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Autore: HamletRedDiablo    21/01/2013    3 recensioni
Al primo anno di Hogwarts, Albus Severus Potter aveva sperato in una tranquilla vita scolastica.
Al quarto anno, la sua utopia si era incrinata. Al settimo, era crollata definitivamente.
Ognuno sarà chiamato a combattere per evitare il definitivo crollo dei pilastri del mondo magico. Chi per riscattare il nome del casato, chi per non disonorare la famiglia, chi per dare prova del proprio coraggio: mille bacchette si leveranno sotto un unico simbolo.
Tuttavia...
"Non era necessario cercare nemici epocali per finire invischiati in un mare di guai. Bastava innamorarsi."
[AlbusScorpius, RoseNuovoPersonaggio]
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Le gambe gli dolevano e il cuore sembrava essersi stancato di pulsare; i polmoni erano un incendio doloroso, e gli occhi vedevano il mondo come una massa acquosa.

Ma non smise di correre.

Doveva trovare Haru. Era l’unico in grado di spiegargli cosa stesse succedendo.

   Il giapponese lo fissò perplesso, una punta di spavento nelle iridi scure.

   «Va… tutto bene?» tentennò. Il colorito paonazzo, gli occhi allucinati e l’espressione terrorizzata dell’altro ridicolizzavano la sua domanda, ma Haru la pose comunque per correttezza.

   «Ho un problema» ansò il ragazzo. E scoprì la spalla.

   Haru non si lasciava mai andare a manifestazioni plateali di sentimenti; per questo sentì le vene raggelarsi quando gli occhi del giapponese si spalancarono per la sgradita sorpresa.

   «Hai un problema» convalidò Haru. Si alzò ed esaminò la spalla dell’amico, premendovi sopra le dita fresche.

   «Che… che cos’è?» domandò l’altro, deglutendo a fatica.

   L’asiatico morse il labbro inferiore, impensierito. E la sua diagnosi non fu per nulla rassicurante.

   «Una cosa molto spiacevole, probabilmente.»

 

 

Parte Tre – Sesto Anno

1

La cicatrice

 

 

 

   «Wunderbar!» gioì Bartold, subito rimesso a sedere dal più rigido fratello.

   «Cerca di contenerti, almeno un po’» abbaiò Achill, con l’unico effetto di incrementare le urla dell’esagitato consanguineo.

Il maggiore degli Scholz si afferrò le tempie con le dita di acciaio, premendo forte. Era la seconda partita della stagione, e lo stadio sembrava impazzito. Durante la precedente – Gryffindor contro Ravenclaw – il pubblico si era scatenato, ma non in quel modo: i palchi che sorreggevano gli studenti sarebbero crollati, se non avessero abbassato il volume degli strepiti.

Al primo anno, non avrebbe immaginato che i due studentelli che aveva preso come assistenti per punizione sarebbero diventato così popolari. I loro genitori erano conosciuti in tutto il mondo magico, per merito o per infamia, e i figli si stavano dimostrando degni successori, anche se il consenso che riscuotevano tra i compagni era dovuto ad altri fattori. Le ragazze trovavano adorabile il “faccino da cerbiatto” di Albus, e Malfoy, a detta loro, costituiva la sua perfetta controparte oscura, il “bel tenebroso”. Achill ringhiò un sospiro esasperato: avrebbero dovuto vederli durante le prove che aveva loro assegnato, per rivoluzionare completamente la loro visione del “cerbiatto” e del “tenebroso”.

Poi, come tocco finale, l’elemento a sorpresa, emerso durante il quinto anno, quando Hufflepuff aveva dovuto cambiare portiere. Lo studente giapponese si era proposto alle selezioni spinto più dal suo Prefetto, Dallas Dudley, che da convinzione personale. L’asiatico aveva sbaragliato gli altri aspiranti, e le sue parate feline erano diventate un mito ad Hogwarts e una piaga per i suoi avversari.

Era stata una sorpresa per Haru stesso: non avrebbe mai immaginato che i suoi allenamenti nelle arti marziali sarebbero serviti a giocare una partita a cavallo di una scopa.

Era così giunto il giorno dell’attesissima partita Hufflepuff contro Slytherin, “cerbiatto” Cercatore e “tenebroso” Battitore contro il portiere orientale. Schiaffò la faccia nelle mani ruvide, sperando che tutta quella confusione cessasse presto.

   Come ogni anno, Rose si era seduta nei posti limitrofi alla sezione Slytherin, in modo da poter parlare con Nott.

   «Non hai partecipato nemmeno quest’anno alle selezioni?» strillò lei, per sovrastare la folla.

