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Autore: HamletRedDiablo    02/01/2013    5 recensioni
Un mondo dove gli esseri umani vivono arroccati nelle Cattedrali, sotto la protezione degli Esorcisti e la minaccia congiunta di angeli e demoni. Un legame che non sarebbe mai dovuto nascere, tra due uomini che non si sarebbero mai dovuti amare.
Dal primo capitolo:
Un essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse quel pensiero facendo scivolare le dita sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo accelerato. Era sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita, fossero stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
[...]
«Deimos, tu mi ami, non è così?»
(Storia MOMENTANEAMENTE INTERROTTA, in fase di REVISIONE. Mi scuso per il disagio, l'Esorcista e il demone torneranno quanto prima su questi schermi)
Genere: Erotico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Più stringeva quel corpo flessuoso a sé, più sentiva la sua anima lacerarsi sotto gli artigli del peccato.

Un simile legame non sarebbe mai stato accettato. I comandamenti dell’Ordine lo condannavano, l’opinione pubblica nemmeno lo contemplava, la morale ne provava repulsione.

Ma né i giuramenti pronunciati tanti anni prima, né il popolo della Cattedrale, nemmeno il pudore incrinarono la sua determinazione.

Quel peccato era suo, e solo a lui spettava la scelta. E lui aveva deciso di macchiarsi di quella colpa. Si sarebbe sporcato l’anima fino all’ultima bolgia infernale, se necessario, pur di poter abbracciare ancora quel demone.

Lo sentì tremare contro il suo petto, e lo strinse più forte quando tentò di divincolarsi.

Un essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di Lucifero. Specialmente un Esorcista.

Rimosse perfino quel pensiero facendo scivolare le dita sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo accelerato. Era sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita, fossero stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.

Il suo respiro si confuse al profumo inebriante del satanasso quando poggiò le labbra sul declivio del suo collo sottile.

Era sbagliato, era peccato. Ed era così dolce immergersi in quella colpa.

«Deimos…» lo chiamò, la bocca che accarezzava la pelle scoperta del demone.

Anche quella domanda, non avrebbe mai dovuto pronunciarla. Ma ormai aveva scelto di scendere fino alla fine quella scalinata verso la dannazione.

Radunò il fiato necessario e si sporse verso l’orecchio del diavolo per sussurrarvi:

«Deimos, tu mi ami, non è così?»

 

Capitolo Uno

Grandi Saggi e Grandi Stregoni

 

Vide tutta la prima fila di scolari trasalire di fronte al suo sguardo scarlatto.

Trattenne un sospiro a forza, spingendo gli occhiali sul naso.

Si chiedeva perché il Monsignore continuasse a scegliere lui come insegnante di storia per i bambini del primo anno. Più erano piccoli, più erano impressionabili: gli alunni di fronte a lui erano oltremodo sconvolti dal colore dei suoi occhi.

Tentò di essere il più delicato possibile nell’aprire il tomo di storia: se avesse mosso l’aria con troppa forza, qualche piccoletto avrebbe rischiato di morire di spavento.

Forse il Monsignore voleva temprarli fin dalla più tenera età. O forse si divertiva a vedere il più spavaldo dei suoi Esorcisti essere costretto a passare un’intera ora con lo sguardo abbassato.

«Sapete tutti perché viviamo nelle Cattedrali, e perché temiamo allo stesso modo angeli e demoni?» domandò, tentando di moderare il tono baritonale della sua voce. Con scarsi risultati: la prima bancata arretrò verso la seconda, tanto che le sedie cozzarono contro i banchi retrostanti.

Una mano paffuta dall’infanzia si sollevò ciarliera.

«Maestro, ma gli angeli non dovrebbero essere buoni?» trillò il bambino.

Lastar chiuse il libro di testo, causando una mezza sincope agli studenti più vicini. Tutti gli anni c’era almeno un alunno che faceva quella domanda.

«Hai detto giusto. Dovrebbero» poggiò il tomo scolastico sulla cattedra e si voltò verso la lavagna alle sue spalle. Afferrò il gesso e cominciò a scrivere sulla superficie nera.

«Come saprete, all’inizio il mondo era popolato solo da esseri umani. Tra questi, vi erano alcuni uomini particolarmente portati per la magia bianca o per le scienze oscure» i nomi dei due allineamenti, Grandi Saggi e Grandi Stregoni, vennero vergati nella grafia graffiante dell’Esorcista. «Il loro potere era enorme. Nessuno di noi, nato in quest’epoca, può immaginare quanto fosse smisurato.»

Gli allievi trattennero il respiro fino all’ultima fila e Lastar proseguì:

«Per incrementare ulteriormente il loro potenziale, i Grandi Saggi decisero di espellere la propria parte negativa, e i Grandi Stregoni la loro parte positiva, diventando così l’Archetipo degli angeli e dei demoni odierni.»

«Il cosa?»

