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Autore: GinevraCorvino    25/01/2013    4 recensioni
Questa FF riprende in tutto e per tutto gli avvenimenti del terzo libro della Rowling : Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban. In realtà io lo considero un libro che con l'ausilio di un personaggio inventato Lenora Corvino ( di cui detengo tutti i diritti), ripercorre con occhi e punti di vista alternativi la Storia.
E' il mio Sogno. Nulla di più.
Chiedo cortesemente a chi avrà voglia di sfogliare la mia immaginazione, di segnalarmi qualsiasi tipo di incoerenza ( sopratutto cronologica), con il testo originale della Rowling. E fatemi sopratutto sapere che ne pensate.
Grazie.
Non esistono Miracoli in terra, ma per fortuna esiste la Fantasia.
Il terzo e il sesto capitolo hanno partecipato al Contest"Can I have this dance?" di EmmaStarr giungendo sesta e vincendo con mio sommo orgoglio il premio speciale Stile.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Il treno scarlatto sfrecciava veloce lungo le morbide campagne inglesi. Il fumo della locomotiva era possente e regolare, si confondeva con un cielo plumbeo, pronto a scoppiare da un momento all'altro, riversando così tutta la sua foga su quel paesaggio già torturato dal vento.
Lenora aveva trovato uno scompartimento dove potesse essere sola. Guardava dal finestrino il susseguirsi del panorama, mentre Eclisse ancora rogava per il viaggio sballottato nel Nottetempo. Distrattamente lei lo carezzava con una mano, ma il gatto impermalito non accennava a perdonarla per quel tragitto schizofrenico dell'autobus viola.
Quando era giunta a King's Cross nessuno le aveva detto come arrivare al binario 9 e 3/4; si era guardata intorno irritata con Piton che, ne era convinta, deliberatamente non le aveva accennato alcuna informazione.
Avviatasi col carrello verso il binario 9 e 10 aveva notato che gettandosi nel mezzo di un divisorio, ragazzi con gufi e rospi, svanivano, come ingoiati dalla pietra. Si era accodata senza proferire parola e, al momento del proprio turno, aveva tirato un sospiro e si era lanciata, uscendo in un'altra stazione dove un treno fiammeggiante borbottava impaziente di partire.
Il treno per Hogwarts non poteva che essere quello.
Scivolò tra la fiumana di gente, leggera come un alito di vento, tra i borbottii, le grida e i saluti. Lei non aveva nessuno, perciò si sbrigò a trovare un posto e a chiudere porta e tende, con la speranza che nessuno entrasse; ed adesso era lì: diretta verso quella scuola, con il suo gatto nero acciambellato sulle sue gambe, ancora profondamente stizzito da quell'infernale viaggio.
Con una guancia poggiata sul palmo della mano, la vampira era assorta in una serie di elucubrazioni pindariche.
In fondo che ci faceva lei lì? Conosceva la risposta di Klaus, non poteva restare in Italia dopo tutto il macello che aveva fatto, però perché mandarla in una scuola di stregoneria in Inghilterra?
E come avrebbe fatto con la sua fame?
Un accenno di collera le fece mordersi un labbro. Nello stesso momento qualche enorme goccia di pioggia si suicidò sul finestrino. Un tonfo sordo che la riportò con la mente nello scompartimento. Il labbro le sanguinava appena, lo toccò con un dito che poi si mise in bocca come fosse un leccalecca e chiuse gli occhi.
Hogwarts...
Ormai il cielo non ne poteva più di trattenersi, era come un gigante ubriaco pronto a vomitare, che nello sforzo di non farlo fosse divenuto cianotico sino allo spasmo.
Lenora si chiese perché non esplodesse e basta; e come se questo l'avesse udita in un momento la pioggia iniziò a riversarsi violenta senza più remore. Non sapeva spiegarselo, ma quello schianto del cielo la calmava dalle sue ansie. Non ci aveva fatto caso prima, ma era tesa come la corda di un violino.
Le luci dello scompartimento si accesero fastidiose e dopo pochi minuti il treno iniziò a rallentare. Lenora guardò fuori nell'ombra. Che fossero già arrivati? Ma l'unica cosa che videro i suoi occhi vampirici furono delle lugubri figure dai mantelli stracciati che fluttuavano lungo il treno.
Sul finestrino si formarono lunghe ragnatele di ghiaccio. Anche se lei non poteva sentire freddo, fu lampante che la temperatura era calata di colpo.
Il gatto si immobilizzò in una contrattura dall'erta e in un secondo schizzò sotto i divanetti dello scompartimento.
Una mano scheletrica graffiò il vetro. Fu un attimo. Mille grida le straziarono la mente, si sentì soffocare dal suo stesso sangue, quasi che questo volesse fuggire dal suo corpo. Il dolore era atroce, le urla incessanti; lacrime di sangue le arrivarono agli occhi strabuzzanti. Poi fu silenzio.
