alleato di un Esorcista. Non erano amici, non erano compagni: erano solo un giullare e uno spettatore irritato. Questa era la giustificazione ufficiale.

Eppure, Deimos aveva appena ucciso, e aveva lasciato il cadavere perfettamente intatto. Non aveva ammazzato un altro demone per mangiarlo, ma per difendere lo stesso Esorcista che un giorno avrebbe potuto levare la spada contro di lui. Solo in quel momento si rese conto di quanto la loro strana relazione fosse distorta: era innaturale uccidere un proprio compagno per proteggere un potenziale nemico.

«Il Principe si è venduto agli umani! Il Principe si è venduto agli umani!»

Lo avrebbe ripetuto infinite volte se Deimos non avesse posto fine a quello strazio recidendogli la gola con un colpo di taglio: la pelle si aprì sotto le unghie del Principe, vomitando un mare di sangue violaceo in cui si accasciò il corpo senza vita della bestia.

Lastar poté scorgere la genesi infernale di Deimos nel modo in cui si ripulì le dita: le scrollò nell’aria con un’espressione di gelido disprezzo, estremamente seccato. Aveva combattuto fianco a fianco con i veterani dell’Ordine, e sapeva quanto un guerriero potesse diventare freddo durante una battaglia: era un requisito essenziale per non farsi manovrare dal panico. Tuttavia, l’orrore sotterraneo per la morte perdurava anche negli occhi asciugati dalla guerra, come una minuscola scintilla in mezzo ad una montagna di cenere. Deimos non possedeva quel bagliore: vi era solo polvere nelle sue iridi.

Era stato rapido nel ricomporre sul viso la solita farsa canzonatoria: aveva ripreso a saltellargli intorno e a martoriargli i nervi con ineffabile facilità.

Poi gli aveva proposto il patto: una notte alla Cattedrale in cambio dell’aiuto ricevuto. E Lastar, ancora perso nella palude dei suoi pensieri, aveva accettato quasi inconsciamente.

 

***

 

Il profilo di Deimos si intagliò perfettamente nella cornice della vetrata gotica.

Il demone si era fermato davanti alla finestra oblunga, apparentemente assorto nel fissare la luna al di là del vetro a mosaico. La luce argentea colava in un pallido bagliore sul volto del giovane: alcuni riflessi perlacei si impigliarono nelle lunghe ciglia e nella curva carnosa delle labbra; la natura stessa sembrava cospirare per incrementare l’aura ammaliatrice del Principe.

Lastar si fermò istintivamente, a qualche passo di distanza da Deimos, e fu costretto a stringere la croce in cui il suo rosario terminava per recuperare il controllo dei suoi pensieri.

«Hanno detto che ti sei venduto agli umani» la voce dell’Esorcista suonò ancora più bassa del solito tra le mura del corridoio vuoto. Deimos restò immobile per qualche istante, come se la contemplazione della luna lo avesse distratto dal resto del mondo.

Una mano salì pigramente a scuotere la movimentata zazzera corvina, ed un sospiro rotolò fuori dalle labbra del demone.

«Gli inferiori dicono tante cose. Non prestarci troppa attenzione.»

«E i tuoi familiari? Cosa diranno?»

Le spalle del diavolo si irrigidirono in un sospiro trattenuto; il mantello che portava appeso al braccio schiaffeggiò la parete alle sue spalle quando Deimos si voltò con una giravolta.

«Ti stai preoccupando per me?» il suo ghigno fendette l’oscurità, insinuante.

La mano di Lastar abbandonò il rosario: non voleva che l’altro lo vedesse aggrappato ad uno stemma.

«Un Esorcista e un demone non dovrebbero nemmeno parlarsi» gli ricordò greve Lastar.

«Le regole mi danno l’orticaria» si lamentò in un miagolio Deimos.

«Hai ucciso uno della tua stessa razza per difendermi.»

«Perché tu mi piaci, quello invece no.»

«Non puoi scherzare su tutto, Deimos.»

Le dita dell’Esorcista ebbero un guizzo, cercando istintivamente le armi: lo sguardo fiammeggiante che lo trafisse conteneva ogni fulgore maligno albergante nello spirito di un demone. Si fermò solo quando ricordò che quello che aveva davanti era Deimos.

