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Autore: Beatrix Bonnie    23/01/2013    3 recensioni
-Seguito de Il torneo Trecolonie-
Edmund, ormai figlio adottivo del Presidente della Repubblica Magica d'Irlanda, si lascia alle spalle il suo passato, per diventare Edmund McPride, un giovane ambizioso, bello e pieno di talento. Ma presto dovrà fare i conti con la realtà: l'uomo in cui ha riposto la sua fiducia si rivelerà essere un meschino arrivista, mentre il suo passato verrà a bussargli alla porta nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Un misterioso orologio d'oro con le lancette ferme, una setta di folli scienziati, un codice impossibile da decifrare...
Ma quando, tra il clima di terrore e le sconvolgenti rivelazioni sul suo passato, Edmund non riuscirà più a vedere la luce, nel suo orizzonte si staglierà l'unica cosa certa: l'amicizia di Mairead e Laughlin.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 22
La forza dell'amicizia






Moira non si riteneva una ragazza dalle mille qualità, ma era certa di possedere un dono: l'empatia verso gli altri. Forse era proprio perché capiva gli stati d'animo altrui e agiva di conseguenza che tanti le dicevano che era una buona persona.
Tuttavia, bastava essere empatici anche solo come una panca di legno, per capire che qualcosa non andava in Edmund. Erano giorni che non si sedeva più tra i suoi amici, standosene in disparte tutto il tempo. Non si faceva vedere in Sala Mor e, anche quando si presentava, praticamente non mangiava nulla. Era torvo, cupo e perfino a lezione non faceva più i suoi interventi brillanti che tanta ammirazione gli meritavano da parte dei professori.
Non era di cattivo umore: era di umore catastrofico.
Fu per quel motivo che un sabato mattina a colazione Moira intercettò Mairead che usciva dalla Sala Mor e la seguì per scambiare due chiacchiere con lei. «Mairead... posso parlarti?» le chiese in tono gentile.
Mairead indicò la divisa da Quidditch che indossava e fece notare: «Fra poco c'è l'ultima partita della stagione... e starei andando verso lo stadio...»
Tuttavia, visto che i Raloi avrebbero affrontato i Llapac sul campo da Quidditch, Moira era informata sui fatti e sapeva che il “poco” di Mairead significava in realtà “fra un paio d'ore”; quindi pareva più che altro che la ragazza non avesse voglia di confidarsi con lei. «È di Edmund che ti voglio parlare» aggiunse allora, nella speranza di chiarire la questione.
Mairead distolse lo sguardo per qualche secondo e quando tornò a guardare l'altra, aveva gli occhi lucidi e velati. «Non è affare mio se ha deciso di comportarsi da idiota» replicò con un astio marcato, nel tentativo di nascondere la sua sofferenza.
Moira le regalò un sorriso sincero, un modo gentile per offrirle il suo conforto. «Che cosa gli è successo?» domandò, sperando di fare un po' di chiarezza.
«Diavolo ne so!» esplose Mairead, visibilmente irritata. Tuttavia, visto che Moira non sembrava voler abbandonare l'argomento, continuò: «Ha smesso di rivolgerci la parola, così, di punto in bianco».
«Di punto in bianco?» insistette Moira, ben consapevole che Mairead avesse bisogno di sfogarsi con qualcuno.
La ragazza si stropicciò il mantello della divisa di Quidditch, mentre con gli occhi saettava attraverso la sala d'ingresso, come per controllare se qualcuno le stesse guardando. «Ti va di fare due passi fuori?» chiese poi, accennando con il capo all'immenso parco, dove avrebbero sicuramente trovato un posto per parlare più tranquillamente.
Moira fece un segno di assenso con il capo e insieme si incamminarono fuori dal castello, attraverso il ponte e poi nel prato solitario e umido in riva al lago. Per tutto il tragitto restarono in silenzio, entrambe immerse nei propri pensieri. Solo quando furono sufficientemente lontane da occhi indiscreti, Mairead raccontò di quanto era successo a Lerwick, nel laboratorio dove Edmund aveva trovato i ricordi e dai quali era uscito totalmente sconvolto. Dopo che il ragazzo aveva praticamente tirato su l'anima, lei e Laughlin l'avevano trascinato a forza fuori dal laboratorio e avevano cercato di capire cosa fosse successo. Ma non c'era stato verso: nonostante le loro insistenze per tentare di aiutarlo, Edmund aveva smesso improvvisamente di disperarsi ed era diventato come di pietra.
