Capitolo
Due
«Il Principe ha difeso un umano! »
Deimos
spiccava nella folla come una goccia di sangue sulla
neve, a discapito dei suoi sforzi per assomigliare ad un umano comune.
Nonostante
riuscisse ad imbrunire i suoi occhi in un castano
intenso, non poteva cancellare la loro sinistra sensualità,
capace di far
rabbrividire di terrore e piacere al contempo. Così come i
suoi lineamenti non
potevano essere in alcun modo sbeccati in un viso ordinario, o la sua
flessuosità mascherata con movimenti volgari.
Deimos
pareva divertirsi, immerso nella rumorosa folla del piano
sotterraneo, riservato alla gente comune. Si era cosparso il viso con
un
sorriso furfantesco e una manciata di malizia, e stava lì,
ad attendere gli
inevitabili approcci della marmaglia tutt’intorno.
I
demoni erano troppo orgogliosi, e gli angeli troppo
superbi: nessuno di loro si lasciava andare al rossore con la
facilità delle
donzelle di fronte a lui, e a nessuno tremavano le labbra come ai
ragazzi che
gli si avvicinavano, ancora non del tutto consapevoli
dell’emozione che gli
torceva le viscere. Gli umani erano molto più spassosi da
sedurre: l’ingenuità
tingeva le loro guance di mille sfumature diverse, dal rosa pallido al
porpora
congestionato, l’imbarazzo li faceva quasi ballare sul posto;
quando poi i loro
occhi cominciavano a saettare per la stanza, incapaci di sostenere il
suo
sguardo, Deimos sentiva una risata nascergli dal pozzo nero che aveva
al posto
del cuore. Avrebbe voluto avere a che fare con gli umani più
spesso; in fondo,
lui non voleva mangiare le loro anime come i suoi fratelli. Voleva solo
confonderli, stregarli fino a portarli al tracollo, come era nella sua
natura
di Peccato Irrazionale.
Lastar
sopraggiunse nella sala gremita, e vide un gruppo di
giovani attorniare il demone con fare concitato. Le femmine parevano
ipnotizzate dai suoi occhi scuri e dal modo in cui inclinava la testa
per
ascoltarle, mentre i maschi stavano provando quel misto di smarrimento
e
attrazione che il diavolo riusciva a stimolare con la sua voce modulata.
Conosceva
quella sensazione fin troppo bene. Era stata la
sua compagna costante, durante le prime visite del demone.
Deimos
rialzò lo sguardo, lo scorse, e i suoi occhi
divennero due strette mezzelune di scaltrezza. Spostò lo
sguardo sulla ragazza
alla sua destra, per alimentare l’incendio sulle sue guance
quando la afferrò
per la vita e la strinse a sé. Dopodiché,
lanciò una seconda occhiata a Lastar,
venata di sadica soddisfazione.
Per
tutta risposta, l’Esorcista inalberò gli occhiali.
«Ordini
del Messo Celeste» annunciò. La sala
piombò
improvvisamente nel silenzio; alcune persone trasferirono la loro
attenzione
sul soffitto o sui piedi, vergognose di non essersi accorte prima
dell’arrivo
dell’Esorcista.
«Lo
straniero passerà la notte altrove»
continuò, serrando
le palpebre quando un brusio di malcontento si gonfiò nella
calca.
«Oh,
ti prego, Lastar» si lagnò la ragazza
più spavalda del
gruppo. «Fallo stare ancora un po’.»
«Sì,
Lastar.»
Il
tono del demone strisciò sulla sua caviglia come un
serpente, e si inerpicò sul corpo fino ad insinuarsi nel suo
orecchio con una
carezza leziosa. L’Esorcista trattenne un brivido; ancora non
aveva capito come
Deimos riuscisse a rendere la sua voce così palpabile.
«Fammi
restare ancora un po’» tutto il sangue della
giovinetta che il demone abbracciava doveva essersi addensato sulle
guance a
giudicare dal calore e dalla tinta paonazza che emanavano.
«Sono
ordini superiori. Non posso disubbidire. E nemmeno tu»
Lastar pressò volutamente sull’ultima parte della
frase. Non aveva intenzione
di discutere con lui: era frustrante ed infruttuoso quando erano soli,
e lo
sarebbe stato maggiormente se circondati da una folla che appoggiava il
diavolo.
