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Autore: Dira_    18/01/2013    13 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XI


 
 


If love is just a game then how come it's no fun?
If love is just a game how come I've never won?
(2 Atoms in a Molecule, Noah & The Whale)




23 Giugno 2028
Londra, Ministero della magia, Quinto Piano
Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale, Ufficio Internazionale della Legge Magica

Mattina.
 
Michel Zabini rivolse un’occhiata esasperata in direzione dell’Agente americano che stazionava di fronte alla sua scrivania senza avere le minima intenzione di sedersi, rendendosi quindi simile ad un avvoltoio in attesa.
Che poi ne aveva anche un po’ l’aspetto.
Non gliel’ha detto nessuno che i capelli in quel modo non si tengono più da prima della Seconda Guerra?
Sfogliò il rapporto che Sören Prince – l’avvoltoio in questione – gli aveva fatto recapitare quella mattina via Gufo. Riguardava quant’era successo al San Mungo e descriveva piuttosto efficacemente la mole di casini che era esplosa in un posto che mai avrebbe dovuto vedere esplosioni e maghi-zombie.
“È tutto?” Chiese chiudendo il fascicolo con un colpetto delle dita. “C’è niente che vuole aggiungere, agente?”
“Non c’è altro.” Ed era ovvio che non fosse così da come occhieggiava nervoso e senza vera intenzione gli oggetti sulla sua scrivania.
“Se ha qualche domanda…” Iniziò sentendo l’emicrania cominciare a dare le prime avvisaglie. Aveva scordato com’era svegliarsi tutte le mattine senza sentire un cerchio alla testa. Era stress, secondo i Guaritori del San Mungo. Era una grossa seccatura, secondo lui.
Seccatura che nasce dalle seccature … Stasera Soho. Tassativo, Soho.
Prince intanto si leccò le labbra, prima di sospirare. “Riguarda al mio intervento.”
Ah, per quello? Penso che dovrei ringraziarti. Se non fosse stato per te ad Al sarebbe successo qualcosa di brutto.

Lo pensò, ma non lo disse, limitandosi a guardarlo con neutra aspettativa.
“So che è stato un errore di valutazione, e che non avrei dovuto interferire.” Lo stupì. “Avrà delle conseguenze?”
Michel inarcò le sopracciglia perplesso. “Lei è un agente di polizia magica sotto mandato internazionale. Ha fatto ciò che doveva, ha protetto dei civili.”
Fatemi indovinare. James Potter o qualcuno del suo clan deve aver avuto una crisi isterica quando l’ha visto prendere l’iniziativa.
Quanto odiano quando le cose non vanno come vogliono loro…
“Non ci saranno ripercussioni disciplinari. Ha fatto solo il suo dovere.” Soggiunse, perché l’altro sembrava non aver capito l’antifona. “Nessun provvedimento disciplinare verrà posto in atto, Prince.” Sottolineò un po’ scocciato. Fino a che punto avevano terrorizzato quel poveraccio?
Gli venne finalmente rivolta un’occhiata di sconfinato sollievo, prima che l’americano tornasse alla solita espressione da soldatino impettito. “È quello che pensavo.” Si lasciò sfuggire.
Michel si trovò suo malgrado a sorridere. “Pensato o suggerito da un Potter-Weasley?”
L’espressione che gli restituì valeva più di mille parole. Trovò dunque giusto ricompensarlo con una piccola concessione amichevole. “Se posso permettermi un consiglio in qualità di referente…”
“Prego.”
“È meglio non dare troppo ascolto alle attestazioni dei membri di quella particolare famiglia. Tendono ad essere spesso guidati dalle proprie emozioni, più che dalla riflessività … o professionalità.” Aggiunse con la leggerezza che gli permetteva di insultare urbi et orbi senza troppe conseguenze.

Specialmente gli ex-grifondoro. Il Cappello deve sceglierli in base all’incapacità di captare insulti che non siano triviali o plateali.
Prince non disse nulla, ma il lampo divertito nello sguardo fu esplicativo. Non era un tipo di molte parole e per questo gli andava piuttosto a genio, anche se inizialmente l’aveva visto solo come foriero di grane infinite. Certo, continuava ad essere una bomba che, se maneggiata con incuria, poteva esplodergli in faccia...
Sono il referente di un mago che Harry Potter vorrebbe lontanissimo dai confini britannici.
Sì, è un Incantesimo Esplosivo innescato.
… tuttavia era anche il suo biglietto di sola andata per uscire da quell’ufficietto angusto.
L’America fa sempre una bella impressione sul proprio curriculum vitae.  
“Mi aspetto un altro ragguaglio alla fine della prossima settimana.” Raccomandò, ma era piuttosto inutile dato che a guardare l’uniforme, stirata e con ogni singola asola al suo posto, pareva che l’altro si fosse ingoiato il manuale del perfetto servitore della legge.
Almeno lui.
Quando Prince si fu accomiatato, Michel poté concedersi un lungo sospiro. Quella mattina la sua amabile collega era rimasta a casa e poteva quindi fumare in santa pace, senza sentire la voce dell’altra rimproverarlo come se fosse un ragazzino capriccioso.
Dopo essersi acceso una ben meritata sigaretta, tolse lo Specchio Comunicante dalla tasca interna della giacca, misurando a passi lenti l’ufficio. Chiamò Albus: non l’aveva ancora contattato e il pungolo d’ansia che l’aveva colto quando aveva letto il rapporto di Prince non l’aveva abbandonato per tutta la mattina.
Possibile si metta sempre nei guai?
Il nome dell’altro galleggiò in una bruma verdastra prima di sfumare nel viso pulito che conosceva da più di dieci anni.
“Mike!” Fu l’esclamazione allegra e piena di salute. “Ciao!”

Grazie a Merlino…
Sentì la tensione scivolargli via dalle spalle in maniera alquanto imbarazzante. “Buongiorno a te dolcezza.” Salutò di rimando. “Ho saputo della tua piccola avventura mortale di ieri sera.”
“Oh, è già di pubblico dominio? Favoloso…” Borbottò. Da quel che vedeva dietro di lui doveva trovarsi nella caffetteria dell’ospedale e quindi in pausa. “Mi avevano assicurato che sulla Gazzetta non era uscito niente su me e Lils!”
“No, in effetti.” Replicò per tranquillizzarlo, ben sapendo quanto detestasse dover gestire la pubblicità che proveniva dal suo cognome. “Sono il referente ministeriale dell’agente Prince.”
“Ah!” Esclamò sorpreso. “Sul serio?” Pareva poco interessato, ma era solo una dell’ennesime difese che metteva di fronte a sé quando un argomento poteva essere foriero di guai.

Ditemi se questo non è un serpeverde…
“È un favore che viene dritto dal Piccolo Lord Malfoy.” Replicò. “Un caso oltre-oceano, come puoi immaginare, è un buon incentivo per la carriera.”
“Questi accordi sottobanco …” Sorrise divertito. “Davvero increscioso.”
“Fammi causa.” Ghignò tornando dietro la scrivania e lasciandosi scivolare sulla sedia di pelle. “Come stai? Davvero.” Soggiunse cercando di non mostrarsi troppo apprensivo e fallendo miseramente.

