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Autore: Zeepbels    27/01/2013    6 recensioni
Fanfiction momentaneamente sospesa!
Sessantanovesimi Hunger Games.
Rose Halley viene dal Distretto 9.
Quando, il giorno del suo tredicesimo compleanno, si avvia in piazza per assistere alla mietitura, non sa che tra mille e più biglietti quello estratto sarà proprio quello con il suo nome.
Ma sa che in quell'Arena non ammazza solo il corpo, ma ti toglie anche quel poco di spirito che Capitol City ti permette di tenere.
*Dal capitolo 8*
Ecco perché esistono gli Hunger Games, per lasciare ai Distretti la speranza che i loro ragazzi possano tornare, e ai Tributi il compito di farne fuori il più possibile per riabbracciare la propria famiglia.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 2 – Viaggio di sola andata 
 
Sento che le ginocchia stanno per cedere. Non riesco a pensare a niente, ho la mente completamente svuotata, voglio solo piangere.
 Poi mi rendo conto che la mietitura sarà trasmessa sulla tv nazionale e che tutta Panem la guarderà, perciò provo a ridarmi un contegno.  Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano e salgo gli scalini del palco cercando di stare più dritta che posso.
Jessie Honey mi mette una mano sulla spalla e cinguetta: -Complimenti! Quanti anni hai cara?
Pochi. O almeno, non abbastanza per sopravvivere ai Giochi.
- Tredici – sussurro al microfono. La piazza è così silenziosa che posso sentire il battito accelerato del mio cuore. 
- Oh tesoro, sembri molto più grande!
Probabilmente si aspetta una risposta, ma io sono troppo impegnata a fissare mia madre che piange disperata tra le braccia di papà. Non piangere mamma, io non lo sto facendo più, vedi?
La capitolina deve aver capito che non ho intenzione di parlare, perciò chiede: - Allora, volontari?
Non mi volto nemmeno, non ce ne saranno.  Ma la mamma alza lo sguardo, speranzosa. Nessuno si muove. Il vento freddo mi scompiglia i capelli. Come volevasi dimostrare, sembra dirmi. 
Eh già, il Distretto 9 non è Distretto da volontari, sospiro tra me e me. Ai margini del mio campo visivo vedo qualche ragazza abbassare lo sguardo, imbarazzata.
La Honey prende male questo silenzio. Forse si aspettava una mietitura più interessante, quest’anno.
- Beh, se le cose stanno così, passiamo ai giovanotti! 
Solo allora mi volto per fissare quella mano bianca che si stacca dalla mia spalla e inizia a frugare tra i biglietti dei ragazzi. Non deve prendere quello di Seth. Vado già a morire io, non è abbastanza? E infatti non è lui.
- Martin Fanney!
Dalla fila dei quindicenni spunta un ragazzino basso e un po’ sottoalimentato, i capelli neri gli coprono in parte l’occhio destro ed è pallidissimo. Cammina lentamente, quasi arrancando, verso il palco.
Da qualche parte sento una donna urlare, sua madre, probabilmente. Conosco quel ragazzo, vive in uno dei capannoni vicino ai forni, dove lavorano i suoi genitori. Sono una delle famiglie più povere che conosca.
Poi, vedo un movimento tra i diciottenni e volto la testa di scatto. Seth sta facendo un passo in avanti.
No. Lo fisso negli occhi e lui capisce. Non può farlo, deve pensare alla mamma.
Torna al suo posto, ma non smette di guardarmi.
Intanto Jessie sta accogliendo Martin, senza nascondere l’insoddisfazione.
- Signori e signore, ecco a voi i fortunati tributi che rappresenteranno il Distretto 9 ai sessantanovesimi Hunger Games!
Nessuno applaude, e non hanno torto. Chi esulterebbe con una tredicenne e un quindicenne denutrito come tributi?
                                                                                                      