   «Se mai dovessi decidere di morire, lo farei in un modo rapido e pulito. Tipo il veleno» la mascherina onnipresente non cancellò il disprezzo nella sua voce. «Quel campo maledetto non avrà nemmeno una goccia del mio sangue. Mai

Vedere Nott immutato nonostante il passare degli anni donava uno strano senso di rilassatezza: la sua fobia per i germi non si era attenuata da quando lo avevano conosciuto, così come il suo brutto carattere non si era minimamente ammorbidito. Gli unici cambiamenti visibili erano nelle guance e nella mascella, che avevano abbandonato le forme morbide dell’infanzia in favore di lineamenti più spigolosi e asciutti, e nel tono di voce, scuritosi con il tempo.

   Rose si tappò le orecchie con le mani: la folla intorno a lei impazzì quando Albus sfiorò le transenne. Si concentrò anche lei sul cugino, seguendo il suo folle inseguimento del Boccino, tallonato dal Cercatore di Hufflepuff. Trattenne il fiato quando un Bolide sfrecciò dritto nella loro direzione, e lo rilasciò in un sospiro sollevato poco dopo: il pronto intervento di Scorpius aveva salvato il collo di Albus, e aizzato la curva Slytherin ad un tifo ancora più concitato.

Rose fu tentata di fasciarsi la testa con la sciarpa azzurro e bronzo della sua Casa per arginare le grida che la circondavano. Aveva pescato alcuni commenti nella folla: apprezzamenti sui capelli chiari di Scorpius, tenuti abbastanza lunghi da ricadere sul collo, e sul viso che si era affilato con la crescita. Altre si complimentavano di come Albus, il nanerottolo di Slytherin, avesse guadagnato dei centimetri durante l’estate, raggiungendo quasi la statura dell’inseparabile amico. Rose sogghignò a quelle considerazioni: aveva trascorso quasi ogni giorno insieme ad Albus e Scorpius, e non aveva quasi notato i loro cambiamenti. Se ne era accorta quando, quell’estate, aveva riesumato delle vecchie foto del primo anno, e delle facce paffute e dei corpi puerili l’avevano salutata dalle istantanee.

Erano ormai entrati a pieno titolo nell’adolescenza, nelle sue forme angolose e nei suoi mutamenti graduali ma costanti.

Tra di loro, quello che aveva subito variazioni meno sostanziali era Haru: ad eccezione dei capelli, lasciati liberi di crescere fino a metà della schiena nel sempiterno codino, il giapponese non era praticamente cambiato, e non solo nel fisico: i suoi atteggiamenti erano quelli di sempre, come se fosse nato già adulto.

L’asiatico, dalla sua posizione fluttuante vicino ai cerchi, si voltò per un attimo ed incrociò il suo sguardo: nel vedere le iridi nere che la fissavano con un interrogativo divertito, Rose si accorse di essersi soffermata ad osservarlo. Rispose con un’occhiata carica di ostilità, dopodiché voltò il capo, facendo nascere un risolino sulle labbra pallide dell’orientale.

   «Gente, vi invito a notare la sorprendente parata di Harunobu» proclamò Valentine al microfono. Le spalle del giapponese si contrassero nel sentire il suo nome pronunciato per intero: era così antiquato.

   «Io non sarei mai riuscito a fare una cosa del genere» proseguì Valentine, scomponendosi come di consueto sulla tribuna del commentatore: in quel momento era completamente addossato alla balaustra. «Non senza spezzarmi un braccio. O lussarmi un gomito. Voglio dire, questo ragazzo deve avere delle articolazioni d’acciaio per riuscire a…»

   «Valentine Cross!» gli anni avevano accentuato le rughe sul volto della preside e infiacchito le sue membra, ma aveva ancora voce e autorità sufficienti per zittire quel prolisso commentatore.

   «Attenzione, la Pluffa torna in gioco» ricominciò il giovane, cinguettando nel microfono. «E Potter tallona il Boccino. E… oh, ciao Louis!» il ragazzo si sporse pericolosamente dalla tribuna per sbracciarsi in direzione del piccoletto del terzo anno. «Louis, non fare finta di non conoscermi! Sto salutando proprio te!»

   «Vai avanti, Cross!» tuonò la McGranitt.

   Louis ringraziò intimamente la preside, innalzando la sciarpa rossa e oro a difesa del volto. Che vergogna essere della stessa Casa di quel degenerato. E che vergogna averlo come tutore.

   «Oh, si nasconde. Non è carino? Cioè, guardatelo bene, è davvero carino!» insistette Valentine, godendosi lo spettacolo delle guance della sua vittima che perdevano ogni colorito umano. «È…»

   «In nome di cielo, Cross! Se tu vuole tubare, fallo quando tu non ha microfono in mano!» esplose Achill.

   «Grazie» approvò solennemente la McGranitt, sollevata dal disturbo di dover intervenire ancora.

   «Concentriamoci sulla partita, gente. Non facciamo arrabbiare il buon vecchio Achill» riprese Valentine. Diede una scrollata sbarazzina ai riccioli scuri e riprese a commentare.