L’altro sorrise, di quei suoi sorrisi perfettamente sani e pieni d’affetto. Dovevano avere a che fare con l’aver ricevuto una famiglia funzionale e un’educazione all’insegna di sani valori campagnoli. “Sto bene Mike, tranquillo. Ho passato momenti migliori, certo, ma poteva andarmi molto peggio.”
“Dubito, conoscendo la tua sfortuna.” Sospirò. Voleva vederlo e sincerarsene, e sapeva che suonava patetico in qualunque modo lo si mettesse, ma non poté fare a meno di notificarlo riuscendo persino a suonare ansioso. “Possiamo vederci stasera? Niente di eccezionale, solo un drink in un posto tranquillo.”

L’altro sorrise apertamente all'idea, dato che adorava uscire nella Londra notturna, esattamente come qualunque ragazzo con una capacità sociale nella norma, che fosse Babbano o magico. Non che fosse un tipo particolarmente festaiolo: persino nei locali più affollati e densi di conoscenze interessanti si limitava a sorseggiare qualche cocktail fruttato e sorridere disimpegnato, ascoltando più che esternando.
Apprezzava però l’atmosfera di libertà e disimpegno che si respirava a Soho quanto lui.
Nel Mondo Magico dev’essere il perfetto figlio del Salvatore, quello che studia come Guaritore ed esce solo con una compagnia selezionata di cugini e amici. Nel mondo Babbano no, nessuno lo conosce.
E poi a Soho, Dursley non veniva. Per quanto Al non l’avesse mai ammesso apertamente, era chiaro come ogni tanto avesse bisogno di prendere una boccata d’aria dal proprio compagno di vita. 
Io sono la sua boccata d’aria.
Era un pensiero meschino, ma inequivocabilmente vero.
“Mi piacerebbe, ma stasera preferisco restare a casa.” Lo sorprese stringendosi nelle spalle. “Tom…”
Ecco, appunto.

“Cos’è, devi restare dove può vederti?”
“Dai, non fare lo stronzo!” Sbuffò senza traccia di vero fastidio nella voce. “Ieri sera si è preoccupato a morte. È rimasto ore di fronte all’ospedale perché non ero venuto a prenderlo. ”
“E questo non è minimamente inquietante perché…”
Mike.” Stavolta il tono di voce era definitivo e ad un passo dalla reprimenda. “Vediamoci domani, vuoi?”

“Domani lavoro in ufficio fino a tardi.” Replicò con fastidio. “Lo sai, ho il tempo libero centellinato.”
“Lo so.” Sembrava dispiaciuto, ma non disposto a compromettere. “Senti … mi farò perdonare, okay?”
“Per la preoccupazioni che dai dovresti.” Ritorse cercando di non suonare troppo deluso o – Merlino ne volesse – ferito. “Va bene, ci aggiorniamo. Prenditi cura di te.”
Patetico. Sei patetico.
Al fece un altro di quei suoi sorrisi da persona fottutamente – sì, l’imprecazione era appropriata - felice e lo salutò, chiudendo così la comunicazione. Michel rimase un po’ a guardare il nome dell’altro galleggiare sul vetro dello Specchio prima di chiuderlo con uno scatto secco.
Non era l’unico posto dove quel maledetto nome continuava a stare, purtroppo.
 
****
 
Diagon Alley. Mattina.

Hugo le chiamava le ‘quattro dell’Apocalisse’ tirando fuori una citazione biblica che solo Rose, tra loro, aveva colto.

Forse suo cugino aveva ragione, rifletté Lily guardando Dominique, Rosie e Roxanne schierate di fronte a lei. A ben vederle, erano diversa dall’altra a livello così profondo da non sembrar condividere neppure una goccia di sangue.
Eppure.
La colazione mensile tra di loro era diventata una specie di istituzione da quando Dominique era tornata a vivere in Inghilterra. Non era stata esattamente decisa, piuttosto capitata dato che Roxanne viveva a poche strade di distanza dall’anglo-francese, mentre Rose aveva piacere a bersi un caffè senza doverselo combattere con la madre, caffeinomane quanto lei.
Lily quando non aveva lezioni al mattino si accodava ben volentieri. Ultimamente poi gli argomenti ruotavano tutti attorno al matrimonio di Rose, il genere di atmosfera che preferiva, quella che precedeva un grande evento corredato da massicci festeggiamenti. Era grata che fosse capitata il giorno dopo il gran casino con Sören.
“Insomma, per farla breve quel tuo crucco t’ha fatto una sorpresa del cazzo.” Esordì dal nulla Dominique sorseggiando un abominevole miscuglio di panna, zucchero e una tonnellata di biscotti sbriciolati – a volte supponeva che la sua presenza fosse dovuta al fatto che Violet la spedisse fuori per non doverla vedere compiere quegli orrori a colazione.
“Eh?” Le uscì acutamente; fino a dieci secondi prima avevano parlato di bouquet e vestiti – con gran noia di quest’ultima – e di colpo era lei l’argomento di conversazione principale?
Okay, forse non è un caso che la colazione sia oggi. Sembra tanto una riunione di emergenza. Per me. Forse volevano girarci attorno … ma si sa che Domi non è tipa.
Notando come tutte la stavano fissando in attesa, cercò di mettere assieme qualche parola. “Sì … cioè… Se vogliamo chiamarla così.” Balbettò maledicendo l’incapacità familiare di farsi i fatti propri.
“Avrei voluto esserci.” Sospirò la guardiana di draghi, guardando un punto distante da sé e grattandosi il piercing al sopracciglio. “Dev’essere stata una botta di adrenalina pazzesca!”
“Come se tu ne avessi bisogno con il lavoro che fai.” Ritorse Rose con un grugnito. “Drogata.”

“È meglio di una scopata!” Declamò allegra facendo girare un paio di avventori e facendo implodere Rose in una bolla di imbarazzo. “Quasi.” Soggiunse massaggiandosi la testa schiaffeggiata dalla suddetta.
Roxanne fissò la sua tazza di deteinato – era diventata una specie di nazista della salute – con aria assorta, prima di piantarle gli occhi nei suoi. Diversamente dalle altre aveva ascoltato in completo silenzio il suo racconto.

“Quanto rimarrà qui?” Che era un’ottima domanda, ma di cui non aveva la risposta.
“Finché le indagini degli auror non saranno finite, penso.” Replicò scuotendo la testa. “Non che abbia chiesto. Non ho intenzione di parlare a papà per i prossimi sei mesi considerando che ha pensato di non dirmi neppure una parola su Ren.”
“Non esagerare adesso.” Si inserì Rose con una punta di disagio che le tingeva la voce.

E ora, questo da dove viene?
“Pensi che abbia fatto bene a nascondermelo?”
“No, è che…” Fece una comica faccia desolata, prima di scuotere la testa. “Okay. Io e Scorpius lo sapevamo. Abbiamo origliato zio e papà parlarne qualche giorno fa proprio qui.” Notando la sua espressione arrossì, distogliendo lo sguardo. “Mi dispiace…”
“Sei una stronza.” Disse spassionata, sentendosi troppo stanca per arrabbiarsi di nuovo. Era logorante rimanere in quello stato per troppo tempo. E poi non riusciva ad avercela con sua cugina sapendo che ciò che la muoveva era il suo goffo e ingombrante senso di lealtà.

