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Autore: fortiX    26/01/2013    4 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Angeal e Genesis… Dove avevo già sentito questi nomi? La mia mente iniziò a scartabellare le mie memorie, alla cerca di un qualunque indizio che mi portasse a far cessare quel fastidioso campanello trillante in testa. Il primo nome mi sovvenne quasi subito. Merito di Zack, non faceva altro che parlare di lui. Era stato il suo mentore, mi raccontò. Un uomo onesto e giusto, dai saldi principi, molto legato dall’onore. La Buster Sword era appartenuta proprio a lui. Quella spada fu forgiata dalla famiglia Helwey, quando il giovane rampollo divenne SOLDIER First Class. Zack mi raccontava che Angeal non utilizzava mai la spada, a meno che non fosse stato strettamente necessario. Non voleva che si sfilasse o si arrugginisse. Non era un fatto di avarizia, ma il motivo andava ricercato nel significato racchiuso tra gli intarsi d’acciaio. Quell’arma rappresentava l’onore su cui la famiglia Helwey aveva costruito i suoi saldi principi; gli stessi principi che avevano guidato Angeal e trasmessi da lui stesso a Zack. Quest’ultimo gli passò a me. Ricordo che lui ammirava moltissimo quell’uomo, tutto quello che sapeva gli era stato insegnato da quella figura stoica e incorruttibile. Ricordo che un giorno Zack mi raccontò di quando SOLDIER cadde in disgrazia per la prima volta. Disse che molti soldati di Seconda e Terza, seguirono la follia di uno dei Prima. Non mi disse quel nome. Angeal e Sephiroth riuscirono a tenersi fuori da quella storia per un primo momento, ma Zack mi diceva che comunque notò una profonda paura scuotere i loro animi. Soprattutto nell’argentato, il quale, mi rivelò il ragazzo, cercò perfino di evitare qualunque scontro con questa persona, inviando al suo posto Zack stesso. All’epoca non ero in grado di reagire, ma se fossi stato in me, avrei storto il naso davanti a questa realtà; ma ora, col senno di poi, sono sicuro che il moro mi avesse raccontato la verità. Sephiroth era un pavido, lo ha ammesso lui stesso, però sono davvero curioso di sentire la sua versione al riguardo. Sono certo che da qualche parte tra questi fogli, lui mi racconterà di quel periodo. Poi arrivò la crisi e tutto il mondo che i due SOLDIER conoscevano crollò sotto i loro piedi. Solo Angeal riuscì a risalire da quel baratro e ritrovare la forza di aiutare le persone che amava. Una forza che, quando morì, trasmesse a Zack attraverso la Buster Sword. Ora che ci penso, credo che quella spada fosse stata forgiata per un destino molto più alto di quello per cui era stata pensata all’inizio: combattere Jenova. E ogni persona che l’avesse impugnata sarebbe stato destinato a sconfiggerla. Io contro Sephiroth, Zack contro il Prima impazzito e Angeal contro se stesso. Rileggo le ultime righe di quella giornata e comprendo l’identità del terzo SOLDIER: Genesis. L’amico di Angeal. Il figlio del ricco proprietario terriero di Banora. Zack non me ne parlò mai, ma quel nome mi era famigliare e dovetti spremere ogni mia cellula cerebrale per ricordare dove l’avessi già sentito. Poi, l’illuminazione.
Il Trio.
Mi diedi una pacca sulla fronte. Il pensiero dei racconti di Zack mi avevano offuscato la memoria, impedendomi di focalizzarmi sulle figure dei due SOLDIER. Quand’ero poco più di un dodicenne, vidi in televisione un’esibizione di combattimento eseguita da tre agenti d’élite. Il tutto era sponsorizzato dalla ShinRa. Non ricordo il motivo di quello spettacolo, però, dato il periodo di piena guerra contro Wutai, ho il sospetto si trattasse di una manovra pubblicitaria per rimpolpare le truppe della compagnia. Fu la prima volta che vidi Sephiroth in azione. Sono cresciuto inseguendo il suo mito, ma la televisione a Nibelhim era un vero lusso all’epoca. La compagnia aveva speso un bel po’ di soldi per far arrivare l’informazione ovunque pur di invadere le giovani menti delle potenziali bestie sacrificali sull’altare di quella guerra assurda. Ricordo Sephiroth al centro e, appena dietro di lui a guardargli le spalle, un tizio massiccio dallo sguardo severo dipinto sul viso alla sua destra, mentre a sinistra un tipo vestito di rosso dall’espressione furba. Il gigante indossava la divisa d’ordinanza nera dei Prima e impugnava la tipica spada di infima fattura che la ShinRa dava ai suoi soldati. Era molto anonimo, se non fosse stato per l’enorme spada che spuntava da dietro le sue spalle. La lunga elsa rossa sfavillava sotto il sole cocente di quel pomeriggio arido di Midgar. Aveva un viso dai lineamenti duri e decisi, nessun capello corvino andava a nascondere la sua espressione seria. Dava tutta l’impressione di un perfetto soldato, obbediente e fedele. L’unica nota di “ribellione” era la Buster Sword; sebbene fosse una spada molto semplice, i cui unici fregi erano le linee ritte che incidevano il forte, la piastra bucata al centro per alleggerire la struttura e la guardia cinta da un manicotto dorato, abbellito da bassorilievi ondeggianti. Comunque, era in ottime condizioni: il metallo brillava in tutta la sua bellezza e nessun graffio grava sul quel materiale perfetto. Sembrava che non fosse mai stata usata. Appena il cameraman la inquadrò, il possente padrone si voltò e lo osservò di sottecchi, con sguardo quasi feroce. A quanto pareva non amava che fosse nemmeno guardata, quella spada. Il presentatore chiamò il nome del SOLDIER e lui si mise sull’attenti.
