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Autore: Dira_    30/01/2013    12 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XII

 
 


I look around, but I can't find you  If only I could see your face 
Instead of rushing towards the skyline
I wish that I could just be brave
(Rabbit Heart, Florence & The Machine)
 
 
24 Giugno 2028
Victoria Embankment. Casa di Michel Zabini.
Mattina.
 
La vita era fatta di alti e bassi. Dove c’era una giornata di merda, c’era sempre la possibilità che arrivasse una notte niente male.
E così era stato per Michel, che si svegliò sentendo il piacevole languore che testimoniava lenzuola sgualcite, sudore a raffreddarsi sulla pelle e un uomo che sapeva come muoversi e soprattutto cosa toccare.
Inspirò seppellendo il viso contro il cuscino, seta fresca contro il suo viso ancora accaldato; la barba pungeva ma non riusciva a trovarla fastidiosa come al solito.
Era la prima volta da … mesi … che non si svegliava con il malditesta. Certo, svuotarsi dava sempre i suoi buoni effetti, ma quella notte era stata come se finalmente il mazziere della sua partita personale gli avesse allungato una mano sublime. O un antidolorifico potente.
Merlino, che meraviglia.
Con la coda dell’occhio vide la luce del bagno accesa e dall’acqua intuì che il tedesco – o americano? – si stesse facendo una doccia prima di togliere le tende; doveva essere l’alba.
Ottimo, sa quando andarsene.
Dovrei chiedergli il numero comunque. È un’esperienza che va ripetuta, questa.
Si stese sulla schiena, osservando i vestiti del tipo gettati su una delle sedie ultra sottili che decoravano il suo appartamento uscito dalla testa hi-tech di un’architetto Babbano. Suo padre quando vi era entrato la prima volta aveva storto la bocca e aveva passato la successiva mezz’ora a criticare tutto ciò che gli si era parato davanti.
A ben pensarci, è stato questo il motivo per cui l’ho fatto arredare così… Per fargli dispetto.
Stese una mano sul comodino per cercare le proprie sigarette, e quando non le trovò cercò la bacchetta per Appellarle. Gli ci volle più di qualche secondo di nebbia post-coitale per rendersi conto che non c’erano nessuna delle due.
Cosa diavolo…
Si alzò di scatto a sedere mentre scandagliava la stanza con lo sguardo; ricordava di aver lasciato la bacchetta sul comodino, come faceva ogni notte, oculatamente nascosta dalla sveglia digitale.
Dov’è finita?
La sola idea che il suo ospite potesse averla vista gli dava l’ansia; un Babbano poteva farsi sospettoso vedendo un legno istoriato e dalla forma strana in un appartamento come il suo.
Come se non bastasse la mia bacchetta di riserva è una vecchia bacchetta di papà. Merlino, penso anche abbia delle protezioni anti-Babbano sopra …
Protezioni del genere aggredivano chiunque non fosse il proprietario con effetti terrificanti quali fuoco, scariche di magia e amenità simili.
Ci manca solo che debba chiamare una squadra di Obliviatori … o un carro funebre perché ha toccato la mia bacchetta.
Sono un idiota. Un errore da novellino.
Cercò di ricordare dove l’avesse lasciata prima di uscire con Mael e la sua compagnia, ma tra l’alcool e il fatto che avesse passato tutta la notte a spegnere il cervello nel modo migliore che conosceva non gli sovvenne nulla.
“Ehi, cos’è quella faccia?” Lo sorprese una voce. “Tanto devastato all’idea che me ne vada?”
Milo – erano riusciti a presentarsi prima di mettersi gloriosamente le mani addosso nel taxi di ritorno – se ne stava sullo stipite della porta del bagno ed era una visione, tra il vapore della doccia, l’assoluta mancanza di vestiti e i capelli biondi arruffati come un’aureola. Per un attimo ogni suo senso fu investito dai ricordi delle mani e dalla bocca del ragazzo di fronte a sé.
“No, io…” Inspirò, realizzando di essere al centro della stanza, coperto solo dalla propria vestaglia e con un’espressione di puro terrore. Non andava affatto bene. Ne andava della sua reputazione.
“Buongiorno.” Riuscì a dire lasciandosi scivolare un sorriso languido sul viso. “Devo ammetterlo, mi sarei offeso se tu fossi sgattaiolato via come un ladro…”
L’altro ridacchiò, staccandosi dalla porta e afferrandogli i lembi della vestaglia, quasi volesse chiuderli. Finì invece per tirarselo contro. “Non sono così stronzo.” Ghignò. “Non con chi ha un culo come il tuo.”
“Sempre così diretto?” Passandogli le braccia attorno al collo cercò di occhieggiare all’interno del bagno. Niente, non ve n’era traccia.

Dannazione. L’ha vista? Non l’avrà presa? Se solo non avesse il manico intarsiato d’argento… Potrebbe balzare all’occhio, potrebbe pensare di venderla ad un robivecchi.
Era un’ipotesi assurda, ma non così tanto se si considerava il fatto che avesse fatto entrare in casa un perfetto sconosciuto.
Quante volte Albus ti ha detto che potresti metterti nel letto uno psicopatico? O svegliarti senza mobili?
Milo intanto pareva più occupato a lasciargli una calda scia di baci sul collo e Michel dovette appellarsi a tutto il suo autocontrollo per mantenere la lucidità. “Senti … hai …” Come poteva chiedere una cosa assurda come quella? Forse avrebbe dovuto trovare una scusa per frugare trai suoi vestiti?
Di certo non l’ha addosso…
“Hai visto…”
“Vedo te, e lo spettacolo mi piace Michel…” Il modo in cui arrotolava il suo nome sulle lingua lo faceva impazzire, perché per la prima volta dopo anni veniva pronunciato correttamente. 

Non mi chiamo Michael, mi chiamo Michel. Grazie.
No, aspetta. La bacchetta.
Con il cuore ricolmo di dolore si staccò dalla massa di muscoli, pelle e ossa bollenti del ragazzo di fronte a sé. “Hai visto … sto cercando la mia…”
Sarebbe più semplice se glielo potessi spiegare senza essere guardato come un pazzo.

Non ebbe il tempo di dire una parola che l’altro lo schiacciò letteralmente sopra il letto, in un movimento fluido e allenato, di chi sapeva come rendere maledettamente eccitante persino quello che alla fine era un placcaggio.
Era sconcertante; si riteneva una persona con un’esperienza tra le lenzuola, ma il tedesco stava premendo tutti gli interruttori giusti, e senza troppi sforzi dal ghigno beato e dalle mani che sembravano conoscere la mappa esatta del suo corpo.
Oh, Merlino … Un animale da letto. È un animale da letto.
Chiuse gli occhi esalando un respiro breve e secco quando sentì i palmi ruvidi passargli sulle gambe e stringere, con fermezza e senza fare male.
“La mia bacchetta…” Mugolò mentre una parte del suo cervello urlava sconcertata e l’altra osservava placida lo svolgersi degli eventi.
“È una metafora?” Chiese l’altro, alzando il viso minimamente turbato. “O intendi l’altra?”
… Come?
“Perché è a terra, vicino alla scrivania e visto che non volevo farmi saltare in aria una mano l’ho lasciata dov’era. Mi sembrava protetta da qualcosa.”
Michel ritrovò di colpo la lucidità. Sbattè le palpebre cercando di ritrovare contegno e soprattutto, cervello, perché si sentiva ridotto a deliziosa gelatina. “Sei un mago?” Fu la prima cosa che gli venne in mente.
Milo inarcò le sopracciglia. “Ti pare mi porti dietro legnetti che fanno scintille?”  
“Non sei un mago…” Quella mattina si sentitiva deplorevolmente ritardato perché gli stava sfuggendo l’intero quadro della situazione. A sua differenza il tedesco lo guardava con un sorrisetto beffardo, simile a quello di un bambino pestifero.
“Non sono un mago.” Confermò. “Ma tu sì, vero dolcezza? Dovresti aver più cura delle tue cose.” Si chinò fino a far toccare il naso con il suo. Aveva gli occhi castano chiarissimo, un castano che gli sembrava di aver già visto, secoli prima.
Dove?
No, non distrarti.
“Non sei neppure un Babbano però…”
“Ti sembro così sprovveduto?” Ghignò. “E no, prima che tu me lo chieda, non ho parenti che menano bacchetta.”

