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Autore: Federico    27/01/2013    2 recensioni
Salve! Questa è la mia prima fanfiction su "Bleach", un'AU di ambientazione storica e di genere militare.
1940; in una Londra devastata dai bombardamenti, con Hitler all'apice della sua potenza, il primo ministro inglese Winston Churchill convoca sette eroici soldati di diverse nazionalità, capeggiati dall'intrepido colonnello Isshin Kurosaki, e affida loro un incarico top secret: costituire un commando di militari d'elite, superaddestrati e forniti degli armamenti più moderni, da impiegare in pericolose missioni dietro le linee nemiche, nell'estremo tentativo di evitare che le potenze fasciste vincano la guerra.
I nostri vivranno avventure mozzafiato su tutti i fronti, dall'Africa al Pacifico, da Stalingardo alla Normandia, e vedranno in prima persona le miserie della guerra, scrivendo pagine tragiche della nostra storia: ma soprattutto, diventeranno amici e confidenti, un gruppo affiatato e scanzonato, unito nelle difficoltà e nella vittoria.
Spero che vi piaccia, e di non aver fatto i personaggi troppo OOC. In ogni caso mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate con le recensioni! Ciao a tutti!
Avvertenza: i capitoli saranno 14, e usciranno, salvo contrattempi, ogni due giorni.
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Spazio autore
Iria: Grazie, grazie mille! La pagina di Nonciclopedia su Renji l’ho letta, ma ed è fantastica (a parte che il povero Byakuya, dopo aver passato tutta la fic a imprecare contro Mussolini, è stato fatto diventare leghista): diciamo che l’idea mi è venuta, oltre che molto banalmente per il colore del capelli, perché in questa fic deve interpretare il ruolo del personaggio superbo, musone e bastian contrario, e ho pensato che un russo, diffidente verso una banda improvvisata di alleati, fosse perfetto.
Quanto ai personaggi, se non sono indiscreto, posso chiederti chi è che ti è piaciuto di più, sia fra i buoni che fra i cattivi?
Devo dire che ho adorato da matti usare Shunsui e Kenpachi, e che ero il primo a ridere delle loro battute, mentre fra i cattivi mi ha divertito particolarmente usare Nnoitra e Aizen, così come li conosciamo, e Ishida nei panni inediti del cattivo.
Gli errori di battitura mi preoccupano e sono dovuti principalmente alla fretta di copiare gli ultimi capitoli, ma ancora di più mi preoccupano gli errori storici, che temo di aver commesso in quantità industriale.
Grazie di tutto, ci vediamo alla prossima!
Ciacinski: Eh già, ma almeno è stato un ultimo capitolo lungo ed avvincente.
Sì, un riferimento alle bombe atomiche è di dovere, ma con altro “tono” intendo principalmente dire che nell’ultimo capitolo saranno narrate le vicende dello scioglimento del commando in seguito alla fine della guerra, con tanto di anticipazioni sulle vite future dei personaggi.
Il tono non sarà più concitato ed entusiasmante, ma calmo, lento e alle volte malinconico: sarà come salutare dei vecchi amici che ci hanno tenuto compagnia per tanto tempo.
Grazie di cuore, e alla prossima!
P.S.: Non so se lo hai notato, ma la ricomparsa di Sado nello scorso capitolo non è dovuta solo al fatto che è uno dei miei personaggi preferiti, ma anche a quello che è, nell’universo di Bleach, nato proprio ad Okinawa.
 
Finalmente, con un certo ritardo sulla tabella di marcia, anche questa storia è andata. Prima di lasciarci, non posso che ancora una volta ringraziare tutti quelli che con costanza ed interesse hanno letto Churchill’s heroes, lo abbiano gradito o meno, e tutti quelli che hanno voluto o vorranno farmi sapere cosa ne pensano.
Quanto alla mia prossima storia, qualunque essa sarà, penso che dovrete aspettare un po’ prima di vederla: non che mi manchino la voglia o le idee, ma in questo periodo sono molto stanco e molto occupato, e in più ho bisogno di un periodo per testare l’affidabilità del computer riparato, ed evitare che mi giochi brutti scherzi.
In ogni caso, vediamo alla prossima: ciao a tutti, e buona lettura!
 

Honora

 
Londra, Regno Unito, 4 settembre 1945
Ecco, finalmente Isshin Kurosaki aveva capito a cosa non era più abituato da molto, ormai: la pace.
Passeggiare per le vie di Londra, in una radiosa mattina che non lasciava intuire la prossima fine dell’estate, assieme al figlio finalmente disteso e sorridente, gli pareva uno strano retaggio di epoche migliori, una consuetudine per lungo tempo dimenticata e ora riesumata in modo graduale e incerto.
