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Autore: Evilcassy    22/01/2013    4 recensioni
“Permettimi solo di darti un consiglio.”
“E quale sarebbe?”
“Smettila di vivere come una belva braccata.”
Erano state le parole con cui Clint l’aveva lasciata, un paio di settimane prima, sulla soglia della palestra dell’Helicarrier in cui lei lavorava da sola per recuperare a pieno la muscolatura lombare, dopo la forzata immobilità imposta dalla frattura.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Gushing Ledger.'
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Life Thru a Lens

Life Thru a Lens.

 

 

Everything's so blurry
and everyone's so fake
and everybody's empty
and everything is so messed up

 

Le è stato assegnato l’alloggio nel quartiere che ha richiesto, è pregata di ritirare le chiavi all'ufficio Dotazioni al Personale.

Ha a sua disposizione quattro giorni di tempo per ambientarsi, al termine dei quali dovrà presentarsi di sua spontanea volontà presso la base S.H.I.E.L.D. di Manhattan per ricevere nuove istruzioni.

In caso contrario, sarà nostra premura accompagnarla.

 

Essenziale. Questo è il termine giusto per descrivere il suo alloggio.

Un anonimo bilocale al nono piano di un anonimo palazzo di Queens Boulevard. Un piccolo salotto con angolo cottura, una piccola camera da letto con l’armadio dal doppio fondo – splendido per nascondere le armi – un bagno piuttosto grande con tanto di vasca da bagno, sorpresa gradita, e un piccolo sgabuzzino che diventerà una piccola armeria.

Ha avuto alloggi più grandi,  ma senza vasca da bagno, e con viste migliori – il dirimpettaio obeso gira nudo per casa – ma a Natasha va benissimo così.

Tanto non ci passerà molto tempo, tra quelle quattro mura. 

Anche l’arredamento è minimalista, c’è solo lo stretto necessario e molto standard, a parte il divano foderato da una orrenda tapezzeria fiorata.

 

Nel borsone ci sono più armi che effetti personali.

Con un bacino fratturato dalla caduta da un cornicione, fare le valige a Budapest sarebbe stato un problema.

Tanto non aveva molto con sé – Lei non ha mai molto con sé.

Una spia, un'assassina, non può essere che un'ombra. Le ombre non hanno effetti personali.

Eppure ora le si concede la possibilità di un alloggio sicuro e di quattro giorni per ambientarsi: nessuna istruzione, nessun compito, nessun addestramento.

Concessioni piuttosto morbide ad una ex-spia nemica che solo quarantadue giorni prima si era cercato di eliminare.

Lascia perdere il borsone abbandonato sul letto e cammina nuovamente per l’appartamento, guardandosi attentamente attorno. Poi apre i pochi pensili dell’angolo cottura e li controlla millimetro per millimetro. Fa la stessa cosa con l’armadio della camera, con il letto ed il materasso, il bagno e poi il divano.

Nessuna microspia, nessuna micro videocamera.

Davvero non la stanno tenendo sotto controllo?

Getta lo sguardo fuori dalla finestra: nell’appartamento di fronte, l’obeso nudista esegue gli esercizi di fitness proposti da una bionda palestrata in TV.

Raccapricciante.

Però è insospettabile; forse è lui l’agente deputato a tenerla sotto controllo.

Vedendolo ballonzolare davanti allo schermo, Natasha ha quasi nostalgia degli impeccabili, sinistri ed inespressivi agenti della Red Room.

La bionda alla tv si piega in avanti a toccarsi le punte dei piedi con le mani. Il nudista la imita.

Natasha tira velocemente la tenda, che c'è un limite all'orrore.

 

“Permettimi solo di darti un consiglio.”

“E quale sarebbe?”

“Smettila di vivere come una belva braccata.”

Erano state le parole con cui Clint l’aveva lasciata, un paio di settimane prima, sulla soglia della palestra dell’Helicarrier in cui lei lavorava da sola per recuperare a pieno la muscolatura lombare, dopo la forzata immobilità imposta dalla frattura.

Erano circa le 3 di mattina e lui stava partendo per una missione – non le era dato sapere la destinazione - ma era andato a salutarla prima di salire sul Quinjet.

E a darle quel consiglio, fermo sulla soglia della stanza.

 

Passa i successivi minuti a nascondere le armi, individuando posti tattici da poter raggiungere facilmente in caso di attacco e a spostare il letto dalla posizione iniziale, troppo vicina alla finestra e vulnerabile in caso di proiettili sparati dal palazzo di fronte.

Fa qualche esercizio di stretching e di riabilitazione del bacino, le solite sessanta flessioni e le quotidiane dieci sessioni da trenta di addominali retti, obliqui, laterali e bassi.

Gli esercizi le mettono fame ed il frigo è vuoto.

Tempo di fare una passeggiata.

 

Ha trovato nella cassetta della posta un volantino pubblicitario di una rosticceria cinese della zona, con tanto di coupon per un piatto omaggio. Lo studia per un paio di minuti leggendo tutte le indicazioni - ok, dov'è fregatura? - domandandosi se sia così frequente trovare coupon nella cassetta della posta - che qualcuno abbia saputo che ci abita un nuovo inquilino?

