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Autore: September_39    23/01/2013    2 recensioni
"Suonava così assurdo nella mia mente che nemmeno riuscivo a credere di aver agito in quel modo: io, Blaine Anderson, l’ingenuo usignolo che trova del buono in tutti... ero davvero riuscito a fare qualcosa di tanto orribile alla persona che amavo di più al mondo?"
Breve raccolta di OS su Blaine e Kurt dopo l'episodio 4x04
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Kurt Hummel, Rachel Berry, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Blaine/Rachel, Blaine/Sebastian
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Christmas Gifts.

 

“No Sam, non puoi imitare George W. Bush alla riunione di sabato!” sospirai esasperato per la centesima volta uscendo dall’aula di canto. Era tutto il giorno che Sam mi tormentava con quell’assurda proposta, certe volte mi pentivo di averlo scelto come vice.

“Andiamo Blaine tutti adorano le mie imitazioni! E quelle riunioni sono di una noia assurda, almeno risolleverei il morale....” replicò il biondo, senza nessuna intenzione di smettere.

“Per la millesima volta-..” il mio ennesimo rifiuto fu interrotto dal suono del mio cellulare. Lo presi fra le mani, pietrificandomi leggendo il nome su display: Burt Hummel.

Il tempo mi sembrò fermarsi e la testa iniziò a girare mentre la mia mente non riusciva a pensare ad altro se non a Kurt: doveva essere successo qualcosa.

“Signor Hummel?” risposi allarmato. La voce mi tremava e anche Sam accanto a me smise di parlare per guardarmi preoccupato.

“Ehi Blaine! Come stai? Tutto bene?”

La voce di Burt era rilassata e squillante come suo solito.

“S-si... tutto bene. E lei? E’ successo qualcosa?” 

“No no è tutto a posto, avrei solo bisogno di parlarti. Riesci a passare in officina o sei ancora a scuola?”

“Ho appena finito le prove del Glee, posso raggiungerla..”

“Perfetto allora ti aspetto! A dopo figliolo” riattaccò.

Conclusi la telefonata guardando incredulo il telefono per qualche istante fino a che Sam mi scosse.

“Blaine va tutto bene?”

“Io... si, credo di si. Era il padre di Kurt, ha detto che vuole parlarmi” risposi ancora piuttosto confuso.

Da quando Kurt era partito per New York io e suo padre ci eravamo visti sempre meno, perché nonostante i suoi inviti non mi sentivo a mio agio a partecipare alle loro cene del venerdì senza Kurt. Poi ovviamente aveva saputo di noi, del mio tradimento e tutto il resto e... sì, sapevo di aver profondamente deluso anche lui. Burt era stato il padre che avevo sempre desiderato, mi aveva accolto in casa sua come un figlio; ferendo Kurt inevitabilmente avevo tradito anche la sua fiducia.

Quindi i casi erano due: o stava succedendo qualcosa di grave che non era il caso di discutere al telefono, oppure aveva intenzione di fare tiro al piattello con la mia testa. Non aveva mai fatto mistero del suo fucile. 

In ogni caso, l’idea di incontrarlo mi terrorizzava.

“Devo andare Sam, ti chiamo più tardi” salutai il ragazzo e uscì in fretta da scuola.

 

Guidai fino all’officina, faticando a stringere le mani attorno al volante perché tremavano ed erano congelate. Il cuore mi batteva a mille e nonostante la neve fuori stavo sudando. 

Momento perfetto per farsi venire un attacco di panico Blaine, complimenti.

Zittì la voce nella mia testa che urlava di tornare indietro, di scappare. Dovevo prendermi le mie responsabilità, affrontare la situazione qualunque essa fosse.

Burt era sempre stato un uomo ragionevole, e se avesse voluto uccidermi non avrebbe aspettato all’incirca un mese, giusto?

In ogni caso, la consapevolezza che Sam sapeva dove stavo andando mi tranquillizzava.

Parcheggiai di fronte al negozio, prendendo un profondo respiro prima di entrare e cercare di mascherare il terrore nei miei occhi.

“Blaine! Eccoti finalmente... lasciati abbracciare! Sono contento di vederti..” 