Angeal, il suo nome era Angeal.
Egli piantò la spada d’ordinanza a terra e, mentre avanzava, sfilò la grande arma con un gesto fluido, senza apparente fatica, e se la portò alla fronte, afferrandola con entrambe le mani. Si raccolse in meditazione per un secondo, chiudendo gli occhi e la rinfoderò dietro alle spalle, senza troppe cerimonie. Un gruppo di ragazzi dietro di me, iniziò ad esultare, accompagnato dai sospiri di alcune ragazze, probabilmente innamorate del gigante. Uno strano mormorio nervoso iniziò ad aleggiare nel bar del padre di Tifa. L’altro, invece, era la perfetta contraddizione del primo e la copia stravagante di Sephiroth; come quest’ultimo, indossava un cappotto di pelle, ma, invece di nera, di un rosso acceso. A differenza dell’argentato, il quale teneva il petto nudo sotto le spesse bretelle di cuoio incrociate sul cuore, egli vestiva una maglia nera a collo alto sotto al cappotto lasciato aperto. Le spalle erano protette da un tipo di spallacci di forma romboidale, lunghi fino a quasi al gomito. Essi erano di metallo, ma la faccia esterna era rinforzata da uno strato di pelle nera, tenuto in sede da borchie d’acciaio disposte per tutto il bordo. Infine, due orecchini argentati pendevano rifulgenti dai lobi, appena nascosti dal taglio sbarazzino dei capelli rossicci. A differenza degli altri due, dalle fattezze e abbigliamento abbastanza anonime, lui donava un po’ di colore ad un trio che sarebbe stato solo bianco e nero. Perfino la sua spada era qualcosa di davvero spettacolare: lunga almeno quanto la Masamune, si trattava di uno stocco dalla lama rosso sangue su cui erano incise formule magiche in una lingua sconosciuta. L’elsa era poi qualcosa di meraviglioso! Il metallo della guardia era stato lavorato affinché prendesse la forma di due ali spiegate. Al centro di esse risplendeva una pietra viola incastonata nel metallo. Al di sotto di essa, il ponticello si congiungeva alla guardia, divenendo una piccola ala dotata solo dei contorni metallici, molto fine ed elegante. Al termine dell’elsa vi era un prolungamento metallico che portava all’elaborato pomolo di pietra. Le altre due spade sembravano così rozze a confronto a questa. Si capiva bene che quel tipo avesse un gusto artistico e una personalità molto spiccati. La telecamera, infatti, si soffermò molto su quell’oggetto, affinché la gente a casa potesse ammirarne la bellezza, poi l’inquadratura salì fino al viso del rosso, il quale ne approfittò per regalare un sorriso ammiccante.
Alcune ragazzine iniziarono a sbraitare come lo videro. Poi, fu un pesante schiamazzo appena venne detto il suo nome.
Genesis, sì proprio così.
Alla chiamata, egli avanzò con superbia, roteando la mano libera. Appena il polso fece un mezzo giro, lui bloccò l’arto e s’inchinò al pubblico. Quando tornò eretto, portò la spada alla fronte per un raccoglimento veloce e, con gesto secco, fendette l’aria, sprezzante. Un sorriso sadico gli deformò il volto. Si leggeva la voglia di sangue, incontenibile, impellente.
I gruppi di prima iniziarono a battibeccare tra loro, riguardo ai gesti di saluto.
Mi ricordo che scossi la testa. Non capivo cosa ci trovassero in quei due tipi, quando per me c’era un solo SOLDIER per cui valeva la pena morire. Tutto il mio essere fremeva per vedere il mio idolo.