Rose ebbe il buonsenso di non ribattere, limitandosi a giocherellare con la stanghetta degli occhiali da vista che portava quando era in periodo particolarmente denso di letture. Doveva star preparando una causa o qualcosa del genere.  
“’Sta faccenda sa un po’ di cazzata in effetti.” Riprese Dominique infilandosi in bocca l’ennesimo biscotto rubato da un piatto altrui. “Comunque ormai è qui.” Scrollò le spalle, da meravigliosa anima semplice qual’era. “Mi piacerebbe rivederlo, è stato tosto al Tre Maghi. Quand’è che lo inviti per una bevuta al Finnigan’s?”
“Io … non lo so.” Ammise a disagio.

Dominique aggrottò le sopracciglia in piena e palese confusione. “Come non lo sai?”
Tacque, perché sapeva che se avesse aperto bocca avrebbe finito per boccheggiare come una trota appena pescata.
Non aveva ancora fatto chiarezza dentro di sé; aveva passato tutta la notte con gli occhi incollati al soffitto della stanza di Scott ma non era arrivata a nessuna conclusione.

Scott, già…
C’era anche la faccenda del suo ragazzo; gli aveva raccontato tutto, dal principio alla fine, senza risparmiare niente.
A parte il fatto che mi fossi presa una cotta per Ren. Regola numero uno. Mai parlare agli attuali degli ex.
Scott l’aveva ascoltata facendo domande e non dando giudizi. Avevano finito per concludere la conversazione a letto ed era stata una delle poche volte in cui ci erano arrivati vestiti.
 
 “È stata la prima persona con cui mi sono davvero aperta, a parte la mia famiglia. È venuto fuori che non è stata un’idea poi così brillante.”
Scott era seduto con la schiena contro i cuscini e fissava l’armadio come se fosse la pellicola di un film interessantissimo. “Allora perché hai continuato a tenerti in contatto con lui?”
Lily sapeva che sarebbe arrivata quella domanda. Scott poteva essere una persona comprensiva, ma era pur sempre un ragazzo, il
suo ragazzo e dunque perfettamente legittimato a chiedere delucidazioni. “All’inizio perché la prigione l’aveva lasciato uno schifo, e sembrava che le mie lettere lo facessero stare bene…”
“In che senso?”
“Era solo al mondo.” Aveva inspirato sentendo il familiare nodo allo stomaco. “Non aveva più nessuno, né famiglia né amici. L’unica persona che si preoccupava per lui era un agente di polizia che voleva delle risposte. Per quanto Nora sia una bravissima persona non poteva essere un gran sostegno emotivo, ti pare? E Milo è arrivato dopo…”
“Sì, ma perché proprio tu?”
Lily si era sporta per accarezzargli i capelli dietro la nuca e per riposare la guancia sulla sua spalla.

“Perché se lui mi ha sconvolto la vita, io l’ho sconvolta a lui. È per salvare me che ha deciso di allontanarsi da suo zio. Non me la sentivo di abbandonarlo.”
La mascella dell’altro si era irrigidita. “Lo sai che non gli devi niente, vero?”
“Certo che lo so.” Aveva convenuto, mentendo.  
 
“Entrare nella vita di qualcuno, anche per una serie di circostanze che non dipendono da noi, significa prendersi delle responsabilità. Non vale solo per chi è in torto, in un’amicizia… ”
“Di cosa sarei responsabile?”
“Sei responsabile di essergli diventata amica. Di avergli teso la mano quando credimi, nessun altro l’aveva mai fatto.”
 
L’incontro con sua nonna Lily cinque anni prima era stato certamente un’allucinazione dovuta allo shock e al colpo alla testa che si era presa. Ma fin troppo lucida, e veritiera. 
Scott aveva voltato la testa per posargli le labbra sui capelli. “E adesso?”

“Adesso cosa?”
“Hai detto che inizialmente gli scrivevi perché era solo al mondo. Adesso?”

“Adesso perché siamo amici.” Si era stretta nelle spalle, sciogliendosi dall’abbraccio. “Per questo ci sono rimasta male … Voglio dire, mi aveva promesso che non avrebbe avuto più segreti per me!”
Scott aveva abbozzato un sorriso. “Dai Lils, lo sai anche tu che è una promessa impossibile da mantenere.”
E questa era stata una frecciatina bella e buona. Non aveva avuto il coraggio di ribattere.

Lily inspirò, finendo il suo the con un sorso, ringraziando Merlino che l’argomento di conversazione si fosse spostato sulle nozze imminenti di Rose.

Lo so che le persone hanno dei segreti e che Ren ha solo eseguito degli ordini. Lo so bene.
Allora perché non riesco a trovare il coraggio di mandargli un Gufo per chiedergli di vederci?
Sentì la mano di Roxanne coprire la sua. La sua fiera cugina aveva finalmente pronto il verdetto.
“Allora?” Le chiese stancamente. “Che dovrei fare con tutta questa faccenda?”
“Ciò che vuoi.” Replicò con la solita onestà a bruciapelo. “Non importa cosa ne pensino gli altri … Sai tu che genere di rapporto hai con Sören.” Lily l’avrebbe abbracciata; supponeva che tutta la faccenda di aver salvato la vita a lei e Albus cambiasse un po’ le cose per Roxanne.

È sempre stata una tipa che fa caso a queste cose. Tipo, salvi le persone a cui tengo e ti meriti perlomeno una possibilità.
… Morgana, a volte mi chiedo se funzioni così per tutti, o è un privilegio solo Potter-Weasley.
“È un gran casino.” Ammise a malincuore passandosi le dita trai capelli. Era frustrante. “Sono arrabbiata, ma…”
“Io non credo tu sia arrabbiata.” La sorprese.  

“E cosa sarei?”
“Sei spaventata.” E fu come beccarsi uno schiaffo in faccia. Perché era vero oltre il suo desiderio che non lo fosse. “Ci ho preso Rossa?”
Lily serrò le dita sulla tazza vuota. “Eccome.” Ammise. Ora che Sören era a Londra non c’era più la barriera della carta e dell’oceano a separarli.
Ora potrò finalmente sapere se vale la pena portarla su un piano ulteriore o lasciarla così … Per quanto potrà durare poi, visto che non s’è mai sentito di un’amicizia di Piuma durata una vita. 
Era spaventata quanto era eccitata e sapeva per esperienza che quelle due sensazioni, mischiate assieme, non portavano mai a niente di buono.
“Perché non la pianti?” La voce di Dominique la colse di sorpresa, e si accorse con orrore che non era vero che le altre due cugine avevano lasciato cadere l’argomento.
Hanno solo lasciato a Roxie lo spazio per intervenire. Maledette!
Ma del resto, il sangue non era acqua.
“Scusa?”
Dominique sbuffò sonoramente. “Massì, ti fai troppi problemi. Mandagli un cavolo di Gufo, fatevi una cena, o una passeggiata e vedi che tipo è.”
“So che tipo è, gli scri…”
“Come se scrivere a qualcuno te lo facesse conoscere!” Esclamò incredula. “È parlando con qualcuno, vedendo come gli si muove la bocca, che profumo ha o come gesticola che lo capisci, mica leggendo due righe del cazzo su una pergamena!”

“Quello che voleva dire Domi è che il banco di prova del vostro…” Rose esitò ma quando vide che non voleva ucciderla per aver osato dare un parere nonostante il suo tiro mancino, continuò. “… rapporto è vedervi dal vivo.” Il viso le si contorse in una smorfia sofferente. “Così magari ci metti una pietra sopra.” Tentò di rimediare per non tradire il suo disaccordo nell’intera faccenda.
“Sentito? È d’accordo pure Mamma Oca!” Disse invece Dominique accarezzando la testa della cugina castana come ad un cagnetto che si era esibito in un’acrobazia di un certo livello.  
“Non sono d’accordo!” Scosse la testa. “È solo che ormai il latte è versato.”
“Che cavolo c’entra il latte?”
“È un modo di dire!”