Era strano non dover più portare uno zaino sulle spalle, il fucile in braccio e la pistola nella fondina,  e poter camminare tranquillamente, senza bisogno di scrutare tetti e pertugi in cerca di cecchini o di tendere l’orecchio per cogliere il sibilo delle bombe, gli pareva una conquista incredibile.
Perfino tornare a casa propria, mangiare un pasto caldo nel proprio tinello, in compagnia delle figlie che da troppo tempo non riabbracciava, e schiacciare un pisolino sul divano erano atti da vivere appieno, con l’oscuro timore che in realtà fosse tutto un sogno fugace e che presto sarebbe ripiombato in un’esistenza di morte e precarietà.
Dopo la missione ad Okinawa, i membri del commando avevano svolto altri incarichi nel Vietnam occupato dai Giapponesi ed in Manciuria, in vista dell’offensiva sovietica che avrebbe dovuto dare il colpo di grazia all’impero nipponico.
Quest’ultima era davvero arrivata e, unita all’orribile effetto delle bombe atomiche impiegate dagli Americani (da allora Isshin non faceva altro che domandarsi cosa avrebbero potuto inventare di più efficace gli esseri umani per uccidersi, e in colloquio riservato, proprio il 15 agosto, il giorno della resa del Giappone, Stark gli aveva confessato di sentirsi terribilmente in colpa per i fatti), aveva costretto perfino il più irriducibile dei nemici a capitolare e ad accettare l’occupazione straniera, un’onta che non lo aveva mai colpito.
I nostri erano tornati al loro quartier generale in Inghilterra, in vista della firma dell’armistizio, che era stato firmato un paio di giorni prima sulla corazzata USS Missouri all’ancora nella Baia di Tokyo: solo allora le luci nelle Cabinet War Rooms si erano finalmente spente, ed il mondo aveva potuto tirare l’ennesimo, lungo sospiro di sollievo e cominciare a pensare alla ricostruzione.
In attesa di essere ufficialmente convocati e congedati dal servizio, avevano ricevuto un invito di Urahara che, prima di partire per tornare in patria, avrebbe voluto organizzare una festa in loro onore, in ricordo dei momenti piacevoli o dolorosi condivisi: particolare bizzarro, aveva chiesto loro di presentarsi in alta uniforme.
Adesso Isshin e Ichigo si stavano dirigendo verso la residenza del sudafricano nel centro di Londra, e più di un passante li aveva fermati per chiedere loro se si stessero recando a una festa in maschera o se fossero appena tornati dal fronte: il colonnello fra sé e sé aveva imprecato contro l’assurda richiesta del professore (perché questi geni devono sempre essere mezzi matti?) e aveva tirato dritto.
Da un viottolo laterale i due videro fuoriuscire un individuo massiccio dall’aspetto lugubre e familiare, e furono sorpresi di incontrare Kenpachi elegante come non mai: era una delle sue uniformi di prima della guerra, aveva spiegato, aggiungendo che la pace iniziava ad annoiarlo e che presto o tardi avrebbe dovuto inventarsi un passatempo alternativo al servizio militare.
Mentre il polacco parlava in tono infervorato, Ichigo notò che piccole lacrime gli si stavano addensando nell’occhio sano, e provò un’immensa pena per lui: sapeva bene che ormai, quasi sicuramente, la Polonia sarebbe stata di nuovo sacrificata agli interessi delle grandi potenze e ridotta a stato satellite dell’Urss per moderare le ingenti pretese di Stalin al tavolo della pace; era difficile
prevedere come avrebbe reagito un carattere fiero e indomito come Kenpachi ad una situazione del genere.
Fecero l’ultimo pezzo di strada assieme, ed una volta giunti all’indirizzo loro indicato scorsero gli altri cinque commilitoni, anch’essi in divisa, che parlavano fra loro, oggetto ogni tanto degli sguardi stupiti  della gente di passaggio; nell’intravedere Renji, con l’insegna della stella rossa bene in vista sul berretto, il polacco si arrestò e strinse i pugni fremente di rabbia, quindi si impose un minimo di autocontrollo e proseguì.
Avvicinandosi, poterono udire Byakuya che stava spiegando agli altri come, una volta tornato in patria, avrebbe lottato con tutto se stesso per far sì che la dinastia regnante dei Savoia, fin troppo compromessa con il fascismo, lasciasse il potere, e che l’Italia potesse finalmente diventare una repubblica democratica: “Ma non sarà facile, comunque. L’Italia è a pezzi, è piena di rovine e sfollati, e dobbiamo ricostruire tutto da capo. Comunisti, cattolici, monarchici, liberali … Per un po’ dovremo mettere da parte i rancori e rimboccarci le maniche, o non ne usciremo”.