«Non sto scherzando» il diavolo fece roteare il mantello, che andò ad appoggiarsi sulle sue spalle con un fruscio elegante. «Se fosse stato un qualunque altro essere umano, sarei stato a guardare mentre gli spolpavano l’anima. O forse no. Sai, sono disgustosi quando mangiano. Emettono dei suoni orribili» un passo, e il demone lo fissò ad un soffio dal viso mentre sibilava: «Tu mi piaci più dei tuoi simili. Per questo voglio aiutarti.»

«Avevi detto che tutti gli umani ti piacciono» replicò Lastar.

«Ho detto che sono più divertenti degli angeli e dei demoni. Questo non significa che rischierei di far arrabbiare Lucifero, mio padre, per salvare uno di loro.»

«Per me l’hai fatto.»

«Perché tu sei speciale, mio caro.»

«Non ti capisco.»

«Rinuncia a capirmi. In tanti hanno provato prima di te, e hanno tutti fallito» il demone roteò di nuovo su se stesso, la sua ombra nitida contro la finestra intarsiata. «Nemmeno io riesco a capirmi.»

Gli occhiali dell’Esorcista vennero rimossi, e le iridi cremisi si appuntarono sul compagno.

Da quando conosceva Deimos, aveva collezionato una serie di immagini su di lui: arrabbiato, allegro, triste, canzonatorio, serio, cinico, affettuoso… tutte maschere che il diavolo interscambiava con una rapidità da capogiro. Ma, qualche volta, era riuscito a carpire alcuni frammenti dell’anima più vera, quella che il demone stesso affermava di non riuscire a comprendere. Se non avesse visto quello spirito nascosto soffocare sotto i travestimenti del Deimos più plateale, probabilmente non si sarebbe tanto affezionato a lui.

Per un istante, gli parve di vedere quel barbiglio più spontaneo occhieggiare nelle ciglia abbassate del diavolo, nella linea malinconica della bocca.

Si portò abbastanza vicino da accarezzargli le onde indisciplinate dei capelli con una mano: le ciocche parvero rivoltarsi sotto le sue dita, in accordo con l’indole inafferrabile del demone.

Anche Lastar faticava a capire se stesso, quando si trovava in presenza di quel diavolo: in alcuni momenti voleva respingerlo con tutte le sue forze, in altri avrebbe voluto stringerlo a sé fino ad annullare tutto il resto. Si chiedeva se fosse la natura irrequieta del Principe a rendere così instabile perfino lui.

Deimos alzò uno sguardo scintillante di curiosità sull’Esorcista.

«Starò bene» lo rassicurò, scrollando la testa come un cagnolino. «Non è la prima volta che faccio arrabbiare mio padre. Ormai sono abituato.»

«Non è per quello che ti sto accarezzando.»

Il demone inclinò la testa, come i bambini quando non capiscono bene i discorsi degli adulti.

Le ciglia allungarono un’ombra affusolata sugli zigomi quando Deimos chiuse gli occhi e girò lievemente il viso. Le unghie del diavolo solleticarono delicatamente il polso dell’Esorcista, trascinando la sua mano lungo la levigata discesa della guancia. Lastar sentì il calore delle labbra del ragazzo riempire il suo palmo; anziché scostarsi infastidito, come avrebbe fatto di solito, adagiò anche l’altra mano sul viso liscio del diavolo, voltandolo gentilmente verso di sé.

Non vi fu traccia della consueta spigliatezza derisoria nel sorriso che illuminò gli occhi di Deimos, di nuovo sanguigni.

«È per questo che sei il mio preferito» sussurrò, carezzandogli il dorso delle mani con le unghie affilate. «Una gentilezza vale cento volte di più se fatta da una persona burbera.»

«Stai insinuando che ho un brutto carattere?» si risentì Lastar.

«Pessimo, mio adorato» ridacchiò Deimos.

La successiva sequenza di eventi fu così rapida che perfino l’occhio allenato dell’Esorcista faticò a districarla: il demone scostò le mani dell’altro dal suo viso, scattò in piedi, gli morse le labbra, si avviluppò nel mantello e annunciò:

«Grazie per la bella serata, Lastar.»

Dopodiché, tutto quello che rimase di lui fu uno sbuffo di fumo e un sentore di zolfo.