Michel sentì il cervello incepparsi come una vecchia macchina che aveva fatto troppi chilometri in poco tempo. Incepparsi e poi riavviarsi di colpo con un gran sferragliare.
Magari non l’avesse fatto.
“Sei un Magonò.” Realizzò sentendo il corpo congelarsi come se l’avessero appena gettato in una fontana di Hyde Park.
L’altro scrutò per un attimo la sua espressione, poi fece una risatina, staccandosi. “Dalla velocità con cui ti s’è ammosciato direi che non sei un fan della categoria.”
“Sei un Magonò.” Ripetè come un disco rotto; com’era possibile? I Magonò erano poveri, cenciosi e si nascondevano agli angoli delle strade per aggrapparsi ai cordoni della borsa con patetici sguardi acquosi. I Magonò erano Mastro Gazza, il bidello di Hogwarts dallo sguardo arcigno e dall’igiene dubbia.

I Magonò non erano un dio fatto di muscoli, sorriso irriverente e capelli biondi come il grano.
L’altro gli rivolse un’occhiata orribilmente divertita, togliendosi da lui e dirigendosi verso i propri vestiti e dandogli una visuale panoramica del suo fondoschiena.
I Maghinò non hanno un culo perfetto.
“Quando ti sarai ripreso dal trauma trovi il mio numero di cellulare sullo specchio del bagno.” Lo informò.
Specchio del bagno?

Era talmente agghiacciato che neanche si chiese con cosa ce l’avesse scritto. Nel frattempo l’altro si ravviò i capelli arruffati e umidi con una mano – la stessa mano che aveva fatto cose innominabili ad ogni singolo muscolo del suo corpo la sera prima – e gli sorrise come se fosse la cosa più esilarante del mondo.  “Sta’ allegro, maghetto, non ti ho scopato via la magia.”
“Lo so…” Riuscì ad esalare. Si sentiva paralizzato e nella sua testa c’era solo un coro di voci che urlava di lavare l’offesa nel sangue. “Mi hai ingannato.” Tirò fuori cercando di recuperare dignità, perché era Michel Zabini e nessun dannato Magonò si prendeva gioco di lui.
“Io?” Chiese con la voce più innocente del mondo. “Ci siamo presentati, ti ho offerto da accendere e mi hai portato a casa tua per fare sesso. Quando ti avrei ingannato? Mi sembra abbiamo ottenuto tutti e due ciò che volevamo.”
“Non mi hai detto cosa sei!”
Un’ombra passò sul viso dell’altro e per un attimo Michel pensò di aver esagerato. Anche se ovviamente non l’aveva fatto: l’altro era un Magonò, aveva solo detto la verità.

L’ombra passò comunque, e tornò il sogghigno. “Alla faccia del razzismo!” Esclamò. “Fammi indovinare, sei Purosangue?”
“Non è affare che ti riguardi.”  
“Curioso, è la stessa cosa che avrei detto io.” Scosse la testa e Michel finse di non sentirsi in qualche modo oggetto della delusione dell’altro. Come se gli importasse, poi. “Ero pronto a non avere pregiudizi.”
“Forse perché non hai diritto ad averne.” Ritorse.

Il Magonò gli rivolse un’occhiata di scherno e poi si avvicinò. Tentò di mettersi in piedi ma venne risbattuto contro il materasso con un movimento fulmineo. Voleva aggredirlo? Non fece in tempo a chiederselo che sentì una mano premergli sul petto, con decisione ma non violenza. Gli occhi dell’altro erano davvero chiari, ambra. Era assurdo, specialmente in quel momento, pensare che li avesse già visti altrove.
No, impossibile. Io non frequento la feccia.
“Sei proprio uno di quegli stronzi, ah?” Sospirò a pochi centimetri dalle sue labbra e Michel si impose di non far tornare l’eccitazione. Non che fosse esattamente facile: il suo corpo non pareva turbato dalla nuova scoperta. “Peccato. Ti avrei offerto volentieri la colazione.”
Come l’aveva sbattuto sul letto si rialzò lasciando la stanza senza un’altra parola.
Michel rimase a lungo steso, finendo per trovare la bacchetta, a terra esattamente dove il Magonò aveva detto fosse. Dopo qualche attimo rilasciò un’imprecazione trai denti.

L’emicrania era tornata.
 
****
 
 
Inghilterra, Devon, Il Mulino.
Mattina.
 
Non poteva trasferirsi a casa del suo ragazzo.
Lily l’aveva pensato quella mattina e così, più o meno alle prime luci dell’alba, aveva infilato la sua roba nel borsone che si era portata dal Mulino e ci era tornata, al Mulino. Scott, svegliatosi per il trambusto, aveva cercato di farla rimanere, assicurandole che per lui non c’era il minimo problema, che sarebbe potuta rimanere lì anche un mese, che la casa era grande e tutto il resto…
Magari. Ma da certe beghe non si può scappar per sempre.
 
“Non è questo il problema, Scotty.” Gli aveva sorriso, baciandogli la testa arruffata dal sonno. “È che devo tornare a casa per … questioni familiari, mettiamola così.”
“Tuo padre, eh?” Aveva indovinato nascondendo uno sbadiglio dentro una mano. “Cerca di non esser troppo dura con lui, alla fine pensava di farlo per il tuo…”
“Non ho bisogno che qualcuno prenda decisioni per me.” L’aveva interrotto, perché non aveva voglia di litigare con chi l’aveva ospitata beccandosi pure un pacco di paturnie che non avrebbero neppure dovuto sfiorarlo.  

L’altro aveva sospirato, ma aveva avuto più cervello che tentare di infilarsi in un argomento simile. “Okay. Colazione?”
Si era chinata per baciarlo a fior di labbra, cercando di infondere in quel breve contatto tutta la gratitudine che provava. “No, hai già fatto più che abbastanza … grazie. Ci sentiamo stasera, okay?”

Aveva abbandonato il porto sicuro che era casa Ross per tornare al Mulino e facendo scattare le chiavi di casa pensò che forse non era stata una buona idea; avrebbe sempre potuto riparare a casa di uno dei fratelli per ancora qualche giorno mentre aspettava che la bufera del suo cattivo umore si mitigasse.

Non mi va di litigare con papà e so che appena lo vedrò finirò per farlo.
Era il suo eroe, lo era sempre stato e non avrebbe smesso di esserlo, tuttavia dovergli spiegare per l’ennesima volta i limiti che non doveva oltrepassare le dava ai nervi.
È un maniaco del controllo. Deve sapere che siamo in un luogo sicuro, che facciamo qualcosa che non ci mette in pericolo e che non siamo, soprattutto, con gente pericolosa.
E se c’è il solo sospetto che una di queste condizioni venga meno…
Entrò in cucina e, dato il sonno che sentiva, fu inevitabilmente attratta dalla caffettiera bollente che emanava fragrante odore di colazione.
Meravigliosa caffettiera americana … Lasciati amare.
“Lily.”
Era una trappola!
Si voltò verso la voce di suo padre e lo trovò appoggiato allo stipite della porta, senza occhiali, con i capelli fuori controllo e ancora in pigiama. Era il suo giorno libero?

O forse è presto sul serio. Quando passi la notte insonne la sfasatura temporale si fa sentire.
“Era una trappola?” Chiese puntando sullo scoprire subito le proprie carte
L’uomo sospirò passandosi una mano dietro la nuca. “Cosa?”
“Il caffè … era per attirarmi in trappola?”
Suo padre le rivolse uno sguardo confuso. “No, l’ha preparato tua madre prima di uscire … Ci sono le selezioni dei Portieri del Puddlemere oggi, e le fanno all’alba.”
Lily strinse la tazza tra le dita, sentendosi piuttosto sciocca. “Vado a mettere le mie cose in camera…” Iniziò.
“Aspetta.” Rovinò tutto l’altro. “Dobbiamo parla…”
“Assolutamente no.” Lo bloccò sentendo il familiare nodo di rabbia serrarle lo stomaco. “Non c’è niente da dire. Niente che non mi farebbe litigare con te.”
“Lily, per favore.” Sembrava stanco, e non della stanchezza dovuta a una sveglia troppo mattiniera. Riconobbe le familiari occhiaie sotto gli occhi e capì che all’ufficio Auror doveva essere uno di quei periodi.