Deve essere una trappola. Forse qualcuno vuole che vada in quella rosticceria e l'ordine di quel piatto sarà la parola d'ordine per far iniziare uno scontro a fuoco. O per far detonare una bomba. O per servirle un piatto avvelenato.

O forse verrà avvicinata da qualcuno -completo impeccabile, sguardo sinistro e volto impassibile, si spera - che le proporrà un'offerta irrifiutabile.  Sarà riconosciuta e dovrà iniziare a scappare, a nascondersi, a ripararsi.

Natasha accartoccia il coupon e sta per gettarlo nel cestino dell'immondizia, quando un ragazzo in tuta sportiva e cuffie enormi alle orecchie entra dal portone, accenna velocemente un saluto e, senza smettere di muovere la testa a ritmo techno-hop, apre la sua cassetta della posta ed estrae la sua corrispondenza completa di un paio di volantini colorati completi di coupon.

Dopo un'occhiata distratta ed una smorfia d'approvazione, si avvia verso l'ascensore.

Natasha guarda il pezzo di carta accartocciato tra le dita e lo distende.

“Smettila di vivere come una belva braccata.”

Forse si sta sbagliando. Forse quello è solo un stramaledettissimo buono per una porzione di Ravioli di Carne al Vapore gratis se accompagnati da un primo, una trovata pubblicitaria per far conoscere la propria nuova rosticceria al quartiere.

O forse no, ma tanto Natasha ha la sua Browning Baby nella tasca interna del giubbetto.

 

Beh, se quelli al tavolo dell'entrata sono altri agenti deputati a tenerla sotto controllo, allora lo S.H.I.E.L.D. ha bisogno di un buon nutrizionista tra il suo staff medico. Oppure, semplicemente, il Queens non è solo il quartiere delle minoranze entiche, ma anche quello degli obesi. La coppia in questione occupa uno dei due tavoli della piccola rosticceria, e necessita di talmente tanto spazio che rende impossibile anche l'utilizzo del tavolo a fianco.

In netto contrasto con la cinesina minuta e sorridente che compare dietro al bancone salutandola con un 'Buongiolno' a trentadue denti.

Natasha si scopre nervosa: prende in mano il menù e alterna lo studio delle pietanze a quello dell'ambiente, sicuro prossimo campo di battaglia.

"Un riso con gamberi" inizia ad ordinare.

Aggressione probabile da porta principale: Saltare e ripararsi dietro al bancone. Inutile farsi scudo con la cinese, sarebbe più resistente un foglio di carta

I ciccioni coprono buona traiettoria, valida per imboccare la porta della cucina ed uscire dal retro.

"E poi... Anatra ai germogli di soia."

Sempre che non sia già stato bloccato. In tal caso è il caso di attirare gli aggressori all'interno.

Associare all'utilizzo della Browning Baby coltelli da cucina, pentole di acqua bollente.

Durante il corpo a corpo possono essere utili anche i fornelli accesi.

"...altrlo, signolina?"

O forse quelli è meglio tenerli per interrogare gli aggressori sul mandante.

"No. Cioè, ehm, Sì." Natasha estrae il coupon stropicciato dalla tasca. "Ravioli di Carne al Vapore." aggiunge porgendoglielo, i nervi tesi e pronta a scattare. Ma la commessa allarga il suo sorriso all'inverosimile, prende delicatamente il foglietto di carta con le minuscole dita e squittisce un "Con piacele, buona vicina", prima di passare l'ordinazione in cucina.

"Polta via o mangia qui, signolina?"

"Uhnm... mangio qui..." La grassona intercetta il suo sguardo verso il tavolo libero e con una mossa inaspettatamente veloce per la sua stazza getta l'enorme borsetta sul tavolo libero, fissandola poi trionfante. "...qui al bancone. Grazie."

 

Everyone is changing
there's no one left that's real

 

L'aria è frizzante, ma è una bella giornata di sole e Natasha pensa sia proprio il caso di fare una passeggiata, che digerire il pranzo non sembra un'impresa immediata e semplice. Si incammina per la strada senza una meta precisa e solo quando incrocia l'entrata alle metropolitana decide di allontanarsi dal quartiere, che New York fondamentalmente non l'ha ancora vista e di tempo a sua disposizione ne ha sin troppo.

Aveva intenzione di scendere a Grand Central e fare un giro tra i negozi della 42esima, ma l'uomo nel completo grigio chiaro che la fissa dal sedile opposto al suo si alza nello stesso istante in cui si avvicina all’uscita e sembra volerla seguirla. Per escludere ogni dubbio Natasha scende dal treno e risale nella porta accanto. L'uomo non rallenta neppure, anzi si avvia tranquillamente verso le scale.

“Smettila di vivere come una belva braccata.”

 Natasha sbuffa, ma mentre si decide a scendere le porte si chiudono ed il treno riparte.