Haru si lanciò a parare un ennesimo attacco, e la Pluffa tornò in campo, rimbalzando fino agli anelli di Slytherin. I Bolidi si scontrarono più volte con la mazza di Scorpius, deciso a difendere i suoi compagni. Albus sfrecciava a pochi centimetri da terra, proteso in avanti per afferrare il Boccino.

La Pluffa disegnava rapidi archi nel cielo, mentre i giocatori la passavano ai compagni o la rubavano alla squadra avversaria; i Portieri galleggiavano davanti agli anelli, pronti a scattare nel momento in cui la palla fosse arrivata troppo vicina; i Battitori segnavano l’aria di lampi colorati, saettando da una parte all’altra del campo per deviare i Bolidi.

Fu in quel momento che accadde.

Le dita di Albus stavano per serrarsi attorno al Boccino, quando all’improvviso tutto il corpo del ragazzo si accartocciò su se stesso, facendogli perdere l’assetto di volo. Il Cercatore venne disarcionato dalla propria scopa, e rotolò a terra sollevando un coro di sorpresa.

Rose si protese dalla tribuna, preoccupata: il cugino non si mosse per alcuni istanti, completamente ritorto su se stesso. Anche se gli era visibile solo la schiena, infagottata nella divisa della sua Casa, poteva immaginare l’espressione sofferente di Albus e quell’idea le diede una stretta al cuore.

Inoltre, non capiva perché il cugino sembrasse patire tanto per quella caduta: stava volando rasoterra, quando aveva perso l’equilibrio, quindi non poteva essersi fatto troppo male. Aveva sopportato ruzzoloni peggiori, durante le partite di Quidditch – Rose si era sentita morire quella volta che, al quinto anno, lo aveva visto sgambettare nel vuoto, appeso alla sua scopa solo con una mano, sbalzato di sella dalla scorrettezza del Cercatore rivale.

Perfino i professori parevano spiazzati dallo Slytherin che ancora non si alzava: l’espressione statuaria della McGranitt tremava, Achill non era mai stato umano come in quel momento; Bartold aveva afferrato la scopa, pronto ad intervenire direttamente sul campo per aiutare il suo allievo, e il colorito della Eeriemay era mortalmente illividito, mettendo ancora più in risalto il rossetto scarlatto.

   La curva Slytherin scoppiò in un ruggito di incoraggiamento quando Albus cominciò faticosamente a rialzarsi in piedi.

Scorpius non poteva abbandonare il suo ruolo di Battitore, o i suoi compagni sarebbero stati gettati a terra dai Bolidi, ma ciò non gli impedì di controllare con la coda dell’occhio l’eroica risalita dell’amico: Albus si issò a carponi, e utilizzò la scopa come bastone per sollevarsi in posizione eretta. Restò qualche istante fermo, in attesa che le gambe si stabilizzassero, poi riposizionò il manico in assetto di volo e vi saltò sopra spavaldo, partendo immediatamente alla ricerca del Boccino.

L’aria si tinse di verde e argento quando gli Slytherin fecero roteare le loro sciarpe come incitamento per il loro Cercatore coraggioso.

Le iridi verdi scoccarono da una parte all’altra del campo alla ricerca del Boccino, e lo individuarono poco dopo: le ali dorate battevano ad una velocità da capogiro, cercando di sfuggire al Cercatore di Hufflepuff.

Lo stadio si zittì improvvisamente quando Albus mise in atto il suo piano di azione: si gettò a capofitto verso il Boccino, ma in direzione opposta rispetto all’altro giocatore. Se non fossero stati più che attenti, si sarebbero violentemente scontrati.

Il cervello iper-allenato di Rose calcolò velocemente che, se effettivamente il cugino avesse tentato di raggiungere il Boccino seguendo lo stesso percorso del Cercatore avversario, sarebbe arrivato con un disastroso ritardo, e i cento punti sarebbero andati ad Hufflepuff. Ma era comunque una follia buttarsi in un’operazione così rischiosa: il timido Albus di tre anni prima non avrebbe mai azzardato un’azione simile. Non che Albus avesse perso la sua dolcezza o la sua ingenuità in quegli anni, ma era subentrata una vena di fermezza e caparbietà che rendeva finalmente chiaro perché il Cappello Parlante lo avesse assegnato a Slytherin.

Rose si aggrappò al braccio di Macauley; Nott era così assorto nell’osservare la partita che non protestò per i batteri del contatto fisico. Perfino Valentine aveva smesso di sbrodolare stupidaggini al microfono.

I due Cercatori si avvicinarono sempre più, le dita di entrambi tese fino allo spasmo per recuperare il prezioso Boccino. Albus avvertì le ali dorate solleticargli i polpastrelli prima di scontrarsi rovinosamente contro l’altro giocatore.

