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Autore: Josie5    16/01/2013    21 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

17.Normalità?


 

Con la luce del sole tutto sarebbe dovuto tornare alla normalità.

Stavo osservando, con quel fare assopito e tranquillo, tipico del risveglio, il piccolo e rotondo neo sulla guancia di Parker.

Sarebbe dovuta essere un'imperfezione, ma nel caso di Max non lo sembrava: senza ci sarebbe stato uno strano vuoto, il suo viso sarebbe rimasto meno impresso.

La luce, del primo mattino, entrava leggera dalla finestra poichè Parker la sera prima si era dimenticato di chiudere le imposte.

La spalla di Max mi aveva fatto da cuscino e immaginavo quanto poco sangue gli stesse circolando.

Sorrisi addormentata, divertita e … Allegra.

Lui dormiva ancora, era presto, mentre io mi ero svegliata sentendo il taglia-erba di uno dei vicini entrare in funzione.

Lo osservavo e mi chiedevo cose strane: finché non si fosse svegliato eravamo ancora amici? O tutto era finito col sorgere del sole?

Spostai lo sguardo sulle palpebre chiuse, le ciglia chiare e folte; scesi lungo la linea del naso fino ad appoggiare gli occhi sulle labbra, sottili ma piene, disegnate con una linea particolare che aveva preso dalla madre, di un bel colorito. Deglutii. E morbide e calde, fruttate, se ricordavo bene.

Contrariata scossi la testa.

Luce del sole. Normalità. Insomma, Evelyne!

Normalità, ma io mi imbambolavo comunque a fissare Parker.

Normalità, mi ripetei.

Una Evelyne, nella tana del lupo, nel letto del lupo, cos'avrebbe fatto normalmente?

Sarebbe scappata, correndo.

Decisi che avrei seguito il consiglio dell'Evelyne, quella di mesi prima, quella ancora sana mentalmente.

Cercando di fare meno movimenti possibile, scivolai da sopra il suo braccio, tra le lenzuola, e cercai di alzarmi.

- Dove vai? - Biascicò all'improvviso, con una voce addormentata. - Di solito sono io quello a scappare ...

Mi girai. Parker aveva ancora gli occhi chiusi e con una smorfia spostò il braccio che gli avevo schiacciato dormendo.

- A casa!

Aprì gli occhi, piano, e cercò a tentoni il cellulare che aveva lasciato sul comodino. Con l'altra mano cercò di ripararsi dalla luce che filtrava nella stanza. - Sono le 7:30 ... Sei pazza, dormi! - Lanciò al suo posto l'iPhone e si immerse tra le coperte, grugnendo.

- Devo andare! - Mi opposi di nuovo, ma senza alzarmi.

Tornò a guardarmi, imbronciato, di malumore per l'orario e per il sonno che continuava ad avere.

- Ti obbligo - Disse, per poi sorridere.

Spalancai la bocca, incredula. - Hai detto ieri che non c'era più la storia della foto! 

- Cambiato idea! - Fece spallucce allegro, spostando un po' le coperte in cui cominciava ad intrappolarsi.

Irritata al massimo mi uscì un ringhio frustrato. - Non dormo, tanto! Tidisturberò per tutto il tempo e non ti lascerò chiudere occhio!

Lui rise e mi guardò in modo strano. - Va bene, teppista; vado in bagno e mi fai la colazione allora.

Prima che potessi ribattere, mi aveva lanciato contro un cuscino e si era alzato per andarsene sul serio nell'altra stanza.

Rimisi il guanciale al suo posto, stizzita, guardando la porta che si chiudeva.

Lasciai finalmente il letto e aprii piano la finestra, guardando fuori e sentendomi pian piano scaldare dalla luce del sole, che crescendo batteva contro quel lato della casa.

La camera di Max dava sul giardino nel retro e osservai distrattamente le piante curate, chiedendomi se avesse anche un giardiniere e come avessi fatto a non vederle mai in quei mesi. Notai per la prima volta poi anche un canestro, infondo a destra, isolato, con una palla lì vicino, sull'erba.

Mi sembrava che fossero passati solo pochi secondi per quanto mi ero persa nei miei pensieri, guardando quella sfera arancione scuro, ma la porta si riaprì velocemente.

Mi girai scocciata, come dovevo essere sempre, guardandolo.

- Finalmente! - Sbottai, come se mi fossi accorta della durata dell'attesa.

Max mi lanciò uno sguardo scettico ma divertito e mi ignorò andando a sedersi sul letto.

Sbuffai, superandolo e uscendo. Mi chiusi dietro la porta del bagno, poco dopo, e arrivata allo specchio osservai con orrore la mia immagine riflessa.

Spettinata, col segno del cuscino, o del pigiama di Max, sulla guancia; mi tolsi una ciglia che si era appoggiata e attaccata vicino al naso, mordicchiandomi le labbra.

Provai poi, con molto coraggio, a sistemarmi i capelli, pettinandoli con le mani e, non riuscendoci, provai a cercare nei cassetti un pettine. Anche Parker doveva pur spazzolarsi i capelli, no?

Mi bloccai un attimo sorpresa, trovando però un elastico. Un elastico verde acqua. Il mio elastico, il primo che mi aveva rubato, dicendo che coi capelli legati stavo male.