Non farti impietosire. Non osare! Mantieni la posizione, soldato.
“Mi hai nascosto delle cose.” Si appoggiò al frigorifero, cosciente ormai del fatto che quella conversazione non si poteva evitare. “Hai preso decisioni al posto mio.
“Lo so, l’Agente Prince…”
Sören.” Lo corresse. “Gli hai fatto promettere di tenere la bocca chiusa, e me lo sono trovato di fronte comunque. Londra è una città piccola, pensavi sul serio che non ci saremo imbattuti l’uno nell’altra?”

“Era proprio quello che volevo evitare. A te e ai ragazzi.” Ribattè gettando un paio di bustine di the in una tazza come se tutta quella faccenda fosse colpa loro.
“Perché?”
Suo padre si passò una mano trai capelli, tentando senza successo di dargli un ordine. Era un tic, come mordersi le unghie o aggiustarsi gli occhiali. “Perché non voglio che le vostre vite vengano di nuovo…”
“Cosa, sconvolte?” Non lo lasciò finire, abbandonando la tazza di caffè nel lavello, casomai avesse la brillante idea di rovesciarsela addosso: non si fidava a tenere liquido bollente tra le mani, non in quel momento. “Non sarebbe successo niente del genere! A Tom non sarebbe fregato nulla, Al neppure … ed io al massimo l’avrei visto per un caffè!”

Sei sicura? Allora perché continui a tentennare? Codarda.
Decise di accantonare quella voce nella sua testa per l’ennesima volta. Quella voce che le diceva che forse suo padre aveva ragione, forse l’arrivo di Sören in Inghilterra, nella sua Inghilterra, la stava mandando fuori fase più di quanto avrebbe dovuto.
Non ho bisogno di dargli ragioni per credere che abbia fatto bene.
“Ho vent’anni, sono abbastanza grande per sapere cosa voglio!”
L’uomo le lanciò un’occhiata che era un misto di incertezza, senso di colpa e qualcosa di più ferreo, di più interiore, una cocciutaggine da padre di famiglia detentore di ogni certezza.
Morgana, quanto odio quando fa così.
“Bene.” Disse calmo. “Allora voglio che tu mi assicuri che rivederlo non ti ha dato il minimo pensiero.”
“Mi ha sorpreso, tutto qui.” Mentì. “Questo non significa che mi devi proteggere come una cavolo di ragazzina traumatizzata!”
“È quello che sei stata e Merlino solo sa se non darei un braccio, o tutta la mia magia, perché non succeda di nuovo.” C’era sincero dolore nel tono di voce e Lily sentì la rabbia cominciare a defluire come una marea. Chiuse gli occhi e sospirò.

“Sören non ha colpa dei miei incubi…”
“Ma ne è stato parte.” Lo percepì avvicinarsi e poi sentì la sua mano, forte e salda, sulla spalla. Avrebbe voluto scrollarla, ma la realtà e che ne aveva bisogno. “Non sto dicendo che ho fatto bene a nasconderti delle cose, tesoro.” Aggiunse. “Ho solo cercato di evitarti dei pensieri … Nei piani originali sarebbe dovuto rimanere non più di trentasei ore.”
“Adesso non è più così?”
“Complicazioni con il caso.” Non si sbottonò, ma non lo pretese. Quelli davvero non erano affar suoi. “Resterà più di quanto previsto, non era pianificato, ma…”
“Se l’avessi saputo prima sarebbe stato diverso?”

“Non lo so.” Ammise e questo lo apprezzò. “Voglio solo che tu, Al e Tom viviate sereni.” Ripetè. “Ma hai ragione, era tuo diritto sapere.” Scosse la testa. “Non interferirò più, qualunque cosa tu decida di fare d’ora in poi, te lo prometto.”
Lily lo abbracciò d’impulso, perché sì, la rabbia non era passata, non del tutto, ma le intenzioni, quelle le poteva capire e scusare. Non era più una quindicenne arrabbiata con il mondo.

Dovevo solo ricordarmelo, credo.
La stretta di suo padre era calda, presente e aveva l’odore del sonno e di casa. Non aveva realizzato fino a quel momento quanto le fosse mancata; sentì la tensione scivolare via come una coperta troppo larga e finalmente potè permettersi di essere stanca.
“Mi dispiace tesoro.” Le mormorò trai capelli. “A volte non tutto quello che faccio risulta essere la soluzione perfetta.”
“Decisamente.” Convenne con una risatina che sperò non fosse troppo acquosa. “Non offederti, ma davvero, stavolta no.”
“Nessun offesa intesa.” Si staccò per accarezzarle la guancia. “Colazione?”
“Merlino, sì, sto morendo di fame.” Sorrise perché non riusciva a restar arrabbiata con nessuno dei suoi familiari troppo a lungo, specialmente suo padre, con quell’aria perennemente arruffata da ragazzo imbranato.  

“Voglio una vera colazione.” Pretese mettendosi a tracolla il borsone, precedentemente abbandonato su una sedia nella sua ricerca di caffè. “Tanta, vera colazione.”
“Agli ordini!” Ridacchiò prima di mettersi docilmente ai fornelli. Ma c’era ancora qualcosa di indeciso nella linea delle sue spalle e Lily si prese un momento in più. “Lils…” Disse infatti, e c’era esitazione, ma anche una strana rassegnazione nel tono di voce. “Ti è arrivata una lettera.”
“Un Gufo?”  
“Te l’ho lasciata sulla scrivania, in camera tua.” Si limitò a dire prima di voltarsi a prendere il necessario per cucinare.

Lily non fece altre domande, sapendo che non avrebbe ricevuto risposta dalla persona che gli stava di fronte – quando voleva suo padre riusciva ad esser persino meno comunicativo di Tom; corse invece al piano di sopra, lanciando la borsa sul letto. Sulla scrivania faceva ben mostra di sé una busta pergamenata.
 
Sören E.Prince,
Diagon Alley, Paiolo Magico, Londra.
 
 
****
 
 
Londra, Diagon Alley.
 
“Odio quando scappano!”
Sören non era propenso, in linea di massima, a dar retta a James Potter ma in quel momento assolutamente sì.
Fermo!” Urlò accanto a lui Malfoy, cercando di lanciare un incantesimo in direzione del loro sospetto fresco di interrogatorio; nientemeno che il figlio del proprietario della ditta degli incantesimi Protettivi. Erano bastate un paio di domande incalzanti e la richiesta di vedere dove venivano archiviati i contro-incantesimi, perché il ragazzo, nervoso sin da quando erano entrati nel piccolo ufficio sopra la fabbrica, saltasse in piedi e si gettasse fuori dalla finestra come se avesse le ali ai piedi.
(In realtà un Incantesimo Levitante piuttosto ben riuscito. Il tipo non doveva esser nuovo alle fughe precipitose.)

Sören si infilò nella tortuosa via principale di Diagon Alley, masticando un’imprecazione a mezza bocca, quando si accorse che il sospetto aveva scelto quella soluzione di fuga proprio per la calca che premeva da ogni lato, rendendo difficoltoso il passaggio di quattro agenti armati.
“Levatevi dai piedi!” Gridava inutilmente Potter, cercando di evitare anziani e tirando energici spintoni a chi gli sembrava in grado di spostarsi ma non sembrava averne l’intenzione.
“Potty, non uccidere nessuno! Ricordati i richiami disciplinari!”
“In culo i richiami!”  