La sua presentazione fu lunghissima. L’ annunciatore iniziò ad usare termini senza alcun senso per cercare di descrivere la grandezza dell’uomo che stava per avanzare: Sephiroth non aveva bisogno di tutta quella solfa. Bastò il suo nome e il suono acuto della Masamune fendere l’aria, che l’intero Pianeta tremò a causa del potente boato di acclamazione scatenato dalla folla impazzita. Da Midgar a Nibelhim, tutti si alzarono in piedi, unendo le voci a quello degli altri per osannare quel Dio supremo e perfetto. Ricordo che mi voltai verso i gruppetti spaesati, osservandoli con aria di soddisfatta. Nonostante Sephiroth fosse la metà di Angeal e molto meno appariscente e scenografico di Genesis; la sua fama indiscussa, la sua aura di gloria attiravano molti più fan di quanti quei due avrebbero mai trovato in mille vite. Per tutti noi era lassù, nel Pantheon degli eroi, intoccabile.
Santi Esper, quanto ci sbagliavamo!
Dopo qualche altra spiegazione, la folla attorno a loro scomparì in mille pezzi. Di primo acchito rimasi di stucco da quello spettacolo, ma il telecronista spiegò che i tre SOLDIER si trovavano nella sala addestramenti e che la folla era in realtà una ripresa della piazza esterna al palazzo. Rincuorati, la dimostrazione ebbe inizio e un nuovo fondale venne ricostruito. Non ricordo bene di che cosa si trattasse, ricordo solo centinaia di mostri saltare fuori da ogni anfratto di quel luogo digitale. E poi loro. Il Trio. Perfettamente coordinati. Non aveva nemmeno bisogno di parlare, né di guardarsi. Bastava che uno muovesse appena la spada per attaccare un mostro, che subito l’altro s’infilava per coprirgli le spalle o per attaccare a sua volta. Pur combattendo fianco a fianco, in un marasma indistinto di sangue e metallo, ognuno di loro manteneva la propria individualità. Angeal combatteva con forza, mantenendo la posizione, spazzando via i nemici con fendenti ben assestati e difendendo strenuamente il proprio spazio. Si muoveva rapidamente, ma, rispetto agli altri, era molto più statico. Di rado utilizzava le magie. Comunque, era calmo e rilassato, ma estremamente concentrato sul combattimento e i suoi compagni. Genesis, invece, faceva largo uso della Materia, infondendola nella lama per potenti attacchi magici, per poi combinarli con la sua potenza fisica. Inoltre, copriva uno spazio molto più ampio di quello del moro, saltando da una parte all’altra collaborando con Sephiroth per una serie di evoluzioni. Quest’ultimo, beh, si prestava ad ogni tipo di combattimento, dal difensivo all’offensivo, divenendo la vite portante della strategia di gruppo. Non aveva alcun problema a cambiare ritmo, girandosi una volta verso Angeal e la volta dopo verso Genesis. Era così preciso e pulito che sembrava si muovesse al rallentatore , volteggiando elegantemente sul terreno, quasi a sfiorarlo, e calando spietato la sua Masamune dove esattamente doveva, anche dovesse essere uno spazio di un solo centimetro. Ben presto capii il ruolo che aveva ognuno: il moro difendeva il gruppo a terra, mentre il rosso la fase aerea. L’argentato coordinava il tutto, muovendosi dove era necessario e gli altri si spostavano di conseguenza. Visto da fuori sembrava una strategia semplice da capire, ma i tre erano così veloci e letali che, nel tempo da me impiegato, avevano già fatto fuori migliaia di mostri. E anche se fossi stato in grado di capire prima era pressoché impossibile avvicinarli. Quella strategia semplice era talmente efficace da diventare una vera fortezza e, con a capo uno stratega come Sephiroth, sarebbe stata impossibile da espugnare. Era uno spettacolo unico, quei tre erano la perfetta reincarnazione della VERA potenza della ShinRa. Quelle lame erano quelle che stavano conquistando l’Occidente, con i loro barlumi abbacinanti bianchi e rossi. Il Presidente stava facendo bella mostra dei suoi gioielli più preziosi, dimostrando quanto la Compagnia non avesse rivali contro niente e nessuno. Sephiroth, Angeal e Genesis erano il futuro, una promessa di gloria eterna e potere assoluto su tutto il Pianeta. La forza della Scienza. Durante l’esibizione venne intervistato il vecchio Presidente, il quale passò la parola a Hojo. I suoi occhietti neri a malefici brillavano di puro orgoglio, mentre parlava alla telecamera. Resta da chiedersi se fosse fiero del figlio o dell’esperimento.