Lo presi con uno strano sorriso, non sapendo bene cosa pensarne, ma lasciai presto perdere legandomi i capelli e sentendomi già meglio con me stessa.

Mi sciacquai la faccia, provando a far sparire quel segno sulla mia pelle, senza successo, e poi lavai i denti con lo spazzolino per eliminare il sapore metallico tipico del mattino. Provai a sistemarmi, insomma, perchè avevo intenzione di scappare e non volevo farmi vedere da eventuali vicini in condizioni tragiche. Volevo andarmene, altro che fargli la colazione.

Uscii velocemente, cercando di non sbattere la porta, e trovai Parker ad aspettarmi, davanti alla sua camera, col cellulare in mano.

Mi fece cenno di scendere, sorridendo, con uno dei sorrisi che non avevo ancora ben identificato, ma che mi facevano capire perfettamente che dovevo assecondarlo; la fuga mi era bloccata al momento.

Lo guardai con una smorfia e poi, annuendo, cominciai a scendere le scale.

- Mi fai delle frittelle? - Chiese a bassa voce, dietro di me, e mi sembrava quasi strano che non mi avesse ancora detto niente per i capelli.

- Ma devo preparare l'impasto, poi volevo andare a casa che devo ... - Mi lamentai, arrivando alla fine delle scale.

- Ti ricordo volentieri di una certa foto ...

- Ti ammazzerò un giorno. Nessuno sentirà la tua mancanza! - Sibilai acidamente, marciando verso la cucina.

- Ma tu sì, dai!

- No!

- Non fare la sostenuta, che non inganni nessuno!

- Ma taci, idiota!

Mezz'ora dopo, forse più, mentre il bimbo se ne stava seduto, sorridendo tutto contento, col cellulare lì di fianco, a guardarmi versare lo sciroppo d'acero, avrei voluto picchiarlo.

- La prossima volta mi aiuti - mi lamentai ancora.

- Ho setacciato la farina e montato il robo bianco, cosa vuoi di più? - Ribatté, guardandomi male e afferrando il piatto che avevo appena finito di preparare.

Gli rivolsi uno sguardo scettico, per poi sedermi di fianco a lui e completare anche la mia di colazione. Quando finii lui aveva già mangiato mezzo piatto.

- I tuoi si svegliano tardi, vero? - Chiesi, allungandomi verso Parker e schiacciando il tastino del suo cellulare, per sapere l'ora: le 8:17.

Fece spallucce. - Di solito se arrivano tardi la sera, fino alle 9 almeno non si alzano.

Annuii, tranquillizzandomi in parte.

- Paura di essere beccata mezza nuda in cucina? - Chiese; i suoi occhi cercarono i miei divertiti.

All'inizio non capii, poi guardandomi le gambe mi resi conto che non avevo ancora indossato i pantaloni, e che solo la sua maglietta mi copriva. Mi accigliai: non ci avevo pensato quella mattina, avevo fatto conto automaticamente di avere una vestaglia o una camicia da notte; anche il mio cervello recepiva male il fatto che avessi addosso solo una maglietta di Parker. Troppo assurdo e surreale.

Pensai poi alle mie gambe, che erano state alla bella vista di Max per tutto quel tempo, e mi corrucciai.

Feci per alzarmi. - Vado a cambiarmi ...

Mi bloccò con un cenno, ridendo. - Non cambia niente, ormai. Finisci la colazione e dopo fai, i miei non scendono così presto!

Lo guardai sospettosa, ma alla fine aveva ragione e mi sedetti di nuovo.

Parker con un altro minuto finì di mangiare e io cercavo di darmi una mossa per poter correre su ed infilarmi i jeans.

Osservò il cellulare.

- Appena hai finito andiamo via, okay? - Chiese e si passò una mano dietro il collo, sfiorandosi i capelli.

Infilzai l'ultimo pezzo di frittella, non capendo.

- Andiamo?

Annuì e mi guardò incerto, in un modo strano che non ero solita vedere.

- Vado da Billy, poi decido ...

Quasi non credetti alle mie orecchie.

- Ieri mi hai detto ... - Iniziai e la mia voce suonò davvero strana.

- Ho accettato di passare qui un'altra notte, non che sarei rimasto a casa per tutto l'anno - mi fece notare e si alzò in piedi, prendendo il piatto.

Lo imitai, non finendo il cibo nel piatto. - Ma mi sembrava che … Insomma, Max ...

- Mi ci hai fatto pensare meglio, questo devo ammetterlo, però, Evelyne, è meglio se cambio aria. Massimo tra un paio di giorni torno. - Si toccò di nuovo il collo, pensieroso.

Io misi nel lavello, come aveva fatto lui, il piatto.

- Che senso ha?! Resta qua e punto! Non ci hai nemmeno riparlato! Non sai se le cose possono essere cambiate! - Esclamai frustrata.

Non rispose e mi guardò con un silenzio che, avrei quasi pensato se non fosse stato Max Parker, sembrava colpevole.

- Insomma! - Mi accigliai, non vedendolo reagire. - Ieri sono rimasta a cena! A dormire! E ... E tutto! E … Cos'altro devo fare per convincerti a restare in questa casa?!- Chiesi alla fine retorica, ma davvero irritata. Perchè non doveva andarsene! Non doveva!