Quello fu il terzo sospiro che trattenne, dall’inizio della mattina. Dimenticava sempre quanto fosse limitato il vocabolario dei bambini di quell’età. Avrebbe dovuto essere il più elementare possibile.

Scrocchiò le dita, seminando il panico nella prima fila. La muscolatura tonica del suo corpo e l’ossatura robusta sembravano create apposta per sostenere pesanti pestaggi, o per infliggerli. Alcuni alunni sentivano già le guance bruciare per gli schiaffi, ma il loro agghiacciante maestro si limitò ad appoggiare le dita sgranchite sulla cattedra.

«In altre parole, un Grande Stregone espelle la sua parte buona; quindi abbiamo un corpo totalmente malvagio e uno spirito senza corpo totalmente benefico.»

«Quindi si forma un demone» concluse una bambina dai codini dorati.

«No» la contraddisse Lastar «Si formano un demone e un angelo.»

«Ma uno spirito non si tocca» protestò un bimbetto con la faccia tempestata di lentiggini. «Gli angeli sì.»

Quello fu il quarto sospiro soffocato. Doveva essere elementare con le spiegazioni.

«Lo spirito da solo aveva abbastanza energia da riuscire a diventare materiale nonostante fosse staccato dal corpo» i suoi occhi inquietanti si incupirono. «Era questo che intendevo, quando vi ho detto che noi non possiamo nemmeno immaginare quanto fossero potenti.»

Si voltò di nuovo verso la lavagna e puntò il gesso sulla scritta “Grandi Saggi”.

«Gli angeli sono i Grandi Saggi del passato depurati dalla loro parte malvagia…» spostò il gesso sull’altra iscrizione: «Ma altri sono stati generati dall’anima pura che i Grandi Stregoni hanno espulso. Per questo parliamo di due categorie di angeli e demoni: gli Archetipi e gli Apocrifi.»

Spostò di nuovo il gesso sulla prima scritta e poi sulla seconda, spiegando:

«Gli Archetipi sono i Grandi Saggi, che diventarono angeli dopo la depurazione dell’anima. Gli Apocrifi, invece, sono la parte buona espulsa dai Grandi Stregoni. La stessa cosa vale per i demoni.»

«Quindi i demoni Archetipi sono i Grandi Stregoni e i demoni Apocrifi sono le emanazioni malvagie dei Grandi Saggi?» il viso rotondo del bambino si illuminò in un sorriso, quando il maestro annuì.

«Il primo angelo Archetipo fu il Grande Saggio Gabriel, che emanò Satana. Il primo demone Archetipo fu Lucifero, che emanò Michael. In totale, abbiamo dieci angeli e dieci demoni Archetipi. Ma vi spiegherò la genealogia durante la prossima lezione.»

Lastar tamburellò le dita sul testo scolastico: era il momento di affrontare la parte più spinosa dell’argomento.

«Gli esseri umani sono stati creati come una comunione tra luce ed ombra. In ciascuno di noi albergano sia il bene, sia il male. Siamo stati creati così, e così dobbiamo rimanere per mantenere l’equilibrio. Nessuno può opporsi a questa legge. Né noi, né i Grandi del passato.»

Gli alunni si scambiarono bisbigli perplessi, e Lastar alzò appena la voce per ottenere di nuovo il silenzio.

«La parte di estremo bene e quella di estremo male anelavano la metà da cui erano state separate. Inoltre, vivendo a contatto con gli umani, i pensieri malvagi degli uomini indebolivano gli angeli, e le azioni benevole fiaccavano i demoni.»

«Come è possibile?»

«Perché non possedevano più la metà che avrebbe mitigato quell’influenza: ad un essere di sola luce basta una minima ombra per sbiadire, così come all’ombra più totale è sufficiente un barlume di chiarore per scolorirsi» i volti smarriti dei suoi scolari lo convinsero ad essere più semplice: «Noi possiamo resistere alle tentazioni dei demoni perché abbiamo una parte malvagia che li capisce e una buona che li rifiuta. Ma un essere totalmente puro non ha più la metà necessaria a comprendere il male, per cui ne viene stravolto.»

Quinto sospiro, questa volta di sollievo, quando i suoi alunni parvero comprendere.

«Il problema era sorto con gli umani, per cui sarebbe stato risolto con gli umani» predicò grave Lastar. Sperava che il suo linguaggio non risultasse troppo tagliente per orecchie così ingenue, ma non conosceva altro modo esprimersi: «Gli angeli iniziarono a mangiare la parte più corruttibile degli uomini, ossia la carne, per bilanciare la loro energia immacolata; i demoni, al contrario, presero a cibarsi della parte più pura, cioè l’anima, per stemperare il loro spirito oscuro. In questo modo, la loro energia interna riuscì a stabilizzarsi. Tuttavia…» rimase qualche secondo in silenzio, quindi proseguì: «Il loro potere, con il raggiungimento di un nuovo equilibrio, ottenne un nuovo vigore. Per questo gli angeli e i demoni divennero ingordi di quel nuovo cibo.»