Le
ciocche ondulate sembrarono ridere assieme alle labbra
quando Deimos scosse la testa.
«Sono
subito da te» il demone lasciò andare la
fanciulla,
che riprese gradualmente un colorito normale, e fendette la folla fino
a
raggiungerlo.
Non
aveva ancora stabilito se il modo in cui Deimos
ancheggiava fosse studiato o involontario: qualunque fosse la
verità, era
sufficiente a catturare l’attenzione delle persone intorno a
lui. Come avvenne
anche quella sera. Lastar desiderò che il diavolo si fosse
chiuso il mantello
sulle spalle, anziché portarlo ripiegato sul braccio.
«Andiamo»
con quella parola cercò di troncare in un colpo
solo ogni possibile recalcitranza del demone o proteste da parte dei
civili. La
folla espresse il suo dissenso con sbuffi sonori, mentre Deimos si
avviò al suo
seguito docilmente. Escludendo il secondo in cui si voltò
per lanciare un bacio
alla fortunata ragazza di poco prima e vederla avvampare di nuovo fino
alle
orecchie.
«Voi
umani siete proprio divertenti» ridacchiò Deimos,
saltellando al suo fianco.
«Non
siamo giocattoli» fu la brusca difesa di Lastar.
Una
folata colorata gli spazzò il cammino, e
l’Esorcista si
rese conto che il demone si era appena aggrovigliato di nuovo il petto
con le
sue corde piene di stracci. Non voleva nemmeno sapere come le avesse
nascoste
fino a quel momento.
«Non
ho detto che lo siete» cinguettò tranquillo
Deimos,
saltandogli praticamente davanti ai piedi per il gusto di vederlo
inciampare.
Lastar gli negò quella gratificazione: lo
anticipò di un secondo e lo fissò
truce finché il diavolo non tornò al suo posto.
«Era
un complimento» chiarì. La seconda volta,
l’Esorcista
non riuscì a schivare il suo attacco: la piroetta con cui
Deimos si spostò fu
troppo veloce, e Lastar si ritrovò con il petto del diavolo
premuto sul suo
fianco. Il lamento del ragazzo venne articolato contro la sua costola:
«I
demoni e gli angeli spesso sono noiosi.»
«Non
credo che siano discorsi adatti ad un corridoio
pubblico» cercò di frenarlo Lastar. Ovviamente
l’altro, anziché acquietarsi,
rincarò la dose:
«Ma
è la verità! I demoni… quelli
superiori, intendo, quelli
inferiori sono degli scarti bavosi che non toccherei nemmeno con la
punta di un
bastone» il diavolo gli pizzicò un fianco, come se
questo lo aiutasse a
riconnettersi al filo principale del discorso. «I demoni
superiori sono troppo
innamorati della propria fierezza: cercare di sedurli è come
stuzzicare una
parete di granito. Solo io ogni tanto riesco a strappargli qualcosa.
Comunque,
in camera da letto…»
«Deimos,
non voglio essere aggiornato sui vizi notturni
della tua razza» lo interruppe Lastar.
«Davvero?»
la gamba del demone si allacciò alla sua vita,
per permettere al viso diabolico di raggiungere la mascella
dell’Esorcista. «E
dire che ci sono delle cose molto interessanti da…»
«Deimos!»
«Gli
angeli» proseguì serafico il diavolo, come se
l’altro
non avesse mai urlato. Scese dalla sua scala umana e seguitò
a meditare ad alta
voce, gesticolando incoerentemente: «Al contrario, gli angeli
sono troppo
gonfiati dalla propria perfezione. Sempre a fare
un’espressione disgustata come
se sentissero puzza di cadavere. Danno il peggio di sé, e
poi si pentono per
settimane.»
«Danno
il peggio di sé?» gli fece eco
l’Esorcista.
«Quando
si accoppiano con me. Cadono in tentazione, si
pentono e poi cadono di nuovo e il ciclo si ripete. I demoni, invece,
nella
maggior parte dei casi sono sadici» le orecchie vennero quasi
spinte fuori
dalla testa tanto fu ampio il sorriso malevolo di Deimos:
«Forse sono cose come
queste che offendono il tuo udito delicato?»