“Ma non ha senso!”
Roxanne ignorò il bisticcio appena sorto e inarcò invece le sopracciglia in una smorfia che faceva di rado, ma la faceva assomigliare in modo incredibile a suo padre George. Stessa malizia. “Non dirci che non sei un po’ curiosa.”
E quello era definitivamente un touchè.



****
 
Ministero della Magia. Ufficio Auror.
Ora di pranzo.

 
L’ufficio Auror era pervaso da una tensione inscalfibile persino da un Recido. Sören mostrò il proprio distintivo alla ragazza all’accettazione e notò come avesse gli occhi rossi e le dita aggrappate ad un fazzoletto.
Dev’essere per via del Sergente Flannery …
Gli Auror non erano molti, al massimo una ventina di elementi ed era piuttosto palese che il cameratismo tra di loro fosse forte. I visi che incontrò erano tirati, cupi e non c’era nessun accenno di risata o battuta che rimbalzava tra le pareti dei cubicoli. 
Era dispiaciuto per ciò che era accaduto, ma non particolarmente colpito. Durante gli anni della Thule aveva visto molti uomini al suo fianco esser feriti o perdere la vita.
Ma li hai mai considerati tuoi commilitoni? Quindi cosa puoi saperne?
Pensa se succedesse una cosa simile all’agente Estevez …
Non doveva farsi distrarre: quella mattina si era svegliato memore del discorso fatto con Milo, memore di tutto quello che era successo con Lily.
È ora che le cose cambino.
Quando arrivò alla scrivania di Malfoy e Potter notò la presenza di Ron Weasley. Trattenne con tutte le proprie forze una smorfia, lasciandosi scivolare dal viso ogni espressione. L’uomo gli dava le spalle ed era concentrato a ragguagliare i sottoposti: Potter era seduto sulla sedia, mentre Malfoy era appoggiato alla scrivania, sorseggiando svogliato una tazza di the. Fu Jordan a notare la sua presenza ed ebbe il buonsenso di sembrare imbarazzato.
Un briefing sul caso iniziato prima del mio arrivo. Naturalmente.
Sentiva l’acidità corrodergli lo bocca dello stomaco e risalirgli fino alla bocca. Quando era di quell’umore – che Milo chiamava da grandioso bastardo – doveva mettersi di impegno per tenere i propri pensieri per sé.
Perché di solito finisce con un tentativo di rissa da parte del mio interlocutore. Murphy ne è l’esempio più eclatante.
Sapeva di non avere quella che veniva chiamata, a suo parere impropriamente, diplomazia; giostrarsi con le parole e fingere di trovare interessante le uscite di chi non lo interessava o peggio, provocava, non era mai stato uno dei suoi punti di forza.
“Signori.” Comunicò la sua presenza, facendo sobbalzare l’auror più anziano. “Buongiorno.”
Questo gli rivolse un’occhiata sorpresa, chiaro come il sole che non l’avesse sentito arrivare. “Prince.” Disse cercando di recuperare compostezza. “Non dovresti essere a Cooperazione Magica?”
“Ci sono stato, Signore.” Replicò quieto. “Ho consegnato il rapporto al mio referente e adesso sono a disposizione.”
“Non…” Si schiarì la voce. “La tua presenza qui non è necessaria.”
Non credo proprio.

“Mi permetta di dissentire.” Replicò visualizzando una spiaggia assolata. Milo gli aveva consigliato di usare quel genere di immagini mentali quando rischiava di perdere il controllo sulle sue emozioni e neppure l’Occlumanzia sembrava aiutare. A volte funzionava. “Il caso Howe è di mia competenza.”
“Non stiamo discutendo di quello.” Fu la replica sostenuta. Ron Weasley gli era stato descritto dal Capitano Gillespie come un uomo retto e un auror eccellente. Sfortunatamente a questi ovvi meriti si dovevano aggiungere le stesse tare caratteriali di James Potter.

È una testa calda. Un’irrazionale, impulsiva e cocciuta testa calda. Gli si legge nello sguardo, nel tono  e nella postura. Proprio il genere di persona con cui vado d’accordo …
“Stiamo discutendo riguardo a ciò che ha fatto il Sergente Flannery, sai, il black-out.” Si inserì Scorpius, ignorando con nonchalance le occhiatacce combinate di Potter e di Weasley. “Sono arrivati i risultati degli esami fatti sul sergente … Hanno settato un’allerta per l’ufficio perché pare che abbia usato Magia Oscura.”
“Malfoy, Prince non segue questo caso, ma quello di Sam Howe, queste informazioni sono strettamente confidenziali!” Ringhiò l’auror più anziano. “Non è tenuto ad essere informato. Finiamo la riunione e poi potrete tornare a lavorare al caso Howe.”
“Se non fosse che il caso Howe e ciò che è accaduto al Sergente Flannery sono collegati.” Replicò Sören aggiungendo qualche dettaglio alla spiaggia immaginaria. Delle palme, una sdraio … poi ricordò che su una spiaggia lui non c’era mai stato e la cosa smise di aver senso.

Il Sergente Weasley gli scoccò un’occhiata che si poteva riassumere solo come sospettosa.  
“Come fai a dirlo?”
Perché ho un cervello?
“Il Sergente Flannery ha attaccato Lily e Albus Severus con la stessa modalità in cui Howe ha attaccato voi.” Disse invece, e notò come persino Potter lanciò un’occhiata un po’ interdetta al superiore.
Forse non è completamente irrecuperabile.
Stava scivolando inesorabilmente nella modalità grandioso bastardo, ma francamente aveva smesso di importargli non appena aveva realizzato di aver davanti l’ennesimo, ottuso ostacolo che gli impediva di compiere il suo dovere. “Ho letto il rapporto, ho visto il secondo attacco con i miei occhi. Qualsiasi cosa avesse Howe, adesso ce l’ha il Sergente Flannery.”
L’uomo impallidì di colpo, serrando la mascella. La paura che lesse nel suo sguardo valeva più di mille parole. “Le prove, ragazzo.” Disse secco. “Non costruiamo casi su supposizio…”
“Per questo sto parlando di fatti.” Lo interruppe. “Avete detto che gli esami hanno evidenziato la presenza di Magia Oscura nel corpo del Sergente, è corretto?” Si rivolse a Malfoy, che fu lesto ad annuire.

“Sì, una concentrazione anomala per un solo mago, tra l’altro.” Soggiunse aggrottando le sopracciglia. “Abbiamo mandato a far analizzare la bacchetta e stiamo aspettando i risultati.”
“La troverete pulita. Non ci ha attaccato con quella perché non l’aveva addosso. Non sarei stupito se la Magia Oscura presente nel corpo del Sergente avesse causato il black-out al San Mungo interferendo con gli incantesimi di manutenzione. Sono i più potenti, ma anche quelli più facili da spezzare.”