Presi un profondo respiro e arrivai alla triste conclusione che quel vecchio pazzo sbavasse per i dati rilevati dai sensori della sala d’addestramento, che per l’eccellenza raggiunta dal figlio. Come si può ignorare così la persona che ha sacrificato tutto affinché venisse coronato il suo sogno di gloria? Io non sono un padre, ma credo sia naturale pensare al bene della prole, prima del proprio. Scuoto la testa.
Dannazione, si sta parlando di Hojo! Quando mai ha fatto una cosa naturale?
Mi chiedo come abbia fatto Sephiroth a mantenere la sua lucidità così a lungo, convivendo con un individuo simile. Quattro anni in sua presenza e io sono quasi diventato un vegetale; LUI deve averci trascorso almeno almeno quattordici anni.
Sopirai.
A volte penso che la sua follia fosse il suo disperato grido di aiuto. Leggendo il suo diario, mi sono trovato a pensare che abbia fatto così tanto male al mondo proprio per indurre la gente a odiarlo fino a ucciderlo. Credo fosse convinto che l’odio fosse il motore di tutto, quella forza disperata, contrapposta alla speranza, la quale sprona la gente a spezzare i propri limiti.
Sono talmente concentrato nei miei pensieri che non mi accorgo del leggero pigolio dei cardini che slittano l’uno sull’altro e dello sguardo attento che mi contempla. Solo quando la voce si leva, infrangendo il silenzio, mi ridesto.
“Cloud? Ma cosa stai facendo?”
La mia spina dorsale si ghiaccia all’istante, inviando brividi in tutto il corpo. Il cuore mi batte così forte che potrebbe spaccarmi il petto da un momento all’altro. Rimango senza fiato e, sebbene i polmoni cerchino disperatamente di far fluire l’aria, io testardamente smetto di respirare. Un altro richiamo, un'altra capriola cardiaca.
“Cloud? Mi senti?”
Rischio l’infarto quando la sento avvicinarsi. Devo reagire! Ingoio a vuoto e mi volto, cercando di sorridere e controllare il tremolio nervoso della voce, acquisendo un tono sicuro e tranquillo.
“Sì, scusa Tifa.”
Cerco di mantenere la mia esultanza, quando si ferma a pochi passi da me. Il suo sguardo indagatore mi spaventa, poiché tenta di oltrepassare la mia figura per vedere i fogli sparsi sulla mia scrivania. Fortunatamente, io sono sempre stato un vero disordinato e, nonostante mi sia ripromesso di ripulire quella dannata scrivania, per un motivo o per l’altro ho sempre rimandato il lavoro. Mi ritrovo a ringraziare la mia pigrizia un migliaio di volte.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, poi Tifa capitola e mi affronta direttamente.
“Ti sto aspettando da mezz’ora. Cosa stai facendo?”
Ok, un bel respiro, Cloud. “Te l’ho detto, ho del lavoro da sbrigare.”
“Di che cosa si tratta esattamente?”
Mi faccio davvero schifo. Sento le budella ribellarsi. “Niente di che. Sto controllando gli ordini e tracciando gli itinerari delle consegne.” Il discorso fila logico e incorruttibile. Mi darei una pacca sulla spalla. ”Se ne sono accumulati un bel po’per questo ci sto mettendo tanto.” Ciliegina su questa torta di scemenze.
La fisso sicuro dritto negli occhi, duellando con quelle iridi dolci e bellissime. Mi accorgo che le sto mentendo orribilmente e ho pure il coraggio di guardarla negli occhi. Mi viene quasi da vomitare. Odio queste cose. Dal più profondo del mio cuore.

Ti odio, Sephiroth.

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Abbiamo litigato per un’ora buona. Tifa ha fatto di tutto per intrufolarsi nei miei cassetti privati e scovare il misfatto. Sapeva benissimo di avermi colto in fallo, ma la paura di perderla era ben superiore alla sua fame di sapere. Non voglio assolutamente che scopra Sephiroth nella nostra casa e che io, deliberatamente, l’ho lasciato entrare dalla porta principale. E’ da tre giorni che non ci parliamo, ma so di essere nel giusto. So di averle mentito, ma è per il suo bene. Scusami Tifa, devi avere un po’ di pazienza. Comunque, sono arrivato alla conclusione che lasciare il diario in casa, soprattutto ora che riprendo a lavorare, è troppo pericoloso. Tifa rivolterebbe tutto l’appartamento pur di trovarlo. Ho deciso, quindi, di portarmelo nella borsa delle consegne e leggerlo nelle pause pranzo. E’ l’unico modo per non incorrere in situazioni sgradevoli. Anche perché vorrei tornare nel lettone. Il divano è davvero troppo scomodo.