«Il suo volto era una maschera innaturale» raccontò Mairead, la voce ridotta ad un flebile sussurro. «Mi faceva paura. Abbiamo cercato di farlo parlare, ma lui ha detto una sola parola: “andiamo”».
Mairead si interruppe, ancora scossa e arrabbiata al solo ricordo. «Ti giuro che credevo ci saremmo spaccati! Edmund non era per niente nelle condizioni di fare una Materializzazione Congiunta!» raccontò esasperata.
«E invece?» chiese Moira, anche se era ovvio che non poteva essere successo nulla, dal momento che tutti e tre erano ancora sani e salvi.
«E invece ci siamo materializzati vivi e nel posto giusto» rispose Mairead, con un certo disappunto, in realtà, come se le dispiacesse essere stata contraddetta dalla buona riuscita dell'impresa. «Per miracolo, io credo» aggiunse infatti, poco dopo. «Comunque da allora non ci rivolge più la parola».
E dal tono stizzito con cui lo disse, c'era da scommetterci che avrebbe scuoiato vivo Edmund se solo se lo fosse ritrovato davanti.
Moira lasciò passare una manciata di secondi, nella speranza che i bollenti spiriti di Mairead si acquietassero un poco. Vana speranza, in realtà, visto che sapeva benissimo di avere a che fare con una Raloi. «Vuoi che provi a parlarci io?» chiese alla fine, spiando di sottecchi l'amica per sondare la sua reazione.
Mairead emise uno sbuffo stizzito. «Non otterrai molto, temo» fu la sua secca risposta.
Moira allora sfoderò un sorrisetto sbieco. «Posso sempre provarci» cercò di convincere l'altra dei suoi buoni propositi.
Ma Mairead scosse la testa. «Se ci tieni tu a rovinarti la giornata per quell'idiota. Perché sappi che ti tratterà da schifo» la avvertì, con un tono forse troppo acido, come se avesse sperimentato sulla sua pelle quanto aveva descritto. «Ora scusami, ma vado al campo di Quidditch» concluse, dirigendosi a passo svelto verso lo stadio.
Moira sospirò. Sapeva benissimo che affrontare Edmund sarebbe stato tutt'altro che facile, ma per un amico valeva almeno la pena provarci. Tutta presa dai pensieri su come avrebbe potuto sciogliere la freddezza superficiale di Edmund e invitarlo ad aprirsi, si incamminò di nuovo verso il castello. Quasi non si accorse che stava andando in senso contrario agli altri studenti, che si recavano al campo di Quidditch per l'ultima partita del campionato scolastico.
«Ehi, Moira, non vieni a sostenere la squadra?» le domandò una ragazza della sua casa.
Forse era Liadan D'Arcy, ma Moira era troppo presa dai suoi pensieri e non si accorse di chi avesse parlato. «Ora... no, ho da fare» borbottò, rivolta a chiunque fosse stato a chiamarla. In fondo, non era mai stata una vera appassionata del Quidditch e, non per essere catastrofica, ma era difficile che i Llapac potessero battere gli aggressivi Raloi, già in testa alla classifica e perfino campioni in carica. Almeno non da quando Cecelia Allen non era più la Capitana della squadra. Certo che, pensò Moira, c'erano persone che avevano tutte le fortune: Cecelia Allen era bella, gentile, brava a Quidditch, intelligente e gli Allen dovevano essere pure una delle nobili famiglie d'Irlanda.
Be', anche suo nonno Elios era nobile, si disse. E poi, sicuramente lei doveva aver ricevuto delle altre doti. Sapeva stare vicina agli amici anche nei momenti di difficoltà, per esempio: non tutti ne erano capaci.