Gli
occhiali vennero sollevati, le palpebre stropicciate e
le lenti rimesse al loro posto.
«Non
hai il minimo pudore?» sbuffò Lastar, il respiro
gravato da un principio di emicrania.
Deimos
scollò le spalle, con disarmante noncuranza.
«Tu
sei un Esorcista, e uccidi i demoni. Io sono il demone
del Peccato Irrazionale, e seduco le persone. O faccio crollare le loro
convinzioni. O le porto alla pazzia. Ognuno ha il suo
compito.»
«Io
non parlo di come squarto i demoni» replicò
l’altro.
«Potresti
anche farlo. Non mi interessa e non mi
infastidisce.»
Un
fruscio, una nota di un profumo conturbante nell’aria e
Deimos l’aveva sorpassato.
Le
parole del diavolo fecero scattare una scia di ricordi
nella mente dell’Esorcista. La memoria gli gettò
nel naso l’afrore sulfureo
della pelle squamosa dei demoni inferiori e le mani avvertirono di
nuovo il
peso del sangue versato in quella giornata. I momenti della lotta
ripresero
vita nella sua mente.
***
Aveva
affrontato battaglie assai peggiori, nonostante
l’inferiorità numerica: i satanassi di quel rango
infimo erano mossi dall’istinto
e non dall’intelletto. Erano bestie cieche e furiose, ed era
sufficiente
schivare i loro assalti e colpirli: non avevano abbastanza cervello per
pianificare un contrattacco. Non erano lotte impegnative come quelle
ingaggiate
con i demoni di classe superiore, aguzzi nella furbizia e nelle arti
magiche.
Deimos
si era unito a quella battaglia perché affamato, e
aveva lacerato la gola ai primi due abomini che gli si erano gettati
addosso,
nutrendosi del loro sangue e del loro spirito. Ne aveva uccisi altri
tre per
placare la sua sete, mentre Lastar si occupava dei restanti: la lama
Vampira
turbinò nell’aria tingendola di spruzzi rossi, e
le membra recise dei demoni
ricaddero al suolo, le terminazioni nervose che ancora si muovevano.
Una
delle bestie primordiali si avventò sulla schiena
dell’Esorcista, e tentò di cavargli gli occhi con
le unghie scheggiate. Ma
prima che le sue dita adunche avessero raggiunto le lenti degli
occhiali, una
mano dai nerbi di acciaio si era stretta attorno al suo collo ossuto,
spezzandolo con una semplice pressione del pollice.
Lastar
colse un movimento alle sue spalle, ed il corpo
inerte dell’abominio ricadde al suolo polveroso, le pupille
immobili e il collo
ritorto in un modo orribile.
«Il
Principe!» gracidò l’ultimo satanasso
rimasto,
graffiandosi il muso gonfio. «Ucciso dal Principe! E il
Principe non l’ha
mangiato! Ha difeso l’umano! L’ha ucciso per
difendere un umano!»
Lastar
sentì grido di quella bestia scorticargli il petto.
Deimos
veniva a infastidirlo di continuo, da quando quello
strano rapporto di schermaglie si era instaurato tra di loro; la sua
presenza
insolente era pressoché scontata. E la leggerezza con cui il
diavolo
trascorreva del tempo in sua compagnia gli aveva quasi fatto
dimenticare che
mai, mai e poi mai un demone sarebbe diventato l’alleato di
un Esorcista. Non
erano amici, non erano compagni: erano solo un giullare e uno
spettatore irritato.
Questa era la giustificazione ufficiale.
Eppure,
Deimos aveva appena ucciso, e aveva lasciato il
cadavere perfettamente intatto. Non aveva ammazzato un altro demone per
mangiarlo, ma per difendere lo stesso Esorcista che un giorno avrebbe
potuto
levare la spada contro di lui. Solo in quel momento si rese conto di
quanto la
loro strana relazione fosse distorta: era innaturale
uccidere un proprio compagno per proteggere un potenziale nemico.
«Il
Principe si è venduto agli umani! Il Principe si
è
venduto agli umani!»
Lo
avrebbe ripetuto infinite volte se Deimos non avesse
posto fine a quello strazio recidendogli la gola con un colpo di
taglio: la
pelle si aprì sotto le unghie del Principe, vomitando un
mare di sangue
violaceo in cui si accasciò il corpo senza vita della bestia.