 

Decide infine di scendere al capolinea della linea metropolitana, a Times Square. Bighellona per la 41esima, entra in un paio di negozi provando qualcosa ma non comprando niente e continua a camminare , senza una vera meta precisa, impegnata già com'è nella lotta intestina che la divide: da un lato vorrebbe godersi la passeggiata, le mille possibilità che un pomeriggio libero a New York offre. Fare un po' di shopping, magari.

Dall'altro non riesce a smettere di mantenere i sensi all'erta. A dire la verità, non sa neppure come si faccia. Un predatore è comunque una preda, la vita un continuo bilanciare l'attacco con la difesa.

 

Dorme con un occhio solo da che ha memoria, tenendo un'arma sotto al cuscino. Se non deve prendere parte ad una qualche cena per lavoro mangiava qualcosa al volo, quando capitava, pagando in spicci per non farsi rintracciare.

Spendeva la metà dei soldi che guadagnava in tinte per capelli, o scarpe e vestiti che metteva una volta sola e che cambiava in continuazione a seconda della copertura che doveva intraprendere.

Si ferma davanti ad un negozio di articoli casalinghi: il manichino vestito negli abiti casual che non ha mai indossato ha una mano appoggiata ad una lampada da lettura viola e verde ed un piede su un cuscino dello stesso tessuto.

Non ha mai avuto una lampada da lettura. E neanche un cuscino. Né viola e verde - a proposito, è una fantasia più brutta di quella del suo divano - né di qualsiasi altro colore.

Forse dovrebbe averne uno. Potrebbe nasconderci dei proiettili, o un paio di coltelli da lancio. Un cuscino, poi, è sempre indicato per essere usato come silenziatore per una calibro 9.

Ah, sì arreda, anche.

“Smettila di vivere come una belva braccata.”

Sbotta: "E come cavolo faccio?!" si domanda ad alta voce. La ragazza che guarda la vetrina accanto a lei la fissa con sospetto e poi si allontana a passo svelto.

Ottimo, perfetto. Proprio l’idea giusta per passare inosservata: sembrare una pazza a New York. Mai come in quel momento sente la necessità di celarsi dietro ad un paio di occhiali belli grossi e belli scuri.

Che non ha con sé. Gli ultimi che possedeva saranno ormai ridotti in cenere, come la stanza di quel puzzolente albergo di Budapest in cui è stata accerchiata.

I grattacieli si aprono su una strada con edifici più bassi e più vecchi, molti in mattoni a vista, che creano un curioso contrasto con quelli dei centri commerciali alle sue spalle, ridondanti di vetrate e luci al neon.

Con i negozietti meno prestigiosi ed i bar con i tavolini sul marciapiede questa strada sembra appartenere ad un’altra città.

Senza più i grattacieli a schermarla, la luce ora inonda la strada e a Natasha risulta insopportabile. Entra nel primo negozietto d’abbigliamento aperto e si strofina gli occhi. La commessa – una ragazza nera con un’enorme chioma rasta rosa alza lo sguardo dalla rivista per salutarla e la invita a dare un’occhiata.

“Cercavo un paio di occhiali.”

Scuote la testa. “Non ne abbiamo. Qui vicino c’è Cohen’s, se hai abbastanza soldi da spendere e sei una fashionista convinta.” La sonda con lo sguardo orlato da occhiali da hipster dorati e poi piega la testa di lato: “Oppure puoi trovare qualcosa al mercato delle pulci del quartiere. Non è molto lontano tra la 39esima e la Nona.” Aggiunge indicando la direzione.

Natasha aggrotta la fronte “Un mercato?” Come si fa a vendere degli occhiali ad un mercato? In quelli che aveva visto – Un avvelenamento al cromo a Marrakesh, un pedinamento al Gran Bazaar di Istanbul – si contrattavano spezie e tessuti, suppellettili artigianali e bestiame. Ma occhiali?

“Sì, Hell’s Kitchen Flea Market.” la ragazza la guarda incuriosita, come se stesse parlando della cosa più ovvia e famosa del mondo. “Immagino tu sia in città da poco, vero?”

Natasha alza una spalla. “Da stamattina.” Il che, fondamentalmente, è vero.

“Beh, troverai un sacco di cose carine, vintage, pezzi unici. Insomma, un mercato delle pulci.”

“Ah. Grazie.” Natasha volta le spalle e fa per andarsene, poi decide che può permettersi un po’ di gratitudine verso la gentilezza della ragazza dai rasta rosa ed afferra la prima cosa che capita: una sciarpa beige con fili dorati e ritorna verso la cassa. La ragazza sembra sorpresa ed abbozza un sorriso: “Dev’essere stato amore a prima vista.” Commenta battendo il prezzo.

“Già. Shopping impulsivo.” Conferma Natasha allungando un paio di banconote.

“Il migliore” conferma la commessa.