L’orrore sgranò gli occhi e impietrì le membra dei suoi piccoli ascoltatori, ma ciò non gli impedì di seguitare:

«Gli umani furono così cacciati sia dagli angeli che dai demoni e, dopo il massacro dei Trent’anni di Sangue, gli uomini si rifugiarono nelle roccaforti degli Esorcisti per ottenere aiuto e protezione.»

«È per questo che non ci sono uomini al di fuori delle Cattedrali?» petulò un bambino dalla terza fila.

«E che non si può uscire senza la scorta degli Esorcisti?» chiocciò un altro.

«Esatto. Altrimenti finireste sbudellati.»

Provò l’impulso di mordersi la lingua per quella frase infelice: i bambini contorsero il viso in espressioni raccapriccianti, come se in aula ci fosse stato davvero un tizio che riversava le sue viscere sul pavimento. Lastar avrebbe voluto togliersi gli occhiali e massaggiarsi le tempie. Odiava quelle carinerie raggruppate sotto il nome di “cortesia”: preferiva l’azione e il linguaggio crudo degli scontri.

«Altrimenti potrebbero succedervi delle brutte cose» ridimensionò, per poi cambiare discorso: «Qualcuno di voi ha delle domande?»

Una mano si sollevò timida dalla penultima fila, e Lastar concesse la parola al moccioso con un cenno del capo.

«I demoni e gli angeli hanno dei capelli e degli occhi strani, vero?»

La mascella dell’Esorcista si contrasse come per un crampo improvviso. Conosceva quella premessa, e indovinò la domanda successiva prima ancora che il piccoletto la ponesse:

«Lei ha gli occhi rossi come un demone…»

Il Monsignore lo aveva pregato di non essere dispotico con i bambini. Ma lui lo aveva supplicato di non assegnargli anche quell’anno la prima lezione di storia a dei lattanti che ancora puzzavano di culla. Il ricordo delle sue vane implorazioni, assommato all’irritazione per quella domanda indiscreta, gli permise di non sentirsi troppo perfido nel circumnavigare la cattedra per portarsi esattamente di fronte al suo pubblico infantile.

Trasse un profondo respiro, ed issò sul naso le lenti da cui si intravedevano i suoi tanto famigerati occhi purpurei.

Dal giorno in cui era nato, la gente della Cattedrale non aveva fatto altro che congetturare sulla natura delle sue iridi scarlatte, e spaventarsi per la preponderanza del colore rosso nella sua persona.

Gli occhi sanguigni si iscrivevano nella cornice delle ciglia cremisi, misero preludio della chioma dalla ribollente tinta vermiglia. Solo la pelle, il cui pallore era stato alimentato dalla vita trascorsa nell’ombra della cattedrale, stemperava quella profusione di toni lavici. Assieme alla tonaca del suo Ordine, nera come previsto dal regolamento, anche se Lastar si era permesso si apportare alcune migliorie per adattarla al suo stile di vita.

Lasciò che i suoi occhi amaranto si spostassero su ogni singolo scolaro, prima di proferire, con un ghigno agghiacciante:

«Vi state chiedendo se sono un Marauder? No, non lo sono. Ho questi occhi perché mia madre fu rapita da un demone, e stuprata per tutto il periodo della sua prigionia. Sapete che cosa è uno stupro o devo spiegarvelo?»

La Cattedrale non seppe mai come quella conversazione sarebbe potuta degenerare: l’ululato tenebroso della sirena di allarme riecheggiò sulle pareti in pietra dell’edificio, rimbombando nei cuori della gente.

Lastar impiegò meno di un battito di ciglia per recuperare la sua professionalità.

«Siamo sotto attacco» annunciò alla terrorizzata scolaresca. «Uscite di qui e seguite le Sorelle. Vi porteranno ai rifugi. Presto!» li incalzò, vedendo che quelli non si muovevano, paralizzati dal terrore.

Chi piangendo e chi ricacciando orgogliosamente le lacrime, i bambini sciamarono fuori, dove una suora la cui dolcezza era stata irrigidita dallo spavento li condusse rapida lungo i corridoi.

Lastar rimase nella stanza e, assicuratosi di non essere visto, cominciò ad estrarre le sue armi. Per non spaventare la gente comune, gli Esorcisti erano stati costretti ad inventarsi i trucchi più fantasiosi per essere equipaggiati senza darlo a vedere. Lui era stato particolarmente pigro con la creatività: aveva nascosto tutti i suoi attrezzi in pesanti croci di metallo, simbolo del suo Ordine.

La grande croce d’oro che portava sulla schiena nascondeva in realtà una spada, le due di argento fissate sugli stivali neri si trasformavano in pugnali ed il paio cucito sugli avambracci, se adeguatamente assemblato, si trasformava in una coppia di pistole. Senza contare il gioiello che pendeva al termine del suo rosario, la piccolissima croce d’avorio che sparava aghi avvelenati se si premeva sull’incrocio dei bracci. Cy, il loro scienziato, aveva superato se stesso nel creare armi adatte anche alla vita quotidiana nella Cattedrale.