Sorprendendomi, scoppiò a ridere. - Da mezza nuda queste cose suonano veramente male ... - Spiegò, soffocando un'altra risata, dietro il pugno, e lanciandomi un'occhiata.

Gli diedi un colpo sul petto, stizzita. - Vado a cambiarmi, okay?! Poi ne riparliamo, quindi non osare mettere piede fuori da questa cucina, altrimenti ti uccido Parker! Da Billy non ci metti piede: ho dovuto passare la notte qua, il mio incubo peggiore, e quindi segui i patti! - Lo minacciai, continuando a puntargli contro il dito.

- E non sono mezza nuda! - Brontolai alla fine, sorpassandolo finalmente.

O almeno, io avrei voluto sorpassarlo, e l'avrei fatto se una mano non mi avesse fermata, per il braccio.

Mi girai, imbronciata. - Cosa vuoi adesso?!

Lui sorrise divertito. - Quanta cattiveria, Evy! Stai calma e non fare l'acida!

Lo fulminai. - Io sono sempre calma!

Parker rise leggero e mosse distrattamente la mano contro la mia pelle, pelle nuda per colpa della maglietta.

- Allora posso parlarti di una cosa?

Lo osservai un attimo circospetta, sentendo perfettamente le dita che pian piano risalivano leggermente sul braccio, in una presa calda che mi distraeva.

- Cosa vuoi? - Ripetei, ma in modo diverso a prima.

Mi tirò leggermente verso di sé e fece un passo. - Sai, ho avuto un'idea improvvisa ...

Deglutii, sentendo la gola improvvisamente secca ed arretrando, per provare a riacquistare i centimetri appena persi. - Che idea?

- Pensavo ... - Mentre pensava io, senza nemmeno sapere com'era successo, sentii il marmo del bancone contro la mia schiena.

- Parker, se non parli chiaro mi metto a urlare! - Minacciai, ma non l'avrei mai fatto e Max lo sapeva, probabilmente me lo lesse in faccia perchè sbuffò divertito e si avvicinò ancora di più.

- Lo faresti davvero?

- Non sfidarmi - continuai, ma sempre meno convinta e convincibile.

- E se avessi voglia di farlo? - Mi prese in giro.

Lasciò andare il mio braccio e appoggiò le mani sul ripiano: una alla mia destra, l'altra alla mia sinistra.

- Lo stai già facendo ... - Lo accusai piano, cogliendo dritto negli occhi il suo sguardo.

- E allora perchè non urli? - Disse, sorridendo, con uno dei sorrisi che avevo visto a volte, quello bello, quello che non avrei voluto mai vedere.

Non risposi, mordicchiandomi le labbra e provando ad arretrare ancora di più, sentendo quasi dolorosamente il bancone dietro la schiena.

Aprì le labbra, piano, sempre sorridendo: - Pensavo che forse c'è qualcosa che puoi fare ... - Insinuò.

- Per convincerti a restare? - Chiesi e probabilmente in quel momento vinsi un premio per la stupidità: avrei voluto (dovuto) scappare e gli davo corda.

E Billy in quel momento era anni luce.

Perchè sapevo cosa stava succedendo.

Max in quel modo lo conoscevo poco, non ero molto preparata contro quel tipo di Max, ma quegli occhi li avevo già visti, ormai li riconoscevo. Ad Halloween, sul letto da Kutcher, sul divano il giorno prima c'erano già stati e avevano incrociato i miei.

Ma Billy era ormai anni luce e non sembrava fisicamente possibile che solo il giorno prima fossero successe così tante cose, così tante cose che sembravano fatte apposta per allontanarmi sempre di più dal “non concedergli il punteggio pieno”. O forse non erano successe poi così tante cose, ma perchè dopo quella notte, dopo aver sentito Max rivolgersi in quei modi a me, solo dopo quello e la litigata precedente, perchè le cose sembravano così tanto diverse ora?

E sarà stato per quello che era successo la sera prima, perchè lo sciroppo d'acero produceva effetti strani in me, evidentemente, e che Parker quella mattina era più bello del solito. Il fatto fu che quando lui sussurrò: - Sei disposta a tutto? - Con quel suo tono da schiaffi; quando si chinò di quel poco che bastava; quando portò una mano sul mio fianco.

Oh beh, io non feci niente e mandai a quel paese Billy e le sue frasi in pochi secondi.

Ricordavo vagamente il bacio alla festa di Halloween, ne era passato di tempo, ricordavo solo un vago sapore fruttato, caldo, labbra morbide, ovviamente solo quello, per il poco che era stato. Ma ricordavo soprattutto che Parker mi aveva baciata subito.

Invece no.

Le sue labbra si appoggiarono sulla mandibola, vicino all'orecchio; un bacio leggero e delicato che mi mandò comunque a fuoco; poi ne depositò altri piccoli sul collo, sempre sfiorando, quasi li stesse dando per sbaglio; risalì e seguì, con tutta la lentezza del mondo, la linea del mento. Si fermò sotto le labbra, vicino alle labbra, poi, sfiorando, delicato, ne seguì il perimetro; baciò ogni singolo centimetro intorno alla mia bocca, ma solo intorno. La mano sul fianco mi accarezzava languida ed ero vicina allo star per tremare; perchè sembrava essere sempre così quando mi sfiorava?