Così come era iniziato, era finito. Era rimasta solo la pioggia, indifferente, a battere isterica contro il metallo del treno.
Ancora sconvolta Lenora sentì aprire la porta dello scompartimento. Si voltò come un automa verso quella figura dai capelli color paglia in piedi con la bacchetta sguainata.
La ragazza ansimava vistosamente, come se non riuscisse a respirare, l'uomo entrò, e nello sforzo di alzare lo sguardo su di lui, un rigetto di sangue le fuoriuscì dalla bocca. L'individuo le si sedette accanto mentre lei continuava a tossire come una tisica.
- Signorina Corvino, so chi è lei. Non credo debba proseguire sul treno. -
Lenora lo cercò con occhi appannati dallo sforzo del conato.
- Delle urla...delle urla. -
L'uomo la guardò senza alcun ribrezzo, anche se lei era in uno stato pietoso, inzuppata dal suo stesso sangue e a zanne estese.
- Mi lasci andare un momento dal macchinista. Tornerò immediatamente da lei.-
Le mise una mano sulla spalla, senza timore, con estrema dolcezza, Lenora ne avvertì il calore... e il sangue. Lo osservò nuovamente, non poteva dire di riuscire davvero a vederlo, tutto era sfocato, ma aveva uno strano odore.
Lo sconosciuto si alzò, ma prima che uscisse dallo scompartimento fu trattenuto dalla domanda della vampira: - Perché? -
- Perché lei è un'assassina - rispose quasi triste lui e si chiuse la porta alle spalle.
Lenora non riusciva a ragionare, ma quella frase le tamburellava nelle tempie.
Un' assassina.
Sì, lo era. E allora?
Dopo qualche minuto quello strano individuo tornò.
- Signorina Corvino, sono il professor Lupin. Prenda questa. -
Il professore le diede una boccetta dal colore scuro e denso.
Lenora l'aprì e subito fu invasa dall'odore dolciastro e metallico del sangue. Afferrandola con entrambe le mani la trangugiò come se fosse l'ultimo pasto al mondo.
- Mi spiace signorina, ma credo sia meglio smaterializzarzi ad Hogsmeade e arrivare al castello tramite la metropolvere. In questo stato lei è pericolosa.-
Lenora lo fissò dritta in volto e finalmente lo vide. Un uomo piacente, ma trasandato, dalla barba mal rasata e cicatrici lungo una guancia.
-Si, certo -
- Ho mandato un gufo al preside per fargli presente la situazione, non credo ci saranno obiezioni, per di più quello che è successo è inaccettabile.-
- Mi scusi professore, ma cosa è successo? -
- E' successo che i dissennatori di Azkaban non avrebbero dovuto avvicinarsi a questo treno.-
Lenora lo guardò interdetta.
- I dissennatori sono creature malvagie che rubano la linfa vitale degli esseri umani, ogni loro ricordo lo trasformano in agonia e tormento. Sono i guardiani e i carnefici della prigione di Azkaban. -
- Io non sono umana professore - replicò con un accenno di disappunto la ragazza.
- No, non lo sei. - Lupin tirò fuori un fazzoletto e glielo consegnò perché si pulisse il viso dal sangue che la imbrattava come fosse stata immersa nella vernice. Lenora lo prese e iniziò a strofinarsi il volto e le mani con piccoli scatti nervosi.
- Credo che ciò che lei abbia subito, fosse la disperazione delle sue vittime. -
Lupin la scrutava serio e lei smise di pulirsi.
- Vive del sangue altrui, e quel sangue è stato rubato, strappato ai legittimi proprietari portandoli alla morte .-
Lenora non rispose, abbasso le ciglia lunghissime sul fazzoletto intriso e sulle mani appiccicose del vischioso liquido. Era vero, portava nel suo corpo la vita degli altri. Era un otre riempito di vino, non era lei il vino.
- I dissennatori devono aver fiutato tutto il dolore e il rancore del suo sangue e vi si sono gettati come in un banchetto delizioso. -
- E' successo solo a me? - chiese in un tono quasi infantile la ragazza non viva.
- No, anche un'altro ragazzo si è sentito male, ma in modo diverso. Lui è umano. -
Gli occhi di Lenora erano di nuovo due galassie lilla, grandi e impossibili. Il professor Lupin le sorrise e lei si sentì spiazzata.
- Presto, ha bisogno di risistemarsi prima dello smistamento. I bagagli le verranno recapitati nella Casa a cui sarà assegnata.-
Lenora si alzò in piedi come un automa, l'uomo dagli occhi gentili le porse la mano e lei l'afferrò.
Un attimo, un gorgo. Non erano più sul treno.
Il panciuto gatto nero riemerse ancora più irritato di prima dal suo nascondiglio.
  
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