«La sirena di allarme ti ha interrotto. Da un lato sono sollevato, dall’altro dispiaciuto» lo sorprese una voce alla sua destra.

Lastar non si voltò nemmeno, e continuò imperterrito a sistemare il suo equipaggiamento.

«Gli avresti davvero spiegato cosa è uno stupro?» insistette l’altro.

L’Esorcista si rialzò in uno sferragliare di armi: la temuta lama Vampira scintillava sul suo torso, le mani stringevano ognuna una pistola, e l’elsa dei pugnali spuntava dall’orlo degli stivali.

«I bambini sono curiosi, e vogliono la verità» sparò brutale Lastar, imboccando l’uscita. «Che sappiano, allora. Ma dovranno sapere tutto

«Alcuni di loro non hanno nemmeno sei anni» protestò il pedante interlocutore, tampinandolo nei passi e nelle parole.

«Allora dovresti essere contento che io sia stato interrotto.»

«Ma sarebbe stato divertente vederti spiegare ad una classe inorridita quella cosa.»

Lastar frenò di colpo per fissare il suo collega. Un paio di occhi olivastri, inspiegabilmente striati di bianco, ricambiarono il suo sguardo, serafici e sornioni.

«Alexander Holycross, di tutti i Messi Celesti, tu sei certamente quello con il senso dell’umorismo più perverso.»

«Hai fatto fare la revisione settimanale a Cy?» l’altro ignorò completamente l’insulto, un sorriso luminoso come il sole onnipresente sulla sua faccia.

«No» rispose veloce Lastar, riprendendo il suo cammino. Alexander lo seguì, reggendo il passo sostenuto dell’Esorcista con una tranquillità sconvolgente: riusciva a correre tenendo il busto lievemente inclinato in avanti come un adulto che parla con un pargolo, le braccia perfettamente incrociate dietro la schiena nonostante i sobbalzi della corsa.

«Male. Che farai se una delle tue pistole dovesse incepparsi?»

«Se sei venuto per fare il menagramo, puoi anche sparire.»

«Mi preoccupo per te.»

«Rovescia le tue premure su qualcun altro.»

«Ad esempio?»

«Ci sono tante vecchiette, negli ospizi al primo piano. Vai a parlare con loro, hanno un’ottantina di anni di aneddoti da raccontarti.»

«E questo che beneficio porterebbe?»

«A te? Non ne ho idea. Ma mi libererebbe di una fonte di stress per mezza giornata.»

«Ti ricordo che sono un tuo superiore.»

«Mi libererebbe di una blasonata fonte di stress per mezza giornata» corresse sarcastico Lastar.

«Qualcuno si è svegliato dal lato sbagliato del letto, questa mattina» Alexander scosse la testa, bonario. «O sei ancora arrabbiato per la domanda di quel bambino?»

«Perché dovrei essere arrabbiato? Adoro quando mi si fa notare che i miei occhi e i miei capelli sono strani.»

«Sono sicuro che non intendeva offenderti.»

«Settecentoottantasette.»

«Cosa?»

«Il numero delle volte in cui mi hanno fatto domande sul mio aspetto.»

«Hai tenuto il conto?» pur con il suo contegno raffinato, Alexander non riuscì a dissimulare lo sbalordimento.

«Solo negli ultimi dieci anni. Dici che è eccessivo?» domandò senza un reale pentimento l’Esorcista.

«Lo definirei piuttosto ossessivo» ribatté contenuto il suo superiore.

«Allora metti un bavaglio ai cittadini della Cattedrale, così non dovrò più contare.»

«Potresti semplicemente smettere di tenere il conto.»

«E semplificarti la vita in questo modo?»

Lastar aveva ormai raggiunto la stretta scala a chiocciola che l’avrebbe condotto sul terrazzo di osservazione. Si voltò verso il Messo Celeste con un piede sul primo scalino e dichiarò:

«Ti annoieresti terribilmente, se non avessi più un sottoposto paranoico di cui preoccuparti.»

«Sai che è colpa tua se i miei capelli sono bianchi, vero?» lo sgridò amichevole l’altro.

«No, la colpa è del fatto che sei nato più di cinquecento anni fa» Lastar si cimentò rapidamente in un saluto marziale prima di sparire sui gradini.

«No, è colpa tua» insistette Alexander, quando l’altro si fu volatilizzato. «Un sottoposto più squilibrato non esiste, in tutta la Cattedrale.»

 

***

 

Alexander avrebbe dovuto vedere chi era presente sul tetto, prima di assegnare a Lastar la corona di folle della Cattedrale.

L’Esorcista non ebbe tempo di salire l’ultimo gradino: un peso morbido gli si avvinghiò alla schiena, e, se non fosse stato così bene allenato, probabilmente avrebbe perso l’equilibrio e si sarebbe schiantato con la faccia al suolo.

«Finalmente sei arrivato» cinguettò una voce al suo orecchio, prima che il timpano fosse assordato da un bacio.