 

Il mercato di Hell’s Kitchen è una distesa di bancarelle della più disparata mercanzia, che in effetti a Natasha ricorderebbe un po’ il Gran Bazaar di Istanbul, se non fosse completamente all’aperto e con merce decisamente diversa. Nessuna traccia di spezie o dolci, a parte il furgoncino del Hell’s Kitchen Flea Market Gourmet, e nessun mandriano a contrattare bestiame. Deve essere comunque abbastanza famoso, a giudicare dalla piccola folla di persone che curiosa tra bancarelle di chincaglieria, oggetti di collezionismo e vestiti di seconda mano.

Un banco che riporta il nome The 70’s Shop espone una piccola raccolta di occhiali da sole, proprio quello di cui ha bisogno. Ne adocchia uno particolarmente scuro e chiede al proprietario di provarlo, accettando lo specchio che le porge. “Se posso permettermi un consiglio” aggiunge l’uomo accarezzandosi il pizzetto brizzolato “Io la vedrei meglio con degli occhiali meno seri, signorina.”

Natasha alza un sopracciglio. “In che senso?”

“Nel senso che lei ha un viso molto dolce e dei capelli molto vivaci. Gli occhiali neri la incupiscono.”

E devono farlo, tesoro. Sono una killer professionista, mica posso andare in giro vestita da fricchettona pensa; tuttavia dissimula e abbozza un mezzo sorriso. “E cosa mi consiglierebbe?”

“Quelli.”

Lei è in vena di scherzare, vero? “Rayban con montatura verde e lenti rosa?”

“Se li prova se ne innamora. Glieli lascio per quindici dollari.” 

“Quindici dollari mi sembrano un’esagerazione per la mia reputazione rovinata.” La cosa è inaspettatamente divertente. Natasha si infila gli occhiali e si guarda allo specchio.

È strano: Così come non ha mai avuto una lampada o un cuscino, non ha mia indossato lenti rosa. Temeva che la colorazione fosse fastidiosa, ed invece è solo di un tenue rosato, spezza il bagliore del sole e risulta quasi rilassante.

E non le sta per niente male. Certo, non le sono utili ai fini lavorativi ma perché no? Le stanno bene, per quanto nel suo viso non riesca a trovare niente di dolce ed i suoi capelli sono solamente rossi, non vivaci. “Dodici dollari.”

“Andata.” Batte le mani l’uomo.

 

Qualche bancarella più in là Natasha scorge qualcuno che le sembra famigliare. Deve guardarlo un paio di volte prima di rendersi conto di chi davvero sia, che non se lo sarebbe mai immaginato in Jeans e giacca da motociclista nera a sfogliare concentrato un album di raccolta di figurine alla bancarella ‘Granny’s Attic’.

Certo, trovarlo lì ha un senso: Fury non poteva essere così stupido da farla tenere sotto osservazione da un agente qualunque. D’altronde lei era pur sempre la Vedova Nera, e ad occuparsi di lei non può che essere qualcuno in cui Fury ripone la massima fiducia.

Probabilmente la stava seguendo da quando aveva messo piede fuori casa, e se si era accorta di lui solo in quel momento era perché aveva deciso di palesarsi di sua spontanea volontà.

Forse aveva qualche istruzione per lei, O forse si era allontanata troppo dalla sua zona. Comunque, era chiaro non dovesse essere ignorato. Così Natasha si avvicina salutando la bella sensazione di libertà che aveva appena iniziato ad assaporare e lo fissa per qualche istante.

Non alza gli occhi dai fogli di plastica dell’album.

Ok, d’accordo, devo dimostrare di essere estremamente collaborativa. Ha senso.

“Buongiorno Coulson.”

Coulson gira appena la testa, piegandosi in avanti per guardarla al di sopra degli occhiali, un pizzico di sorpresa negli occhi: “Buongiorno Romanoff. Qual buon vento?”

“Ah, non so. Dovrebbe dirmelo lei.”

“Del perché lei è nel mercatino delle pulci del mio quartiere?”

La prende in contropiede. “Lei abita qui?”

“Due mesi con Barton che mi sfotte che dormo nel ristorante di Gordon Ramsey e non l’aveva ancora capito?”

“Ah… beh, io… non avevo colto il riferimento. A dire la verità non lo colgo neppure ora.”

“Beata lei che non guarda Real Time.” Coulson restituisce l’album al proprietario della bancarella e si toglie gli occhiali. “Comunque, mi dica, aveva bisogno di me?”

“Ehm, io no. Mi sono trovata qui praticamente per caso.”

“Davvero?”

Natasha annuisce. “Se teme che la stessi pedinando per farla fuori, beh, a quest’ora non staremmo parlando e lei starebbe agonizzando per terra con quell’album di figurine in mano. A proposito, cos’erano, giocatori di baseball?”

L’agente si infila nuovamente gli occhiali con un mezzo sorrisetto. “Eroi americani. Ne sto cercando un paio piuttosto rare per una collezione.”

“Fa collezione di figurine sugli eroi americani? Davvero?” Natasha era certa che Coulson non fosse il tipo da avere interessi al di fuori del lavoro. Collezionista forse sì, ma di denti sputati dai nemici – l’aveva intravisto allenarsi con il jujitzu e ne era rimasta positivamente sorpresa – ma di figurine proprio non se lo sarebbe mai aspettato. Le scappa una mezza risata “Non è da bambini?”