Sören cercò di concentrarsi sull’azione e sul regolare il respiro, dato che altro non poteva fare che seguire pedissequamente le mosse degli auror.
Non conosco il terreno d’azione. Non so come muovermi.
Non aveva neppure fatto in tempo a lanciare un Incantesimo Localizzante sul sospetto; Londra e le sue strade, così come la sua popolazione magica, gli era nuova e si sentiva ancora sbalestrato.
Non ha importanza. Hai un compito, eseguilo.
Razionalmente sapeva cosa fare: seguì Jordan che gli scoccò un’occhiata stupita ma non fece rimostranze. “Seguimi!” Disse invece. “Sbucheremo a Notturn Alley, lì dovrà fermarsi, oggi c’è il mercato, sarà pieno di banchetti!”
Si limitò ad annuire stringendo con forza la bacchetta in pugno e riparandola dalla gente che gli sfrecciava accanto.
C’è una pista. Finalmente. Qualcuno ha pagato o minacciato il sospetto per farsi dare i contro-incantesimi per le barriere del Padiglione Mortuari. Qualcuno che ha trafugato tutto ciò che era Sam Howe.
È una pista. Finalmente.
Jordan lo guidò con sicurezza tra vicoletti angusti e ingombri di cianfrusaglie, quanto di maghi che gli ricordavano sin troppo bene la sua infanzia in Germania.
Il tempo si è fermato in Europa.
Fu un pensiero fugace prima che il vicolo si aprisse su una piazzetta ingombra di bancarelle e teli stesi per ospitare merce di molteplice provenienza, da cibo ad artefatti magici. Sören non si lasciò distrarre; in un lampo vide il mantello del ragazzo sparire dietro un banchetto traboccante libri . “Lì!” Esclamò. Scattarono e con la coda dell’occhio vide Potter e Malfoy sbucare da un altro vicolo.
Non deve Smaterializzarsi. Sta correndo troppo veloce ed è terrorizzato, non si è ancora smaterializzato, ma appena troverà un buco in cui infilarsi…
Realizzò che quella piazzetta, per la sua confermazione, era un buco perfetto. Occultato dalla merce e dalle bancarelle il giovane mago aveva tutto il tempo per lanciare un incantesimo; lo vide tirar fuori la bacchetta, puntarsela addosso …
… e poi l’intero banchetto di libri gli franò addosso.
Sören si bloccò appena in tempo per non essere travolto e lo stesso fecero gli auror dietro di lui.
Che diavolo…
Dai lamenti che si udivano provenire sotto i chili di carta il sospetto non era stato altrettanto fortunato.
“Woah!” Esclamò Potter affiancandoglisi con un ghigno. “Che culo! Viva i banchetti marci di Diagon Alley!”
 
“… Perché la fortuna bacia sempre gli idioti, vero James?”

Sören sentì un brivido lungo la nuca: quella voce l’avrebbe riconosciuta tra milioni di altre dato che era fatta della stessa materia dei suoi incubi peggiori, quelli che gli ricordavano quanto e come avesse sbagliato a seguire quell’uomo.

No, non è…
Non era Alberich Von Hohenheim, perché era morto, certo. Era invece l’unica traccia rimasta sulla terra. Era suo cugino Thomas.
“Dursley!” Esclamò Malfoy sorpreso. “Sei stato tu?”
“Sembrava avere troppo fretta per essere in cerca di una lettura.” Replicò questo infilando la bacchetta nel fodero attaccato ai jeans. “È vostro?”
“Già, sempre che tu non ce l’abbia spappolato!” Esclamò Potter con una smorfia che malcelava il fastidio di non esser stato lui ad aver avuto quella pensata. Fece cenno a Bobby e Malfoy e i due si misero all’opera nel liberare il sospetto. “Che ci fai qui?”
“A Notturn Alley? Sono alla ricerca di manifatti oscuri, mi sembra ovvio.”

Cosa?
“Ironia, questa sconosciuta…” Sogghignò scuotendo la testa come se avesse di fronte quattro bambini tardi. Poi si voltò nella sua direzione, scoccandogli un’occhiata che non riuscì o forse non volle premurarsi di decifrare.
Era dura, pensò sentendo la bocca diventare asciutta come il deserto; rivedere Dursley era dura perché era rivedere suo zio, gli stessi occhi gelidi e gli stessi lineamenti scolpiti nella pietra. Distolse lo sguardo, non riuscendo a far altro.
Patetico…
“Vedo che avete una nuova aggiunta.” Osservò lentamente, chinandosi a raccogliere un libro da terra e spazzolandolo con cura prima di metterlo nella propria tracolla. Era babbana, di tela e Sören ne fu stupidamente sollevato; più punti di differenza trovava trai due più si sentiva in grado di respirare.
“Sì, è un agente di collegamento, Albie te l’avrà detto.” Tagliò corto Potter. “Dai, levati dai piedi, dobbiamo lavorare.”
“Se per lavorare intendi travolgere metà Diagon Alley e vandalizzare un mercato…”
“Ma vaffanculo!”
Non è mio zio. Non è lui, è solo … suo figlio. È mio cugino.

C’era un modo corretto di comportarsi in quei casi? Perché sembrava che Londra stesse cospirando per fargli incontrare le persone più scomode con cui interagire.
Lui, Lilian… Lilian avrà ricevuto il mio Gufo?
“Dai, abbi pietà di noi povere teste di latta!” Sorrise Scorpius raddrizzando il sospetto semi-incosciente e ciondolante. “Grazie per l’aiuto, comunque.”
Thomas spianò l’espressione in un’ombra di sorriso, sebbene avesse ancora con ampie tracce di scherno a tingerlo. “Sempre a disposizione per le forze del Bene.” Mormorò: era il genere di persona che non doveva evidentemente alzare la voce per essere ascoltato.
“Dannazione, riesci ad essere un rompipalle anche quando sei d’aiuto… Levati dai piedi o ti portiamo in ufficio!” Esclamò Potter con un grugnito che sapeva di esasperazione ma anche di uno strano, contorto rispetto.

“Agli ordini.” Replicò placido, prima di rivolgergli un’altra occhiata. Sören avrebbe davvero voluto trovare qualcosa di utile o sensato da dire, ma si limitò a ricambiare lo sguardo e ad un cenno della testa. Non che l’altro sembrasse aver voglia di rimanere per conversare dato che non impiegò che pochi attimi per sparire nell’oscurità del vicolo.
“Idiota… tutta questa segretezza e poi sarà venuto qui per ficcare il naso in qualche libro muffito.” Borbottò Potter scuotendo la testa. “Si diverte a fare il coglione inquietante!”
“Il solito, no?” Replicò Malfoy stringendosi nelle spalle con un sorriso rassegnato. Era strano, considerò, ma provava invidia per la facilità con cui i due si rapportavano all’altro, apparentemente al lato opposto del loro carattere.

Lo conosco da una vita, è normale. Fa parte della loro cerchia di amici, della loro famiglia e per questo non lo giudicano.
I rapporti umani erano complicati, pensò con un sospiro interiore: ne sarebbe mai venuto a capo?
“Portiamo il nostro amico in centrale e gli diamo un paio di colpi di Innerva?” Suggerì Jordan rompendo il silenzio creatosi.
“Buona idea.” Convenne Potter. “Ci deve ancora delle risposte.”
 
****
 
America, Boston.
Ufficio SAGITTA. Mattina.

 
“… e per questo motivo l’Agente Prince prolungherà il suo soggiorno in Inghilterra.”
Eleanor sapeva di aver dato una notizia piuttosto sconcertante e per questo aspettò con calma che sua figlia e l’Agente Estevez ne assimilassero tutte le implicazioni.

“Diavolo!” Esclamò il portoricano. “Certo mi lascia un bel po’ di scartoffie da sistemare e che sia dannato se non gliele spedirò tutte!” Ghignò. “Che non pensi di potersi rifugiare in Europa!” Detta la battuta tornò subito serio e le scoccò un’occhiata indagatrice. “Ma è solo perché le indagini si sono complicate che non torna, vero?”
“Quali altri motivi potrebbero esserci, Agente Estevez?” Replicò pacata, studiando nel frattempo il viso serio e contratto della figlia. Era una sua sottoposta, ma anche la sua principale ragione di vita e conosceva le sue reazioni a fuoco lento a menadito.
“Non so, forse il fatto che gli inglesi vorrebbero mettergli il più possibile i fermi alla scopa?” Replicò quest’ultima salace. “Prince non dev’essere nella lista delle persone preferite di molti di loro, Harry Potter in testa. Non mi stupirei se stessero cercando di sabotarci.”
“È questo genere di pregiudizio che non rende facili i rapporti oltre-oceano, Agente Gillespie.” Doveva mantenere il tono di comando così come la giusta distanza emotiva dalla figlia. Non era semplice. “Il Capo Potter è un uomo corretto, e così lo sono i suoi auror. È opportuno che l’agente Prince rimanga perché le indagini hanno preso una piega complessa. È suo dovere prestare le proprie competenze per risolvere il caso, specie considerando che la risoluzione dello stesso porterà a riavere indietro le ceneri e gli effetti personali di Samuel Howe.”