E Edmund in quel momento aveva bisogno di lei: doveva aver scoperto qualcosa del suo passato, qualcosa di doloroso, ovviamente; qualcosa che non era stato in grado di rivelare a Mairead e Laughllin, forse per paura di scoprire come i suoi amici avrebbero accolto la notizia. Ma lei non gli era così legata, per cui Edmund non avrebbe dovuto temere il suo giudizio, e al contempo non era nemmeno un'estranea. Sarebbe stata il suo sostegno per aprirsi e rivelarle il terribile segreto che lo stava divorando dall'interno.
Non ebbe nemmeno il minimo dubbio su dove l'avrebbe trovato: si diresse senza esitazione in biblioteca e lo individuò chino su un libro, nel salone deserto. «Ciao, Edmund» lo salutò in tutta tranquillità.
Il ragazzo reagì come se un asteroide gli fosse piombato davanti. «Moira» fu il suo gelidissimo saluto.
«Come stai?» gli domandò lei, tentando di ignorare la sua freddezza.
Edmund la scrutò per una manciata di secondi, come se volesse analizzarla ai raggi X, infine rispose con un'altra domanda: «Perché non sei alla partita?»
Moira tentò di sfoderare un sorriso gentile e rassicurante. «Perché volevo approfittare della calma per fare due chiacchiere con te» gli spiegò, sperando di riuscire a penetrare la sua corazza.
Edmund fece una smorfia e tornò chino sul libro che stava leggendo. «Non ho niente di cui discutere» borbottò poco dopo, in tono arcigno.
Moira prese un lungo respiro per mantenere la calma. «Credo invece che tu abbia proprio bisogno di chiacchierare con qualcuno» gli suggerì, cercando di essere convincente.
«E se anche fosse, perché quel qualcuno dovresti essere tu?» la provocò Edmund, chiudendo di scatto il libro che stava leggendo. «Io non ho niente da dire, né a te né a nessun altro» concluse, poi si alzò in piedi e fece per andarsene.
«Ed, aspetta!» lo supplicò Moira, rincorrendolo lungo la biblioteca. Lui non si fermò, non si voltò, non le prestò minimamente ascolto. Moira lo raggiunse quando ormai si trovavano nel corridoio dove si affacciavano sia la porta della biblioteca sia l'ingresso della sala comune dei Llapac. «Perché non vuoi essere aiutato?» gli gridò contro, afferrandolo per un braccio nel tentativo di impedirgli di scappare.
«Chi ti dice che io abbia bisogno di aiuto?» rispose Edmund e cercò, senza successo, di liberarsi dalla presa di lei.
Fu in quell'istante che Moira gli piantò addosso i suoi occhi con un determinazione che non credeva di avere e gli sussurrò: «Basta guardarti».
«E allora non mi guardare!» replicò piuttosto scioccamente Edmund, come un bambino testardo.
Moira alzò gli occhi al cielo. «Che cosa stupida da dire!» sbottò esasperata. «Ed, tutti ci siamo resi conto che ti è successo qualcosa: non mangi nulla, non sorridi mai, non ci rivolgi più la parola. Perché non vuoi dirci che cosa ti è successo?» gli domandò, cercando di farlo ragionare. In quel momento qualcuno uscì dalla sala comune dei Llapac, ma Moira non vi prestò minimamente attenzione, presa com'era dal tentativo di far ragionare Edmund. «È ora di uscire allo scoperto, basta con i segreti!» fu il suo ultimo, disperato appello.
Ma Edmund si liberò dalla sua presa con uno strattone improvviso e si allontanò di un passo da lei, come se volesse rimarcare l'incolmabile distanza tra loro. «Sono stufo di questa pantomima: dillo pure a tutti gli altri!» furono le sue ultime parole, facendo intendere che a nulla sarebbero serviti altri tentativi di persuaderlo a parlare. E poi se ne andò, piantandola lì in mezzo al corridoio.
Calò il silenzio. Moira, totalmente concentrata sul suo respiro ritmico, cosa che avrebbe dovuto aiutarla a far sbollire la rabbia accumulata a causa del caratteraccio di Edmund, si dimenticò totalmente del Llapac che era uscito dalla sala comune, finché questi non le mise una mano sulla spalla, facendola trasalire.