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24 Febbraio XXXX

La missione è andata a buon fine, ovviamente, ma un senso di soddisfazione risalta tra le righe elettroniche del rapporto inviato al GQ. Naturalmente, mi sono limitato a informare i miei superiori solo riguardo agli aspetti tecnici. Non ho assolutamente rivelato nulla riguardo al mio piccolo esperimento.
Ma andiamo per gradi.
Prima di partire, ho fatto chiamare Genesis e Angeal nella mia tenda: avevo bisogno di confermare le mie impressioni e approfondire meglio il loro carattere. Non volevo che la mia smania di conoscere qualcuno simile a me mi portasse a compiere una mossa avventata. Farsi accompagnare da due fanti semplici in una missione da Generale non sarebbe stato molto responsabile. Dovevo assicurarmi al 100% di potermi fidare di quei due ragazzi. Anche perché non è che ci tenessi molto a dover compilare una missiva di cordoglio alle famiglie dei due sodati e precisare che erano morte per colpa di una mia svista. Non credo ci avrei dormito la notte. Detesto perdere soldati sotto al mio comando. Lo percepisco come un fallimento da parte mia. Non so perché ma mi sento in dovere di proteggerli. E’ mio preciso compito vincere la guerra, ma è mio dovere farlo con meno perdite possibili. E’ una delle mie tante ossessioni.
Comunque, quando i due entrarono al mio cospetto, a stento repressi l’istinto di scoppiare a ridere davanti a loro, sebbene parlassero sottovoce. Poco prima che loro entrassero, udii i loro discorsi trapelare attraverso il pesante telo facente funzione di porta divisoria tra l’entrata della tenda e il mio, per così dire, alloggio. Discutevano sul fatto di essere stati richiamati dal Comando Centrale e cercavano di carpirne il motivo. Era davvero esilarante! Una voce severa e profonda fu la prima a colpire il mio udito, formulando frasi di accusa con tono evidentemente preoccupato. La difesa non si fece attendere e la voce giovanile e spaccona dell’altro interlocutore si levò con qualche decibel di troppo, richiamando l’attenzione del mio attenente, il quale riportò il silenzio con un ordine autoritario. I due ragazzi tacquero subito, ma, poco dopo, ricominciarono a bisbigliare tra loro. Cared, l’attenente, entrò seguito dai miei obiettivi. Il trio si fece sull’attenti, non appena furono dentro. Io già gli osservavo imperturbabile, anche se dentro di me c’era una certa trepidazione. Feci cenno all’intruso di andarsene ed egli si congedò. I minuti successivi furono carichi di tensione. Studiai attentamente i due fanti ritti davanti a me: entrambi se ne stavano impettiti in completo silenzio, ma vedevo nei loro occhi sentimenti contrastanti. Angeal era furioso, mentre Genesis sembrava quasi sfidarmi con quel sorrisetto mezzo accennato. Il denominatore comune, comunque, era il terrore. Avevo sentito storie davvero fantasiose girare tra i soldati, riguardo i miei colloqui. Si diceva che tenessi sul tavolo una zanna di Behemuth, imbevuta col veleno del Basilisco, e che pugnalassi al cuore con quell’oggetto chiunque osasse interrompermi. Oppure un’altra raccontava che la mia tenda era completamente ingombra da rastrelliere reggenti qualunque arma, dalla più convenzionale alla più bizzarra, con le quali compivo i più terribili orrori e torture. Altri parlavano di membra dei nemici uccisi da cui prendevo l’inchiostro per firmare i rapporti; di piume di Fenice e frattaglie di animali mitici… Insomma, ce ne era per tutti i gusti. E l’origine di ognuna mi sfuggiva. Molti soldati entravano ed uscivano incolumi dalla mia tenda, ma a quanto pareva non era sufficiente. Molti soldati rischiavano il collasso quando si presentavano davanti alla mia figura. Perché mi devono temere così? Anche Angeal e Genesis non facevano eccezione, ma devo ammettere che si sforzavano parecchio per nascondere il timore. Dopo averli studiati notai sguardi rapidi e fugaci scambiarsi reciprocamente tra loro (colti con una certa difficoltà devo ammettere), i quali erano sinonimo di un’ammonizione silente da parte del moro e una disperata supplica dal rosso. Probabilmente, Angeal non aveva intenzione di mentirmi per coprire il compagno per l’ennesimo misfatto. Feci per alzarmi e Genesis sbottò, con un energetico passo in avanti, la cui foga mi lasciò spiazzato. Nessuno aveva mai osato fiatare senza il mio permesso. La cosa m’infastidì parecchio. Mi disse che qualunque cosa fosse successa la colpa era tutta da attribuire a lui medesimo. Lo sguardo allucinato di Angeal fu impagabile: dovetti richiamare a me tutta la forza di volontà per mantenere la serietà. Decisi, quindi, di concentrarmi su quella testa calda del rosso e gli andai a brutto muso, piantandogli dritto nelle orbite il mio sguardo assassino. Vidi i peli rizzarsi dal brivido gelido che gli provocai, ma, nonostante questo, sostenne il mio sguardo. Potevo percepire il suo cuore battere all’impazzata, inebriare il mio udito col suo ritmo incalzante. Un sorriso sadico mi si dipinse sul volto, mentre l’altro stringeva i denti. Ben presto divenne una sfida tra noi due. Genesis non aveva intenzione di distogliere lo sguardo e, quando capì il mio intento, assottigliò gli occhi, assumendo un’espressione divertita. Dopo circa un minuto Angeal s’intromise nella nostra silente sfida, afferrando il rosso per una spalla. Egli perse la concentrazione e distolse lo sguardo verso l’amico. Le iridi del soldato s’infiammarono, ma un ammonimento gelido da parte del moro spense ogni protesta. Fu in quel momento che capii il forte legame che li univa e della cui potenza mi dimostrarono nei giorni successivi.