Quando fece poi scivolare il palmo dietro la mia schiena, avvicinandomi, la sua bocca si fermò sulla mia, senza fare niente di più che farmi sentire il suo respiro caldo sulle labbra; in quel momento vidi i suoi occhi e non potei resistere oltre.

E Billy fu cancellato, eliminato, sterminato, disintegrato.

Perchè non si poteva pretendere che qualcuno resistesse a quegli occhi.

Nemmeno da Evelyne Gray. Soprattutto perchè nessuno aveva mai guardato Evelyne Gray in quel modo.

Azzerai definitivamente le distanze e fui io a baciarlo.

Sembrò essere quello che stava aspettando perchè subito dopo non si limitò più a sfiorare.

Se fossimo tornati, quella mattina, sul serio alla normalità, non ci saremmo ritrovati in quella situazione e nemmeno se fossimo stati gli amici della sera prima. Quello era la conseguenza di tutto?

O forse semplicemente l'Evelyne di ottobre ormai non c'era più. Forse c'era solo l'Evelyne di febbraio, con gli ormoni ormai impazziti, evidentemente, e un Parker che era bello da star male, con il suo neo, gli occhi verdi intensi, i ciuffi chiari spettinati, e mi aveva baciata, mi stava baciando.

C'era qualche scommessa in atto? Non ci avrei mai minimamente pensato, né in quel momento né dopo. Alzai semplicemente e in modo naturale le braccia arrivando ai suoi capelli e infilandoci le mani; capelli soffici, sottili, come avevo, senza accorgermene, sempre pensato, li afferrai come un'ancora di salvezza, ed era solo un semplice bacio con le labbra. Ma mi serviva un legame con la realtà in quel momento, anche se sembrava tutto tranne qualcosa di normale.

Con un piccolo morso, sul labbro inferiore, mi fece schiudere la bocca e quando approfondimmo il bacio …

La mia esperienze in quanto baci era breve e corta.

Ma niente era mai stato simile a quello. Era normale pensarlo, vero?

I capelli glieli avrei strappati e intanto provavo a cercare di non avere la pelle d'oca che sentivo star arrivando prepotentemente. Era normale avercela, vero?

Si allontanò per darmi una tregua che serviva a entrambi, soprattutto a me.

Sentivo la morte, per mancamento, infarto, ormai prossima. E che eravamo a casa sua e i suoi genitori avrebbero potuto svegliarsi da un momento all'altro, nemmeno ce lo ricordavamo, o almeno, non io.

Sapevo solo che gli occhi di Max erano di un verde acquoso, lucido e che volevo un altro bacio e che non si poteva avere quegli occhi puntati nei propri, in quel modo, e non volere un bacio.

Quasi sentendomi tornò a baciarmi, questa volta con più foga. Socchiusi le labbra quasi subito, rivolendo quel contatto che era durato troppo poco. Lo stavo davvero pensando?

E stavo davvero elaborando il pensiero che Parker sapesse di frutta, quella che piaceva a me: pesca, ciliegia, qualcosa di simile, e quella nota di sciroppo d'acero mi faceva cercare sempre di più, ancora e ancora, un bacio.

Con una facilità assurda mi prese per i fianchi e sollevò fino a farmi sedere sul bancone. Il freddo del marmo contro le gambe mi fece sobbalzare e in parte riprendere contatto con la realtà.

- Max ... - Sospirai, mentre cominciava a baciarmi il collo; le sue mani erano piantate sui miei fianchi aggrappate alla maglietta dei coldplay.

- Uh?

Non risposi perchè Parker rimaneva comunque uno stronzo: cominciò a mordicchiarmi la pelle e a malapena riuscii a tenere gli occhi aperti, figuriamoci parlare. E cosa volevo dire?

Mandai una seconda volta tutto a cagare.

Parker abbassò lentamente le mani e arrivò al bordo della maglietta, ma solo quando la mano lentamente si infilò sotto, sfiorandomi la coscia, buona parte dei miei sensori puntarono in quella direzione.

- Toglila immediatamente. - Sarebbe dovuto essere un ordine, ma la voce bassa e, ormai affannosa, non sembravano d'accordo.

Lui rise e, lasciando il collo, si avvicinò al mio viso. - Dillo con un tono più convinto e potrei pensarci ... - Rincarò anche la dose.

Il suo sguardo e la mano che scivolò di lato, sotto, vicino al taglio finale della gamba, mi fecero sobbalzare e aggrappare alle sue spalle.

- Parker, ti uccido ho detto! - Provai a ripetere il concetto, ma senza molti risultati, visto che si avvicinò alle mie labbra, sfiorandole, stuzzicandomi come se mi conoscesse da sempre e sapesse esattamente come fare.

Fui io a baciarlo, tirandolo più vicino per i capelli, capelli che continuando così sarebbero finiti davvero male, ma era impossibile non toccarli. Vinsi anche, quella mattina, il premio coerenza.

Quasi gemetti sulla sua bocca, per la sorpresa, quando anche l'altra mano imitò la prima.