«Tutto a posto?» le chiese in tono gentile.
Moira si voltò verso Cael Trimble, il suo collega console, nonché amico di Henry. «A posto, grazie» finse, dal momento che non aveva voglia di confidarsi con lui.
«Non vieni alla partita?» le domandò, forse sperando che un diversivo del genere potesse aiutarla a superare il brutto litigio. Tuttavia, l'ennesimo riferimento alla partita di Quidditch ottenne solo di irritare ancora di più Moira. «No, grazie» rispose, forse un po' troppo seccata. Dopodiché decise che era proprio il caso di andare a prendere una boccata d'aria, per sbollire la frustrazione.
Passò tutta la mattinata seduta nel prato del chiostro, con un libro sulle gambe. Attese il ritorno dei tifosi dallo stadio, finché non incrociò gli occhi dell'unica persona che avrebbe potuto risollevarle il morale: il suo ragazzo Henry Alabacor.
«Ciao, amore» lo salutò serena, facendogli segno di sedersi sull'erba, ma Henry si limitò a mugugnare qualcosa in risposta e si lasciò cadere al suo fianco. Moira si morse il labbro per evitare di scagliarsi contro il suo ragazzo: lui non ne aveva colpa, ma l'ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento era un'altra persona di pessimo umore. «Che c'è, abbiamo perso?» chiese comunque, cercando di essere gentile.
«Sì, com'era prevedibile» fu la secca risposta di Henry. Ma c'era da giurare che non fosse la sconfitta il suo problema principale. «Perché non sei venuta alla partita?» chiese infatti, dopo qualche minuto di silenzio, con tono indagatore.
«Avevo da fare» rispose esasperata Moira. Com'era che tutti si preoccupavano del suo scarso interesse verso la squadra di Quidditch?
Un altro mugugno.
No, quella non era affatto una buona giornata. Moira fece appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di scagliare una fattura contro Henry. «Che c'è, amore?» gli chiese invece, anche se con un tono piuttosto seccato.
Lui la guardò dritto negli occhi, poi rispose con una domanda a bruciapelo: «Da quanto va avanti?»
«Cosa?» replicò Moira, che non aveva la più pallida idea di che cosa stesse parlando il suo ragazzo.
Henry si tormentò per qualche secondo un asola della giacca, infine tornò a guardare Moira e sussurrò: «La tua relazione segreta con Edmund».
Fu allora che Moira scoppiò in una risata liberatoria, come se qualcuno le avesse levato un peso di dosso. Il suo ragazzo la fissò perplesso per parecchi minuti, ma solo quando si fu completamente ripresa dall'attacco di ridarella tentò di chiarire la situazione, rispondendo che non aveva alcuna relazione segreta con Edmund.
Henry non sembrava per nulla convinto. «E allora perché Cael vi ha visti uscire dalla biblioteca che parlavate di dirlo a tutti e di uscire allo scoperto?» domandò sospetto.
Moira si lasciò sfuggire un sospiro. Avrebbe dovuto fare due chiacchiere anche con il suo esimio collega Cael Trimble, per fargli presente che non aveva alcun diritto di andarsene in giro a mettere la pulce nell'orecchio al suo ragazzo. Era assurdo che per una sciocca incomprensione si fosse messo in piedi un pandemonio come quello. «Noi stavamo solo...» tentò di spiegare.
«Senti...» la interruppe invece Henry, in tono doloroso ma deciso. «Lo so che Edmund è bello, intelligente, ricco e famoso ed è sicuramente meglio di me... per cui se scegli lui, io lo capisco, però dimmelo. Non... tradirmi, ecco».
Il volto di Henry si trasformò in una maschera di sofferenza: quelle poche parole dovevano essergli costate un immenso sforzo.
Moira si addolcì, intenerita dal sacrificio che il suo ragazzo sarebbe stato disposto a fare per lei. Gli posò una mano sulla guancia e lo guardò dritto negli occhi, per sussurrargli: «Edmund sarà anche bello, intelligente, ricco e famoso ma ha un difetto fondamentale: non è te. Io amo solamente te ed è con te che voglio passare il resto della mia vita».