I colori delle due squadre si mescolarono in un groviglio di gambe e braccia, le scope che roteavano nell’aria prive di bagaglio umano, e l’aggrovigliamento di Slytherin e Hufflepuff si abbatté al suolo con un tonfo secco.

Achill scavalcò lo spalto degli insegnanti con un salto da mastino, e accorse a districare i suoi allievi, seguito da una preoccupatissima Eeriemay e da un boccheggiante Bartold.

   «Albus Sever… Albus Sebaru…» Achill ringhiò quasi, estraendo il suo vecchio apprendista da quell’intrico di stoffa. «Io ti ha sempre detto che tuo nome è troppo lungo!»

Bartold aiutò il Cercatore di Hufflepuff, stordito dalla caduta, a rialzarsi a sedere; la Eeriemay si inginocchiò di fianco ad Albus, e lo sollevò gentilmente avvolgendogli le spalle con un braccio.

   «Va tutto bene?» si premurò.

   Gli occhi verdi che si posarono su di lei erano un po’ troppo vacui per appartenere ad una persona in perfetta salute, ma il suo studente diede prova di avere ancora un minimo di forze e di lucidità: sollevò nell’aria il pugno, vittorioso. Le ali trasparenti del Boccino palpitavano tra le sue dita chiuse.

   «Vince Slytherin!» l’annunciò di Valentine quasi sparì, sommerso dalle grida trionfanti della Casa in questione.

La fine della partita li aveva sollevati dai propri incarichi, per cui Scorpius e Haru atterrarono quasi istantaneamente accanto ai professori. Il giapponese restituì la scopa al suo compagno di squadra, mentre Scorpius si avvicinò reggendo tra le mani quella di Albus.

   «Come sta?» domandò, fallendo miseramente nel tentativo di mascherare la propria ansia.

   La Eeriemay cercò di tranquillizzarlo con un sorriso incerto.

   «Credo che stia bene. Ma è meglio portarlo da Madamina» decise la professoressa.

La mano di Albus ricadde al suolo, e il Boccino ruzzolò sull’erba. Gli occhi smeraldini cercarono quelli grigi e rannuvolati di preoccupazione, e le labbra si curvarono in un sorrisetto tenue.

   «Abbiamo vinto» gioì Albus, prima di perdere i sensi.

 

***

 

   Il carattere giocoso di Hufflepuff permetteva alla Casa di non rammaricarsi troppo per le sconfitte: utilizzarono le vivande comprate in previsione della vittoria per organizzare invece un piccolo rinfresco per la squadra e per qualunque Hufflepuff che avvertisse un languore nello stomaco.

   «Sei stato fantastico, Haru!» ruggì felice Dallas, battendo una ciclopica pacca sulle spalle esili del giapponese. «Ti muovi come un felino!»

   «Non è niente di speciale» minimizzò l’asiatico, ma la sua replica si perse nel roboante applauso che riempì tutta la sala principale.

   «Voi di Hufflepuff siete molto… energici» notò Rose. Era stata invitata da Dallas a prendere parte alla festicciola – nonostante la sconfitta, avevano giocato indiscutibilmente bene, per cui la squadra meritava di essere acclamata – e lei aveva accettato volentieri: qualunque cosa potesse evitarle il pensiero di suo cugino in infermeria era bene accetta.

   «È abbastanza divertente, quando ti abitui a questo stile di vita» affermò Haru, sorbendo un sorso del suo succo di zucca.

   «Non mi sembra che tu sia rumoroso come Dallas» confutò Rose.

   «Ho detto “abituarsi”, non “adattarsi”» replicò serafico l’asiatico.

   «Sei troppo attaccato al significato delle parole» brontolò la ragazza.

Nemmeno il carattere di Rose aveva subito sostanziali cambiamenti con il tempo. Al contrario del corpo: anche se tentava di nasconderlo con le felpe larghe, sul suo fisico stavano pian piano maturando le forme di una giovane donna. Haru lo aveva notato quando una volta, in biblioteca, la ragazza gli si era rovesciata addosso, e il suo petto si era premuto contro quello della giovane.

Haru affogò quei pensieri in un sorso più lungo di succo: indugiare su quei dettagli lo faceva sentire un vecchio maniaco.

   «Come sta Albus?» domandò, facendo cambiare strada alla propria mente. Finita la partita, era stato trascinato da Dallas nella Sala di Hufflepuff, e non aveva avuto modo di raggiungere l’amico. Rose, al contrario, era riuscita ad evitare il delirio dilagante almeno il tempo sufficiente per fare visita al cugino.

   «Era ancora svenuto, quando sono andata in infermeria. Ma Madamina mi ha garantito che sta bene» rimbrottò la ragazza.