Come affermato all’inizio di questo paragrafo della mia vita, la missione è andata a buon fine. Molto buono, sotto ogni punto di vista. Ciò è dovuto non solo alla mia esperienza decennale in questo genere di incursioni, ma anche dai partners che mi ero scelto. Al di là delle loro straordinarie abilità nel combattimento, ciò che ci ha permesso di sopravvivere è stato il grande affiatamento che li univa. La mia analisi iniziale si rivelò errata: ho scoperto, infatti, che Angeal e Genesis si conoscono da anni, sono come fratelli dai caratteri completamente opposti. Il primo ha un carattere molto simile al mio, forse anche influenzato ad un profondo rispetto verso il mio grado; mentre il secondo è il genere di persona dalle mille sfumature. Forse è questo che mi incuriosisce del ricco soldato di Banora: egli ha un carattere complesso, pieno di intrighi e sensazioni, ma dietro a questa facciata percepisco un oscuro segreto. Mi sfugge quale. Il mio istinto mi dice di non fidarmi fino in fondo, ma la mia mente è così incuriosita da questa percezione che m’induce a ignorare la prudenza. Inoltre, Genesis è riuscito a strapparmi un sorriso sincero in più di un’occasione, grazie alla sua spensieratezza. Riesce sempre a vedere il lato positivo delle situazioni e ho già capito che non smetterà mai di punzecchiarmi. Angeal interviene scocciato da quel comportamento poco onorevole nei miei confronti, ma gli ho comunicato che preferisco così. Finalmente c’è qualcuno che mi tratta come una persona normale. Accettato questo, il moro si è aperto un po’ di più, sciogliendo quella tensione che il rosso da un paio di notti cercava di sciogliere. Quella sera abbiamo chiacchierato amabilmente quasi tutta la notte. Non credevo di riuscire ad intrattenere una discussione così lunga e articolata, andando anche a ripescare nelle memorie che custodisco così gelosamente. Non amo parlare di me, ma loro sono riusciti a sfogare un po’ del mio strazio interiore. Non è molto per alleviare anni e anni di accumulo emotivo, ma ho conosciut
o il mio primo sonno tranquillo da quando ho ricordo. Devo ringraziare la sfacciataggine di Genesis: egli non ama ricevere ordini, soprattutto da un suo coetaneo. Ha aggiunto, inoltre, che ha capacità superiori a quelli della maggior parte dei suoi camerati e che potrebbe aspirare anche al mio grado. A quelle parole credo di essere scoppiato a ridere come mai nella mia vita, mentre Angeal lo prendeva amichevolmente a botte, ammonendolo di scarso rispetto. A quel punto, accolsi la sua sfida: l’indomani avrebbe guidato la nostra incursione nella base nemica e raccolto documenti importanti per aiutarci a stanziare una base stabile qui sulle coste di Wutai. Il brillio che vidi nei suoi occhi mi rabbuiò. L’oscuro segreto viene a galla. La sua smania di uccidere non la invidio; se fosse per me lascerei queste terre per ritirarmi su un’isola deserta. Nonostante io abbia questo terribile talento, io non cerco il sangue, anzi lo rifuggo dove è necessario. Quella scura scintilla mi spaventa. Temo di essermi lasciato sopraffare dalla mia bestia sanguinaria, quando proposi quella sfida. Genesis ha la capacità di estrapolare l’ego rinchiuso dalle persone. Da un lato non vorrei che fosse altrimenti, poiché forse un giorno potrò liberarmi dall’enorme peso che mi affligge lo stomaco; ma dall’altro mi sfida in continuazione, costringendomi ad andare oltre ogni mia inibizione per dimostrargli che il mio grado è stato guadagnato duramente. Ad un costo altissimo, per giunta. Sono combattuto: vorrei lasciare perdere le sue provocazioni, ma il mio orgoglio non conosce remore. Per quanto il mio desiderio di uguaglianza sia forte, non riesco a scrollarmi di dosso l’individualità. Forse perché non fanno altro che ripetermi quanto io sia speciale e unico… Non lo so. La mia bestia è più subdola di quanto pensassi. Mi ritrovo a scoprire che qualunque legame io potrò mai formare, ella lo inquinerà, spezzandolo in mille pezzi. Per quanto quella serata sia stata piacevole, mi ha lasciato una profonda inquietudine nel cuore. Guardavo i due amici scherzare. Era una cosa così semplice… Cosa c’è che non va in me?