Anche questa volta, a Lastar non fu necessario guardare per riconoscere il proprietario della voce.

«Deimos. Scendi. Ora» sillabò, più minaccioso che mai.

Il tono intimidatorio sortì l’effetto opposto sul deviato aggrappato alle sue spalle: le gambe dell’indesiderato si strinsero attorno al suo bacino, e un’unghia nera tracciò invisibili ghirigori sulla sua gola.

«Hai sempre una bella voce. Bassa e roca» si complimentò l’altro, facendo quasi le fusa mentre sfregava la guancia contro quella dell’Esorcista.

«Deimos, se non scendi subito, ti sparo» lo avvertì Lastar e, per evidenziare la sua minaccia, sollevò una delle due pistole.

Uno sbuffo gli appannò una lente degli occhiali, e l’ospite sgradito si tolse dalla sua schiena con una mossa agile.

«E dire che ti stavo lusingando» si offese quello, imbronciandosi con il viso e il corpo. «La prossima volta ti dirò che sei brutto e noioso.»

«Così ti sparerò senza nemmeno avvisarti prima» patteggiò asciutto Lastar.

Gli occhi del giovane si socchiusero furfanteschi, mentre un ghigno ferino stendeva le labbra piene.

«Cosa sentono le mie orecchie» teatralizzò, avvicinandosi all’Esorcista con un passo flessuoso. Fece scorrere la mano all’interno del braccio dell’altro, volutamente vicino al fianco, e sussurrò: «Qualcuno è molto vanitoso.»

«Sono venuto qui perché è suonato l’allarme» gli rese noto Lastar.

«E io perché volevo vederti» con un guizzo, il ragazzo si portò a sedere sulla balaustra, incurante dello strapiombo sottostante. Puntò i gomiti sulle ginocchia e adagiò il viso tra le mani, focalizzandosi sul volto dell’Esorcista. «E lo sto facendo» flautò mellifluo, mentre lo sguardo scivolava più in basso.

Lastar sistemò gli occhiali, esasperato.

«Guardami, se non puoi farne a meno. Io devo decidere con i compagni il piano di battaglia… cosa c’è, Deimos?» l’Esorcista rilasciò il fiato in un sospiro greve di nervosismo quando vide l’indice del demone svettare civettuolo.

«A quali compagni ti riferisci, esattamente?» squillò l’altro, dondolando le gambe con fare deliziato.

L’Esorcista fu sul punto di assestargli una risposta tagliente, quando la fondatezza della curiosità del satanasso lo colpì. Si voltò, e la sua visuale fu riempita soltanto dal nulla presente sulla terrazza.

«Come è possibile che non siano ancora arrivati?»

«Perché io gli ho impedito di arrivare.»

La testa di Lastar virò con uno scatto, come quelle dei burattini difettosi.

«Tu cosa

Tutto il volto del ragazzo si incuneò in un sorriso, e le sue dita sfarfallarono irrisorie nell’aria, simulando l’invocazione di un incantesimo.

«Magia» sibilò. Incrociò le braccia sulla nuca e si sporse all’indietro con il busto, sull’orlo del precipizio. «Ho sbarrato l’accesso a tutti, all’infuori di te. Sono venuto qui per vedere te» gli ricordò, dondolandosi con spaventosa noncuranza. «Non volevo che la mia visione fosse disturbata dal brutto spettacolo dei tuoi colleghi.»

«Deimos, della gente morirà se i miei compagni non arrivano adesso!» Lastar non poté trattenersi dall’urlare, e le montagne intorno gli restituirono un’eco sferragliante della sua rabbia.

«Cosa ti fa pensare che la cosa abbia una qualunque rilevanza, per me?»

Gli occhi del ragazzo, fino a quel momento quasi spalancati per osservare meglio l’Esorcista, si strinsero in una fessura da cui trapelava unicamente una malsana scaltrezza.

«Tengo a te, Lastar» ogni parola sibilata risuonò come le note in un organo funereo. «Ma questo non significa che soffrirei, se il resto della Cattedrale venisse rasa al suolo. Gli umani non sono nemmeno buoni da mangiare, per me.»

Lastar portò istintivamente le pistole in posizione di difesa. La natura demoniaca del ragazzo emergeva da frasi di quel genere, così fredde e sprezzanti.

Deimos era uno dei demoni di seconda generazione, nato dall’unione tra Lucifero e Lilith, ed era stato insignito alla nascita della qualifica di demone del Peccato Irrazionale. Il suo aspetto fisico lo testimoniava in ogni sua forma: nei pozzi di sangue delle iridi era possibile intravedere lo scatenato reame della pazzia, mentre le onde dei capelli in cui si intrecciavano il corvino e lo scarlatto ricordavano i più antichi famigli dei diavoli, i serpenti. Il corpo era un perfetto altare alla lussuria: non vi era una curva fuori posto, un muscolo fuori forma, un arto che non fosse perfettamente bilanciato. Nemmeno lo stravagante modo di vestire del demone riusciva a mascherare la sensualità del viso e del fisico: bastava un’occhiata alla sua figura sinuosa perché la sanità di ogni uomo vacillasse.