L’auror più anziano aprì la bocca prima di richiuderla. Era chiaro fosse combattuto tra l’ascoltarlo o decidere a priori che il suo aiuto non valeva la pena venisse usato. Alla fine il risentimento personale parve prevalere, perché storse la bocca. “Se, e dico se il caso Howe e quello che è accaduto al Sergente avranno qualcosa da spartire, sarai il primo ad esserne informato. Fino a prova contraria quello che devi far qui è occuparti dell’americano.”
Sören sentì il controllo cedere. Non era niente di eclatante, non sentiva rumori nella testa, né particolari avvisaglie come capitava a chi aveva problemi come lui a passare fluidamente da uno stato emotivo all’altro. Semplicemente smetteva di importargli.

“Mi permette una parola in privato?” Tentò, davvero l’ultima spiaggia per non far diventare le lievi scintille che si sentiva formicolare sulla punta delle dita qualcosa di molto più evidente. Infilò la mano in tasca ma notò come gli occhi di Malfoy e di Potter fossero puntati in quella direzione.
Il mago più anziano parve captare qualcosa nel suo tono perché fece un cenno della testa, scostandosi dal gruppetto e dandogli voce di seguirlo. Non si allontanarono di molto, giusto un paio di cubicoli vuoti e in direzione di una finestra che rifletteva un panorama boschivo – magico ovviamente. “Avanti, parla.”
“Posso farlo liberamente?”
L’uomo alzò gli occhi al cielo. “Parla, ragazzo.”
“Lei è un imbecille.” Attestò. La faccia dell’altro era talmente sbalordita che probabilmente ci avrebbe messo qualche momento prima di riprendersi. Decise quindi di approfittarne. “Lei e chiunque pensa che la mia presenza qui sia un peso, o un favore che state facendo al Ministero Americano per evitare di avere grane.”

“Come…” Le orecchie del Sergente Weasley erano paonazze, ma ammirò il fatto che non avesse già tirato fuori la bacchetta. Forse aveva sbagliato a giudicarlo impulsivo come Murphy. “Cosa diavolo ti salta in mente per rivolgerti così ad un tuo superiore?!”
“Lei non è un mio superiore.” Chiarificò e davvero, era una bella sensazione poter essere dalla parte della ragione e vantarsene. Quando lavorava per Von Hohenheim non era mai successo. Meglio, non gli era mai stato permesso. “Io riferisco al Ministero Americano e quando sono in trasferta estera all’ufficio Cooperazione. In quanto agente di collegamento mi si può considerare un consulente con capacità di intervenire quando è opportuno, e questa decisione spetta comunque a me, e non a voi.”
Il viso dell'altro mago si contorse in una smorfia di rabbia. “E quindi?”
“Quindi sono stanco di essere trattato come un ospite sgradito.” Milo aveva ragione: doveva piantarla di nascondersi dietro i suoi sensi di colpa per ciò che aveva fatto e cominciare a lavorare seriamente. Non solo perché ne andava del prestigio del Ministero che gli aveva dato una seconda possibilità, e perché lo doveva al Capitano Gillespie e alla fiducia che gli aveva accordato.
Ma perché Lily è stata coinvolta. E' personale, adesso.
Sören leggeva negli occhi del superiore una diffidenza infinita, e fu come veder concentrate tutte le sue paure più grandi.
Non importa quello che stai facendo. Quello che hai fatto basta e avanza per una vita.
Non era vero. O meglio, lo era, ma rimanere ancorato a quel fatto non gli avrebbe dato la possibilità di essere nient’altro che una vecchia arma arrugginita, senza un padrone e dunque senza uno scopo.
Io sono il capitano della mia anima …
Era il verso di una poesia che gli aveva fatto conoscere Lily e ne aveva tratto grande conforto nei momenti più neri di quei cinque anni.
A volte i poeti Babbani la sanno più lunga di qualsiasi mago.
“Non puoi aspettarti un comitato di benvenuto, ragazzo, la fiducia va guadagnata.”
“Voglio che mi sia data la possibilità di guadagnarmela allora, non la devo elemosinare. Non sono un cane.” Non lo era, non lo sarebbe più stato finché avesse avuto fiato nei polmoni e magia nelle vene. Non aveva paura di fronteggiare il pregiudizio che vedeva riflesso negli occhi dell’uomo, non più. Alla fine, doveva solo combattere e in questo era sempre stato bravo.
Non so far altro, forse. Ma so farlo bene.
“Questo è il mio caso quanto è il vostro.” Fece scivolare le dita sulle linee del distintivo e vi trasse forza prima di continuare. “Oltre a questo…” Ed era un azzardo, ma come aveva detto, aveva smesso di importargli. “…è stata coinvolta una persona a cui tengo. A cui tengo molto.” E l’auror, a giudicare dal modo in cui si era teso, aveva capito a chi si stava riferendo. “Spero che la faccenda adesso sia chiara a lei e al suo capo-ufficio, o preferisce che a spiegargliela sia una lettera bollata del mio Ministero?”
Che poi era un bluff, ma era palese che l’uomo non fosse avvezzo alle procedure di collaborazione internazionale.
Il silenzio che cadde tra di loro poteva voler dir due cose: o che il Sergente Weasley stava riflettendo su quel che gli aveva detto o che non gliene importava nulla e si preparava a Schiantarlo.
Potrebbe trovare difficoltà a fare l’ultima cosa.
“Bene.” Disse asciutto come il deserto, ma vinto. “Spero tu non abbia preso impegni per la giornata.”
Sören si frenò dal qualsiasi esternazione emotiva o cinestetica. Il trionfo poteva esser goduto anche internamente.

“Sono qui per servire.”
 
****
 
Ministero della Magia. Ufficio Auror.
Ora di cena.
 
“Mi ha minacciato, te ne rendi conto?”
Harry osservò svogliato l’ennesimo faldone di carte bollate che doveva firmare. Era il trentesimo della giornata e stava processando un principio di emicrania niente male.
Si aggiustò gli occhiali sul naso e lanciò uno sguardo all’amico di una vita, troppo nervoso per sedersi di fronte alla sua scrivania e dunque marciante dalla porta fino a lui in larghi giri infuriati.
“Me ne rendo perfettamente conto.” Convenne. “Anche se minacciare non credo sia il termine corretto.”
“Intimidire allora, come ti pare!” Sbuffò mentre le orecchie stazionavano in un rosso paonazzo piuttosto vistoso. “Quel moccioso … non ha che un anno di esperienza sul campo e si mette a fare la voce grossa?”
“Forse non ha esperienza sul piano lavorativo, ma sul campo…” Harry vedendo l’espressione confusa dell’altro si rese conto che non poteva continuare a lasciarlo parlare a ruota libera, per quanto sapesse che era quello il modo in cui riusciva a sfogare le proprie preoccupazioni.

E lo siamo tutti, preoccupati. Con la faccenda di Liam … Con il fatto che un auror ha attaccato dei civili, al San Mungo. Trenta pratiche e quindici erano solo su questo. Senza contare i Gufi dai giornalisti …
Dovrei organizzare una conferenza stampa?
Sören Prince al momento era l’ultimo dei suoi problemi; certo, avrebbe voluto fosse il primo dato che sua figlia si rifiutava di tornare a casa o rispondere ai suoi Gufi proprio a causa dell’intera faccenda che lo coinvolgeva … ma, da sempre, aveva un lavoro che non si piegava facilmente alla sua vita privata.
Proverò a chiamarla anche stasera.  
“Ron, Prince, che ci piaccia o meno, è un agente di collegamento. Se c’è una pista che collega Howe a Liam, ha tutto il diritto di essere informato.”
“Non abbiamo certezze che ce ne sia una!”
“Ma come ha detto lui stesso, Liam sembra essersi ammalato della stessa cosa che aveva l’americano.” Ragionò sentendo la spiacevole sensazione che la faccenda non si sarebbe risolta in pochi giorni. “È una pista. Va seguita, e non possiamo permetterci di perdere tempo a decidere chi ha il diritto di farlo o meno.”