Burt mi venne incontro e mi strinse fra le sue braccia battendomi una mano sulla schiena.

“Anche a me fa piacere rivederla signore!” risposi impacciato in quell’abbraccio. Sicuramente non era l’accoglienza che mi aspettavo.

“Vieni andiamo nel mio ufficio”

Mi fece cenno di seguirlo e in un attimo mi ritrovai seduto su un vecchio divano in pelle verde militare a sorseggiare un caffè in una tazza con scritto “Miglior padre dell’anno”. Sicuramente un regalo di Kurt, pensai, e quel pensiero mi fece sorridere.

“Immagino ti starai chiedendo come mai ti ho chiesto di venire...” disse Burt mettendosi seduto di fronte a me e distogliendomi dai miei pensieri.

Io annuì di rimando, bevendo un sorso di caffè.

“Vedi Blaine, tra una settimana partirò per New York per trascorrere il Natale con Kurt. Lui non ne sa niente, voglio fargli una sorpresa... ma la verità è che ho bisogno di parlare con lui”

Burt prese un lungo respiro, agitandosi un po’ sulla poltrona prima di continuare. Sembrava che qualcosa lo preoccupasse.

“E’ tutto a posto signore?” ripetei preoccupato vedendolo esitare.

“No in realtà. Ho un tumore alla prostata, me l’hanno diagnosticato solo qualche giorno fa”

La presa delle mie mani sulla tazza si fece più forte a quelle parole. No. Non era possibile. Burt era una persona splendida, ne aveva già passate troppe, era inaccettabile. Probabilmente la mia espressione terrorizzata lo preoccupò perché le sue labbra si piegarono in un debole sorriso, come a confortarmi. Lui che confortava me, assurdo. Eppure non sapevo proprio cosa dire.

“Ma sto bene! L’abbiamo preso in tempo e i medici parlano già di completa guarigione. Può spaventare sì, parecchio... ma tutti sono più che ottimisti”

A quelle parole sentì il mio cuore riprendere il suo battito regolare. Poi un’orribile consapevolezza lo alterò di nuovo: Kurt. Ne sarebbe uscito distrutto, lo conoscevo. 

“Io... cosa vuole che faccia?” chiesi cercando di capire come potevo dare una mano in quella situazione.

“Vedi per Kurt il Natale è sempre stato un periodo splendido ma anche estremamente doloroso, per via di sua madre...”

Io annuì a quelle parole, ricordando quando Kurt mi aveva raccontato di lei, degli alberi di Natale e del suo profumo. Avrei fatto di tutto per rendere meno dolorosa quella festività che entrambi amavamo tanto.

“Non sarà facile dargli questa notizia e anche se ne sarà devastato non lo darà a vedere perché... beh, è fatto così” Burt si strinse nelle spalle abbozzando un sorriso al pensiero di suo figlio prima di riprendere il suo discorso “Quindi voglio regalargli qualcosa di grande, capace di farlo sorridere e soprattutto che gli stia vicino...”

Ancora non riuscivo a seguirlo; voleva forse un consiglio su cosa regalargli? L’unica cosa che mi veniva in mente in grado di fare tutte quelle cose era un cucciolo, ma non ero certo se Kurt avrebbe apprezzato un batuffolo disordinato che si intrufola ovunque e ricopre i suoi vestiti di peli.

“Voglio regalargli te, Blaine” Burt mi guardò con un sorriso soddisfatto mentre la mia bocca si spalancava. Ero di nuovo senza parole. Stavo per replicare quando il signor Hummel mi bloccò con un gesto della mano.

“Lo so. So che tu e Kurt ultimamente avete avuto degli alti e bassi, ma resti una persona importante per lui. Da quando ha conosciuto te Blaine, Kurt è rinato... io... non so nemmeno dirti quanto te ne sia grato. Era un ragazzino impaurito che si è trovato troppo presto ad affrontare faccende troppo grandi per la sua età, e guardalo adesso: è a New York, con il lavoro dei suoi sogni e l’accademia più prestigiosa della nazione che lo aspetta a braccia aperte. Non dico che senza di te non ce l’avrebbe fatta ma... non dubitare mai di quanto tu sia stato importante per lui, ok Blaine? E sì. Ce l’ho ancora a morte con te per averlo fatto soffrire, ma è Natale e voglio che tu gli stia vicino. Ora più che mai ne avrà bisogno, anche se è troppo orgoglioso per ammetterlo...”