In quel momento smise di baciarmi, all'improvviso, e seguii istintivamente il suo viso, cercando di riattirarlo ma senza risultati, riaprii gli occhi velocemente.

Max mi guardò attento, respirando profondamente, gli occhi dicevano tutto, come sempre.

- Rimango. - Ma io non ci avevo letto quello, esattamente.

Non collegai. Non ricordavo il motivo per cui ci eravamo baciati, tutto mi sembrava confuso: mi sentivo la testa leggera e mi venne da sorridere. Non mi ero mai ubriacata ma supponevo che la sensazione di un po' di alcool in circolo nel sangue fosse qualcosa di simile. Ecco, probabilmente ero ubriaca, pensai, cominciando a riprendermi leggermente e il sorriso cedette. Cos'avevo appena fatto?!

Mi guardava aspettando una risposta ed io, Evelyne Gray, la secchiona della scuola, non riuscivo a capire, forse anche troppo sconvolta dalla consapevolezza che mi stava bombardando.

- Eh?

Dovevo avere un'espressione strana perchè lui scoppiò a ridere e poi un sorriso, quasi compiaciuto, gli si dipinse sulle labbra.

- Sono stato convinto a rimanere qui. Per un altro po' almeno ... - La sua mano tornò ad essere leggera e si mosse piano, senza spostarsi veramente e solo per ricordarmi di essere ancora lì, sotto la mia gamba.

Finalmente capii, nonostante i pensieri, nonostante le distrazioni.

Un altro po'? Te lo scordi che accetti di nuovo … Questo, per convincerti a non andartene ... - Ribattei pigolando, in mia difesa. Perchè sì, avevo accettato i baci solo per quello, insomma! Mi sentii in parte il viso caldo e cercai di trattenermi e non arrossire; le mie mani erano ancora sulle sue spalle e non me n'ero accorta.

- Beh - iniziò.

- Cosa? - Chiesi, guardandolo negli occhi lucidi, più verdi del solito e forse incantandomi un attimo.

- Ma se vuoi convincermi ancora meglio ... - Iniziò sorridendo, e una mano tornò ad appoggiarsi piano sulla mia coscia, scivolando verso il mio fianco e toccandomi la pelle nuda e sobbalzai, tendendomi. - Possiamo ... Continuare. - Normalmente l'avrei ucciso. Ma qualcosa in quel momento era ormai normale?

Sentii quindi solo una piccola fitta alla pancia e mi ritrovai a mordermi le labbra, non sapendo come reagire, cosa fare, cosa rispondere.

La sua mano continuò lenta, imperterrita, a salire, mentre lui tornava a sfiorarmi le labbra, provocandomi e io mi aggrappavo, con le unghie, alle sue spalle.

- Parker ... - Blaterai, a disagio, sul punto di cedere, ma non potendo, assolutamente no, non una seconda volta.

Ma a salvarmi, in extremis, nel modo più sicuro, fu la porta al piano di sopra che venne sbattuta.

Si bloccò, fece una smorfia, mentre io sobbalzavo, poi si spostò.

Ero ancora imbambolata da tutto quello che era successo, ma mi feci forza per sembrare normale e scivolai giù dal marmo. La maglietta dei Coldplay era sollevata di davvero molto e me la sistemai velocemente, guardandomi le gambe.

Non disse niente, ma mi prese per il polso, senza aspettare che tornassi a guardarlo, e velocemente mi trascinò via. Sembravo anche incapace di muovermi autonomamente? Evidentemente sì, perchè non reagii comunque.

Arrivato alle scale salì velocemente, tirandomi dietro. Entrammo nella sua camera senza che dicessimo niente e senza che nessuno si facesse vedere nel corridoio delle camere.

- Vado - riuscii a pronunciare quella parola, alla fine, appena la sua mano scivolò dalla mia. - E' meglio ...

Mi aspettavo che ribattesse, che sorridesse come aveva fatto per tutto il tempo, prima, che si riavvicinasse e dicesse che me l'avrebbe impedito, o che non lo dicesse e lo dimostrasse coi fatti; mi aspettavo quello in quel momento, tanto ormai la normalità era andata a farsi fottere, no?

Ma evidentemente non era del tutto così.

- E io resto - rispose impassibile, passandosi la mano tra i capelli. Dove poco fa c'erano state le mie di mani.

Mi inumidii le labbra e senza guardarlo oltre cercai e mi infilai i jeans, mentre lui si sedeva alla scrivania ed apriva il pc.

E quello che era appena successo? Avrei voluto dire ad alta voce.

Afferrai il bordo della maglietta dei Coldplay e mi bloccai: pensavo a quello che era successo, sul bancone, mi chiedevo se fosse cambiato qualcosa o fosse stato sul serio un bacio solo per farlo rimanere, come aveva detto; un capriccio senza conseguenze.

O mi stavo solo complicando troppo la vita? Dov'era la mia normalità? Volevo la mia normalità!

Parker, che mi aveva lanciato un'occhiata, interpretò l'esitazione che stavo avendo per imbarazzo, probabilmente, perchè girandosi subito dopo disse con tono piatto: -Puoi tenere la maglietta, non c'è bisogno di togliertela, me la riporterai poi-.