Lastar
poté scorgere la genesi infernale di Deimos nel modo
in cui si ripulì le dita: le scrollò
nell’aria con un’espressione di gelido
disprezzo, estremamente seccato. Aveva combattuto fianco a fianco con i
veterani dell’Ordine, e sapeva quanto un guerriero potesse
diventare freddo
durante una battaglia: era un requisito essenziale per non farsi
manovrare dal
panico. Tuttavia, l’orrore sotterraneo per la morte perdurava
anche negli occhi
asciugati dalla guerra, come una minuscola scintilla in mezzo ad una
montagna
di cenere. Deimos non possedeva quel bagliore: vi era solo polvere
nelle sue
iridi.
Era
stato rapido nel ricomporre sul viso la solita farsa
canzonatoria: aveva ripreso a saltellargli intorno e a martoriargli i
nervi con
ineffabile facilità.
Poi
gli aveva proposto il patto: una notte alla Cattedrale
in cambio dell’aiuto ricevuto. E Lastar, ancora perso nella
palude dei suoi
pensieri, aveva accettato quasi inconsciamente.
***
Il
profilo di Deimos si intagliò perfettamente nella cornice
della vetrata gotica.
Il
demone si era fermato davanti alla finestra oblunga,
apparentemente assorto nel fissare la luna al di là del
vetro a mosaico. La
luce argentea colava in un pallido bagliore sul volto del giovane:
alcuni riflessi
perlacei si impigliarono nelle lunghe ciglia e nella curva carnosa
delle
labbra; la natura stessa sembrava cospirare per incrementare
l’aura
ammaliatrice del Principe.
Lastar
si fermò istintivamente, a qualche passo di distanza
da Deimos, e fu costretto a stringere la croce in cui il suo rosario
terminava
per recuperare il controllo dei suoi pensieri.
«Hanno
detto che ti sei venduto agli umani» la voce
dell’Esorcista suonò ancora più bassa
del solito tra le mura del corridoio
vuoto. Deimos restò immobile per qualche istante, come se la
contemplazione
della luna lo avesse distratto dal resto del mondo.
Una
mano salì pigramente a scuotere la movimentata zazzera
corvina, ed un sospiro rotolò fuori dalle labbra del demone.
«Gli
inferiori dicono tante cose. Non prestarci troppa
attenzione.»
«E
i tuoi familiari? Cosa diranno?»
Le
spalle del diavolo si irrigidirono in un sospiro trattenuto;
il mantello che portava appeso al braccio schiaffeggiò la
parete alle sue
spalle quando Deimos si voltò con una giravolta.
«Ti
stai preoccupando per me?» il suo ghigno fendette
l’oscurità, insinuante.
La
mano di Lastar abbandonò il rosario: non voleva che
l’altro
lo vedesse aggrappato ad uno stemma.
«Un
Esorcista e un demone non dovrebbero nemmeno parlarsi»
gli ricordò greve Lastar.
«Le
regole mi danno l’orticaria» si lamentò
in un miagolio
Deimos.
«Hai
ucciso uno della tua stessa razza per difendermi.»
«Perché
tu mi piaci, quello invece no.»
«Non
puoi scherzare su tutto, Deimos.»
Le
dita dell’Esorcista ebbero un guizzo, cercando istintivamente
le armi: lo sguardo fiammeggiante che lo trafisse conteneva ogni
fulgore maligno
albergante nello spirito di un demone. Si fermò solo quando
ricordò che quello
che aveva davanti era Deimos.
«Non
sto scherzando» il diavolo fece roteare il mantello,
che andò ad appoggiarsi sulle sue spalle con un fruscio
elegante. «Se fosse
stato un qualunque altro essere umano, sarei stato a guardare mentre
gli
spolpavano l’anima. O forse no. Sai, sono disgustosi quando
mangiano. Emettono
dei suoni orribili» un passo, e il demone lo fissò
ad un soffio dal viso mentre
sibilava: «Tu mi piaci più dei tuoi simili. Per
questo voglio aiutarti.»
«Avevi
detto che tutti gli umani ti piacciono» replicò
Lastar.
«Ho
detto che sono più divertenti degli angeli e dei demoni.