“Oh, guardate chi arriva! Buongiorno colonnello! Buongiorno Ichigo!” esclamò bonario Shunsui, con quell’accento australiano così caratteristico di cui tutti sapevano già che avrebbero sentito la mancanza: era triste pensare che di lì a non molto tempo si sarebbero separati, ed ognuno sarebbe tornato al proprio paese e alle proprie incombenze, ma tutte le cose, belle o brutte, hanno una fine.
“Ben trovati ragazzi! Forza, entriamo o qui penseranno che sia Carnevale in anticipo se continuano a vederci” li esortò ridendo Isshin, e Ukitake bussò alla porta: “C’è nessuno? Professore?”.
La porta si spalancò in meni che non si dica ed apparve lo scienziato, i capelli biondi scompigliati e l’aspetto piuttosto trasandato, senza il solito camice, che con vigore strinse la mano al francese e rispose: “Sono qua, al vostro servizio! Vedrete, vi piacerà la festicciola!”.
Li condusse in un salotto spoglio, dove l’unica cosa che potesse vagamente far pensare ad un’occasione di divertimento erano alcuni vassoi contenenti sandwich e delle bottiglie di birra e vino posati su un tavolo; “Festa?! Il tipico umorismo scadente degli scienziati” sentenziò acido Stark, quindi afferrò un panino ed iniziò a sbocconcellarlo: “Non male però!”.
Mentre tutti prendevano a dare morsi e versarsi bicchieri, una voce proveniente da un corridoio vicino risuonò: “Sì, sono proprio deliziosi quei panini! Prego, mangiate pure!”.
Riconoscendola, tutti si girarono, e dal vano emerse la figura grassoccia di Winston Churchill; cosa ci faceva lì?
Lo statista, che anche dopo aver perso in modo del tutto inaspettato le recenti elezioni a favore dei Laburisti conservava intatto il proprio prestigio personale e la propria influenza politica, si accese un sigaro e prevenne le loro stupefatte domande: “Devo confessarvi che l’idea del professore di tenere un party in vostro onore era genuina, e che io me ne sono appropriato senza ritegno. Volevo aver modo di parlarvi a quattr’occhi, dato che la vostra bellissima esperienza insieme sta per terminare ed io stesso non potrò più incontrarvi”.
Senza perdere tempo, il politico si recò da ognuno di loro per stringergli la mano, accompagnando l’atto con uno dei suoi tipici commenti al vetriolo: “Ed ora, colonnello Kurosaki, vi consiglio di prendervi una vacanza! Ah, colonnello Kyoraku, quando tornate giù ricordatevi di salutarmi i canguri! Maggiore Zaraki, che mondo sarà senza crucchi? Non ditelo a me. Tenente colonnello Ukitake, il generale De Gaulle si è interessato personalmente alle vostre vicende: vedrete, quando tornerete a Parigi vi aspetta una bella sorpesa! Anche a voi Babbo Natale porterà qualcosa maggiore Stark, o forse dovrei dire colonnello? Signor Kuchiki, dovremmo brindare per celebrare i buoni rapporti che si sono ristabiliti fra le nostre nazioni, vi va? Tenente Abarai, il segretario generale non faceva che chiedermi di voi a Jalta: per un po’ sarete al sicuro dalle purghe, ve l’assicuro”.
Per ultimo raggiunse Ichigo, e mentre si stringevano le mani gli chiese: “E tu, figliolo, cosa vuoi fare della tua vita? Io sono vecchio ormai, ma tu hai ancora tempo per decidere. Ti piacerebbe rimanere nell’Esercito? Le paghe sono ottime, e sono certo che faresti rapidamente carriera!”.
Il giovane arrossì, e replicò come se dovesse vergognarsi: “Ehm … Non sono molto sicuro. Prima della guerra stavo studiando Ingegneria al college, e mi piacerebbe riprendere appena possibile”.
Churchill scoppiò a ridere e gli assestò una pacca sulla spalla: “Ben detto Ichigo, abbiamo bisogno di ingegneri per risollevarci dalle macerie! Non preoccuparti, anche quello è un bel mestiere!”.
Urahara li interrupe: “Mr. Churchill, non pensate che sia ora di far intervenire il nostro ospite speciale? Ha molto da fare, e non vorrei trattenerlo inutilmente …”.