Sua figlia le scoccò un’occhiata talmente scettica che fu costretta ad ignorarla per non doverla riprendere di fronte ad Estevez.
“Agente Estevez, al momento dovrà fare a meno del suo compagno … Sergente Gillespie, voglio che riorganizzi i prossimi turni calcolando l’assenza dell’agente Prince. Per qualsiasi ulteriore cambiamento della situazione sarete informati.” Fece una pausa, sorridendo appena all’aria sconsolata del portoricano. “È tutto, potete andare.”
Chi avrebbe mai pensato che Estevez avrebbe sentito la mancanza del proprio partner?
I due si diressero verso la porta dopo aver ricevuto la consegna, ma sua figlia all’ultimo momento si attardò, facendo cenno imperioso all’altro agente di scendere senza di lei.
C’era da aspettarselo.
“C’è qualcos’altro che vuoi dirmi Ama?”
La ragazza serrò le labbra. Era chiaramente combattuta tra il lasciar perdere e parlare. Alla fine si decise per la seconda opzione, perché chiuse la porta dietro di sé e vi si appoggiò per buona misura, quasi volesse rendere, con quel gesto, la conversazione privata.
“Cos’è successo? Perché Prince non vuole tornare?” Chiese. “Quando è partito sembrava avviarsi verso il patibolo… Cosa gli ha fatto cambiare idea?”
Nora esitò; aveva notato come sua figlia, dopo un lungo anno di lavoro gomito a gomito, avesse cominciato a considerare Sören sotto un’altra luce.

Non è più il complice dell’assassino di Jeremiah.
Non sapeva fino a che punto Ama avesse preso a cuore il tedesco, ma non aveva nessuna intenzione di scoprirlo: come madre e soprattutto, come Capitano, era quasi costretta a chiudere un occhio.
“Si tratta di quella ragazza, vero? Di Lily Potter.” Ama sapeva la storia di Sören ed era veloce nei collegamenti, quindi Nora non si stupì della sua perspicacia. “Pensavo gli fosse stato proibito di contattarla.”
“Sono successe alcune cose per cui è stato inevitabile il contrario.”
“C’entra con il caso?” Lanciò un’occhiata al fascicolo che le era stato dato. “È quello che troverò scritto qui? Che il caso di cui si sta occupando uno dei miei agenti è appena diventato personale?” Non vedendola negare le scoccò un’occhiata incredula. “Come puoi lasciarglielo fare?” Sbottò.
“Ama, è diventato personale non appena ha messo piede in Inghilterra. Avremo dovuto fermarlo prima, ma sai che non era possibile. Dobbiamo solo sperare che sappia prendere le decisioni giuste.”
Sperare? I casi non si risolvono con la speranza!” Fece una smorfia. “Forse qualcuno potrebbe…”
“Nessun’altro andrà in Inghilterra.” La fermò. “L’ufficio non può permettersi altre defezioni. So che sei preoccupata per lui … lo siamo tutti.” Sorrise dell’aria imbarazzata ma colta sul fatto della figlia. “Ma penso che questo sia il caso per Prince, quello che dimostrerà al Dipartimento, a noi e soprattutto a lui che è meritevole di vestire l’uniforme.”
“È una scommessa quindi.”

“No, è dargli fiducia.”
La ragazza rilasciò un lungo sospiro, prima di aprire la porta. “Noi possiamo anche dargliela, ma lo faranno gli inglesi?”

“Possiamo solo sperarlo.”
La figlia a questo non rispose, limitandosi ad uscire e chiudersi la porta dietro con veemenza. Nora inspirò: si sentiva a disagio perché sapeva di aver contribuito al formarsi del legame tra Prince e la figlia di Harry; era stata la sua fame di risposte sulla morte di Jeremiah a dare la possibilità ai due di riallacciare i rapporti. Era stata lei, con un colpo mirato delle dita, ad innescare una reazione a catena.
Non era stata una richiesta partita dal giovane tedesco, tutt’altro. Quando l’aveva trovato a Nurmengard difficilmente sarebbe stata capace di esprimere un desiderio simile; ne ricordava con rabbia il corpo esanime ridotto ad un fagotto di ossa squassate dalla febbre, incapace persino di rispondere al proprio nome.
Chiuse gli occhi, sentendo un nodo allo stomaco.
È stato quello il momento in cui ho deciso che Sören Prince sarebbe stato un mio affare.  
Per questo, persino a cinque anni di distanza, non riusciva a scacciare l’inquietudine di saperlo dove non aveva piena capacità di intervento.
Anche se si trova proprio nel paese che mi ha permesso di salvarlo. In molti sensi.
Il Ministero Inglese finita la guerra era stato il principale promotore della nuova legislazione internazionale sui prigionieri: era quel pugno di leggi che le avevano permesso di pretendere la scarcerazione di Sören.
Un prigioniero deve essere detenuto, non ucciso o spinto al suicidio.
Occhieggiò il rapporto del ragazzo, le linee pulite della sua scrittura e la fermezza con cui vergava la sua firma. Quando l’aveva visto la seconda volta, in una stanza pulita e areosa dell’Ospedale Magico Generale di Berlino, c’era voluto tutto il suo ottimismo per credere che sarebbe potuto tornare ad essere una persona.
 
“Hai poi scritto a Lily Potter?”
Aveva lasciato andare quel nome quasi senza pensarci. Era stato un tentativo dettato dall’esasperazione di averlo interrogato per quasi una settimana senza riuscire a cavargli di bocca una parola.

La reazione era stata immediata; Sören Von Hohenheim aveva staccato gli occhi dalla finestra schizzata di pioggia, guardandola come se la vedesse per la prima volta. E forse era così: per giorni aveva parlato ad un guscio vuoto. Gli Psicomaghi e i Guaritori le avevano detto che chiudersi nella propria testa per allontanare il dolore fisico fosse una reazione naturale alle privazioni patite, ma lei aveva solo pensato, cinicamente, che non sarebbe stata una spiegazione sufficiente per il suo Ministero.
Un informatore deve parlare. E se non parla …
 “Hai mai provato a scriverle?” Aveva ripetuto cercando di non lasciar trasparire sorpresa o sollievo. Sören aveva schiuso le labbra e poi aveva semplicemente scosso la testa.
“Non ti hanno dato carta e piuma, immagino.” Aveva supposto prima di fare una pausa per valutarle le reazioni; gli occhi del ragazzo non avevano dato segno di perdere lucidità. Continuava a fissarla come se fosse l’esatto centro del mondo.
Anche se non è me che guarda.
Era ad una possibilità che guardava e Nora era disposta a concedergliela, se questo significava avere finalmente le sue risposte e che Morgana la perdonasse, la figlia di Potter era forse la chiave di volta. “Vuoi ancora metterti in contatto con lei?” 
Le aveva rivolto uno sguardo indecifrabile prima di aprire bocca e schiarirsi la voce. Quando aveva parlato era stato come sentire carta vetrata sul legno. Un suono che le aveva spezzato il cuore.
Da quanto questo ragazzo non parla con qualcuno?
“Sì.” Aveva mormorato. “Può farlo?”
“Posso tentare.” Non si era sbilanciata: prima di dare assicurazioni doveva parlare con Harry, quello era insindacabile. “Risponderai alle mie domande?”
Un semplice cenno affermativo della testa e l’accordo era stato sancito.