Henry deglutì, sentendosi improvvisamente uno sciocco per aver dubitato di lei, ma alla fine sorrise timido. E rispose: «Anche io ti amo».

Odio profondo. Odio profondo era l'unica cosa che venisse in mente a Laughlin riguardo a Edmund Burke. O McPride, o come diavolo facesse di cognome.
Laughlin si riteneva una persona comprensiva, magnanima e misericordiosa, ma perfino il Padre Eterno avrebbe avuto serie difficoltà a tollerare l'atteggiamento di Edmund. Semplicemente, aveva smesso di rivolgere loro la parola. Non aveva detto nulla di quello che aveva visto, di ciò che aveva scoperto, né aveva fornito alcun motivo per cui avrebbe dovuto avercela a morte con loro. Eppure, fingeva che loro non esistessero, che non fossero i suoi migliori amici, con i quali aveva condiviso tutto fino a quel momento.
Che cosa c'era da fare se non spedirgli contro una bella fattura gambemolli?
Fu con quella convinzione che si diresse verso la sala dei camini, una vecchia aula al primo piano a cui erano stati aggiunti una serie di camini che comunicavano con l'esterno, attraverso i quali i ragazzi potessero contattare casa. Laughlin aspettò con impazienza che quel primino pisciasotto dei Llapac la piantasse di ciarlare con sua madre, poi buttò nel fuoco una manciata di Polvere Volante e osservò le fiamme diventare verdi. Dopodiché si inginocchiò sul cuscino predisposto apposta sul pavimento e infilò la testa nel camino.
Sotto i suoi occhi si delineò l'elegante salotto di Villa Maleficium. Sua madre, seduta su una delle poltroncine davanti al fuoco, era intenta a disegnare un modellino di abito. «Ma'» la chiamò Laughlin, in tono svogliato.
La signora Maleficium alzò gli occhi dal suo lavoro e sorrise al figlio. «Buongiorno, tesoro» lo salutò affabile. «Tutto bene?»
Laughlin rispose con un muggito. «C'è papà?» chiese invece: doveva domandare a suo padre alcune informazioni sull'accordatura della sua arpa celtica.
«Sta tenendo una lezione in sala della musica» lo informò sua madre, dispiaciuta.
Laughlin sbuffò. «Va be', torno più tardi» commentò e stava per ritirare la testa dal camino, quando la signora Maleficium lo fermò: abbandonò il modellino di abito sulla poltroncina e si avvicinò al fuoco, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento.
«C'è qualcosa che non va?» gli chiese, anche se sapeva benissimo che c'era qualcosa che non andava, grazie ai suoi “super sensori da mamma”.
Era probabile che si sviluppassero naturalmente alle donne quando restavano incinte, pensò Laughlin. E poi si ricordò anche che non c'era modo di sfuggire alla rete malefica di domande incalzanti, una volta che i sensori avevano colto qualcosa che non andava. Così fu costretto a rispondere: «È per via di Edmund: si comporta da idiota».
«Peggio di te?»
«Mamma!» fu la protesta di Laughlin, ma quel commento riuscì a strappargli un sorriso. «Comunque sì, ben peggio di me» aggiunse poco dopo; e poi le raccontò quello che era successo.
Daire Maleficium ascoltò con pazienza tutto quello che il figlio aveva da dirle, ma alla fine gli fece un'unica, semplice domanda: «Laughlin, tu vuoi bene a Edmund?»
Laughlin strabuzzò gli occhi. Che cosa stupida da chiedere! Era una robaccia sdolcinata: le ragazzine si volevano bene. Ma loro erano due maschi, di quelli duri, che facevano volentieri a meno di stupidi sentimenti da femminuccia. Edmund era il suo migliore amico, ecco tutto. Però...
Sbuffò.
«Sì, gli voglio bene» borbottò infine, anche se contro voglia. Dopotutto, se era il suo migliore amico, significava che gli voleva bene, no? La signora Maleficium sorrise soddisfatta. «Allora devi stargli vicino, sempre e comunque» gli rivelò.