                                                                                       ***
 
Sono in una stanza del Municipio, seduta su una delle poltroncine di velluto rosso e consunto. Non sto piangendo, a momenti verranno i miei genitori, devo sembrare il più calma possibile.
La porta si apre e un Pacificatore annuncia: - Avete tre minuti.
Alzo lo sguardo e subito la mamma mi abbraccia, bagnandomi il vestito di lacrime: -Oh tesoro, va tutto bene … tutto bene …
Sento papà sedersi al mio fianco e dire: - Ce la puoi fare Rose, sei una ragazza in gamba e …
Si interrompe vedendo il mio sguardo quando mi giro verso di lui. Come può dirlo? Lo sa benissimo che non posso farcela!  E se invece ci credesse davvero?
- Papà, devi solo abituarti all’idea che non tornerò a casa. Ce la farete anche senza di me, saprete sopportare tutto – So che è una cosa terribile da dire, ma è così. Se si abituano già da ora alla realtà sarà tutto più facile.
La mamma solleva la testa dalla mia spalla e urla, disperata: -Rose! Come puoi dirci una cosa del genere!
Le lacrime mi riempiono gli occhi, e stavolta sono io ad affondare il viso tra i suoi capelli lunghi e scuri.
Ad un tratto entra il Pacificatore: - Tempo!
La mamma mi allontana da sé, gridando il mio nome, ma mio padre ha il buon senso di portarla via.
I miei sono appena usciti, quando entrano Seth ed Hannah. Mi chiedo perché mio fratello non  sia venuto insieme a mamma e papà. Sarebbe stato troppo penoso, penso. 
Hannah mi abbraccia e dice soltanto: - Come portafortuna puoi portare il braccialetto che ti ho regalato io.
- Certo – rispondo. Tempo fa, infatti, mi aveva regalato un braccialetto fatto di fili di lana colorati, che per me aveva subito assunto un grande valore affettivo. 
Mentre la mia amica continua a tenermi la mano, seduta accanto a me, Seth mi si inginocchia davanti, sollevandomi il mento con una mano.
- E se morirò come Jack? – chiedo. Jack era mio cugino, morto tre anni prima, quando aveva quattordici anni, ucciso da una spada al bagno di sangue della Cornucopia.
- Non sei sola in questo cammino Rose, non sei sola – risponde fissando i suoi occhi nei miei.
E’ una frase di una canzone che mi aveva cantato proprio la sera della morte di Jack, quando mi ero chiusa in camera, sconvolta. E tanto basta a consolarmi, come allora.
La loro è l’ultima visita che ricevo. Ma a me va bene così.
Quando ci portano alla stazione vedo che, a differenza di me, Martin non ha versato nemmeno una lacrima.
Jessie ci fa salire sul treno che ci porterà a Capitol City. Rimango sbalordita, ferma sulla soglia del vagone. Tavoli, sedie, lampadari di cristallo e dolci di ogni tipo.
- Ti piace eh? – trilla Jessie, allegra. – Aspetta di vedere la tua camera!
Distolgo lo sguardo da tutto quel ben di Dio e mi lascio cadere su uno dei sedili, accanto al finestrino. Martin si siede accanto a me, sempre in silenzio. Guardo, per un tempo che mi sembra infinito, il mio Distretto passarmi davanti agli occhi. So che questa è probabilmente l’ultima volta che ho la possibilità di vederlo.
Entriamo in una galleria, e nello scompartimento irrompono due persone. So chi sono: Emelei Jess e Carl Tank, i nostri mentori. Emelei è alta, sulla quarantina, mentre Carl deve avere pochi anni di più; so per certo che sono sposati, ma che non hanno figli. Troppa paura che possano finire come noi, probabilmente.
Si siedono di fronte a noi e si presentano,provando a sorridere. Carl cerca di non guardarci negli occhi, come se si sentisse in colpa.
- Allora – esordisce Emelei – Come pensate di sopravvivere?
Martin si stringe nelle spalle, poi si alza di scatto e scappa nel suo scompartimento. Emelei sospira, abbassando la testa. Starà pensando che, comunque sia, per lui non si può fare molto. 
- E tu? – mi chiede Carl.
– Imparando il più possibile - rispondo. 
I due annuiscono, distratti. Guardo l’orologio, sono le quattro del pomeriggio. Sento che il labbro inferiore sta iniziando a tremare, perciò me lo mordo.
- Rose, ti chiami così, giusto? , devi essere sconvolta. Vai in camera, fatti una bella doccia e riposati, d’accordo?
Non rispondo, però ubbidisco. La camera è enorme e le docce fantastiche, tutto supertecnologico. Lascio il vestito bianco che indossavo alla mietitura sulla sedia e ne indosso un altro, celeste, morbidissimo. 
Mi siedo sul letto, ma non voglio piangere più, non ora. Stasera, una volta a letto, ne avrò tutto il tempo. Premendo dei tasti su un pannello, posso ordinare tutto ciò che voglio. Decido così di mangiare uno spuntino e, per distrarmi, mi metto a leggere un manuale su come trovare acqua e rifugio in qualsiasi luogo,un pensiero dei miei mentori. Penso che anche Martin, in questo momento, stia facendo la stessa cosa. 
Verso le sette di sera, accendo la televisione: le mietiture. E’ davvero deprimente vedere in faccia un tuo possibile futuro assassino attraverso uno schermo.
Solo alcuni volti mi rimangono impressi: una ragazza alta, bionda e bellissima, diciotto anni, volontaria del Distretto 1; un sedicenne dai capelli rosso scuro che guarda disperato la madre abbracciare una bambina in lacrime di non più di dieci anni, Distretto 6; un ragazzo enorme, volontario, del Distretto 7; due gemelli dai riccioli scuri che non si degnano di uno sguardo, anzi, si scrutano come se già dall’estrazione stiano progettando l’uno la morte dell’altra, Distretto 8. Poi ci siamo io e Martin.
Ecco, ecco chi dovrò affrontare durante i Giochi. Quante possibilità ho di tornare a casa viva e non in una cassa di legno?
Questo è un viaggio di sola andata, penso. Il ritorno devo guadagnarmelo da sola. 
 
Bacheca dell'autrice!
Ragazzuoli ecco in capitolo numero 2! 
Spero non sia eccessivamente da schifio (non schifo u.u) 
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