“Affatto. Richiede pazienza, delicatezza e possibilità di viaggiare per diversi mercatini. E poi non costano poco. L’unica cosa piuttosto infantile richiesta è appassionarsi agli eroi e trovarli interessanti, ma questo è quasi un bene, a mio parere. Sa che sta bene con quegli occhiali?”

Alza le spalle e finge noncuranza “Oh, beh, mi piacciono le lenti colorate. Ogni tanto.”Se Coulson può paventare un interesse diverso dalla sua vita lavorativa, perché lei no? “Mi addolciscono il viso e mi vivacizzano i capelli.”

“Ha proprio ragione. Ne ha di altri colori?”

“Blu, verdi, gialli. Tante dimensioni diverse.”  Risponde a caso. “Più il visore notturno, chiaro.”

Coulson ride: “Allora è una collezionista anche lei.”

“Già. A quanto pare.”

Una giovane donna castana si stacca da una bancarella di dischi e si avvicina con una borsa di tela in mano. Sfiora la manica del giubbotto di Coulson e lui si volta appena a guardarla: “Eccomi.” Si annuncia con un sorriso. “Ho trovato finalmente lo spartito del Götterdämmerung nell’edizione che cercavo.”

“Ed anche il libretto dell’Attila,così la prossima volta che ti vengo a sentire non faccio la figura dello scemo?” La donna sorride e gli colpisce il braccio per scherzo. “Claire, ti presento una mia collega, Natasha.”

Le stringe la mano. Piccoli calli sui polpastrelli ed all’interno del palmo registra d’istinto Natasha. “Lieta di conoscerti. Phil non mi parla quasi mai del suo lavoro.”

“Per non annoiarti, cara.”

“Sei la sua prima collega che conosco.”

“Beh, è un bel primato. Io… io vi lascio nelle vostre compere, allora. Ci vediamo Mercoledì, Coulson.”

 

Si lascia cadere sul letto scoprendosi piuttosto confusa.

Come era possibile, con il ritmo di vita di un agente segreto, inventarsi una vita civile, con interessi diversi da quelli di una nuova arma o di una nuova tecnica di combattimento?

Come si poteva credere ancora negli eroi, trovare interessanti le riproduzioni su cartoncino, quando tutto attorno si poteva trovare solo la dimostrazione della loro inesistenza?

No, Coulson stava mentendo. Probabilmente per far colpo sulla donna alla quale era accompagnato. A proposito, ma con che coraggio un agente si poteva relazionare con una civile? Era un mondo diametralmente opposto, la coesistenza era impossibile. Forse era per questo che Coulson mentiva: stava cercando di far funzionare quella relazione?  A che pro, comunque?

Era abbastanza adulto per valutarne l’impossibilità e poi perché interessarsi ad una donna che parla di Götterdämmerung – a proposito, doveva googlarne il significato – e di Attila, e non può conoscere quello che il suo uomo fa ogni giorno? Perché, se proprio si necessitava di una compagna, non cercarla tra le schiere dello S.H.I.E.L.D.? Aveva visto agenti piuttosto carine – che l’avevano fissata in cagnesco sin dal primo giorno che era entrata, in barella – e sicuramente più portate per il suo stile di vita.

Si stringe le spalle. In effetti Claire è una bella donna. Bella voce, bei lineamenti, mani curate nonostante i piccoli calli sotto le dita.

Ma sì, forse Coulson mentiva: si era inventato quell’hobby per rendersi normale ai suoi occhi come lei si era inventata su due piedi la storia degli occhiali da sole colorati. Per darsi un tono, niente di più.

Però gli occhiali le piacevano davvero.

You could be my someone
you could be my scene

 

È davanti a Clint quando lui chiude lo sportello dell’armadietto, ed è stata talmente silenziosa che lui trasale nel vederla. “Cristo, e quando sei entrata?”

“Un paio di secondi fa. Volevo congratularmi con te, tutti stanno parlando dell’esito della tua missione. Spero di vedere i filmati al più presto.”

Un sorrisetto compiaciuto si fa largo sulle labbra di Clint: “Non farò la spacconata di raccontarti che è stato un gioco da ragazzi. Però chi l’ha dura la vince. Come va il bacino?”

“Recupero totale, posso tornare in azione. Si vocifera che verrò messa in squadra con te.”

“Sì, è probabile. Sai, quando ti ho trascinata qui ho assicurato a Fury che mi sarei preso la piena responsabilità delle tue azioni, perciò metterci in squadra insieme credo sia la scelta giusta.”

Natasha incrocia le braccia. Probabilmente la conversazione di per sé non ha molto senso d’esistere – e lei non dovrebbe neppure trovarsi nello spogliatoio maschile -  ma non è riuscita a trattenersi.

Parlare con Clint le risulta facile e piacevole, e dopo l’incontro con Coulson non ha rivolto la parola a nessun’altro, se non per lo stretto necessario. “Temi che faccia una  - come la chiameresti tu – cazzata?”