Lastar rimase fermo, raggelato dalla rapidità della successione di eventi. La sua mente intorpidita dalla sorpresa riuscì a spremere fuori un unico pensiero.

Deimos conosceva il teletrasporto; era una nozione impartita a tutti i membri della famiglia reale. Dunque non aveva alcun bisogno di un mantello che si trasformasse in paio di ali, per viaggiare. Allora perché si era agghindato in quel modo?

Una risposta risuonò nel suo cervello, assurda e plausibile al contempo: perché se avesse usato il teletrasporto per atterrare ai piedi della Cattedrale, non avrebbe potuto abbracciarlo.

Si afferrò le tempie con le mani e premette forte.

Era stata una lunga giornata, e, il mattino seguente, avrebbe dovuto istruire di nuovo una ciurmaglia di moccicosi. Aveva bisogno di riposare.

Si diresse verso la propria stanza reggendosi la fronte, la consapevolezza di essere il preferito del demone del Peccato Irrazionale – qualunque cosa quella frase volesse significare – appiccicata alle spalle.

 

***

 

La lunga coda nera si confondeva con la seta scura della camicia dell’uomo. Il colore rosso del nastro che tratteneva la capigliatura era della stessa tinta della cintura che gli fasciava la vita. L’ebano dei capelli si richiamava all’onice della montatura del monocolo, gli occhi purpurei si armonizzavano con le gocce di rubino che collegavano la lente al petto del giovane. Ogni colore ricollegabile ad un altro.

La cintura stretta senza creare pieghe superflue, la camicia impeccabilmente allacciata, i capelli perfettamente ordinati, perfino le ciocche più corte e scomposte ai lati del viso. Ogni parvenza di disordine ricondotta ad un rigore austero.

Lo conosceva bene.

Il diavolo che lo attendeva, adagiato sulla poltrona dell’atrio principale, sdegnoso e inflessibile, era Lazard, il demone del Peccato Razionale.

Suo fratello maggiore.

«Sei stato in piedi ad aspettarmi?» rise rumorosamente Deimos, avvicinandosi con una camminata sgangherata. «Non dovresti fare tardi. Ti verranno le rughe.»

Il fratello sistemò il monocolo, come per metterlo meglio a fuoco; intrecciò le mani sul proprio ventre e una sola parola si srotolò dalle sue labbra di ferro.

«Siediti.»

Deimos contorse tutto il viso in una plateale smorfia di risentimento, ma si lasciò ugualmente cadere sul tappeto di fronte alla poltrona.

Ignorava i comandi dei suoi genitori senza rimorsi – pur essendo consapevole delle conseguenze della sua condotta -, ma non riusciva in alcun modo a fare lo stesso con gli ordini del fratello. Forse era imputabile alla natura diametralmente opposta dei loro poteri: annullandosi a vicenda, non riusciva a inalberare la sua solita impertinenza con il maggiore. Oppure la causa era l’affetto smodato e immotivato che nutriva nei confronti di Lazard, sebbene quest’ultimo non avesse mai fatto nulla per accaparrarsi i suoi favoritismi.

«Qual è il problema?» Deimos si stese sulla pancia e prese a sgambettare nell’aria, il mento poggiato sui palmi, per sdrammatizzare quell’aria tesa.

Il trucco non funzionò. Lazard lo guardò con ulteriore riprovazione e scandì:

«Mi riferiscono che hai protetto un umano.»

Deimos incrociò le braccia sul tappeto e vi affondò il viso, mugolando:

«Avevo fame.»

«E ti sei nutrito. Ma ne hai ucciso uno in più.»

Lazard non usava mai perifrasi, nelle sue insinuazioni: ogni parola era una freccia diretta al cuore sporco dell’accusato. Al contrario del minore, che si perdeva costantemente in lunghissimi ed insensati giri di parole.

«Mi sono sbagliato» biascicò Deimos, ma il fratello non gli perdonò quel tentativo di fuga:

«Perfino tu non puoi sbagliare su queste cose. Non si spezza l’osso del collo di un appartenente alla propria razza per errore.»

Deimos rotolò su se stesso, ritrovandosi a fissare il fratello da una prospettiva rovesciata.