“Sicuro! Sicuro! Portatelo qui!” rispose l’ex premier, quindi si voltò a spiegare: “C’è un altro pezzo grosso che vuole conoscervi, oggi. No, state tranquilli, non è Attlee (il leader del Partito laburista vincitore delle elezioni nel 1945 nda): quello è bene che se ne stia a Downing Street a lavorare!”.
Una simile affermazione li gettò nel dubbio, e subito iniziarono ad arrovellarsi su chi potesse essere questo soggetto misterioso: quando il professore sudafricano fu di ritorno, non cedettero ai propri occhi.
Assieme a lui, scortato da un paio di Coldstream Guards con i loro colbacchi e fucili, c’era un uomo austero di mezza età, abbigliato con una divisa di gala piena di medagllie, un berretto dal taglio militare e la sciabola al fianco; nientepopodimeno che Giorgio VI, re di Gran Bretagna, Irlanda, Canada, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda e imperatore delle Indie (ancora per poco).
Tutti ed otto si irrigidirono fulminei nel saluto militare, e quasi non osavano fissare il monarca in volto, tanta era l’autorità che promanava dalla sua persona.
“Riposo, soldati” ordinò con voce calma e suadente il re, quindi, dopo essersi scambiato uno sguardo d’intesa con Churchill, iniziò a parlare: “Per tutta la durata di questo lungo e atroce conflitto avete rappresentato un faro di speranza per tutto il mondo libero. Anche durante i momenti più bui, quando tutto sembrava perduto e molti pensavano al disastro e alla resa, le vostre gesta mi hanno convinto a non demordere, e sono convinto che in ciò il sovrano debba fungere da esempio per tutto il suo popolo. Insieme abbiamo combattuto questa guerra, e insieme l’abbiamo vinta. Se di tutti i milioni di uomini che hanno vestito le uniformi e imbracciato le armi per la patria contro la tirannia, sacrificando la vita, dovessi indicare i più valorosi, sceglierei voi. Provvederò affinché nelle vostre nazioni il vostro valore sia riconosciuto come merita, e vi siano attribuiti i giusti onori”.
Calò un silenzio tombale, pieno di solennità, ma ad un certo punto a Ukitake scappò da balbettare: “G-g-grazie V-Vostra M-M-Maestà. S-siete m-molto g-gentile. D-dio vi b-benedica”.
“Grazie a voi, tenente colonnello” replicò sorridendo il sovrano, quindi soggiunse: “Intanto, rimedierò io: quest’oggi vi conferirò la Victoria Cross, una delle nostre più elevate onorificenze”.
Urahara gli si avvicinò, reggendo fra le mani una scatoletta piena di medaglie, e lo stesso Giorgio VI le appuntò sul petto di ognuno, facendo seguire una calorosa stretta di mano.
“Ci pensi? Sono stato appena decorato da un re! Chi l’avrebbe mai detto!” esclamò entusiasta Kenpachi, sfoggiando la medaglia, al che Renji ribatté fissando la propria e sentenziando: “Puà! Noi non abbiamo re!”; non poteva però fare a meno di stupirsi di come un personaggio così potente potesse mischiarsi ai suoi sottoposti in modo così affabile e spontaneo, così diverso dalla coltre di gelido sospetto di cui si circondava Stalin.
Il monarca, terminata la cerimonia, disse: “Non ho ancora finito! Colonnello Kurosaki, in ginocchio!”.
Isshin ubbidì d’istinto, ma fu solo quando il sovrano sguainò la spada e gli si appropinquò che comprese e cercò di schermirsi imbarazzato: “Vostra Altezza, io … Io sono solo un semplice servitore! Non lo merito!”.
Il re sorrise e rispose: “Sciocchezze, di tutti coloro che ho nominato voi siete probabilmente il più degno”, quindi gli toccò la spalla con la lama e scandì ad alta voce: “Per il potere conferitomi io, Giorgio VI, re di Gran Bretagna e Irlanda, sovrano del Commonwealth e imperatore delle Indie, vi nomino cavaliere per i servigi resi alla Corona. Ora alzatevi, Sir Isshin Kurosaki”.
Il colonnello obbedì, gli occhi colmi di lucciconi di commozione, quindi il sovrano conferì lo stesso onore a Shunsui ed Ichigo; l’australiano, dopo essersi rimesso in piedi, continuò a fissare il proprio
re come se si trattasse di uno strano animale, mentre il giovane dovette soffocare un grosso groppo in gola per non esplodere in un pianto dirotto.