Scorpius era riuscito a restare al capezzale di Albus: le Slytherin avevano ridacchiato e gorgheggiato un “resta pure, lui ha bisogno di te” con fare allusivo, e non avevano fatto pressioni affinché i protagonisti della giornata fossero presenti alla baraonda che si sarebbe scatenata poco dopo nella loro Casa. I ragazzi di Slytherin si erano limitati a stringersi nelle spalle e lasciarli soli.

Rose tirò distrattamente la propria treccia rossiccia, allungatasi negli ultimi anni. Aveva un sospetto, da molto tempo. Ma aveva bisogno di un parere imparziale.

   «Haru» chiese a bruciapelo. «Tu cosa pensi di Albus e Scorpius?»

   Gli occhi scuri la fissarono dal bordo dorato del bicchiere senza capire.

   «Sono entrambi due ottimi giocatori e maghi capaci» stimò, calmo.

   Rose lo invitò a proseguire con un gesto della mano.

   «Scorpius è forte con l’orgoglio, e Albus con la dolcezza» aggiunse Haru.

   «Ma cosa pensi di loro?» insistette Rose.

   Qualcosa nel tono impaziente della ragazza gli fece finalmente cogliere il fine sottinteso della frase.

   «Di… loro?» Haru le fece eco nelle parole e nel timbro. Rose annuì, e il giapponese si trovò ad annaspare per ricamare una risposta soddisfacente. «Non ho mai pensato a loro, sinceramente… ma è plausibile, suppongo.»

   «Quindi?» si ostinò Rose.

   «Quindi credo che la scelta spetti a loro» concluse Haru, annegando le labbra nel succo.

Un assordante “la prossima volta li sconfiggeremo!” rimbombò nella Sala, impedendo la comunicazione tra i due. La Casa continuò a brindare e a formulare ipotesi su una futura rivincita ad un volume piuttosto sostenuto, così le parole di Haru furono udibili solo alla ragazza di Ravenclaw:

    «E tu cosa pensi di me, Rose-san?»

La giovane ebbe un guizzo stupito, e lo fissò incredula.

   «Perché questa domanda?» pretese di sapere.

   «Semplice curiosità» ridimensionò Haru. «Puoi evitare di rispondere, se lo ritieni opportuno.»

 Rose inalberò il capo fiammeggiante: il silenzio era lo scudo dei codardi o dei colpevoli.

   «Penso che tu sia fondamentalmente un bravo ragazzo» lo lodò, per smontarlo subito dopo: «Ma credo anche che tu abbia una tremenda paura di aprirti agli altri.»

   «Non posso darti torto» assodò l’asiatico.

   «Ci conosciamo dal quarto anno, eppure sappiamo pochissime cose di te» seguitò Rose. «Ancora non ti fidi di noi?»

   Per tutta risposta, Haru le indicò una ragazzina del primo anno. Era piuttosto graziosa, con i codini castani, gli occhi verdognoli e il sorriso vivace.

   «Vedi quella bambina?» si assicurò lui. «Aspettavo con ansia il suo arrivo ad Hogwarts.»

   «Conosci Elizabeth?» si meravigliò Rose. Non era la discendente di una famiglia magica particolarmente prestigiosa, e la giovane Weasley sapeva il suo nome solo perché la piccoletta si era presentata dopo che si erano incontrate sull’Hogwarts Express. Allora non vi aveva prestato troppa attenzione, ma Haru aveva sollevato entrambe le sopracciglia nel vedere la bambina, e, per l’indole impassibile del giapponese, era come aver urlato a squarciagola.

   «No. Ma vorrei. È la mia sorellastra.»

La notizia le piovve come una doccia gelata sul collo, e Rose sussultò, voltandosi di scatto verso l’amico.

   «La tua sorellastra?» ripeté. «E non la conosci?»

Haru annuì, un’espressione serena e addolorata sul viso.

  «Non è che non mi fido di voi» mormorò l’orientale. «Ma il mio passato non è un argomento di conversazione felice, nella maggior parte dei casi.»

Fu il turno dell’asiatico per trasalire, quando Rose gli circondò le spalle con un braccio.

   «È per questo che servono gli amici: per affrontare le cose che ci hanno fatto soffrire e risolverle» sentenziò gentile. «Ce ne parlerai, quando ti sentirai pronto?»

Il sorriso del giapponese fu uno dei più sinceri che avesse mai usato in sua presenza.

   «Ve ne parlerò» promise. Rose annuì soddisfatta e si staccò da lui, per poi rivoltargli contro la sua stessa domanda:

   «E tu cosa pensi di me?»

L’asiatico non fu rapido come lei nel rispondere. Giocò pigramente con il bordo del bicchiere, percorrendolo più volte con il dito, prima di affermare, sincero:

   «Sono molto felice di averti conosciuta, Rose-san.»

E fu con enorme soddisfazione che vide le guance della ragazza tingersi di un rosso appena percepibile.