Prima di assopirci, Genesis mi confessò che mai avrebbe sperato di trovarsi così a stretto contatto con me. Mi disse che mi vedeva come una figura lontana e di irraggiungibile perfezione. Ammise che quest’ultima fu, per lui, una fonte d’ispirazione per fare del bene al villaggio di Banora. Mi ricordò, inoltre, di una lettera inviatomi anni fa, prima che lui entrasse in SOLDIER, in cui descriveva gli straordinari progetti realizzati da se stesso per la sua terra natia. Rimembro quella missiva. Ricordo distintamente che provai una fitta d’invidia. Una raccapricciante, terribile fitta al cuore. Lo odiai per quello, per affondare ancora di più la lama nella ferita. Un ragazzo della mia età, con alle spalle una famiglia che lo amava, un gruppo di persone riconoscenti e amiche strette attorno a lui. Percepii quel calore solo immaginandolo. Tra l’altro, quella maledetta lettera arrivò il giorno dell’anniversario della morte del Professore. L’ira che mi causò fu enorme. Avrei voluto mandare una task force a distruggere quell’insulso villaggio e strappare le budella a quel ragazzino petulante. Strappai la flebile carta e ne bruciai i frammenti. Me ne pentii quasi subito, appena la rabbia sbollì. Ricordo che mi chiesi perché. Perché proprio a me? Esistono così tante persone e infinte possibilità per ognuna. Quale formula statistica può stimare la sfortuna che mi ha colpito? Spesso mi trovo a fare calcoli su calcoli per darmi una risposta razionale. La mia mente rifiuta la possibilità del destino, non voglio pensare di avere queste capacità perché sono nato nel posto giusto al momento giusto. O posto sbagliato al momento sbagliatissimo, per quanto mi riguarda. Non voglio assolutamente assumere che una forza superiore si diverta a giocare con la mia vita. Voglio i dati, le prove empiriche, gli algoritmi precisi. Aerith ride di me su questo concetto. Lei dice che prendo troppo la vita troppo sul serio, che dovrei godermi ciò che ho e non rincorre ciò che mi manca. Poi mi sgrida, affermando che la vita non è un ammasso di numeri e probabilità, ma qualcosa che va oltre la fredda scienza. Mi mostrava i suoi fiori, invitandomi a toccarli per saggiarne la morbida consistenza e l’estrema delicatezza. Non è la stessa cosa. I vegetali hanno un’esistenza molto più semplice di un essere umano; non hanno preoccupazioni, se non quella di crescere e fotosintetizzare. La piccola sospira sconfitta, poiché io non riesco a cogliere i suoi insegnamenti sottintesi. Mi è difficile pensare in modo così innocente e ottimistico. Ho visto troppe cose che lei non può nemmeno immaginare nei suoi incubi peggiori. Alla mia domanda ‘Allora cos’è la vita?’, non sa darmi una risposta soddisfacente. E’ ancora una bambina, nonostante una spiccata saggezza. Non posso pretendere domande esistenziali a cui fior fior di filosofi non sono ancora riusciti a venirne a capo. Ma io voglio capire. Voglio capire il motivo per il quale io sono quel che sono, sapere da dove viene la mia bestia, comprendere perché non sia capace di stringere nemmeno i legami più semplici. E’ come se mi trovassi in una bolla di ghiaccio e tutto quello con cui entra in contatto scivola su di essa, impendendo di aderire e tenerla con me. Io non ho un carattere facile, difficilmente mi fido di qualcuno e non amo il contatto fisico; tendo a chiudermi in me stesso e allontanare la gente contando sul mio ascendente su di loro. Come ho spesso ribadito tendo ad interfacciarmi col mondo esterno utilizzando la facciata dell’eroe e assassino sanguinario. Diciamo che mi scavo la fossa da solo, anche se, probabilmente, è un fatto inconscio. Sono stato punito molte volte per aver mostrato pietà o anche solo un accenno di debolezza. Hojo mi ha talmente terrorizzato a mostrare i miei sentimenti che li ho dimenticati. O meglio, fatico a mostrarli. Non so mai bene come interagire con altre persone. Nella mia ignoranza, la mossa più logica è dire la verità, ma spesso non è vista di buon occhio. Col tempo ho capito che la gente vuole sentire quello che vuol sentire e che una conversazione non è nulla più di un duello con le parole. Crescendo, ho capito come usarle a mio vantaggio con la maggior parte dei miei interlocutori. Raramente rimango senza parole per controbattere: gli unici in grado di vincermi sono la piccola Aerith, con la sua innata capacità di leggere nel cuore umano, e Hojo, con il quale ho rinunciato a discuterci.