Questo non significa che rischierei di far arrabbiare Lucifero, mio
padre, per
salvare uno di loro.»
«Per
me l’hai fatto.»
«Perché
tu sei speciale, mio caro.»
«Non
ti capisco.»
«Rinuncia
a capirmi. In tanti hanno provato prima di te, e
hanno tutti fallito» il demone roteò di nuovo su
se stesso, la sua ombra nitida
contro la finestra intarsiata. «Nemmeno io riesco a
capirmi.»
Gli
occhiali dell’Esorcista vennero rimossi, e le iridi
cremisi si appuntarono sul compagno.
Da
quando conosceva Deimos, aveva collezionato una serie di
immagini su di lui: arrabbiato, allegro, triste, canzonatorio, serio,
cinico,
affettuoso… tutte maschere che il diavolo interscambiava con
una rapidità da
capogiro. Ma, qualche volta, era riuscito a carpire alcuni frammenti
dell’anima
più vera, quella che il demone stesso affermava di non
riuscire a comprendere. Se
non avesse visto quello spirito nascosto soffocare sotto i
travestimenti del
Deimos più plateale, probabilmente non si sarebbe tanto
affezionato a lui.
Per
un istante, gli parve di vedere quel barbiglio più
spontaneo occhieggiare nelle ciglia abbassate del diavolo, nella linea
malinconica della bocca.
Si
portò abbastanza vicino da accarezzargli le onde
indisciplinate
dei capelli con una mano: le ciocche parvero rivoltarsi sotto le sue
dita, in
accordo con l’indole inafferrabile del demone.
Anche
Lastar faticava a capire se stesso, quando si trovava
in presenza di quel diavolo: in alcuni momenti voleva respingerlo con
tutte le
sue forze, in altri avrebbe voluto stringerlo a sé fino ad
annullare tutto il
resto. Si chiedeva se fosse la natura irrequieta del Principe a rendere
così
instabile perfino lui.
Deimos
alzò uno sguardo scintillante di curiosità
sull’Esorcista.
«Starò
bene» lo rassicurò, scrollando la testa come un
cagnolino. «Non è la prima volta che faccio
arrabbiare mio padre. Ormai sono
abituato.»
«Non
è per quello che ti sto accarezzando.»
Il
demone inclinò la testa, come i bambini quando non
capiscono bene i discorsi degli adulti.
Le
ciglia allungarono un’ombra affusolata sugli zigomi
quando Deimos chiuse gli occhi e girò lievemente il viso. Le
unghie del diavolo
solleticarono delicatamente il polso dell’Esorcista,
trascinando la sua mano
lungo la levigata discesa della guancia. Lastar sentì il
calore delle labbra
del ragazzo riempire il suo palmo; anziché scostarsi
infastidito, come avrebbe
fatto di solito, adagiò anche l’altra mano sul
viso liscio del diavolo,
voltandolo gentilmente verso di sé.
Non
vi fu traccia della consueta spigliatezza derisoria nel
sorriso che illuminò gli occhi di Deimos, di nuovo sanguigni.
«È
per questo che sei il mio preferito» sussurrò,
carezzandogli il dorso delle mani con le unghie affilate.
«Una gentilezza vale
cento volte di più se fatta da una persona
burbera.»
«Stai
insinuando che ho un brutto carattere?» si risentì
Lastar.
«Pessimo,
mio adorato» ridacchiò Deimos.
La
successiva sequenza di eventi fu così rapida che perfino
l’occhio allenato dell’Esorcista faticò
a districarla: il demone scostò le mani
dell’altro dal suo viso, scattò in piedi, gli
morse le labbra, si avviluppò nel
mantello e annunciò:
«Grazie
per la bella serata, Lastar.»
Dopodiché,
tutto quello che rimase di lui fu uno sbuffo di
fumo e un sentore di zolfo.
Lastar
rimase fermo, raggelato dalla rapidità della
successione di eventi. La sua mente intorpidita dalla sorpresa
riuscì a
spremere fuori un unico pensiero.
Deimos
conosceva il teletrasporto; era una nozione impartita
a tutti i membri della famiglia reale. Dunque non aveva alcun bisogno
di un
mantello che si trasformasse in paio di ali, per viaggiare. Allora
perché si
era agghindato in quel modo?