 

***

 

   Gli occhi di Louis possedevano un invidiabile colore azzurro slavato, paragonabile ad un cielo estivo. Quel giorno, però, il cielo era in tempesta.

   «Non farlo mai più.»

   «Cos’è che non devo fare?»

   «Coinvolgermi nelle tue idiozie durante le partite di Quidditch.»

   Valentine ruotò gli occhi al cielo. Ben due Case stavano festeggiando, chi per la vittoria e chi per consolazione, e loro erano in biblioteca a studiare. Davvero grama, la vita del tutore. Specie durante l’ultimo anno, da quando il temperamento di Louis si era diretto con decisione verso l’intrattabilità.

   «Così non ti scorderai di me» minimizzò Valentine, scrollando le spalle.

   «Non potrei mai scordarmi di te» sibilò l’altro, calcando con troppa forza il pennino sulla pergamena: la punta si spezzò, spandendo un’orribile macchia nera.

   «Davvero?» chiese Valentine, mentre il più piccolo armeggiava per rimuovere quello sbafo ignominioso.

   «È dal primo anno che sono costretto a sopportarti» rimuginò Louis. «Non potrei scordarti nemmeno se volessi.»

Si aspettava una frecciatina, oppure una pagliacciata, ma gli rispose solo il silenzio. Rialzò lo sguardo, e quasi si spaventò nel notare l’altro che lo fissava con un’espressione di angelica beatitudine.

   «Grazie» si compiacque Valentine.

   «Non era un complimento» gli rese noto Louis.

   «Invece lo era. È rassicurante sapere che qualcuno non si scorderà di me, nemmeno se dovessi sparire» fu la criptica replica del più grande.

Le iridi cerulee si tinsero di incomprensione.

   «Sparire?» ripeté Louis.

L’indice di Valentine picchiettò sul libro di testo.

   «Manca l’ultimo esercizio» gli ricordò, ammutolendo subito dopo.

Louis lo fissò ancora qualche istante, indeciso, poi riportò sguardo e attenzione sulle esercitazioni.

C’erano giorni in cui davvero non capiva cosa passasse  per la testa a soqquadro di Valentine.

 

***

 

   «Ma siete sposati, per caso?»

   Scorpius non rispose subito: la sua concentrazione era assorbita dal volto pallido e immobile dell’amico, e gli occorse qualche istante per capire che Madamina stava parlando con lui.

   «Ogni volta che uno si fa male, l’altro resta al suo capezzale fino all’alba» chiarì la dottoressa. «Ho visto coppie sposate resistere molto meno.»

   C’era una chiara contraddizione nel discorso di Madamina: non vedeva come, curando adolescenti dai quattordici ai diciassette anni, potesse mai avere avuto a che fare con coppie sposate. Ma non si azzardò a domandare: non voleva che l’infermiera prendesse il suo dubbio come un aggancio per narrargli delle sue passate avventure. Non che i racconti di Madamina fossero noiosi, anzi, la maggior parte delle sue vicissitudini avrebbe trovato un’ottima collocazione in un’antologia di genere avventuroso. Ma non aveva voglia di ascoltare le sue favole mentre Albus era ancora privo di sensi.

La dottoressa controllò i valori del ragazzo, cambiò la flebo ed uscì, lasciandolo solo con il compagno.

     «Hai sentito?» domandò, rivolto al giovane addormentato. «Fanno insinuazioni mentre tu non puoi rispondere.»

Avrebbero dovuto essere nella loro Casa a festeggiare, invece erano di nuovo nel regno di Madamina.

Erano finiti spesso in infermeria a causa del Quidditch: dita insaccate, ginocchia sbucciate, caviglie provate erano all’ordine del giorno. Per non parlare del periodo in cui avevano fatto da apprendisti ad Achill: Madamina aveva quasi pensato di creare una tessera di fedeltà solo per loro.

Ma non era mai stato inquieto come quel giorno. Aveva notato la prima fase della caduta di Albus, anche se era stato deconcentrato dalla partita: l’amico era scivolato dalla scopa come se avesse avuto un malore, e i secondi in cui era rimasto a terra, appallottolato su se stesso, non avevano fatto che rafforzare quell’impressione.

Il volto di Albus appariva diafano nella luce rarefatta dell’infermeria, e Scorpius sollevò una mano per sfiorare la guancia dell’amico. Era tiepida e immobile, e non reagì al suo tocco imporporandosi come sempre.

Allungandosi su di lui, però, Scorpius poté notare un dettaglio che prima gli era sfuggito: una sottile linea scura spuntava dallo scollo rotondo della maglietta del giovane. Avrebbe pensato ad un capello incastrato nel colletto se il nero di quella riga non fosse stato così innaturale.

Sperò che Madamina non rientrasse in quel momento, o avrebbe dovuto sopportare le sue battutine per un bel pezzo: si sporse sull’amico svenuto e abbassò lo scollo della maglia in modo da denudare la spalla.