L’amico inspirò, scoccandogli un’occhiataccia più per posa che per reale intenzione. Si sedette infatti sulla sedia e incrociò le braccia al petto. “Sì, hai ragione.” Convenne infatti con un borbottio. “Ma vedila dal punto di vista dei ragazzi … Se lo troveranno trai piedi anche per un altro caso!”
“James e gli altri sono auror.” Sottolineò riponendo la Piuma nel proprio calamaio e tirando un sospiro. “Hanno il compito di difendere il Mondo Magico e non importa se non gli piace chi lo fa con loro. E poi ho sentito Albus … Prince ha agito per il meglio, li ha messi in sicurezza.” Si massaggiò una tempia, pensando con ardore alla Pozione Alleviante che Ginny gli avrebbe preparato una volta tornato a casa. “Abbiamo reso ben chiaro che la sua presenza qui non è gradita. È ora di lasciarlo lavorare in pace, anche per correttezza verso Nora.”
L’altro emise una smorfia, ma alla menzione dell’amica comune non replicò. “È solo … Non m’è piaciuto come mi si è rivoltato contro, ecco tutto.” Ammise. “So che sembra assurdo, ma m’è sembrato di esser ripreso da un fottuto professore! Potrei essere suo padre!”
Harry alzò gli occhi dalle pratiche, inarcando le sopracciglia. “Da un professore.” Constatò lentamente senza riuscire a trattenere un sorriso divertito. “È stato così verboso?”

“Sembrava Piton.” Sbottò l’altro, tra l’esasperato e l’incredulo. “Mi ha dato dell’imbecille e ti giuro, sembrava di ascoltare il vecchio pipistrello!”
Harry non poté fare a meno di lasciare andare una breve risata: era un modo per scaricare la tensione di quelle ore come per ignorare quanto quell’affermazione lo colpisse.

Ho sotto il mio comando il cugino di Piton … E tanto per cambiare, tra di noi non corre buon sangue.
… Forse qualcosa dovrebbe cambiare.
“Domattina lo chiamerò nel mio ufficio. Questo detto, per favore…” E qui lasciò andare gli occhiali per massaggiarsi le palpebre pesanti. “… cerchiamo di rendere le cose più semplici per tutti, specie alla luce di quanto è successo al San Mungo, okay?”
L’amico ebbe un lampo consapevole nello sguardo. “Va bene. I ragazzi però adesso sono senza un Sergente e avranno bisogno di un superiore per continuare le indagini.”
“Pensi di potertene occupare?” Non aveva tempo per scegliere un sostituto e l’altro era la persona più affidabile che conoscesse, oltre ad essere già informato dei fatti. “Questo oppure … sto pensando di passare il caso nelle mani di un’altra squadra, considerando il coinvolgimento emotivo.”
Ron scosse la testa. “Mi sembra una pessima idea, Harry. Jamie e gli altri sono coinvolti, è vero … Ma proprio per questo non puoi tagliarli fuori. Era il loro sergente, e Howe il loro caso.”

Harry sospirò, con un breve cenno affermativo. “Domani mattina prenderai servizio sul caso. Pensi che la tua squadra possa andar avanti in autonomia?”
“Senza di me? Sì, al momento non abbiamo nulla di grosso tra le mani.” Convenne. “Non di così grosso, almeno.” Soggiunse con una smorfia.
Dovette dargli ragione.
 
****
 
Scozia, Hogsmeade.
Ora di cena.

 
Ted mise piede in casa e rese grazie a uno svariato numero di maghi leggendari  per l’odore delizioso che sentiva provenire dalla cucina.
James aveva preso molti difetti dei Weasley: l’impulsività, la facilità di giudizio e l’incapacità di controllare i propri scoppi emotivi, ma un solo grande pregio oscurava tutto.
Sa cucinare.
Era stata una scoperta, dato che l’aveva sempre visto solo in veste di assaggiatore entusiasta della cucina della nonna, della madre e di quella ad Hogwarts. Una scoperta recente ma piacevole, dacché il suo ragazzino era capace di non rovinare quasi nulla di quello che metteva a cuocere in pentola.
Nessuno vuole ricordarsi il disastro del Christmas Pudding, ma ehi … anche dopo esploso era commestibile.
“Sono a casa!” Proclamò scrollando il leggero mantello estivo dalla pioggia che l’aveva sorpreso sulla via di ritorno.
Ed io che pensavo ad una bella passeggiata … Mi scordo sempre quanto il tempo riesca a far schifo in Scozia.
“Ed io in cucina!” Gli fu annunciato. Bene, sorrise, James sembrava di buon’umore o se non altro non particolarmente incazzato dalla giornata.
Beh, certo, peggio di ieri non poteva andare…  
Vederselo tornare tutto intero dopo aver ricevuto una serie di inquietantissime notizie da Londra era stato un sollievo senza pari e aveva passato tutta la sera a tenerselo stretto sul divano con scuse patetiche che non avevano convinto nessuno, lui per primo; James non si era però lamentato, limitandosi a godersi le carezze e i baci e sghignazzare dandogli della ‘mogliettina apprensiva’.
Ero troppo contento per mandarlo al diavolo come meritava.
Entrando in cucina Ted si prese un momento per ammirare la testa arruffata del compagno, le spalle toniche coperte da una semplice canotta sdrucita e i pantaloni di una vecchia tuta che gli cadevano sui fianchi, lasciando scoperta abbastanza pelle da essere platealmente allusivi.
Credo sia per questo che non li ha buttati.
“Cosa si mangia?” Si informò neutramente, avvicinandosi per dargli un bacio sulla nuca ed aspirare l’odore di bagnoschiuma in cui doveva essersi affogato.
Shampoo, questo sconosciuto…
“Italiano!” Esclamò l’altro mulinando il cucchiaio in qualcosa che sembrava salsa o marmellata: Ted non si era mai fatto troppe domande circa gli esperimenti a cui veniva sottoposto quotidianamente. Di solito finivano con la sua pancia piena e James che ghignava tronfio e ben disposto a passare sul divano per smaltire, quindi perché preoccuparsi? “Cioè pasta … con … qualcosa.”
“Commestibile?” Non poté fare a meno di stuzzicarlo.

“Scassapalle.” Fu il ghigno di risposta, mentre gli scaricava il peso addosso con intenzione. Era più un crollare, ma Ted vi era abituato e dopotutto, esser stato graziato dalla Natura di una certa resistenza doveva pur servire a qualcosa. Gli passò un braccio attorno alla vita e lo sostenne, non prima comunque di avergli allungato un pizzicotto che gli costò un pugno giocoso e un bacio a in ugual misura.
“Dai, cos’è?” Chiese annusando. Non registrò nessun odore preoccupante, anzi.
Nonna Molly e i suoi geni … grazie.
“È tipo quella ricetta di quella vecchietta … in quel posto in cui siamo stati in vacanza.” Fece una pausa. “Ricordi?”
“Intendi dire la ricetta della pasta alla sorrentina, che hai ottenuto intrufolandoti nella cucina di quel ristorante a Minori, in Italia, dove siamo stati in vacanza un anno fa?” Tradusse a beneficio di entrambi, sentendolo ridacchiare.