Una
risposta risuonò nel suo cervello, assurda e plausibile
al contempo: perché se avesse usato il teletrasporto per
atterrare ai piedi
della Cattedrale, non avrebbe potuto abbracciarlo.
Si
afferrò le tempie con le mani e premette forte.
Era
stata una lunga giornata, e, il mattino seguente,
avrebbe dovuto istruire di nuovo una ciurmaglia di moccicosi. Aveva
bisogno di
riposare.
Si
diresse verso la propria stanza reggendosi la fronte, la
consapevolezza di essere il preferito del demone del Peccato
Irrazionale –
qualunque cosa quella frase volesse significare – appiccicata
alle spalle.
***
La
lunga coda nera si confondeva con la
seta scura della camicia dell’uomo. Il colore rosso del
nastro che tratteneva
la capigliatura era della stessa tinta della cintura che gli fasciava
la vita. L’ebano
dei capelli si richiamava all’onice della montatura del
monocolo, gli occhi
purpurei si armonizzavano con le gocce di rubino che collegavano la
lente al
petto del giovane. Ogni colore ricollegabile ad un altro.
La
cintura stretta senza creare pieghe
superflue, la camicia impeccabilmente allacciata, i capelli
perfettamente
ordinati, perfino le ciocche più corte e scomposte ai lati
del viso. Ogni
parvenza di disordine ricondotta ad un rigore austero.
Lo
conosceva bene.
Il
diavolo che lo attendeva, adagiato
sulla poltrona dell’atrio principale, sdegnoso e
inflessibile, era Lazard, il
demone del Peccato Razionale.
Suo
fratello maggiore.
«Sei
stato in piedi ad aspettarmi?»
rise rumorosamente Deimos, avvicinandosi con una camminata sgangherata.
«Non
dovresti fare tardi. Ti verranno le rughe.»
Il
fratello sistemò il monocolo, come
per metterlo meglio a fuoco; intrecciò le mani sul proprio
ventre e una sola
parola si srotolò dalle sue labbra di ferro.
«Siediti.»
Deimos
contorse tutto il viso in una
plateale smorfia di risentimento, ma si lasciò ugualmente
cadere sul tappeto di
fronte alla poltrona.
Ignorava
i comandi dei suoi genitori
senza rimorsi – pur essendo consapevole delle conseguenze
della sua condotta -,
ma non riusciva in alcun modo a fare lo stesso con gli ordini del
fratello.
Forse era imputabile alla natura diametralmente opposta dei loro
poteri:
annullandosi a vicenda, non riusciva a inalberare la sua solita
impertinenza
con il maggiore. Oppure la causa era l’affetto smodato e
immotivato che nutriva
nei confronti di Lazard, sebbene quest’ultimo non avesse mai
fatto nulla per
accaparrarsi i suoi favoritismi.
«Qual
è il problema?» Deimos si stese
sulla pancia e prese a sgambettare nell’aria, il mento
poggiato sui palmi, per
sdrammatizzare quell’aria tesa.
Il
trucco non funzionò. Lazard lo
guardò con ulteriore riprovazione e scandì:
«Mi
riferiscono che hai protetto un
umano.»
Deimos
incrociò le braccia sul tappeto
e vi affondò il viso, mugolando:
«Avevo
fame.»
«E
ti sei nutrito. Ma ne hai ucciso uno
in più.»
Lazard
non usava mai perifrasi, nelle
sue insinuazioni: ogni parola era una freccia diretta al cuore sporco
dell’accusato. Al contrario del minore, che si perdeva
costantemente in
lunghissimi ed insensati giri di parole.
«Mi
sono sbagliato» biascicò Deimos, ma
il fratello non gli perdonò quel tentativo di fuga:
«Perfino
tu non puoi sbagliare su
queste cose. Non si spezza l’osso del collo di un
appartenente alla propria
razza per errore.»
Deimos
rotolò su se stesso,
ritrovandosi a fissare il fratello da una prospettiva rovesciata.
Il
loro legame di sangue era scolpito
nell’affinità dei lineamenti, nel pallore
dell’incarnato e nel colore dei
capelli e degli occhi; le loro differenze abissali erano rivelate dagli
atteggiamenti. Scomposto su un tappeto il primo ed educatamente seduto
in
poltrona il secondo; la voce di Deimos, per quanto gradevole
all’udito, compiva
continui sbalzi di tono, mentre quella di Lazard rimaneva fissa sulla
nota
dell’alterigia. O del disprezzo, quando parlava con il suo
scandaloso fratello
minore.