Sentì il sangue ritrarsi nelle vene quando, sulla pelle liscia di Albus, fu visibile un’orribile stigmate scura. Aveva le dimensioni di un insetto, ed il colore tenebroso che la costituiva non era fermo, ma formato da strani caratteri orientali in continuo mutamento all’interno del confine dell’innaturale cicatrice.

   «Non dovevi scoprirlo così.»

Scorpius non si sorprese troppo nel voltarsi e riconoscere Haru, in piedi sulla porta della camera. Aveva sospettato un suo coinvolgimento nel momento stesso in cui aveva visto quegli ideogrammi agitarsi all’interno della ferita.

   «E come dovevo scoprirlo?» rivestì la spalla dell’amico, mentre poneva quella domanda. Ad Albus non avrebbe fatto piacere rimanere scoperto troppo a lungo.

   «Te ne avrebbe parlato lui» rispose Haru. Rose aveva fatto ritorno al dormitorio della sua Casa, e lui era riuscito a strisciare fuori dalla Sala per andare a visitare l’amico. Si era aspettato la presenza di Scorpius, ma non che avesse scoperto il segreto di Albus.

   «E da quando ne ha parlato con te?» lo interrogò Scorpius.

   «Da quando mio cugino ci ha attaccati.»

Il grigio freddo delle iridi avvampò di irritazione, visibile nonostante gli sforzi di Scorpius di contenersi.

   «Quindi sono passati due anni.»

   «Sono davvero spiacente» si scusò Haru.

Scorpius ritrasse le labbra, per evitare di lasciarsi sfuggire qualcosa di molto antipatico. Tutti loro si erano abituati alla riservatezza dell’asiatico, ma l’idea che Albus gli avesse tenuto nascosto qualcosa per tutto quel tempo lo irritava terribilmente.

   «Era sparito» lo difese Haru. «Una settimana dopo, quel graffio era sparito senza lasciare traccia. Probabilmente pensava che si trattasse di una ferita passeggera, e per questo non ve ne ha parlato. L’ho creduto anche io, fino ad oggi.»

Il suo animo fu lievemente ammansito da quella seconda informazione. Almeno, Albus aveva taciuto su una cosa che credeva volatilizzata. Lo avrebbe perdonato più facilmente, sapendo che non aveva mantenuto un segreto in malafede.

   «Come è successo?» chiese Scorpius, passandosi una mano sul viso.

   «Deve essere stato colpito da uno dei famigli di mio cugino» ponderò Haru. «A giudicare dalla forma della cicatrice, direi un verme.»

Quell’ultima considerazione aprì uno squarcio nella memoria di Scorpius: Macauley che puntava un dito tremante sulla spalla di Albus, tartagliando qualcosa su un lombrico. E lui lo aveva rimproverato, dicendogli che un invertebrato non avrebbe rappresentato il peggiore dei loro problemi. Ironia del destino, proprio quel lombrico era stato il veicolo della ferita nera sulla spalla di Albus.

   «Era sparita» rimarcò Haru. «Senza lasciare la minima traccia. Oggi è ricomparsa per la prima volta in due anni.»

   «Cosa potrebbe essere?» indagò Scorpius, ipnotizzato dalla spalla dell’amico: anche se la maglia era stata rimessa al suo posto, gli pareva di vedere ancora il graffio nero allungarsi sulla pelle lattea.

   Haru mostrò le mani in segno di resa, sconsolato.

   «Ho cercato sui miei testi di magia, ho consultato mio nonno, ne ho parlato anche con Eeriemay-sama e il corpo docente. Nessuno conosce questa particolare fattura.»

   «Quindi non avete idea dei danni che potrebbe provocare» concluse gelido Scorpius.

   «No» ammise amaramente Haru. «Alla luce di quanto avvenuto oggi, Eeriemay-sama ha supposto che sia qualcosa di simile alla cicatrice che il padre di Albus-kun aveva sulla fronte. Anche Harry-san soffriva di terribili dolori per…» Haru si sfiorò la fronte, allusivo.

   «Ma tuo cugino non ha tentato di uccidere Albus» ricordò Scorpius.

   «No. Infatti dubito che sia in qualche modo riconducibile alla tipologia di suo padre» confermò l’orientale.

   «Il problema centrale resta» controbatté l’altro. «Non sappiamo cosa sia e cosa potrebbe comportare.»

Haru annuì gravemente, incrociando le braccia.

I pugni del ragazzo di Slytherin si strinsero sulle ginocchia. Non poteva accettare che Albus affrontasse quel pericolo da solo, senza che lui potesse fare nulla.

Di nuovo, fu la memoria a soccorrerlo.

   «Potrebbe trattarsi di una di quelle nuove magie oscure di cui ci avevi parlato al quarto anno?» sondò.