 
Con il senno di poi Nora sperava davvero di aver fatto la cosa giusta e di non essersi lasciata trasportare dalle emozioni; al tempo aveva creduto che dare un po’ di conforto a quel povero, rovinato ragazzo non avrebbe arrecato danno a nessuno, ed Harry stesso alla fine si era convinto, forse mosso a compassione anch’esso.
Anche se immagino non pensasse che sua figlia continuasse a scrivere a Sören.
Chiuse il fascicolo verde sulla sua scrivania e girò la sedia per osservare il panorama di fattura magica fuori dalla sua finestra; il Charles scorreva placido, perfetta antitesi del suo stato d’animo.
La sua paura più grande era che sua figlia avesse ragione e che le priorità dell’agente Prince, dopo aver visto Lily Potter, si fossero settate in modo completamente diverso rispetto a prima.
Avrò fatto bene?
 
 
****
 
 
Londra, Paiolo Magico.
Ora di pranzo.

 
Cercare di tirar fuori dalle corde del proprio violino una Ronde des Lutins² dallo staccato perfetto era un ottimo modo per farsi passare il nervoso, perché Faust solo sapeva quanti diavoli si sentisse in corpo da quella mattina.
Milo sentì una goccia di sudore scivolargli lungo la guancia e interruppe solo per asciugarsela sulla spalla. Le dita scivolavano veloci ma continuava a mancare la precisione esatta per fermare le corde a dovere.
Maghi del cazzo. Maghi. Purosangue. Del. Cazzo.
Non riusciva a credere che una sontuosa scopata potesse esser finita in modo così schifoso.
Michel. Che nome del cazzo per un inglese.
Aveva avuto tra le mani un uomo, uno vero e non una checca gemente che indossava un paio di pantaloni per puro caso. Aveva avuto tra le dita pelle scura, bollente e due occhi che gli avevano tolto il respiro più di un paio di volte.
Peccato che tutta ‘sta roba sia attaccata ad un cervello da stronzo.
Aveva passato tutta la notte a baciare, leccare e succhiare ogni centimetro di quella pelle color caffellatte e Merlino, era stato grandioso. Stringendosi contro quel perfetto sconosciuto – anche se gli sembrava di averlo visto a Diagon Alley - era stato come eseguire un pezzo per la prima volta ed azzeccarlo tutto; intese del genere erano merce rara.
Per questo quella mattina, svegliandosi con la pelle premuta contro quella dell’altro aveva pensato.
Ancora.
Per questo gli aveva lasciato il suo numero scritto sullo specchio con la schiuma da barba. E com’era stato ripagato? Con un patema d’animo per il suo piccolo problema di non-magia.
Sembrava volesse gettarsi nella lava solo perchè aveva ancora il mio odore addosso.
Vaffanculo coglione.
Avrebbe dovuto aspettarselo, rimorchiando nel Vecchio Continente; se in America il fatto di non avere la magia tra le lenzuola era ininfluente ai fini del rapporto – e lui l’aveva sempre fatto influire zero – in Europa …
… in Europa un mago non se lo può far venire duro per uno sporco Magonò.   
L’archetto scivolò male sulle corde lanciando uno stridio acuto che lo fece brontolare infastidito. Inspirò, abbassando le braccia indolenzite da ore e ore di esercizi.
… Ti ha umiliato. La sua espressione, il modo in cui s’è smontato. Ti ha umiliato, eh?
Premette il mento sul fazzoletto di lino che separava la pelle dal legno laccato: c’era voluta tutta la sua buona volontà per impedirgli di spaccare la faccia del tipo.  
T’ho fatto passare una notte da urla ma probabilmente sarai ancora sotto la doccia a pulirti.
Vaffanculo.
Avrebbe voluto fargliela pagare, ma a che pro? Uno come quello doveva avere il culo parato da centinaia di Galeoni e conoscenze opportune. L’unico modo per vendicarsi sarebbe stato contattare un paio di gente fidata, svaligiargli casa e pisciargli sui mobili. 
Ma non faccio più quella roba.
Chiuse gli occhi e attaccò l’ultima parte del brano con furia, infischiandosene dei muscoli doloranti e del sudore che gli colava sulla faccia.
Fu fermato da un lieve bussare alla porta. Masticando un’imprecazione a mezza bocca andò ad aprire; si trattava della piccola servetta Magonò della locanda, che a quanto gli era stato detto era un po’ una tuttofare che non sapeva in realtà far granché.
L’avranno presa per pietà. Che anime nobili, questi maghetti britannici.
“Ciao scricciolo.” Disse, cercando di stamparsi un sorriso addosso. Dall’espressione intimidita della piccola non doveva essergli riuscito granché. “Che ti serve?”
“C’è una visita per Sören Prince.” Disse occhieggiando alle sue spalle e puntellandosi sui piedi. “C’è il tuo …” Esitò, senza sapere come qualificarlo.

“Il mio datore di lavoro?” Replicò con un sospiro. “No, non c’è. Chi lo cerca?”
La ragazzina si strinse nelle spalle, arricciando una ciocca di capelli tra le dita. Sul serio, nessuno le intimava di farsi una doccia almeno una volta a settimana?
Pare che i Magonò da queste parti abbiano problemi con l’acqua corrente.
Puoi biasimare il Purosangue adesso?
Ignorò quella vocetta fastidiosa nella sua testa perché . “Non ti ha lasciato detto il nome?”
“No.”
“Okay, descrivimelo.” Non aveva la minima intenzione di fare da Pr al principino, non in quello stato mentale e soprattutto non se il visitatore era un pezzo grosso di qualche Ministero.

Ho fatto il pieno con i maghi, oggi.
“È una ragazza.” 
… Ah?
“Niente nome, sicura?”
“Mica serve, la conoscono tutti.” Sgranò gli occhi incredula che lui non potesse saperne nulla “È la figlia di Harry Potter!”
Milo battè le palpebre; quella era una sorpresa che rivedeva i suoi piani. “Okay … sai che ti dico? Scendo io.” Si passò una mano trai capelli per dargli una piega sommaria e la seguì. Non gli ci volle molto per notare una testa rossa in mezzo alla folla di avventori: Lily Potter era seduta al bancone con una tazza di caffè freddo tra le mani, vestita e truccata con una cura che meritava perlomeno un applauso, dato l’orrore dilagante della moda magica europea.
Si avvicinò. “Ehi.” Esordì. “Cerchi Sören?”
La ragazza si voltò senza mostrare particolare sorpresa. Strano. “Sei …” Lo indicò senza troppe cerimonie. “Milo, mi ricordo bene?”
“Memoria di ferro.” Abbozzò un leggero inchino, il più ironico che gli riuscì. “Lily Luna … Ti trovo bene rispetto all’ultima volta che ci siamo visti.”
Okay, pessima battuta. L’ultima volta era dentro una cella, legata e terrorizzata a morte.
“Già, anche tu.” Fu la replica giustamente asciutta, poi  guardò alle sue spalle all’evidente ricerca di qualcuno che non era lui. “Sören …”
“ … non è qui, sta lavorando al Ministero.” Terminò per lei. “Vuoi che gli faccia sapere che sei qui? Forse può sganciarsi, è ora di pranzo.”

E fargli prendere una sincope quando ti troverà ad aspettarlo? Oh, sarebbe fantastico.
“No, non fa niente, ero solo venuta …” Esitò di nuovo e sembrava agitata sebbene tentasse di dissimularlo con un sorriso che doveva esserle valso più di un complimento. Persino chi, come lui, era ben poco interessato all’universo femminile riusciva a trovarlo attraente.
Il genere di sorriso che vorresti vedere addosso alla tua ragazza.
“Solo venuta a fare cosa?” La incalzò divertito. “A farti dire che non c’è?”
Gli venne lanciata un’improvvisa occhiata valutativa, e Milo si sentì piuttosto analizzato. “Una specie.” Replicò frugando nella borsa. “Puoi dargli questa?” E gli porse una lettera.

“Sapete, sarebbe tutto molto più semplice se realizzaste che adesso potete parlarvi, visto che siete nella stessa città.” Sospirò prendendola e ficcandosela in tasca.
L’altra inarcò le sopracciglia sorpresa, prima di ridacchiare. “Hai ragione.” Ammise. “Ma temo che ci voglia quello che chiamerei un periodo di assestamento.”
“Ed è finito?”