In fondo, era per quello che era stato concepito: diffondere l’irrazionalità e i peccati ad essa connaturati.

Deimos fu più lesto di una vipera, e Lastar non ebbe modo di reagire tempestivamente: si allungò verso di lui, stampandogli un bacio sulle labbra, e ritornò nella sua posizione in un secondo, seduto con le braccia incrociate dietro la testa.

«Non corrucciarti, o diventerai spiegazzato come un foglio di pergamena tra meno di dieci anni» gli consigliò Deimos, di nuovo un sorriso disarmante in bella mostra sul viso.

«Non avevi bisogno di baciarmi, per dirmelo» disapprovò Lastar.

«Oh, quello è un piccolo omaggio. Goditelo» Deimos gli indirizzò un occhiolino malizioso, e ricominciò ad altalenare nel vuoto. «Comunque, noi due da soli siamo sufficienti. Sono una ventina di demoni, di classe inferiore.»

«Noi?» scattò l’Esorcista.

«Ti accompagno. Sono mesi che non mangio» si lagnò il ragazzo. Al contrario degli altri demoni, Deimos non si nutriva dell’anima degli esseri umani: trovava più di buon gusto l’essenza vitale dei suoi simili. Non si poteva pretendere che l’incarnazione dell’irrazionalità seguisse la dieta ufficiale della sua razza.

L’ultimo dondolio fu più forte dei precedenti, e Deimos si sporse troppo oltre la balaustra.

Le gambe e le braccia dell’Esorcista scattarono automaticamente: afferrò il corpo sottile del demone prima che andasse a schiantarsi nell’abisso, e lo strinse a sé per riportarlo sulla terra stabile. Un’inspiegabile spinta lo rovesciò all’indietro, e la sua nuca picchiò rudemente contro la pavimentazione. Non ebbe tempo di imprecare, impegnato a risolvere un altro problema: era steso a terra, con un diavolo lascivo che lo inchiodava al suolo.

«Mi chiedevo quanto tempo ancora avresti impiegato ad accorgerti che ero in pericolo» si risentì l’altro, adagiato sul torace dell’uomo con la rilassatezza di un nobile sul suo triclinio.

Le dita di Lastar si strinsero sulle pistole, che non aveva abbandonato nonostante l’emergenza, in uno scatto di irritazione.

«L’hai… fatto di proposito?»

«Ho anche spinto con i piedi contro la balaustra per farti cadere, mio caro» confessò candido quello, appoggiando il mento sui suoi pettorali. «E ne è valsa la pena: questa visuale è ottima.»

«Stanno arrivando dei demoni…» ringhiò Lastar, ma Deimos lo interruppe con un cinguettio.

«E tu hai il diavolo più bello di tutto il mondo conosciuto sdraiato addosso. Non ti senti privilegiato?»

La canna della pistola si appuntò contro la sua fronte, e il demone si rialzò visibilmente contrariato.

«Sai cosa si dice degli uomini fissati con la lunghezza delle armi?» lo canzonò, la momentanea arrabbiatura subito sostituita dal bizzarro buon umore.

«Non lo voglio sapere» tagliò corto Lastar, riequilibrando gli occhiali sul naso. «I demoni si stanno avvicinando.»

Il corpo del diavolo si modellò contro il suo busto, la nuca adagiata nell’incavo del collo, ed il ragazzo alzò il viso affinché gli occhi potessero legarsi a quelli dell’Esorcista, gemelli nella tinta rubino.

«Allora andiamo a dargli un caloroso benvenuto» lo incitò, raggiungendo con un balzo a piedi uniti il parapetto.

«Hai intenzione di sferrare un attacco frontale?» le sopracciglia ramate si sollevarono dubbiose.

«L’attacco è la miglior difesa» recitò baldanzoso Deimos, eseguendo un complicato gioco di equilibrio sulla balaustra.

«E come conti di scendere, esattamente?» pretese di sapere Lastar, incuriosito e spaventato dalla possibile risposta.

Deimos compì una piroetta, che concluse incrociando le gambe con un’eleganza in disarmonia con il suo carattere irrefrenabile.

«Guarda come sono vestito.»

«Deimos, seriamente, non…»

«Guarda» comandò il demone, sulle labbra il sorriso malevolo di un re pronto a far tagliare la testa ad un servo insolente.

Lastar lasciò l’ennesimo sospiro libero di uscire. L’abbigliamento del satanasso era quello cui era abituato: stivali, pantaloni di pelle e camicia sbottonata, tutto rigorosamente in nero, ad eccezione del filo cui erano appese stravaganti pezze colorate che il diavolo si attorcigliava sempre attorno al busto. Solo un particolare non rientrava nel suo solito vestiario.

«Indossi un mantello» notò, spazientito.

Un turbine sorridente gli precipitò sul petto, e delle mani irriverenti gli scompigliarono i capelli.