Eseguii senza ribattere e semplicemente mi vestii sopra la sua maglietta.

Finii così, dopo essermi allacciata la giacca, e lo guardai mentre finiva di accendere il computer.

- Vado.

- Okay - rispose, quasi annoiato.

Mi avvicinai alla porta e, con la mano sulla maniglia, mi bloccai. - Normalità? - Chiesi retorica e nella voce sentii una nota strana, irritata, che non avrei voluto avere, né tanto meno far sentire.

Ero arrabbiata? Risentita? E se sì, per che cosa?

- Sì. - Fu la semplice e disinteressata risposta.

Ma quella era più simile alla normalità, dopo tutto, e io volevo quella.


 


 

Sentivo la busta di plastica, appoggiata contro il mio polpaccio sinistro, scivolare lentamente. Avrei voluto fermarla prima che cadesse del tutto, facendo uscire il contenuto, ma infilare i libri nell'armadietto e rispondere sensatamente a Francy non me lo permettevano.

- Mi stai ascoltando?!

Sistemai con attenzione i libri di letteratura inglese, sostituendoli con quello enorme di chimica. La guardai un po' impacciata, chiedendole scusa con lo sguardo.

Alzò gli occhi al cielo e, avendo pietà di me, si chinò per sollevare la busta.

- Dicevo. - Mentre parlava aprì il sacchetto e tirò fuori la maglietta che quella mattina avevo piegato in tutta fretta. - Che Alex, cioè, Kutcher, mi ha chiesto di uscire.

Lo disse in modo strano, con uno sguardo concentrato sulla scritta “Coldplay”, forse semplicemente per non guardarmi.

- E tu? - Chiesi, riuscendo finalmente a chiudere l'anta dell'armadietto metallico.

Mi guardò e i suoi occhi grigi trovarono i miei: sembravano terrorizzati. - Io gli ho detto di sì.

Non capii perchè quell'espressione. - E questa faccia, cosa dovrebbe dirmi?

- Non so perchè gli ho detto sì! Insomma, è un idiota e io con gli idioti non ci esco! - Sembrava davvero preoccupata.

Risi, cominciando a camminare verso l'aula, al primo piano, di chimica. - Idiota suona male, diciamo tonto, su!

Arrotolando la maglietta la rimise dentro la plastica.

- E so di piacergli! E se ci prova?!

- E' ovvio che ci proverà. Quando uscite? - Lei faceva la terrorizzata e io ero tremendamente divertita.

Si bloccò un attimo. - Sabato sera, usciamo a cena.

- Un appuntamento in grande stile! - Commentai.

- O posso intenderla come un'uscita tra amici? - Chiese e si tormentò le mani.

- Io non ti porto in ristoranti chic - le feci notare, ridendo.

- Non sarà un ristorante chic! - Gonfiò le guance, ma si arrese all'evidenza che fosse un appuntamento con una strana espressione.

- Hai un appuntamento con Kutcher! - Canticchiai a bassa voce, mentre ci avvicinavamo a chimica, prendendola in giro.

Mi guardò male, ma arrossendo un po': quella era una novità in Francy!

- Ti offrirà la cenaaa! - Continuai sempre con lo stesso tono e spinta dalle sue reazioni.

- Ti accompagnerà a casaaa! Poi ti abbraccerààà! Ti bacerààà! E poi ti ...

Si riprese e sorrise sadicamente. - Ti bacerà? Quello è Parker con te, Eve, mi dispiace - lo disse anche ad alta voce.

Sgranai gli occhi terrorizzata e mi guardai intorno col cuore in gola. Nessuno, nell'affollato corridoio sembrava però averci fatto caso.

- Dio, Francy! - La sgridai.

Lei rise e facendomi la linguaccia si infilò dentro l'aula di chimica.

Scossi la testa irritata.

Mentre stavo per seguirla anch'io dentro la classe, anche se alla campanella d'inizio ora mancavano alcuni minuti, vidi Billy e Clark infondo al corridoio.

Non c'era Parker.

Mi mossi sul posto, indecisa, valutando la situazione.

Da Domenica mattina, dalla colazione, dal bancone, da tutto quello che era successo, di cui era stata informata Francy, che mi prendeva in giro da tre giorni, beh, da quel giorno io e Max non ci eravamo rivolti più la parola. Da tre giorni non avevo ricevuto richieste stupide, quelle che faceva di continuo, da tre giorni non mi cercava per quella stupida storia di farsi portare lo zaino. Da tre giorni, quando gli passavo davanti a scuola, era sempre concentrato a scrivere sull'iPhone e nemmeno mi vedeva. Billy mi salutava al suo posto, col suo solito sorriso, forse un po' più divertito del solito.

Mi morsi l'interno della bocca e alla fine mi misi a camminare verso il biondo.

Parker non mi parlava e mi evitava? Io non sarei stata la prima a rivolgergli la parola. Con quella strana idea marcia tra la gente che si affrettava verso le rispettive aule.

Clark fu il primo a vedermi e fece una smorfia. Ricambiai.

- Cosa vuoi? - Chiese il moro, come se avessi voluto parlare con lui. Billy mi guardò amichevolmente, più furbo aveva capito che ce l'avevo con lui.