Entrambi sorridemmo a quell’affermazione, consapevole di quanto fosse vera.

Mi presi qualche istante per riflettere su quelle parole, tanto vere quanto toccanti. Burt era una persona eccezionale e più lo conoscevo più ne avevo la certezza.

Sicuramente aveva ragione, Kurt avrebbe avuto bisogno di qualcuno vicino. Avevo solo paura di non esserne all’altezza.

Dopo quella telefonata prima della gara, avevamo ricominciato a parlare. Certo non tanto quanto prima, ma mi aveva chiamato entusiasta per l’ammissione alla NYADA e avevamo parlato anche di Natale: ci eravamo ripromessi di vederci ma i voli erano costosi e nessuno dei due poteva permetterseli al momento. Mi ero già rassegnato a non vederlo, a cancellare la nostra tradizione del duetto natalizio... e poi era arrivato Burt.

“Sarei felicissimo di accompagnarla a New York ma... è davvero sicuro che sia una buona idea? Non vorrei solo complicare le cose per Kurt” ammisi confessando le mie insicurezze. 

A quelle parole Burt Hummel rispose con un sorriso e porgendomi un biglietto aereo.

“Fidati di me Blaine”

Presi il biglietto dalle sue mani un po’ titubante, ma decisi di lasciarmi trasportare da quella fiducia. Sì. Kurt aveva bisogno di me, e io ci sarei stato, in ogni caso. Anche se significava trascorrere una giornata con lui senza poterlo abbracciare o baciare. Non si trattava di me, ma di lui. Gli avevo promesso che ci sarei sempre stato, in ogni caso, ed era proprio quello che avrei fatto.

 

***

 

Il nostro aereo era atterrato a New York all’incirca a mezzogiorno e Burt mi aveva salutato per raggiungere Kurt. Avevamo programmato tutto nei minimi dettagli: avrebbero visto uno spettacolo a Broadway, avrebbero parlato e poi in serata Kurt mi avrebbe raggiunto. 

In attesa di quel momento mi ero goduto la città, girando qua e la con un cappuccino e una ciambella fino a che mi ero ritrovato davanti al palazzo della NYADA. Non era stato possibile entrare, ma solo guardandola avevo capito che quello era il mio posto. Rachel ne parlava sempre raccontandomi meraviglie, e io sapevo che tutto quello che volevo nella vita era cantare. 

La musica mi aveva salvato, mi aveva fatto tornare a vivere. Non l’avrei mai abbandonata.

Avevo passato mesi a immaginarmi quanto sarebbe stato magnifico il mio primo giorno lì, con Rachel che mi scortava in aula facendomi da cicerone e raccontandomi tutti i pettegolezzi di cui era venuta a conoscenza in un anno; un sogno stupendo. Certo, tutto era diventato ancora più fantastico da quando a quell’immagine si era finalmente aggiunto anche il viso di Kurt. Ero così fiero di lui, sapevo che sarebbe riuscito a entrare!

Ma forse lui non sarebbe stato altrettanto contento per me. 

Davanti a quelle imponenti mura, promisi a me stesso che avrei rinunciato a quel posto se significava ferire Kurt, e a malincuore mi lasciai l’edificio alle spalle. 

 

Kurt mi raggiunse puntuale come al solito. Lo vidi arrivare con una aria confusa e spaesata, ed esplodere in un sorriso sorpreso quando finalmente lo chiamai. Suo padre aveva ragione: ne valeva la pena, anche solo per vedere quel sorriso. 

Cantammo insieme, pattinando e sorreggendoci a vicenda, ma quando i nostri volti si avvicinarono troppo fui il primo a ritirarmi per non rovinare tutto. 

Non ero venuto per riconquistarlo, non quella volta, ora aveva solo bisogno di un amico.