«Bravo» l’ultima sillaba non era ancora stata pronunciata, e il demone aveva già fatto ritorno alla sua posizione aggraziata sul parapetto. «Quindi possiamo scendere volando.»

Una vena pulsò per l’irritazione, gonfiando la tempia dell’Esorcista. Deimos sorrise lezioso, mentre afferrava il mantello e lo faceva sventolare attorno al corpo.

«Perché credi che tanti demoni usino questi brutti stracci ammuffiti? Sono fatti di una sostanza particolare che reagisce con la nostra aura. E diventano delle ali.»

Il viso dell’Esorcista si abbassò, e uno sguardo torvo lo raggiunse dalla sopra la cornice degli occhiali.

«Quindi non saresti morto, se tu fossi caduto all’indietro.»

«Adoro gli uomini perspicaci» lo adulò beffardo Deimos.

«Quindi avrei potuto evitare di salvarti, prima» concluse Lastar.

«Ma ti saresti privato dell’esperienza di avere il demone più bello del mondo premuto sul tuo petto» alcune ciocche ondulate vennero spinte ai lati del viso con un gesto vanitoso, accompagnando l’auto decantazione del demone.

Lastar preferì non commentare quell’ultimo punto, e poggiò la canna della pistola contro la fronte: il gelo del metallo lo avrebbe aiutato a recuperare la sua freddezza.

«Puoi portarmi giù con te?» le parole arrancarono a fatica tra i denti digrignati.

Il viso di Deimos si aprì in un sogghigno diabolico, e le sue braccia in un invito licenzioso.

«Con enorme piacere, mio adorato» lo corteggiò con un tono di voce vellutato, ma l’Esorcista non si lasciò fuorviare così facilmente.

«Come scendiamo?»

Deimos scrollò le braccia aperte, in un impaziente incitamento.

«Io volo, tu ti aggrappi» chiarì.

Lastar squadrò il demone in attesa, i suoi arti esili e il suo mantello dai poteri prodigiosi. Tutto ciò costituiva una garanzia davvero effimera per convincerlo a buttarsi giù dall’alto terrazzo della Cattedrale. L’incoerenza del demone doveva averlo contagiato, poiché si avvicinò a lui e gli cinse il bacino sottile con le braccia, le mani ancora strette sulle pistole.

Il ghigno di Deimos si ammorbidì in una malizia fiammeggiante, e lo intrappolò con un’espressione incendiaria negli occhi mentre gli accarezzava il viso imbronciato.

«Finalmente ti sei deciso» gioì lusingatore.

«Sei sicuro di riuscire a portare anche me?» Lastar stroncò sul nascere quel nuovo tentativo adescatore del demone, e la vendetta di Deimos si sublimò in un bacio sulla sua fronte corrucciata.

«Fidati di me, Lastar» sussurrò sull’attaccatura dei capelli di lava.

Gli artigli del demone si conficcarono nelle sue spalle, per trattenerlo al momento di spiccare il volo.

Le pieghe del mantello turbinarono attorno a loro, attorcigliate nella metamorfosi che le avrebbe trasformate in ali, ed il vento implacabile li frustò durante la loro caduta.

Lastar serrò l’abbraccio attorno alla vita del demone e nascose il viso nel suo petto. E non fu solo la paura del volo a stringergli il cuore.

 

***

 

«Oh, sei nudo.»

«Ho i calzoni.»

«Sei quasi nudo.»

Un viso adirato più rosso degli occhi gli scoccò un’occhiata assassina, prima di essere sfregato nell’asciugamano grezzo.

«Alexander, hai fatto irruzione nel mio bagno per qualcosa di utile o solo per constatare che mi spoglio quando mi lavo, come tutti gli esseri umani?» brontolò nella stoffa ruvida.

«Volevo complimentarmi per la splendida vittoria riportata» si congratulò il suo superiore, fermo sullo stipite della porta come una statua decorativa.

Il viso emerse parzialmente dall’asciugamano, appuntandosi sul catino sottostante.

Le sue mani insanguinate avevano donato all’acqua un intenso colore rosso cupo: il “vino della battaglia”, come lo chiamavano i combattenti più poetici. Non era stato sufficiente a ripulirlo del tutto: alcuni grumi di sangue erano rimasti incastrati sotto le unghie, e avrebbe dovuto raschiarli via con la lama di un pugnale. Perfino l’asciugamano si rivelò arrossato dal lascito dello scontro, come notò quando lo scostò dal viso.

«Erano deboli» minimizzò.

«Erano più di venti. E li hai affrontati da solo.»

Il tono con cui Alexander sottolineò il numero dei demoni trafisse la sua schiena come una pioggia di aghi. Gettò l’asciugamano in un angolo del bagno e si voltò guerresco. Il suo superiore non era un bambino al suo primo giorno di scuola: era perfettamente in grado di confrontarsi con le creste più aspre del suo carattere.