Si infila una felpa scura e scuote la testa. “Non credo proprio, davvero.”  Poi cerca di cambiare discorso. “A te come è andata? Come ti trovi a New York?”

“Non è male. L’ho visitata, un po’.”

“Hai seguito il mio consiglio?”

Natasha annuisce, poi non sa bene cosa aggiungere, che tutto quello che ha fatto negli ultimi giorni le sembra tutto ad un tratto sciocco ed insulso. “Ho visitato il MoMA.” Decide infine.

“Davvero? Ne capisci di arte?”

“Beh… no.”

“Ah, peccato. Cercavo qualcuno che si degnasse di spiegarmi qualcosa.”

Natasha ride. “E ho fatto una tessera della Metro. Nome falso, ma foto vera.”

“Sai che non ricordo di averne mai avuto una?” Clint si gratta la testa pensieroso. “Né con nome falso né con nome vero. Da ragazzino entravo in metropolitana scavalcando i tornelli. Mi hanno rincorso tante volte ma non mi hanno mai preso.” Natasha scioglie le braccia, le appoggia dietro la schiena: non sente il bisogno di mantenere nessuna distanza con lui. Le piace come parla e che sia sincero con lei: non finge di essere ciò che non è, di assomigliare a qualcuno di dozzinale e civile là fuori. Non ricorre a storie di hobby o di falsi lavori con colleghi misteriosi.  “E poi?”

“E poi ho visitato Hell’s Kitchen Flea Market e ho incontrato Coulson.”

“Non ha ancora trovato le figurine di Captain American? Quella collezione lo farà impazzire!”

“Sapevi che collezionava figurine?”

“Certo, tutti lo sanno. È un patito di eroi vintage, Captain America è il suo preferito, credo che abbia qualsiasi cosa su di lui. Gli mancano solo due figurine, le più rare ed introvabili.” Clint le fa strada fuori dallo spogliatoio, chiedendole se voglia fargli compagnia in Sala Mensa, che è quasi un giorno che non tocca cibo. Natasha ha già pranzato ma annuisce, che tanto lo spazio per un dessert c'è comunque. "E non la trovi strana?"

"Cosa?"

"La collezione di Coulson."

Clint fa spallucce: "Ognuno ha i suoi hobby."

"Davvero? E il tuo qual'è?" E' più una domanda di sfida che altro, che in fondo Natasha non lo riesce neppure ad immaginare intento a fare dell'altro - cosa, poi, ricamo, lettura di classici, birdwatching? - che non comprenda l'utilizzo di armi o munizioni. Il mondo di Clint è quello, è come il suo, polvere da sparo e coltelli d'assalto, ombre più scure della notte. Non sarebbe l'agente che è se fosse diverso.

Però ora la fissa con la bocca semi aperta come se stesse per dirle qualcosa, poi la richiude in un sorrisetto beffardo. "È una cosa che ti mostrerò, un giorno."

Il soppraciglio di Natasha scatta in alto: "Il tempo di inventartene uno?"

"No, affatto. È una cosa che so già fare - e credimi, conosco persone che possono testimoniarlo - ma non te lo dirò. Quando ti mostrerò di cosa sono capace, ti prometto che ne resterai impressionata."

"Un sacco di uomini sostenevano che sarei rimasta impressionata dalle loro capacità." commenta facendolo scoppiare a ridere. "No, ti giuro, non è niente di tutto ciò. Cioè, indirettamente potrebbe averci a che fare, ma non è strettamente collegato."

"C'entra l'estetica?"

"Assolutamente no, anche se la presentazione richiede un discreto gusto."

"Non ti travestirai mica da Drag Queen, vero?" Clint strabuzza gli occhi e si ferma in mezzo al corridoio. "Uhm, dalla tua espressione direi di no."

"Eh, no. Posso tutto, ma i tacchi li lascio a chi sa portarli." Apre la porta della Sala Mensa e la fa entrare per prima accompagnandola con un gesto cerimonioso. "Non avrei neppure un punto d'appoggio sicuro per mirare bene. A proposito, come fai?"

 

La Costa Azzurra è attanagliata da una bolla di caldo africano da giorni, e neppure al porto di Marsiglia l'aria del mare riesce a portare un minimo di ristoro.

Clint si toglie la giacca da sera ed il cravattino, infilandoli tra due container. Poi si rimbocca le maniche della camicia e si scoglie il collo, lasciandosi sfuggire un debole gemito di sollievo.

Natasha si sfila i sandali di Louboutin, li fissa con rammarico - sa già che andranno persi, ma cavoli, sono costati un'occhio dalla testa e sono così belli che fa fatica a considerarli solo meri strumenti di lavoro - ed accetta il suggerimento di Clint di nasconderli sotto la sua giacca: "Così sono più al riparo e non si vedono le suole rosse" aggiunge con un occhiolino a cui risponde con un mezzo sorriso.