“Non mi sono intrufolato.” Gli diede uno schiaffetto sulla guancia. “Bugiardo Teddy. La proprietaria era pazza di me!”
“Dopo che hai chiesto il bis. Due volte. Di tutte le portate? Sfido qualsiasi ristoratore a non adorarti.” Gli ricordò passandogli le braccia attorno alla vita; sapeva di essere una stramaledetta chioccia, ma sentirlo vicino, caldo e presente era un sollievo.

Specialmente quando rischia la vita due volte nel giro di due settimane.
James parve intuire dalla stretta i suoi pensieri, perché voltò il viso di tre quarti per lasciargli un lieve bacio sull’angolo della bocca per poi guardarlo con occhi caldi, e vivi. “Abbiamo consumato un sacco in quella vacanza, mio Teddy, e non mi sembra che tu ti sia mai lamentato della mia scorta d’energia.”
“Sono meno stupido di quanto sembri, sai.” Replicò facendolo ridere. “Com’è andata oggi? Come sta Liam?”
Lo sentì irrigidirsi e maledisse la sua appena ritrovata stupidità. “Non si sa ancora niente di certo … Prima di tornare a casa sono passato a vedere come stava, e ho parlato un po’ con Meg, sua moglie. Non si è più svegliato da quando…” Tacque, chiudendo con un colpo della bacchetta il fuoco sul grosso pentolone in cui bolliva la pasta. “… cazzo, è un vero casino.”
Ted gli posò un bacio sulla nuca, senza sapere cosa dire. In certi casi qualsiasi rassicurazione suonava sterile e chi meglio poteva saperlo di persone come loro? “Mi dispiace.” Si risolse a dire. “Il caso?”

James stavolta non  tentò di metter su la commedia del io-auror-tu-civile. Parlò veloce, svolgendo i pensieri come gli venivano e facendo forse chiarezza nella sua testa in prima istanza. “Fase preliminare. Abbiamo esaminato tutto quello che abbiamo fatto al San Mungo, dall’inizio alla fine e abbiamo ascoltato le testimonianze dei Guaritori, però finché non arrivano i referti medici del Sergente non possiamo capire su cosa stiamo lavorando. Si tratta quasi di sicuro di magia oscura, ma finché non abbiamo la certezza dai laboratori…” Si massaggiò la nuca con una smorfia, e riprese. “Per quanto riguarda il caso Howe, invece … Beh, abbiamo una mezza pista su chi possa aver disattivato le barriere nel Padiglione dei Mortuari. Domani facciamo un salto alla ditta che ha realizzato il sistema di sicurezza interno al San Mungo.”
“Quello che è stato disattivato per rubare le spoglie dell’americano?” Intuì mentre prendeva un paio di piatti e la tovaglia. James poteva esser un fedele adepto al sacro principio dell’Entropia, ma quando mangiava era nipote di Molly in tutto e per tutto; una tavola apparecchiata a dovere era imprescindibile.
James mandò la pasta a scolare e annuì. “Prince crede che qualcuno della ditta possa aver fornito i contro-incantesimi per disattivarle. È una pista, ed è sempre meglio di niente.”
Ted sorrise: già solo il fatto che l’altro ammettesse che un’idea del tedesco era buona era un buon passo verso l’armonia di quella nuova, traballante squadra.
“A proposito di Prince, hai sentito Lily?”
L’altro fece una smorfia, continuando ad armeggiare tra padella e pasta. “Silenzio radio. Oggi non aveva lezione né tirocinio, quindi manco Albie l’ha vista … Spero solo non sia troppo incazzata.”
Stavolta si astenne da qualsivoglia commento.

“È sicuramente incazzata come una biscia, eh Teddy?” Mugugnò sconfortato, lasciandosi cadere sulla sedia accanto a lui mentre la padella colma di pasta levitava sopra le loro teste e li serviva copiosamente.
“Le passerà.” Replicò diplomatico, dando una forchettata al proprio piatto. Non era come essere a Sorrento, ma ci si avvicinava. James cucinava soprattutto per distrarsi, per scrollarsi di dosso i brutti pensieri e doveva ammettere che apprezzava quella sua nuova abitudine, essendo assai meno distruttiva che lanciarsi come un pazzo in sella ad una scopa.
Morgana, grazie per i geni di nonna Molly. Grazie.
“Buona eh?” ghignò l’altro compiaciuto, strofinandogli il piede nudo contro la caviglia. “Sono un ragazzo da tenere fuori e dentro ad un letto, ah?”
“Per tutte le stanze. Ed è fantastica, Jamie, sul serio.” Convenne divertito, gradendo quel cambio di argomento. Parlare dei casi era un modo per l’altro di tirare le somme della giornata e non glielo avrebbe mai negato, ma in generale a tavola preferiva argomenti … più frivoli.

“Domani andrò nel bosco con Nev.” Disse. “Sai, per quella faccenda del supposto lupo mannaro…”
“Uh-uh.” Convenne l’altro mentre trangugiava succo di zucca. “Me lo ricordo … riunione cittadina, tu che mandi a fare in culo gente a caso…”
“Jamie…”
“No, dai, me lo ricordo sul serio!” Ghignò. “Quando è? Di notte? Con la luna piena?”

“Andare a cercare un Lupo Mannaro durante il Plenilunio può essere chiamato solo tentativo di suicidio assistito.” Replicò scuotendo la testa. “No, il Plenilunio è tra tre giorni. Ma se c’è un Mannaro in forma umana in giro per la Foresta Proibita … beh, diciamo solo che sarà più facile vedergli i segni della licantropia addosso adesso che lontani dal Plenilunio.”
“Vuoi che venga anch’io?” Lo stupì. “Possono sempre servire un paio di occhi in più, no?”
Ted ci rifletté: una caccia al Mannaro non era quella che poteva esser definita una tranquilla serata post-lavorativa ma James non era il genere di persona da camino e pantofola, non importava quanto stressante fosse stata la giornata. E l’idea di averlo vicino in quei frangenti lo rassicurava, oltre a dargli la piacevole sensazione di fare qualcosa per cui entrambi, seppur in modi diversi, erano naturalmente portati.
“Mi piacerebbe, ma sicuro di non esser troppo stanco?”
James ghignò, servendosi un’altra generosa dose di pasta. “Mio Teddy, mi conosci! Mi perderei mai l’occasione di vederti versione cacciatore sexy?”
 
 
 
****
 
Londra, Charing Cross.
Notte.
 
Alla fine Soho era servito solo come base. Il che, a dire il vero, era la norma.
Michel aveva raggiunto Mael e i suoi amici dell’Accademia Beery per un veloce cocktail al The Edge, locale adorato dal francese per via della concentrazione di Babbani modaioli e di tendenza, salvo poi spostarsi oltre il fiume per farsi fagocitare dentro l’Heaven, night-club dalla musica sufficientemente alta per soffocare conversazioni di facciata e soprattutto brutti pensieri.