- Da te niente! - Risposi acida. - E Billy, dai la … Dai questo a Parker? - Un po' a disagio sistemai la maglietta che Francy aveva arrotolato, tenendola dentro la busta, e poi la passai al ragazzo.

Mi osservò un attimo per poi prenderla. - Non gliela puoi dare tu? La prossima è Trigonometria - mi ricordò, sorridendo come sempre.

Feci spallucce, come se non mi fosse passato per la testa. - Ah, vero! Ma vabbè, se non ti disturba gliela porti adesso così non ci penso più.

Ringraziai, borbottando e poi feci un passo indietro, pronta ad andarmene.

Clark si stava allungando curioso per guardare verso la busta, sembrava accigliato per qualcosa. - Ma è una maglietta? - Chiese, ma fu ignorato.

- Evelyne, comunque il mio consiglio l'hai seguito bene, eh! - Commentò divertito Billy e allontanando il sacchetto dal suo amico.

Gliel'aveva detto. Ma avrei dovuto immaginarlo, in effetti.

Il moro ci guardò un attimo sospettoso, mentre io sentivo le guance calde ed arrossivo, come ormai mi succedeva fin troppo spesso. Che Clark non sapesse almeno mi consolava.

- E' stato necessario - risposi, riferendomi alla scusa che mi ero data per quel bacio: far rimanere Parker a casa sua.

Francy non ci aveva minimamente creduto e nemmeno Billy, dato la faccia che fece.

Sembrò non voler aggiungere altro e farmi andare così ma poi l'embolo partì a me. - Comunque se l'avessi saputo l'avrei fatto subito, date le conseguenze.

Sorrisi un po' acida, riprendendomi e sperando davvero che fosse abbastanza intuitivo da capire: le conseguenze erano Parker che non mi parlava più. La presenza di Clark, davanti al quale non potevamo dirci niente di troppo esplicito mi rendeva più sicura.

L'espressione di Billy però mi fece dare della stupida. E in effetti lo ero. Perchè stavo dicendo quelle cose al suo migliore amico?

- E' risentimento quello che sento? Perchè in questo caso le conseguenze non ti stanno piacendo mica tanto, e credo che se fosse successo all'inizio non te ne sarebbe importato, di quello che sta facendo - insinuò e sembrò all'improvviso davvero interessato a continuare quella conversazione.

- Di che cazzo state parlando? - Clark ci fulminò e cercò di strappare via la busta a Billy. Lui lo lasciò fare, sollevando gli occhi al cielo.

Approfittai di quell'intermezzo per riprendermi e cercare di non peggiorare la situazione.

- Non me ne importa nemmeno adesso, anche se non ho ancora ben capito cosa sta facendo - dissi alla fine, non trovando niente di meglio e spostando l'argomento su di lui, non su me.

Billy rise, divertito. - Ah, non lo sa nemmeno lui. - Lo guardai un po' spiazzata: quella risposta non chiariva un bel niente.

- Ma tu lo sai? - Chiesi e mi inumidii le labbra.

- Ho le mie idee ... Ma non te le dico, dato che i miei consigli non li segui! - Dal tono voleva farmi capire che scherzava. Se non me lo diceva era perchè non voleva, non per altro.

- No, allora, basta! Che cazzo hai combinato con Parker? - Chiese direttamente Clark, a me. Fui sorpresa da tutta quell'intelligenza che l'aveva portato a capire di chi parlassimo.

- Vabbè, nonostante tutto quello che tu possa pensare, non mi importa come non importa a lui - ribattei e la campanella d'inizio lezione suonò.

- Ah beh, in questo caso ... - Fu l'ultima risposta di Billy, con cui si congedò, lasciandomi sola con Clark.

- Ma qualcuno mi ascolta?! - Chiese esasperato.

Mi misi a camminare anch'io verso l'aula di chimica.


 


 

Le poche parole che Billy ed io ci eravamo scambiati mi avevano fatto pensare fin troppo.

Che Parker non sapesse nemmeno lui perchè si comportava da sconosciuto, dopo la nostra sera da amici, e il mattino da … Da cosa?

Scossi la testa esasperata mentre, di nuovo davanti all'armadietto, sistemavo i libri e infilavo quelli con cui avrei dovuto lavorare a casa e quelli di trigonometria, dell'ultima ora, nella tracolla.

Ma insomma, che nemmeno lui sapesse perchè faceva certe cose non era possibile. Avevo già detto di odiarlo, vero? Lo odiavo! Odiavo quel suo continuo comportarsi in un modo, essere carino, quasi una persona mezza decente, gentile, indifeso, come era stato la sera, nel letto, tra le coperte, abbracciati; poi per un bacio, che aveva voluto lui, c'era di nuovo il Parker a cui non importava niente.

Sbattei l'anta dell'armadietto con una frustrazione che non avrei dovuto avere. La normalità voleva che a me non importasse un bel niente di Parker e della sua coerenza degna da ciclo mestruale.

Sospirai. Dicevo anche cose misogine da quanto ero irritata!

Ma se fosse stato coerente cosa sarebbe successo? Mi chiesi.