«Te
lo chiederò una volta sola» premise
il maggiore. Il collo si stese aristocratico, ed il mento si
sollevò con
superbia. «Hai ucciso per difendere un umano?»
Sarebbe
stato semplice mentire: lo
aveva fatto in innumerevoli occasioni, quando i suoi compagni serali
gli
chiedevano se li amasse. Ed era un maestro nell’addobbare la
verità con un
numero così spropositato di fronzoli da farla sembrare una
bugia. Ma non
davanti al fratello: i suoi occhi indagatori laceravano il corpo delle
sue
commedie, lasciando integro solo lo scheletro della verità.
«Sì»
fischiò Deimos.
Le
palpebre si chiusero con un
tremolio, ed il monocolo venne accuratamente riposto nel taschino.
Lazard era
arrabbiato. Tremendamente arrabbiato.
«Siamo
demoni. Ci nutriamo di umani.»
«Io
no.»
«Tu
sei un degenerato.»
Il
gelo di quell’insulto lo abbrancò
alla gola, e Deimos rabbrividì vistosamente.
«Ci
sono alcuni demoni che siglano dei
contratti con gli umani per il solo piacere di vederli contorcere in
una lunga
agonia, e questo è l’unico contatto concesso al di
fuori dell’uccisione. In
nessun caso, per nessuna ragione, un
demone degno di questo nome aiuterebbe un umano.»
«Lo
so.»
«Se
ne sei consapevole, comportati di
conseguenza» lo rimproverò spietato Lazard.
«Per questa volta, nostro padre ha
deciso di essere clemente. Non sfidare oltre la sua pazienza. Se vuoi
divertiti
con quell’Esorcista, puoi farlo» il maggiore storse
un angolo della bocca come
se avesse sentito un odore poco gradevole: l’idea di un
demone mischiato con un
essere umano lo nauseava nel profondo. «Puoi condurlo al
tracollo se lo
desideri. Ma ricorda che è un nostro nemico: non devi in
alcun modo aiutarlo.
Limitati a fare ciò per cui sei stato creato.»
Il
disgusto acido del fratello gli
corrose il cuore, e Deimos si appallottolò su se stesso per
contenere il
dolore. Faceva male essere rifiutati a quel modo dalla persona che
più adorava
al mondo.
«Devo
fare quello per cui sono stato
creato» rifletté ad alta voce. Si girò
veloce su un fianco e si issò a quattro
zampe, e da quella posizione invitò il fratello:
«Vuoi restare con me, stasera?»
Il
viso di Lazard indietreggiò come se
a parlare fosse stato un verme di palude; si rialzò dalla
poltrona per mettere
più distanza possibile tra lui e quella vergogna che era
costretto a chiamare
“fratello”, risistemò il monocolo al suo
posto e dichiarò:
«Non
nutro alcun interesse per un corpo
lordato da mille accoppiamenti precedenti.»
Abbandonò
la stanza senza voltarsi
indietro. Era netto nelle sue azioni e nei suoi pensieri come una lama
ben
affilata: non si fermava mai a metà di un colpo.
Deimos
crollò sul tappeto, e si rotolò
su di esso senza sosta.
Lazard
gli piaceva. Ma non poteva stare
con lui perché il maggiore, al contrario, lo detestava.
Lastar
gli piaceva. Ma non poteva stare
con lui perché era un Esorcista.
Spalancò
le braccia e le gambe formando
uno strano pentacolo sul tessuto morbido sotto di lui.
«Sto facendo il mio lavoro» cantilenò, risentito. «Sto facendo impazzire me stesso.»
Ed
eccoci al secondo capitolo XD
Grazie a tutti voi che avete letto anche questa seconda discesa nella follia<3
Red
P.S. QUI potete trovare il Commentario a questa originale (vi sono segnate la genealogia angelica, la genealogia demoniaca, l'organizzazione della Cattedrale, le schede dei personaggi... tutte le informazioni tecniche, insomma); verrà aggiornato con il procedere dei capitoli, per evitare spoiler<3
Kiss<3
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