Chissà se i due SOLDIER sono in grado di tenermi testa in uno scontro del genere? Punto molto su Angeal, in cui rivedo la stoica saggezza popolare della figlia del Professore. Percepisco un uomo molto intelligente e compassionevole, sotto le spoglie ordinarie del soldato fedele. Sento che riuscirà a trasmettermi quei valori rassicuranti e famigliari di cui ho un’impronta molto flebile. Piano piano mi sta insegnando l’altruismo e il quieto vivere, oltre che lo spiccatissimo senso dell’onore. Per lui questo concetto non è solo una parole, ma bensì un duro stile di vita, secondo cui ogni uomo dovrebbe fare affidamento. Non potrei essere più d’accordo e sono davvero impaziente di saperne di più. Purtroppo, di questa pratica ne sono completamente digiuno, poiché sono cresciuto in un luogo dove ogni mezzo, lecito o illecito che sia, è fondamentale per raggiungere il risultato. Vivendo a stretto contatto con uomini completamente privi di qualunque etica morale, ho sempre pensato che tutto il sangue versato sia stato necessario per raggiungere un Bene superiore. Conversando con lui, ho capito quanto fossi in fallo e quanto i miei sforzi per razionalizzare i miei crimini fossero inutili. Ora comprendo il motivo per il quale faticavo a prendere sonno dopo uno sterminio. In cuor mio sapevo. Ho sempre saputo. Ammetto che mi rincuora apprendere che non ho perduto la mia umanità, dopo tutti questi anni. Sorrido al pensiero che Hojo non l’ha ancora vinta su di me. L’ho illuso di avermi vinto. Forse non sono così debole; forse ho ancora una speranza…
Il periodo passato in compagnia dei fanti mi ha donato del tempo per stringere una legame più profondo della semplice gerarchia. Non so quanto potrà durare, ma abbiamo molte cose in comune e, nonostante la loro grande amicizia, ho intuito che siano disposti a riservare un piccolo spazio anche per me. Non credo di aver mai combattuto così in sintonia con altre persone. Sono gli unici a stare dietro ai miei movimenti felini e alle mie strategie mutevoli. La nuova situazione non mi ha fatto rimpiangere le mie missioni solitarie, poiché mi muovevo nel campo di battaglia senza incontrare ostacoli; anzi erano loro che spesso li toglievano al giudizio della Masamune. Fu una sensazione unica poter condividere quell’orrore artistico. Il mio animo è più leggero e ho meno volti da ricordare. L’unico che non riesco a dimenticare è quello di Genesis. Quella scintilla mi preoccupa, sebbene Angeal cercasse di smorzarla strappandogli potenziali vittime dalla traiettoria dalla sua spada. Spero che non si lasci trasportare da quella vena sadica. Spero che la mia vicinanza possa aiutarlo a reprimerla, insegnandogli a controllarsi e riflettere sulle proprie azioni. Questo è uno dei motivi per cui ho promosso loro di grado.
L’altro, invece, è che ho visto una luce alla fine di questo tunnel.

Amicizia


E un Alleluja si leva dal pubblico. Scusate, ma questo periodo, tra le feste e università, non avevo tutto questo tempo per scrivere. Io di solito scrivo in treno, ma erano già due settimane che venivo a casa in macchina, quindi non ho potuto continuare.
Ma cianciamo le bande e seriamo le parole! (*facepalm*… siete autorizzati a picchiarmi)
Ahi ahi, il nostro Cloud comincia a vedere la sua vita incrinarsi. Prima il divano e poi? Di contro, Sephiroth comincia a vedere la fine dei suoi tormenti. La situazione si sta piano piano ribaltando per i due eterni nemici. Caso o coincidenza?
Ringrazio le mie donne per le recensioni e tutti coloro che leggono.
Grazie tantissime!
E infine do il benvenuto a Marciux che ha cominciato a leggere la mia fic (ora dovrò continuare anche con la tua, abbi pazienza!).
Alla prossima!!!
Besos
   
 
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