“Purtroppo- aggiunse Giorgio vi- non posso fare cavalieri anche voialtri perché non siete miei sudditi, ma nel cuore consideratevi tali. Da questo momento in poi, siete congedati con onore. La Gran Bretagna tutta vi è grata, ed io vi sono obbligato”.
Tutti ed otto gli eroi scelti da Churchill fecero il saluto, un bagliore comune negli occhi.
La guerra era davvero finita.
 
In seguito, le vicende dei membri del commando si divisero, ma non per questo cessarono di ricordarsi di quegli eventi tanto tragici che avevano stretto un vincolo indissolubile fra loro.
Ecco cosa accadde loro nel resto delle loro vite:
 
·         Isshin Kurosaki continuò a prestare servizio nell’Esercito inglese, ora con il grado di maggiore generale, e fu impiegato in Palestina e in Malesia, dove rimase gravemente ferito in un attacco di rivoltosi, fatto che lo convinse da allora in poi a limitarsi ai lavori d’ufficio
finché non fu messo a riposo. Morì nel 1977, all’età di 82 anni, nella sua residenza sull’Isola di Man.
·         Suo figlio Ichigo, come annunciato, decise di tornare al college, dove si laureò in Ingegneria ed esercitò la professione per molti anni. Si sposò ed ebbe una vita felice e tranquilla. Morì nel 2009, ottantanovenne, a Londra.
·         Nel 1945 Byakuya poté finalmente tornare in Italia dopo un esilio più che ventennale e trovò impiego come giornalista. Contemporaneamente esercitò un’intensa attività politica nella sua Torino e tentò varie volte di farsi eleggere in Parlamento nelle file del Partito Repubblicano, uscendone sempre sconfitto. Si spense a Napoli, dove trascorse gli ultimi anni di vita, nel 1993, a 77 anni.
·         Dopo il termine delle ostilità, rifiutandosi di rientrare nella Polonia ormai ridotta a Stato satellite dell’Urss, Kenpachi fu contattato dai servizi segreti americani e svolse varie missioni per loro oltre la Cortina di ferro. Fu rinvenuto morto in una strada di Budapest, nel 1952, all’età di 54 anni, senza che venisse mai accertato se si era ucciso gettandosi dal balcone della propria stanza d’albergo o se era stato vittima di un omicidio.
·         Ukitake rimase nelle file delle Forze armate francesi e, divenuto colonnello, partecipò alla Guerra d’Indocina. Morì  nel 1953 in Laos, all’età di 48 anni, in un campo di prigionia degli insorti.
·         Shunsui, ora divenuto brigadiere  generale dell’Australian Army, ebbe incarichi prestigiosi durante l’occupazione alleata del Giappone e la Guerra di Corea. Si spense settantaduenne nel 1968, nella propria dimora di Adelaide, in profondo disaccordo con la decisione del proprio Paese di intervenire in sostegno degli Stati Uniti nel conflitto vietnamita.
·         Coyote Stark fu elevato per i propri meriti di guerra al rango di colonnello, e partecipò con coraggio e distinzione alle operazioni in Corea e Vietnam. Morì novantaquattrenne nel 2006, dopo essersi ritirato con il grado di tenente generale e aver ricevuto una gran quantità di decorazioni nel corso della propria lunghissima carriera.
·         Renji, promosso maggiore e decorato come Eroe dell’Unione Soivietica, per lunghi anni ebbe il comando di unità stanziate in Asia Centrale o nei Paesi del Patto di Varsavia. Dopo aver preso parte all’invasione dell’Ungheria nel 1956 e ai brevi scontri di confine con la
Cina nel 1969, ritornò in azione durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, durante la quale rimase ucciso nel 1980. Aveva 62 anni all’epoca, ed era salito fino al grado di tenente generale.
·         Terminata la guerra, Urahara ritornò in Sudafrica, dove continuò la propria carriera di brillante inventore, purtroppo senza grande successo economico. Dopo aver preso le distanze per molti decenni dalla politica di apartheidportata avanti dalle autorità sudafricane, morì all’età di 91 anni nel 1995, a Pretoria, dopo aver avuto la gioia di assistere alle elezioni vinte da Nelson Mandela.
·         Quanto a Winston Churchill, pur perdendo in modo inatteso le elezioni del 1945, rimae una figura di primissimo piano del panorama politico inglese e mondiale. Dopo aver di nuovo capeggiato il Governo dal 1951 al 1955, assistendo all’ascesa al trono di Elisabetta II, e aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1953 grazie al saggio storico La Seconda Guerra Mondiale, passò a miglior vita nel 1965, a 90 anni.
  
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