Il loro legame di sangue era scolpito nell’affinità dei lineamenti, nel pallore dell’incarnato e nel colore dei capelli e degli occhi; le loro differenze abissali erano rivelate dagli atteggiamenti. Scomposto su un tappeto il primo ed educatamente seduto in poltrona il secondo; la voce di Deimos, per quanto gradevole all’udito, compiva continui sbalzi di tono, mentre quella di Lazard rimaneva fissa sulla nota dell’alterigia. O del disprezzo, quando parlava con il suo scandaloso fratello minore.

«Te lo chiederò una volta sola» premise il maggiore. Il collo si stese aristocratico, ed il mento si sollevò con superbia. «Hai ucciso per difendere un umano?»

Sarebbe stato semplice mentire: lo aveva fatto in innumerevoli occasioni, quando i suoi compagni serali gli chiedevano se li amasse. Ed era un maestro nell’addobbare la verità con un numero così spropositato di fronzoli da farla sembrare una bugia. Ma non davanti al fratello: i suoi occhi indagatori laceravano il corpo delle sue commedie, lasciando integro solo lo scheletro della verità.

«Sì» fischiò Deimos.

Le palpebre si chiusero con un tremolio, ed il monocolo venne accuratamente riposto nel taschino. Lazard era arrabbiato. Tremendamente arrabbiato.

«Siamo demoni. Ci nutriamo di umani.»

«Io no.»

«Tu sei un degenerato.»

Il gelo di quell’insulto lo abbrancò alla gola, e Deimos rabbrividì vistosamente.

«Ci sono alcuni demoni che siglano dei contratti con gli umani per il solo piacere di vederli contorcere in una lunga agonia, e questo è l’unico contatto concesso al di fuori dell’uccisione. In nessun caso, per nessuna ragione, un demone degno di questo nome aiuterebbe un umano

«Lo so.»

«Se ne sei consapevole, comportati di conseguenza» lo rimproverò spietato Lazard. «Per questa volta, nostro padre ha deciso di essere clemente. Non sfidare oltre la sua pazienza. Se vuoi divertiti con quell’Esorcista, puoi farlo» il maggiore storse un angolo della bocca come se avesse sentito un odore poco gradevole: l’idea di un demone mischiato con un essere umano lo nauseava nel profondo. «Puoi condurlo al tracollo se lo desideri. Ma ricorda che è un nostro nemico: non devi in alcun modo aiutarlo. Limitati a fare ciò per cui sei stato creato.»

Il disgusto acido del fratello gli corrose il cuore, e Deimos si appallottolò su se stesso per contenere il dolore. Faceva male essere rifiutati a quel modo dalla persona che più adorava al mondo.

«Devo fare quello per cui sono stato creato» rifletté ad alta voce. Si girò veloce su un fianco e si issò a quattro zampe, e da quella posizione invitò il fratello: «Vuoi restare con me, stasera?»

Il viso di Lazard indietreggiò come se a parlare fosse stato un verme di palude; si rialzò dalla poltrona per mettere più distanza possibile tra lui e quella vergogna che era costretto a chiamare “fratello”, risistemò il monocolo al suo posto e dichiarò:

«Non nutro alcun interesse per un corpo lordato da mille accoppiamenti precedenti.»

Abbandonò la stanza senza voltarsi indietro. Era netto nelle sue azioni e nei suoi pensieri come una lama ben affilata: non si fermava mai a metà di un colpo.

Deimos crollò sul tappeto, e si rotolò su di esso senza sosta.

Lazard gli piaceva. Ma non poteva stare con lui perché il maggiore, al contrario, lo detestava.

Lastar gli piaceva. Ma non poteva stare con lui perché era un Esorcista.

Spalancò le braccia e le gambe formando uno strano pentacolo sul tessuto morbido sotto di lui.

«Sto facendo il mio lavoro» cantilenò, risentito. «Sto facendo impazzire me stesso.»






Ed eccoci al secondo capitolo XD

Grazie a tutti voi che avete letto anche questa seconda discesa nella follia<3

Red

P.S. QUI potete trovare il Commentario a questa originale (vi sono segnate la genealogia angelica, la genealogia demoniaca, l'organizzazione della Cattedrale, le schede dei personaggi... tutte le informazioni tecniche, insomma); verrà aggiornato con il procedere dei capitoli, per evitare spoiler<3

Kiss<3

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