«Pensi anche tu che io sia un alleato dei demoni?» inveì, il collo teso e i muscoli delle braccia pronunciati per la rabbia. «Per via dei miei occhi? O dei capelli?»

Alexander scosse la testa, ed il gesto disseminò una tempesta di riflessi perlacei sui capelli bianchi.

«No. Per via del ragazzo che hai portato nella Cattedrale.»

L’accusa cadde come un macigno tra di loro, seppellendo il dono della parola di entrambi.

Una ciocca argentata venne spostata dietro l’orecchio, ed Alexander continuò, cadenzato ma inflessibile:

«È un giovane molto particolare. Non avevo mai visto il piano sotterraneo in subbuglio come questa sera.»

«È un ragazzo di bell’aspetto, come non se ne vedono molti» arginò Lastar. Cercò con una mano gli occhiali, appoggiati da qualche parte sul lavabo, e la seconda affermazione del Messo Celeste lo schiaffeggiò sulla nuca:

«È indubbiamente attraente. Ma sembra che basti soffermarsi su di lui un solo istante per sentire le proprie inibizioni crollare. È quasi… satanico.» 

Se fosse stato una persona normale, avrebbe morso le labbra e chiuso le mani a pugno per l’afflizione nel vedere il più capace dei suoi uomini ammutolito da chissà quali colpe inconfessate. Ma lui era un Messo Celeste, e non poteva permettersi simili manifestazioni emotive: il tono fu asciutto e severo per ammonire il suo sottoposto come era giusto che fosse.

«Sei il migliore Esorcista che abbia difeso questa Cattedrale da secoli. Potrei garantirlo anche sotto giuramento» un angolo della sua bocca si tirò canzonatorio, ricordando quanto fossero vere le sue parole: aveva visto con i suoi occhi porre la prima pietra della fortezza, ed era ancora vivo per raccontarlo. «Hai la mia totale fiducia. Per cui non ti porrò domande a cui non vuoi o non puoi rispondere. Ma ti impongo di essere prudente, Lastar: è sulle spalle di Esorcisti come te che si fonda la sicurezza di questa cattedrale.»

Le dita callose del giovane tamburellarono sulle stecche degli occhiali, senza spezzare il silenzio con quel loro suono dimesso. Fu compito dell’Esorcista squarciarlo.

«Mi ha aiutato durante la battaglia, oggi. Come ricompensa, mi ha chiesto di passare una notte alla Cattedrale.»

Alexander sollevò il mento, austero.

«Perché hai acconsentito?»

«È stato perquisito dalle guardie, ed è stato giudicato innocuo» addusse come spiegazione.

«Normalmente, non lo avresti nemmeno fatto avvicinare» le vesti del Messo Celeste frusciarono quando questo si inginocchiò di fronte a lui per incrociare i loro sguardi dal basso. «Perché hai acconsentito?» ripetendo la domanda, Alexander ottenne finalmente una replica, sebbene non fosse quella che aveva auspicato:

«Questa è una domanda a cui non voglio rispondere.» 

Le ciglia bianche si incontrarono una sola volta, aristocratiche, e un’espressione inflessibile seguitò l’indagine:

«Puoi garantirmi che la sicurezza dei cittadini non verrà intaccata?»

«Posso garantirlo» assicurò Lastar.

Nonostante l’età avanzata, le ginocchia non scricchiolarono, permettendo al Messo Celeste di rialzarsi con un movimento fluido.

«Lascialo tra la gente ancora qualche ora, se così desidera. Poi fallo uscire o portalo nella tua camera e sorveglialo. È un ordine» terminò, per prevenire qualunque possibile replica.

Il capo fiero di Lastar si chinò umilmente, un braccio obliquo sul petto e l’altro piegato dietro la schiena nella formale dimostrazione di rispetto.

Nessuna espressione visibile attraversò il viso di Alexander, ma il suo tono vibrò di una preoccupazione sotterranea:

«Sei stranamente ubbidiente, quando si parla di quel giovane. Stranamente silenzioso, stranamente guardingo» le dita dell’uomo di intrecciarono composte: «Spero che tu sappia cosa stai facendo, Lastar.»

L’Esorcista rimase immobile, mentre il suo superiore abbandonava la stanza. Non si mosse finché anche l’ultima eco dei passi del Messo Divino non fu dissolta nei corridoi. Solo allora strinse le dita sul bordo del catino, la schiena piegata come per un aggressivo attacco di nausea. Boccheggiò, strozzato dai conati, e l’odore rugginoso del sangue gli riempì il naso e i polmoni, acuendo la sensazione di malessere.

«Sapere quello che faccio?» ansò, scivolando sulla superficie umida del lavabo. «Vorrei tanto, Alexander. Vorrei tanto che fosse così.»

 

 

… questo è ciò che accade quando la Red decide di scrivere una slash xD

E poi decide di metterci gli angeli e i demoni XD

Vi ringrazio per essere arrivati a leggere fin qui (e lodo il vostro coraggio<3)<3

A presto, se vorrete saperne di più sul destino di questi amorevoli spostati<3

Red


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