Gli venne rivolto un sorriso che addosso ad un uomo gli sarebbe valso due drink offerti e una porta aperta in direzione del suo letto. Il Principino sapeva in che guaio si stava andando a ficcare?
“Sören mi aveva detto che eri impiccione.”
“Ti ha anche detto che sono la sua balia, Zenzero?” Ghignò di rimando e registrò come il nomignolo fosse stato apprezzato: sembrava il genere di ragazza che amava i vezzeggiativi. “Farmi gli affari suoi è il motivo per cui mi paga.” Battè la mano sulla tasca dei jeans. “Sarà recapitata, non preoccuparti.”

“Bene.” Prese la propria borsa e lasciò scivolare qualche moneta vicino alla tazza di caffè, intonsa: saggia decisione a giudicare dallo stato della suddetta. “Stavolta cerca di non dimenticartela per strada, okay?”
Milo ci mise più di qualche attimo a registrare il sottotesto. “Sören ti ha detto che mi sono dimenticato di spedire il suo Gufo?” Chiese con l’aria che sperava fosse più disinteressata del mondo.
“Andiamo, non te lo sei dimenticato.” Replicò quietamente e Milo si trovò nella scomoda posizione di guardare due occhi enormi, verdi e consapevoli.

Ah, già. Legimante Naturale. Cazzo.
Lily ridacchiò. “Guarda che non mi serve essere una LeNa per capirlo, l’hai detto tu che ti occupi dei suoi affari.” Inclinò la testa da un lato, simile ad un cagnetto adorabile, ma maledettamente pericoloso; sapeva che non era davvero capace di leggergli i pensieri, più le emozioni, ma rimaneva comunque disagiante rimanere sotto quello sguardo chiaro.
“Non so di cosa tu stia parlando.” Replicò scrollando le spalle. Sì, decisamente Sören si stava ficcando in un ginepraio. “Ma se così fosse … forse finirete per ringraziarmi.”
“Magari.” Non si sbilanciò.

“Sicura di non voler restare?”
“Sono in pausa pranzo, devo tornare in Accademia.” Scosse la testa. “Ci vediamo.” E com’era arrivata se ne andò, portandosi via una ventata di profumo leggero.
Gigli. Davvero?   
Oh, principino … quanto sei nei guai.
 
 
****
 
Ministero della Magia, Ufficio Auror.
Ora di pranzo.

 
Harry non fu sorpreso quando vide Sören Prince chino sulla scrivania di Scorpius e di suo figlio, completamente assorto nel redarre un rapporto e completamente da solo; a giudicare dall’ufficio semi-deserto doveva esser ora di pranzo e né lui né il tedesco dovevano essersene accorti.
Io perché ho passato la mattinata a rispondere a Gufi di giornalisti, ministeriali e generici idioti che mi chiedevano di rilasciare una dichiarazione su quanto successo al San Mungo …
Ma lui?
Si avvicinò in silenzio, ma dalla postura improvvisamente rigida dell’altro, capì che la sua presenza era stata registrata; Prince infatti si voltò, lanciandogli un’occhiata sorpresa prima di scattare in piedi in posizione di attenti.
“Riposo.” Disse con un cenno imbarazzato della mano: sarebbero potuti passare decenni e non si sarebbe mai abituato a quegli ossequi; gli sembrava assurdo gli fossero dovuti. “Resta pure seduto, non volevo disturbarti.”
Alla luce di quanto successo in quelle ultime quarantotto ore non sapeva come comportarsi; sapeva di dover almeno tentare di istaurare un rapporto con il giovane agente di collegamento.

Ma francamente? Non so da dove iniziare…
“Ho quasi finito, Signore. Il rapporto per…”
“Il tuo Ministero immagino.” Occhieggiò il fascicolo verde senza vero interesse. “Ci sono novità?”
“Abbiamo interrogato Mason Wolpert, figlio del proprietario della Wolpert Incantesimi.”
“Vendono Incantesimi di Antifurto?” Ricordò sommariamente.

Annuì, chiudendo il fascicolo e passandoci le dita sopra per evitare angoli arricciati. “Il ladro lo ha pagato per fornirgli i contro-incantesimi. È così che è penetrato nel Padiglione Mortuari ed ha trafugato gli effetti personali di Sam Howe.” Vedendo che lo ascoltava, continuò. “Wolpert figlio è un forte scommettitore, gare abusive di scope…”
“E fammi indovinare, non del genere fortunato.”

“Esatto. Grossi debiti, di quelli che contrai dalle persone sbagliate.”
“Questo compratore … Ha un nome?”
“Luther Blissett¹.” Scosse la testa con un sospiro, ma quando vide che da parte sua non c’era il minimo segno di aver capito assunse un’aria imbarazzata. “Non è un nome vero. Nel Mondo Babbano è utilizzato come pseudonimo di Signor Nessuno.”

“Quindi il ladro ha origini Babbane?”
“Non è una domanda a cui posso rispondere a questo punto delle indagini.” Non si sbilanciò. “Abbiamo chiamato un MagiSketchista, Mason Wolpert si è detto disposto a darci un identikit del ladro… Se tutto va bene dovremo avere un volto per domani mattina.”  

“Bene.” Convenne, poi memore del discorso con Nora e soprattutto con sua figlia, sospirò. “Hai mangiato?”
Il tedesco parve cadere dalle nuvole, quasi si fosse scordato di trovarsi in una fascia oraria in cui avrebbe dovuto percepire i morsi della fame. Scosse la testa. “Gli altri sono andati a mensa, io dovevo finire il rapporto.”

“In questo caso credo che abbiamo entrambi bisogno di una pausa.” Proclamò con una naturalezza che era ben lungi dal provare. “Non ho tempo di scendere in mensa, e temo neppure tu … Credo però che nell’angolo caffè ci sia qualcosa da mettere sotto i denti. Mi fai compagnia?”
Gli venne scocchiata un’occhiata incredula e in buona dose scettica e Harry non potè biasimarlo.

Non abbiamo fatto altro che trattarlo come spazzatura indesiderata da quando è qui. Comprensibile pensi ad un tiro mancino…
“Sissignore.” Gli rispose però, anche se con la stessa verve con cui avrebbe probabilmente acconsentito a lucidare il pavimento dell’ufficio con il solo ausilio di uno spazzolino da denti.
“Non è un ordine Sören.” Tentò di usare il suo nome di battesimo con quanta più affabilità gli riuscì; gli ricordava sin troppo un se stesso adolescente e poco convinto della buona fede della maggior parte degli adulti. Era straniante.
“No?” Ed ecco il sarcasmo; Ron aveva avuto ragione, lo faceva assomigliare a Piton in maniera allarmante. Lo stesso inarcarsi delle sopracciglia, lo stesso lieve arricciarsi scettico delle labbra.  
Il sangue non è acqua.
“No.” Confermò tranquillo. “Non mi offenderò se rimarrai a finire il rapporto. Credo però che si lavori meglio a stomaco pieno.”
Il tedesco gli lanciò un’occhiata valutativa, poi senza un’altra parola lo seguì nel piccolo cucinino attrezzato. Evidentemente già istruito da qualcuno – forse Malfoy – mise su del the e mentre Harry rovistava nella dispensa alla ricerca di qualcosa che non fosse lì dalla fondanzione dell’ufficio, parlò.
“Ho scritto una lettera a Lily.”  
Harry non rispose, preferendo estrarre dalla dispensa un pacchetto di gallette che sembrava non aver sorpassato il mese di permanenza. Quando si voltò riuscì anche a sorridergli. “Non vi ho mai impedito di scrivervi, mi sembra.”
“Le ho scritto per chiederle di vederci.”

Harry si trovò nella scomoda posizione di non sapere se arrabbiarsi o ammirarlo, perché era palese che il ragazzo non fosse più disposto a sottostare alle condizioni poste dopo la sua scarcerazione.
“Se hai già deciso, perché me lo dici?” Si informò scartando il pacco di gallette e verificandone lo stato: non sembravano muffite, il che non si poteva dire del resto del contenuto della dispensa.
Dovrei fare quattro chiacchiere con i ragazzi … Ci sono forme di vita aliene qua dentro.
“Perché lei è suo padre.” Fu la risposta concisa.
Doveva dare un merito a quel ragazzo: non diceva mai una parola in più o una in meno di quanto fosse necessario. Decise quindi di giocare a carte scoperte. “Perché vuoi vederla?”
Prince spense il fuoco passandovi sopra la mano e fece poi Levitare il bollitore per riempere le due tazze di fronte a loro. Harry finse di non notare come il liquido tracimò.
È nervoso.
“Sono a Londra per una sfortunata serie di eventi … e questa forse sarà la mia unica possibilità di parlarle. Quando me ne andrò, alla chiusura del caso … Dubito che potrò tornare.”
“Nessuno te lo vieta.”