Parlammo della sua ammissione, mi raccontò di Rachel e del suo nuovo flirt, e io lo aggiornai sugli ultimi pettegolezzi di Lima, trattenendo a stento una risata quando finalmente vidi l’espressione di disappunto sul suo viso quando gli confermai per l’ennesima volta che sì, gli Usignoli avevano vinto le Provinciali. Avevo già sentito i suoi commenti acidi al riguardo al telefono, ma confrontarmi con quegli occhi era tutt’altra storia!

Quando a mezzanotte ci abbracciammo, mi sentì morire. Avrei voluto restare fra le sue braccia per sempre, senza mai separamene. 

Ma lo lasciai andare, gli sorrisi e ripresi a chiacchierare con lui e suo padre mentre tornavamo a casa. 

 

La mattina seguente mi svegliai quando sentì il mio cellulare vibrare. La mia schiena era a pezzi per la notte passata sul divano, proprio come mi aspettavo, ma non avrei certo preso camera di Rachel lasciando a Burt quel posto tanto scomodo. Ne tanto meno avrei potuto dormire con Kurt, purtroppo.

Risposi a mia madre ancora assonnato, parlando piano e cercando le scarpe per poter uscire sul pianerottolo e non svegliare nessuno. 

Le feci gli auguri, le raccontai di New York, poi mi passò mio fratello e riagganciai non appena lo sentì dire “Allora ve la siete spassata stanotte? Dai, lo so che è così...”.

Irritato ma divertito dal comportamento troppo prevedibile di Cooper, tornai in casa richiudendomi delicatamente la porta alle spalle.

Mi sorpresi nel trovare Kurt in piedi davanti a me. Aveva l’aria assonnata, i capelli scompigliati e il viso ancora arrossato. Era bellissimo, e nonostante il ricordo dell’ultima conversazione che avevamo avuto in quell’appartamento in una mattina piuttosto simile fosse una ferita ancora aperta, sorrisi guardandolo.

“Scusa, non volevo svegliarti”

“Non preoccuparti, non sei stato tu. Ero sveglio da un po’ e... sai, iniziavo ad avere bisogno di caffè” disse stringendosi nelle spalle e facendo un cenno alla moca sul fuoco.

Annuì avvicinandomi a lui, senza mai smettere di guardarlo negli occhi. Quanto li amavo, erano così profondi e azzurri. 

“Buon Natale Kurt...” sussurrai a pochi centimetri da lui.

“Buon Natale Blaine” anche la sua voce suonò poco più di un sussurro e il suo respiro caldo mi soffiò sulla pelle talmente eravamo vicini.

Nessuno dei due sembrava volersi allontanare, ma allo stesso tempo entrambi avevamo paura a colmare quella piccola distanza che ci divideva.

Lo volevo così tanto. Perdermi nelle sue labbra, accarezzare il suo viso e stringere i suoi capelli fra le dita, dimenticando tutto il resto.

Ancora una volta, Burt accorse a porre fine a quella situazione. Lo sentimmo alzarsi e avventurarsi in cucina con passo pesante, e a quel punto io mi allontanai mettendo le mani in tasca mentre Kurt versava il caffè in tre grandi tazze.

Non ne ero certo, ma avrei giurato nel silenzio di sentire un cuore battere forte. E non era il mio quella volta.

 

 

Ci eravamo svegliati tardi, quindi tutti ci trovammo d’accordo nel concordare che era sicuramente meglio saltare il pranzo e preparare la cena di Natale, invece che il tradizionale pranzo.

Io e Burt aspettavamo con ansia l’incontro della giornata, Boston Celtics vs Brooklyn Nets. Avevamo anche fatto una piccola scommessa: entrambi eravamo ben consapevoli della totale incapacità di Kurt di seguire una partita, ma io ero certo che sarebbe riuscito a reggere almeno un intero minuto prima di rifugiarsi fra le pagine di Vogue; Burt invece era convinto che non durasse più di trenta secondi. E ovviamente vinse lui.

Mentre pagavo la mia sconfitta, Burt mi chiese dei miei progetti per il futuro e il mio cuore smise di battere per qualche istante in attesa della reazione di Kurt quando parlai della NYADA.

Lui sorrise, dicendomi che sarebbe stato fantastico, eppure qualcosa nel suo sguardo mi fece dubitare di quelle parole. Ricordai la promessa che avevo fatto, e mi ripromisi di accertarmi che davvero non fosse un problema per lui.