Di solito…
Michel era appoggiato al bancone e stava sorseggiando la sua ordinazione svogliato, ignorando forzosamente i tentativi di attaccare bottone di un tizio in maglietta a rete e troppo kajal.  
Provvidenziale, Mael gli si appoggiò contro, passandogli un braccio attorno alla vita. “Ehi splendore.” Gli mormorò all’orecchio per farsi sentire oltre la musica. “Cos’è quel muso lungo?”
Michel sospirò, passandogli le dita trai capelli corti e sudati. “Se te lo dico adesso mi daresti retta?”
“Proprio no!” Rise schioccandogli un lieve bacio sulle labbra. “Dai, vieni a ballare!”
Michel sorrise, accettando la mano: Mael non era il genere di persona da cui andare per fare grandi discorsi o chieder consiglio. Da lui si poteva avere solo fatti, che fossero su un letto o su una pista da ballo. Non che non la ritenesse una qualità: era sinceramente affezionato a quel piccoletto pieno di energia e capricci e la loro amicizia funzionava proprio perché non aveva pretese di esser profonda.
Il problema è che non è abbastanza. Specialmente stasera.
Qualcuno qui si sta avvicinando all’auto-commiserazione?
No, decretò con una smorfia scontenta, non andava bene. Non andava bene affatto.
Tirò a sé Mael per la cintura dei jeans stretti come un guanto e lasciò che la musica, forte e ritmata, avesse la meglio su di lui. In fondo, era il motivo per cui era venuto.
Dopo un paio di canzoni e la perdita della maglietta giunse ad una grama conclusione.
… Definitivamente non va.
Aveva bevuto per lasciarsi andare, il corpo flessuoso e caldo di Mael era invitante, la musica era perfettamente stordente e l’odore di sudore, profumo e testosterone avrebbe dovuto fargli azzerare ogni capacità cognitiva … tutto cospirava perché quella fosse la solita serata senza pensieri. Invece no.
Stava ancora pensando: al lavoro, a suo padre, a come le pareti di casa sembravano schiacciarglisi addosso ogni volta che vi rientrava, ad Albus e al fatto che la relazione più duratura che avesse fosse quella con la sua bacchetta. Che si era rotta.
Quando sentì le labbra dell’amico lambirgli il collo scattò all’indietro, come bruciato.
Merlino, non ti trovi un po’ patetico? Il grande Michel Zabini. Mmh?
Mael gli scoccò un’occhiata preoccupata, oltre i fumi della propria sbronza. “Che succede?” Gli sillabò muto dato il frastuono. Michel scosse la testa, infilandosi la maglietta e facendo cenno verso l’uscita: prendere una boccata d’aria fresca gli avrebbe schiarito le idee. Almeno sperava.
L’uscita di sicurezza del locale era fortunatamente a portata di mano e ben visibile con una popolazione Babbana piuttosto prona al fumo. Scivolò fuori con facilità, respirando l’aria fresca della quieta serata estiva. Attorno a lui c’erano persone chiacchieranti o impegnate a far altro, ma benché ne conoscesse più di un paio, tirò dritto verso la fine del grosso terrazzo che finiva con la scala-antincendio. Si appoggiò alla balaustra di metallo, osservando il Tamigi brillare di mille luci elettriche e luminosissime.
Uno dei motivi per venire in questo posto, a parte scopare, è anche la vista…
Si accorse quasi subito però che la sua scelta misantropa era stata piuttosto stupida: aveva dimenticato l’accendino.
E, tanto per girare il dito nella piaga, niente bacchetta.
Quasi il Fato avesse deciso di dargli tregua, una mano comparve dal nulla tendendo l’agognato accendino. “Serve?” Chiese una voce densa di un accento che non riconobbe.
Michel alzò lo sguardo per squadrare l’interlocutore. Era un bel tipo, classificò con sicurezza. Alto, spalle larghe e allenate, ma non pompate da ore di inutile palestra, e con una zazzera di capelli biondi non flagellati dai coloranti chimici. Anche l’abbigliamento non era particolarmente appariscente per i canoni dell’Heaven: un paio di jeans slavati ma dall’aria costosa e una maglietta sportiva. Il genere di stile fatto a posta per non sembrare impegnativo quando in realtà calzava come un guanto.
“Grazie.” Sorrise chinandosi per dare un tiro alla propria sigaretta e lasciarsi riempire la bocca di fumo.
“Uno è qui per servire.” Tedesco, stimò, doveva esser tedesco per come pronunciava in modo nasale alcune sillabe. Michel sorrise al cliché involontario che rappresentava: alto, dall’aria sana e biondo. Anche le guance erano accese di un rosa piuttosto intenso, dovuto alla calura della sala da cui doveva esser appena uscito. Era niente male. Anche portarselo a casa lo sarebbe stato altrettanto.
“Servire … Non  mi sembri far parte dello staff. Neanche del paese, se è per questo.” Obbiettò senza particolare voglia. Ma era la sua educazione Purosangue: bisognava riempire i silenzi quando la persona davanti a te non dava cenno di volersene andare.
“America.” Disse stupendolo. “Vengo da Boston quindi non faccio parte del Continente.”
“Avrei detto fossi tedesco.”
Un lampo di sincero piacere si accese nel sorriso disimpegnato dell’altro. “Abbiamo un esperto di accenti, ah?”

“Di tedeschi, forse.” Motteggiò facendolo ridere. “E poi, spero tu non ti offenda, ma rappresenti il prototipo in modo eccellente. Sono solo stupito dalla mancanza di bretelle e calzoni alla zuava.”
L’altro scoppiò a ridere più forte e Michel plaudì silenziosamente alla risata franca e sincera. Era raro che qualcuno prendesse nel verso giusto il suo umorismo, specie quando i cocktail erano troppi per apprezzarne le sfumature. “Mi dispiace deluderti, ma non ne ho mai indossati in vita mia.” Ghignò, arricciando le labbra e squadrandolo per intero. “E poi, come rimorchierei conciato in quel modo?”

“Giusta osservazione.” Convenne. “Ed io che pensavo che si venisse qui per la buona musica.”
“Dio, ma se è una schifezza!” Esclamò spalancando gli occhi. Niente cliché lì: li aveva scuri alle luci di Londra. “A volte mi chiedo se qualcuno la ascolti fuori da posti come questo. Senza avere l’impulso di prendere a calci l’impianto che la spara, intendo.”
“Palestre, saune…” Elencò divertito. “… è settoriale.” Si stupì della facilità con cui stava rompendo il suo fioretto serale. Non era uscito per avere una conversazione sterile eppure …

Stasera ti devi sentire proprio solo, mio buon Mike.
“Puoi dirlo forte.” Scrollò le spalle l’altro. “A te piace?”
“Non è questione di piacere, è questione di … colonna sonora, suppongo. Non puoi certo mettere musica classica in posti come questo.”
“Sì, vero.” Disse avvicinandoglisi di qualche passo. Era poco più alto di lui, ma aveva una corporatura più massiccia. Immaginò il peso dei muscoli schiacciarlo contro le lenzuola e un fuoco gli divampò dentro. Finalmente. “Hai finito qui?” Gli venne chiesto. “Con la sigaretta, dico.”

“Mi stai chiedendo di ballare?” Ribatté abbandonando la suddetta alla consunzione spontanea.
“Non con quella merda di sottofondo.”
Michel sentì la mano dell’altro passargli lungo il basso schiena, calda e presente, ma non sudata. Piacevole, stimò. “Un valzer allora?” Mormorò sentendo che finalmente il cervello cominciava a puntare in unica, disimpegnata direzione.
Il biondo ghignò chinandosi nella sua direzione. “Una specie.”
 
 
****
 
 
Note:

Di tutto e un po’!

Questa la canzone del capitolo. Tanto per andare su robina allegra. Ce ne servirà come scorta per l’inverno! ;D
  
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