Se Parker fosse stato sempre quello del buio, dei segreti, che sfiorava i capelli e soffocava le risate contro la tua testa? Non sarebbe stato Max Parker, sapevo solo quello.

Francy, che aveva l'armadietto molto lontano dal mio, mi raggiunse con fare disperato. Non le avevo parlato della conversazione con Billy e pensavo di non farlo, non ancora.

- Io non so niente! - Piagnucolò.

Quando fosse suonata la campanella, per l'ultima ora, avremmo dovuto fare il test sui nuovi argomenti e dato che la matematica, in ogni sua forma, era un gran problema per Francy, lei era ovviamente disperata.

- Ma se abbiamo studiato tutto il giorno insieme, ieri! - Le ricordai, sorridendo e sciogliendo buona parte di quella rabbia insensata.

- Ero più concentrata sulla torta alle mele di mia madre ... - Ammise, con fare esageratamente colpevole.

- Sarai punita!

Cominciammo a camminare insieme verso l'aula degli incubi per molti alunni.

Hoppus sfogliava distrattamente un giornale e rivolgeva ad ogni persona che entrava un sorriso inquietante. Credevo ci fossero davvero professori che. come unico divertimento nella vita, avessero solo quello di vedere il terrore nei visi dei propri alunni, e lui, coi suoi occhi tondi e neri, era tra quelli.

Però io sorrisi in risposta, perchè ero tra quelle che non avevano mai paura, non a scuola.

Mi sedetti al mio posto, di fianco, ma separata da un piccolo spazio, a Francy e la classe finì velocemente di riempirsi, mentre la campanella suonava.

Sentii la risata di Parker, mentre entrava, e non mi voltai nemmeno, impegnata a tirare fuori penna e matita.

Da Lunedì, durante Trigonometria, evitava addirittura il solito giro di fianco al mio banco e lo fece anche quel giorno, visto che non vidi i suoi jeans chiari passarmi davanti.

Quando Hoppus, facendo il suo giro tra i banchi, depositò un foglio davanti a tutti, io presi il mio e, con rabbia e la mia scrittura spigolosa, scrissi nome e cognome e cercai di farmi assorbire il più possibile dal compito per osmosi.

Sperai anche che a Parker andasse male.

La normalità insomma alla fine era tornata. Detestavo Parker e come si stava comportando. Era normale che lo detestassi e basta però, il motivo non tanto.

Era mercoledì 20 Febbraio e mi ero quasi dimenticata di segnarlo sul compito.

Io ero in una piccola aula di una modesta, ma vivace, città a poco meno di due ore da New York e, cercando di fare quel compito perfettamente e di non pensare a quell'odioso ragazzo lì vicino, non immaginavo minimamente che la normalità fosse definitivamente distrutta.

Si sentì bussare alla porta e si levò una lamentela generale: qualcuno veniva a interrompere sempre e solo durante le verifiche, mai durante le lezioni normali.

Io non alzai nemmeno lo sguardo, finchè non sentii la voce della preside.

Sollevai il viso con la matita tra i denti e vidi il Dittatore cercare e poi fermarsi con lo sguardo proprio su di me. - Evelyne, mi puoi seguire? Hai una chiamata.

Che la preside mi chiamasse per nome non era normale.

Che avesse quello sguardo non era poi per niente normale.

 

 

 

*Angolo autrice:

Salve a tutteee :D
Qua nevica e spero che domani chiudano le scuole <3 (speranze vane …)
Scusate comunque il ritardo, ma non trovavo mai il momento per pubblicare e avevo anche dei dubbi sul capitolo e niente … alla fine eccolo qua.
C'è stato il bacio. E c'è il bacio qua, dopo la notte passata insieme e non sul divano perchè le cose sono cambiate. Non voglio dire niente e vi lascio solo alle vostre idee, ma volevo solo mettere in chiaro che il bacio non c'è a caso, ma è, almeno a mio parere, motivato nel suo contesto. Evelyne si concede (o meglio, cede) un “errore” qua, solo per quello che è appena successo.
Probabilmente se fosse uscita da quella casa senza che Max provasse a fare niente le cose sarebbero andate diversamente, ma non è stato questo il caso. Evelyne in un'altra situazione si sarebbe opposta, avrebbe detto di “No”. Ma in quel momento, in cucina, Billy è anni luce.
Vorrei sapere che ne pensate comunque e spero di non aver deluso nessuno :)
E Billy è diventato quasi (in un certo senso) il confidente di Evelyne. Ahahahah
Poipoipoi.
Avete idee? Di chi è la chiamata, cos'è successo?!
:D

Spoiler: (dato il ritardo ve lo meritate proprio ahahah)


Capì a cosa mi riferivo ed esitò un attimo. -Un po' … Sai le pareti sono di cartongesso e beh … Urlavate … Ma non si è ben capito il contesto, nessuno ha capito, tranquilla-.
Aspettai che continuasse ma non lo fece. -E poi?-
-Poi non entrava più … Hoppus è uscito a cercarlo ed è andato dalla preside, probabilmente. Non so cosa sia successo ma dopo è tornato, Max, e si è messo a finire il test senza dire niente a nessuno. Il Polipo quando l'ha visto dopo essere rientrato è andato su tutte le furie ma Parker nemmeno lo ascoltava-.

   
 
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