Mentre guardavo la partita, di tanto in tanto lanciavo un’occhiata nella sua direzione; era completamente assorto nella sua lettura, talmente da non accorgersi dell’eccitazione di suo padre che saltava sul divano ogni volta che la squadra faceva canestro. 

 

Kurt preparò la cena, rifiutando ogni tipo di aiuto possibile cedendo solo quando gli presi i piatti dalle mani per apparecchiare. Ovviamente, era tutto delizioso e nonostante la bizzarra situazione, fu una cena piacevole per tutti quanti.

Burt si addormentò sul divano poco più tardi, stanco per la giornata e pieno per l’abbuffata; mentre Kurt lo spingeva premurosamente a dormire in camera io mi rimboccai le mani iniziando a lavare i piatti.

“Non c’era bisogno, ci avrei pensato io domani mattina” disse Kurt raggiungendomi, appoggiandosi al mobile poco distante da me mentre mi guardava.

“Hai fatto tutto tu oggi, fammi dare una mano. Tu siediti e rilassati” sorrisi dolcemente, aprendo l’acqua per sciacquare i piatti.

Kurt esitò qualche istante, poi facendo forza sulle braccia si sedette sul ripiano accanto al lavandino e prese una manciata di pistacchi.

“Quindi... la NYADA hai detto?” disse dopo qualche secondo di silenzio, sgranocchiando visibilmente impacciato. 

Preso un po’ alla sprovvista, salvai in tempo il piatto che avevo in mano riuscendo a non farlo fracassare a terra.

“Sì, mi piacerebbe provare. Ma se per te non è un problema Kurt! Io.. davvero, non voglio metterti in situazioni che-...”

Lui mi interruppe.

“Ti voglio qui Blaine. L’ho sempre voluto e lo vorrò sempre, qualsiasi cosa accada. L’hai detto anche tu: anche se non staremo insieme, ci saremo sempre l’uno per l’altro”

Sollevai lo sguardo verso di lui, chiudendo l’acqua e asciugandomi le mani dopo aver riposto anche l’ultimo piatto.

“Sì, sempre” sussurrai perdendomi in quello sguardo. Come avevo fatto a dubitare anche solo un secondo di noi, quando eravamo la cosa più ovvia e più giusta del mondo?

“A che stai pensando?” mi chiese incuriosito, rendendomi impossibile negare perché mi conosceva troppo bene.

“Pensavo che sono stato un idiota a credere di non essere fatto per stare con te. Talmente idiota da meritarmi di perderti, e non di... festeggiare Natale con te, cantare insieme e sognare di seguirti qui tra qualche mese. E soprattutto pensavo al fatto che ti amo più di ogni altra cosa e sarà sempre così” ammisi senza smettere di guardarlo e gesticolando come ogni volta che ero agitato mentre mi avvicinavo a lui. 

Posai le mani sulle sue ginocchia e abbassai lo sguardo mentre sentivo le lacrime pungere da dietro le palpebre, e le trattenni a stento perché avevo pianto abbastanza e soprattutto perché meritavo ogni singolo istante di dolore che aveva portato a quelle lacrime.

Quando sentì l’inconfondibile brivido che accompagnava ogni tocco di Kurt, sentì la sua mano sollevarmi il mento per guardarmi negli occhi.

“Tu non sei un idiota Blaine” disse solo dolcemente.

“Si invece lo sono Kurt io non-...” posando un dito sulle mie labbra mi zittì.

“Tu non sei un idiota perché io non mi potrei mai innamorare di un idiota” 

A quelle parole i miei occhi si fecero più lucidi e la vista si appannò per via delle lacrime che stavano lentamente sfuggendo al mio controllo.

Kurt ne acchiappò una che rigava la mia guancia, scacciandola con una leggera carezza.

Finalmente così vicini, guardandolo davvero e ammirando il leggero sorriso che incurvava le sue labbra, ebbi la certezza che mi amava davvero. Conoscevo fin troppo bene quello sguardo e potevo giurare che non era cambiato per niente.

Lo strinsi forte a me, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e respirando il suo profumo.

“Sempre” ripetei lasciandomi cullare dal battito del suo cuore.

“Sempre”

  
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