   «È possibile» asserì Haru.

   «Quindi la soluzione potrebbe risiedere non nella magia conosciuta ma in un nuovo incantesimo» teorizzò Scorpius. Il giapponese annuì di nuovo e l’altro domandò: «È possibile entrare a far parte di quel centro di ricerca di cui ci avevi parlato?»

Le spalle dell’asiatico si raddrizzarono con serietà, e il suo sguardo si incupì.

    «Scorpius-kun, il motivo per cui ti stai proponendo è nobile, ma ti invito a riflettere con serietà. Se deciderai di aderire, non potrai andartene dopo aver trovato una cura per Albus-kun: abbiamo bisogno di maghi che possano garantire un impegno assiduo e costante. Sei pronto ad impegnarti con il nostro gruppo per i prossimi anni, se necessario?»

Scorpius trovò la sua decisione nel viso scolorito dell’amico: chi lo avrebbe aiutato, se lui si fosse tirato indietro?

   «Sono pronto» dichiarò sicuro.

Il giapponese lo scrutò con mortale serietà, alla ricerca di un minimo tentennamento nella sua persona. Non ne trovò nemmeno l’ombra, per cui lo accolse formalmente:

   «Benvenuto tra noi, Scorpius-kun. Domani parleremo meglio del tuo inserimento in uno dei gruppi di ricerca.»

Haru sparì dalla stanza dopo essersi inchinato velocemente, e Scorpius gli fu grato per la sua discrezione.

Le sue dita scivolarono sulle coperte, andando a raggiungere la mano di Albus, abbandonata lungo il fianco, e si strinsero attorno alle compagne.

Non avrebbe lasciato andare quella mano.

Non proprio ora che l’amico aveva bisogno di lui più che mai.

 

***

 

   C’era qualcosa di oscuro e strisciante, tutto intorno a lui.

Lo sentiva arrotolarsi vicino alle sue caviglie come un serpente.

Rimase immobile, sperando che quella bestia lo sorpassasse velocemente. Invece la presenza viscosa rimase attaccata ai suoi piedi, e gli parve di avvertire il suo ghigno sadico contro la tibia.

Poi, all’improvviso, dall’oscurità cadde qualcosa. Una pesante goccia gli piovve sul viso, seguita da un’altra sulle mani, e un’altra ancora sul petto, finché quel liquido pastoso non diventò un incessante scroscio intorno a lui.

Lo riconobbe.

Rosso, salato, caldo.

Era sangue.

L’ombra pioveva sangue.

 

   Si risvegliò con il cuore in gola e la fronte madida di sudore, le labbra spalancate in un rantolo inconsulto.

Riuscì a calmarsi solo quando riconobbe le pareti chiare e l’odore asettico dell’infermeria. Trascorse un secondo e si agitò di nuovo, ma per un motivo molto più piacevole: la sua mano era intrappolata nella presa gentile di quella di Scorpius.

   «Sei rimasto qui tutta la notte?» esclamò, prima di riuscire a controllare la sorpresa.

Scorpius si rialzò mollemente dal materasso, battendo più volte le palpebre incollate dal sonno. Anche lui impiegò qualche istante per mettere a fuoco il posto in cui si trovava.

Albus sentì il cuore martellargli nella testa quando l’altro non lasciò la presa sulla sua mano, nemmeno quando fu del tutto sveglio e lucido. Al contrario, Scorpius avvicinò le dita dell’amico al proprio petto quando esordì, la voce ancora arrochita dal sonno:

   «Albus, devo parlarti di una cosa…»

La conversazione venne troncata sul nascere da un urlo raccapricciante, che fendette l’aria insonnolita della mattina.

   «Valentine!» strillò una voce femminile, scheggiata di panico e orrore.

Albus rabbrividì da capo a piedi, mentre l’incubo prendeva forma nel mondo reale.

L’ombra pioveva sangue.

 

 

 

 

 

 

Finalmente al sesto anno, dove i giochi si complicano<3

Di nuovo, mi inchino e chiedo il vostro perdono per il ritardo ç___ç Ma gli esami universitari incalzano e, se non si passano, non si parte per il Giappone a marzo .-.

Anyway<3

Eccoci finalmente al sesto anno e i nostri eroi entreranno in tempesta ormonale, cribbio!  <3

Una piccola nota sui suffissi usati da Haru:

San: suffisso onorifico piuttosto generico, usato per le femmine e per i maschi.

Kun: si utilizza tra coetanei, amici di sesso maschile o ragazzi più piccoli; non si usa con le ragazze (sarebbe come dare loro degli uomini XD)

Sama: onorifico più formale di –san, utilizzato verso persone superiori in gerarchia.

Ciò detto… mi metto subito a scrivere il prossimo capitolo, non voglio farvi aspettare ogni volta quasi un mese ç_ç

A presto<3

Red

 

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