La lamiera del container a cui si appoggiano è ancora rovente nonostante sia notte fonda. Recuperano le armi nascoste dagli agenti di supporto, le ricetrasmittenti ed i visori notturni e si dividono, appostandosi in diversi luoghi in attesa dei loro obbiettivi.

"Credo di aver capito quale sia il tuo passatempo." mormora Natasha premendosi l'orecchio senza distogliere lo sguardo dalla porzione di porto che controlla. "Le carte. Ho visto come giocavi bene al casinò, e dire che a MonteCarlo non ci vanno esattamente dei principianti."

Un piccolo sbuffo alla ricetrasmittente le suggerisce che Clint stia sogghignando. "Mi dispiace, Tasha, ma sbagli. Sono bravo e non mi dispiace lanciarmi in un poker per passare il tempo - prima o poi ti racconterò di quando ho spennato Fury - ma proprio no, non è questo il mio hobby segreto."

"Un giorno ti strapperò fuori la verità, Clint Barton. Sai che ne sono capace."

"Basterebbe un metodo meno violento. Anzi, sai che ti dico? Giovedì sera..."

"Sssht! Stanno arrivando!"

E la Vedova Nera ed OcchioDiFalco tornano ad essere due ombre.

 

 

Nobody told me what you thought
nobody told me what to say
everyone showed you where to turn
told you when to runaway

 

Le occorre del tempo capire che le sue dita sono solo state addestrate a premere grilletti e a spezzare ossa, ma sono nate anche per fare altro.

Che i suoi occhi possono leggere anche gli articoli di Vanity Fair e non solo le fredde istruizioni di un incarico e che al Gran Bazar di Istanbul non solo può far saltare la copertura di un agente di Al Qaeda, ma può anche comprare una lampada in vetro colorato per il suo appartamento.

E che il sesso non è solo la ragnatela in cui far cadere un insetto incauto, ma anche un'ondata di brividi e carezze, respiri mozzi e baci caldi che solo una persona riesce a donarle e a cui le piace concedersi senza riserve.

La belva braccata è ancora nascosta in un angolo della sua mente, e basta un piccolo particolare, un gesto involontario perché sfoderi gli artigli: un uomo che fissandola passa la mano sotto la giacca come ad accarezzare una fondina, il suo Sony Vaio che fa le bizze come se qualcuno l'avesse crackato, incontrare per due volte la stessa persona in una strada affollata.

Solo che Natasha ha imparato a controllarsi, a non rinunciare alle piccole boccate d'aria prima di tornare nell'apnea convulsiva del suo lavoro. Ha capito di non essere solo ciò che altri hanno plasmato, ma che può essere anche quello che lei desidera. Certo, occorre scendere a patti con la propria memoria e la propria coscienza, con i propri doveri ed onorare i propri debiti, ma in fondo la vita è un continuo bilanciarsi, no?

Così, quando lei e Clint riescono a passare un po' di tempo insieme, possono parlare non solo delle rispettive missioni, ma può anche raccontargli di quando ha accettato da Pepper Potts l'invito per una serata di gala al MoMA che a Stark non interessava minimamente, rimanendo colpita da quanto lei fosse appassionata all'arte contempranea e lieta di spiegarle i cardini del Cubismo Analitico di Picasso sui cui è basata la scultura della Chitarra.

 

"Dovresti disdire il tuo alloggio ufficiale e trasferirti in pianta stabile qui." propone una sera rompendo la crosta della Creme Brulèe con il cucchiaino da dessert. Clint è già a metà della sua, con l'aria pienamente soddisfatta di chi si gusta in pieno i frutti del suo lavoro. "Il comando non farà storie: siamo pur sempre i suoi migliori agenti e membri dei Vendicatori. Accettare la nostra relazione ufficialmente è un valido premio per i nostri sforzi, non credi?"

"Assolutamente" sorride lui gustandosi l'ultima cucchiaiata del dolce. "Potrebbero addirittura fornirci un alloggio più grande, che in due qui siamo un po' stretti. Magari con una cucina degna di questo nome..."

Natasha lascia cadere il cucchiaino sul tavolo. "Come ho fatto a non capirlo prima?"

"Uhn?"

"Mi hai fatto installare la tv via cavo per guardare i programmi di Ramsay, conosci a memoria i ristoranti migliori di New York e le loro specialità e mi prepari sempre piatti deliziosi; ed ora vuoi la cucina più grande. Il tuo hobby e cucinare, e l'ho capito solo ora!"

Clint sorride, le dita a catturare la sua mano sul tavolo e a portarsele alle labbra: "Ci sei arrivata, finalmente!" La bacia, inzaccherandola con i residui della crema. "Allora, avevo ragione, ti ho sorpresa."

"Sbalordita. E devo ammettere, sei fenomenale nel tuo hobby. Ed io ho ufficialmente bisogno di un cuoco personale."