“Ma nessuno lo desidera.” Fece un mezzo sorriso, ben lontano dall’allegria. “Lily tuttavia merita delle spiegazioni e delle scuse appropriate. Voglio poter avere l’occasione di fargliele di persona.”
Harry bevve un sorso di the e si tolse gli occhiali per massaggiarsi le palpebre. “Lo capisco.” Ammise e poi prendendo il coraggio a quattro mani, aggiunse. “Anche se la persona a cui tutti dobbiamo delle scuse sei tu, Sören.”
Il silenzio che ne conseguì avrebbe potuto tagliarsi con un coltello, ma Harry non si fece scoraggiare. “Sei venuto qui per fare il tuo lavoro, e non abbiamo fatto altro che metterti in difficoltà. Ti prego di accettare le mie scuse.” Ingoiare l’orgoglio e il senso di allarme che gli ispirava era dura, tuttavia doveva; lo doveva a Nora, che era forse un giudice migliore di quanto lo fosse lui, lo doveva a sua figlia, che per prima si era fidata nonostante fosse stata la persona più ferita, lo doveva a Piton, in uno strano contorto modo che non era certo di voler sviscerare e infine, lo doveva al giovane di fronte a lui per la dignità con cui aveva affrontato quelle lunghe giornate di indagini.  

È inutile nasconderlo. Abbiamo cercato di vendicarci di Von Hohenheim tramite lui. 
Il ragazzo non diede cenno di particolari emozioni e Harry indovinò che si era Occluso; stavolta non per diffidenza, ma per mantenere il controllo. “Accetto le sue scuse.” Asserì un po’ bruscamente. “Se lei accetta le mie.” Lo vide inspirare ed espirare velocemente. “Per quello che ho fatto alla sua famiglia e per il dolore che le ho causato.”
“Scuse accettate.” Lo imitò prima di lasciare la presa e tornare al suo the. “Ti chiedo solo una cosa e lo faccio come padre.” Nora l’avrebbe preso a calci, ma in fondo il più grande merito dopo aver sconfitto Voldemort era aver contribuito a mettere al mondo quei tre splendidi individui che aveva per figli. “Non ferire Lily. Mai più.” Qualcosa nell’espressione controllata dell’altro si incrinò e Harry ne fu sia sollevato che impensierito. “Ha già sofferto abbastanza, non credi?”
“Sissignore.” Il modo in cui esitò pareva nascondere centinaia di parole non dette, ma quello che gli uscì fuori fu stringato come al solito. “Preferirei morire.”
“Sono certo che non arriveremo a questo punto.” Cercò di alleggerire la tensione, dandogli una lieve pacca sulla spalla. “Avanti, metti qualcosa sotto i denti. Il tuo Capitano non mi perdonerebbe mai se ti lasciassi affamare.”

Sören gli rivolse un cenno con la testa, accettando le gallette che gli porgeva. Erano ben lontani dall’aver fiducia l’uno nell’altro ma Harry sentì che perlomeno avevano messo un punto di inizio.
Ora si poteva costruire.
 
****
 
Diagon Alley, Paiolo Magico.
Ora di cena.
 
“Da quanto provi quello staccato?”
“Da tutto il giorno. E il fatto che tu lo sappia riconoscere mi riempe il cuore di genuina gioia!”
“Hai passato cinque anni a pretendere che capissi la differenza tra quello e il legato. Ho imparato.”
Milo sorrise, accennando ad un motivetto disimpegnato per accordare il violino mentre Sören abbandonava il mantello sull’attaccappanni ed entrava ufficialmente in camera.

“C’è posta per me?” Chiese sbottonandosi la giacca dell’uniforme e rimanendo in maniche di camicia: doveva cominciare anche lui a malsopportare la calura appiccicosa che aveva investito la città.
“L’ho messa sulla scrivania.” Rispose cercando di frenare il ghigno selvaggio che si sentiva affiorare sulle labbra.

È un po’ patetico che sia così su di giri per la vita sentimentale di Mister Emotività Danneggiata. Ma ehi, sempre meglio che piangere sulla mia vita sessuale.
L’improvviso silenzio da Troll svenuto rischiò quasi di farlo voltare e rovinare così la recita.
“… Questa quand’è arrivata?” Chiese lentamente l’altro, quasi si stesse riprendendo da una grossa botta in testa. Aveva una sigaretta tra le labbra ma non l’aveva ancora accesa.
E dubito che si accorgerà di averla lì per le prossime … Diciamo tre ore? Il tempo di riprendersi.
“A pranzo, assieme a chi l’ha scritta.”
“Lilian è stata qui?” Lo poteva quasi sentire andare in apnea. O iperventilare. Si voltò e lo vide impalato di fronte al tavolo e fissante la busta come se fosse stata Maledetta.

“È quello che ho detto.” Convenne roteando l’archetto tra le dita. “Me la ricordavo un bel tipetto, ma è migliorata …” Abbozzò un’appropriata introduzione del Clair De Lune e Sören lo fulminò con lo sguardo. “È proprio una rossa di testa e di pensiero.” Non pago, fischiettò il motivetto, accennando le parole della canzone. “Au clair de la lune, mon ami Pierrot prête-moi ta plume pour écrire un mot… Che c’è, il mio francese è arrugginito?” Lo canzonò.
Piantala.” Si umettò le labbra. “Che c’è scritto?”

“Dimmelo tu, la lettera è indirizzata a te!”
So che l’hai aperta.” Ritorse con una smorfia. “Hai fatto un lavoro maldestro nel reincollare la busta.”
“Piantala di fare il cacasotto e leggila.”

Gli venne rivolta l’ennesima occhiata linciante, ma poi Sören obbedì. Lo vide scorrere febbrile le righe per poi aprirsi in quella che poteva essere classificata solo come un’espressione da vittoria alla Coppa del Mondo di Quidditch; non era un tipo da sorridere o fare grandi esternazioni, ma quando era davvero felice qualcosa lo illuminava dall’interno, rendendo i lineamenti austeri … beh, felici.
Okay, fa ufficialmente tenerezza.
“Anche lei vuole vedermi.” Mormorò. “Stasera, alle dieci.”
“Ottimo!” Replicò cercando di non mettersi a ridere perché gli sembrava di avere a che fare con due bambini pre-scolari e non con un mago letalmente addestrato e una tipa che sembrava respirare malizia assieme all’ossigeno.  

Sören annuì distratto, riponendo la lettera nello scrittoio e continuando a fissarlo assorto nei propri pensieri. Dovevano sfrecciare a velocità della luce, ci avrebbe scommesso una borsa di galeoni.
Prima che diventasse materiale per ragnatele posò il violino e gli si avvicinò. “Beh?” Inquisì. “È quello che volevi!” Gli diede una pacca sulla spalla, perché anche se tra di loro era richiesto contatto minimo, quello era uno dei casi in cui era doveroso. “Non fartela sotto!”
“Va’ al diavolo.” Fu l’ovvia replica. Un’altra densa pausa. “Credo di dover cominciare a prepararmi.”
Sì, sei ore prima.

“Verissimo.” Convenne comunque. “Che ne dici di iniziare dal darti una sistemata ai capelli? Sono orrendi.”
 
****
 
 
Note:
Pare che la colonna sonora ufficiosa di ‘sta storia stia diventando Florence + The Machine.
Ecco la canzone.

1. Luther Blissett: qui per maggiori info.
2. Ronde des Lutins: scherzo fantastico per violino di Antonio Bazzini, compositore e musicista italiano, una delizia che ho scoperto cercando di capire esattamente come funziona un violino e soprattutto, lo staccato. (Che è una figata) Qui l’esecuzione che mi ha ispirato quella di Milo.
  
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