«Ma lui è un caprone! Non vuole nessuno vicino, ci evita, ci scaccia e...» tentò di lamentarsi Laughlin, improvvisamente furente.
«Non ha importanza» lo interruppe sua madre, dolce ma decisa. «L'amore non ammette condizioni: gli devi stare vicino perché in questo momento lui ha bisogno di te, anche se tenta di evitarti, anche se ti tratta male, anche se non ti vuole».
Laughlin distolse gli occhi da lei, frustrato. Avrebbe voluto urlarle che era difficile, pressoché impossibile sopportare il catastrofico cattivo umore di Edmund, ma tanto sapeva già quello che lei avrebbe risposto: “non ha importanza, sopportalo”.
«Laugh» lo richiamò sua madre e lui fu costretto ad alzare nuovamente lo sguardo su di lei. «Lo so che è difficile» continuò Daire, come se gli avesse letto nel pensiero. «Credi che non ci siano stati momenti in cui avrei voluto lanciare una bella fattura contro tuo padre? O contro te e Bearach?»
Quella domanda strappò a Laughlin un sorriso, perché anche lui avrebbe affatturato volentieri Edmund in quel preciso istante. Forse lui e sua madre non erano poi così diversi. «E perché non l'hai fatto?» le chiese, dal momento che non riusciva proprio a trovare un buon motivo per non spedire Edmund direttamente in infermeria.
Sua madre sorrise. «Perché vi voglio bene» fu la sua spontanea risposta. «Se tu ci tieni davvero alla tua amicizia con Edmund, allora devi farti forza, ignorare il suo caratteraccio e stargli vicino più che puoi».
Era una sentenza definitiva, Laughlin se ne rese subito conto. Niente appello, niente ricorsi. Non gli restava che dare il suo assenso: «Va bene, ma'. Ci proverò».
«Bravo il mio ragazzo» approvò la signora Maleficium.
Tuttavia, mentre si salutavano, Laughlin fu fulminato da un'altra idea: lui non era l'unico migliore amico di Edmund. Oh, no.
Sorrise soddisfatto, mentre un altro ragazzo prendeva posto davanti al camino che aveva appena lasciato. Avrebbe messo sotto anche Mairead, con quella storia di stare vicini a Edmund. Non si sarebbe sobbarcato tutto il lavoro da solo, proprio no.
Anzi, avrebbe messo sotto tutto il FIE. Turni regolari di sopportazione.
Le conseguenze possibili sarebbero state due: o Edmund si lasciava finalmente andare e la piantava di comportarsi da imbecille, oppure gli sarebbe venuto un attacco isterico e avrebbe ucciso tutti loro.
In qualsiasi caso, Laughlin avrebbe condiviso la pena con qualcuno. Mal comune, mezzo gaudio, dicevano.
Il suo sorriso si allargò ancora di più.
Sono un maledetto genio. si disse. Edmund, preparati a vivere il peggiore dei tuoi incubi!







Buongiorno a tutti!
Perdonatemi, lo so di essere in ritardo, ma ho avuto qualche problema familiare: sono riuscita a preparare il capitolo e ad andare in università per aggiornare solo oggi.
Comunque, il fantastico personaggio di Moira si meritava un po' di spazio. Questa prima parte del capitolo si è praticamente scritta da sola! La scena con Laughlin e sua madre, invece, era nella mia testa da parecchio tempo: Laughlin da solo non ci sarebbe mai arrivato, per cui aveva bisogno di un tocco femminile per capire che avrebbe dovuto sopportare Edmund e il suo caratteraccio, pur di aiutarlo. Se qualcuno di voi, come me, è costretto a sopportare amici e/o fratelli lunatici, sa benissimo di cosa sto parlando! ;)
Intanto, QUI l'immagine del capitolo: Mairead e Moira! Era secoli che avevo voglia di colorare la divisa dei Llapac! ^^
Devo anche avvertirvi che, in linea di massima, il prossimo capitolo sarà lunedì 11 febbraio, ma sempre in virtù dei miei guai casalinghi, non vi assicuro puntualità. Spero possiate comprendere!
Grazie a tutti voi, un abbraccio
Beatrix

   
 
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