 

In un primo momento aveva pensato di fare a pezzi i vecchi numeri di Vanity Fair e Cosmopolitan ed usare le pagine per avvolgerci gli occhiali. Ma poi si era accorta che le piaceva ogni tanto rileggere qualche vecchio articolo o ritrovare la marca di un vestito o di un accessorio, così la sua piccola collezione di riviste era scampata al trasloco e Natasha aveva sfruttato le sue abilitià mimetiche per uscire nottetempo e fare razzia di opuscoli pubblicitari dalle cassette della posta altrui.

E dopo aver vinto la tentazione di tagliare i coupon e custodirli nel cassettino - un po' difficile che i ristoranti del Queens consegnino a Manhattan - aveva iniziato il suo lavoro di inscatolamento spinta dall'imminenza del trasloco e approfittando di essere sola in casa.

Gli occhiali a goccia viola con lenti verdi comprati a Dublino insieme a quelli tondi rossi con lenti gialle vengono arrotolati nella pubblicità di un nuovo supermercato.

Per quelli trovati da Patina a Soho, a forma di 1990, usa la carta di un giornaletto di annunci immobiliari.

Ci sono un paio di occhiali bianchi con le lenti rosse a forma di cuore. Non si ricorda dove li abbia presi.

Ah no, quelli glieli aveva regalati Coulson, una vita fa. Se non ricordava male provenivano da Madrid.

Se l'era addirittura scordato, di aver finto quella collezione, quando si era ritrovata con un pacchettino in mano: "Mi è capitato di passare in un negozio - storia lunga - e ho pensato fossero abbastanza particolari per la tua collezione. A meno che tu non li abbia di già." No, non li aveva.

Ed erano carini anche quelli. Immettibili, ma carini. E durante una camminata per Soho aveva acquistato quelli che commemoravano il capodanno 1990.

Infine, i Rayban con la montatura verde. Natasha non li ha più indossati da quel giorno ad Hell's Kitchen.

Li inforca e si volta verso lo specchio e non può fare a meno di sorridere.

Attraverso le lenti rosa, il suo viso sembra davvero più dolce ora che ha smesso di vivere come una belva braccata.

 

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Dovevo scrivere altro, ed invece eccomi impegolata di nuovo nel Clintashismo!!

Innanzitutto ringrazio chi, sino ad ora, ha recensito le storie della raccolta Clintasha 'The Gushing Ledgers' e 'the Seventh' : prima o poi ce la farò anche a ringraziare di persona tutte quante. Magari appena ho quei due minuti in più di tempo in cui non sono in trance agonistica da scrittura.

Ok, ora puntualizzo qualcosa di questa storia, che rasento la patologia:

Sfortunatamente, non essendo mai stata a NYC, sono stata costretta allo studio della cartina della metropolitana di Manhattan, Queens e delle relative fermate. Sono quasi impazzita e credo che, quando avrò l'opportunità di visitare questa città, ci andrò dopo un trapianto sottocutaneo di GPS, che qualcuno mi venga a salvare.

Stramaledico la mia voglia di realismo, ma il risultato alla fine mi soddisfa quindi credo che anche la prossima volta perderò i pochi decimi rimasti alla mia vista per leggere le fermate della Metro, le coincidenze ed i cartelli dei negozi che appaiono in StreetView.

StreetView, appunto:

Hell's Kitchen Flea Market esiste davvero, ed i tipi di bancarelle esposte nella storia possono esserci davvero (magari con nomi diversi, ma con lo stesso stile) così come il furgoncino Hell’s Kitchen Flea Market Gourmet.

Cohen's è una catena di negozi di ottica ed esiste davvero, uno è all'incrocio tra la 8th e la 37th avenue (Dio c'è e ha inventato StreetView) proseguendo per quella strada (cammina cammina) vi troverete a Hell's Kitchen and so on. Il negozietto della Rastafariana Rosa invece non credo esista, purtroppo.

Il Götterdämmerung ve lo lascio googlare a voi, se vi interessa.

L'Attila è di Verdi e l'ho citato solo perchè al suo interno vi è una parte corale in cui si alza una lode a Wotan. Che sarebbe poi Odino. ('zzo c'entra con gli unni solo Piave e Solera lo sanno)

La Browning Baby è una pistola piccolissima, in commercio da più di un secolo, adatta per essere nascosta dentro ad un porta sigarette.

I sandali di Louboutin sono questi: http://laso.jp/upfile/item/im503f652301633.jpg e sfido chiunque a non affezionarcisi.

L'idea che a Pepper piaccia l'arte contemporanea la deduco dal fatto che nei film, tra uffici della Stark Ind. ed abitazioni, si intravedono numerose opere d'arte.

L'ho già detto e ripetuto, i programmi di Gordon Ramsay sono una droga e Real Time pure.

Spero questa storia sia di vostro gradimento, così come è piaciuto a me scle...scriverla, ed immaginare Natasha alle prese con i primi passi di una nuova vita.

 

PS: la canzone citata è Blurry dei Puddle of Mudd. Il titolo invece è tratto da una canzone di Robbie Williams (ed è anche il nome del suo primo album solista)

 

Recensioni e critice costruttive sono sempre sempre sempre incoraggiate e ben accette.

 

Grazie comunque per la lettura.

EC.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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