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Autore: Josie5    30/01/2013    19 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )
 

Sollevai il viso con la matita tra i denti e vidi il Dittatore cercare e poi fermarsi con lo

sguardo proprio su di me. -Evelyne, mi puoi seguire? Hai una chiamata.

Che la preside mi chiamasse per nome non era normale.

Che avesse quello sguardo non era poi per niente normale.


 

18. Veramente sola?


 

Non erano normali ma io pensavo che tutto lo fosse.

Quindi, forse fin troppo stupidamente, mi venne spontaneo fare una smorfia: perchè okay che ero a buon punto nella verifica, ma non l'avevo finita e la parte più difficile l'avevo lasciata per ultima.

- E' così urgente? - Chiesi, esitando e più perplessa che preoccupata.

- Sì, Evelyne; veloce. - Rimasi un po' spiazzata e un po' incerta mi alzai in piedi, lasciando il foglio incompiuto sul banco. Lanciai intanto un'occhiata a Francy che mi guardava non capendo, ma non capivo nemmeno io.

Uscii dalla classe insieme alla preside che, mentre si alzava un leggero mormorio fatto da suggerimenti a mezza voce e, forse, commenti, marciò verso le scale e io la seguii.

Ad ogni passo che, ovviamente in silenzio, rimbombava per i corridoi, cominciava a nascere quella sensazione che avrei dovuto avere fin dalla prima domanda di quella donna: ansia. Perchè qualcosa era successo. Qualcosa era successo: dal tono della preside, dall'insistenza per fare presto. Tutto durante quei passi scese in secondo piano. Anche il compito in classe e ovviamente il nervoso provocato dai comportamenti di Parker.

Entrammo nel suo ufficio e con un gesto controllato mi indicò il telefono fisso, nero e lucido.

Deglutii e a passi lenti, perchè non capivo se volessi davvero sapere arrivata a quel punto, raggiunsi la scrivania. Sfiorai il legno verniciato di scuro; con le dita umide presi la cornetta, la alzai, la avvicinai al viso, sentii la freddezza dell'oggetto sfiorarmi candidamente l'orecchio, poi la guancia; alla fine parlai: - Pronto?

Ci fu una leggera esitazione dall'altro lato, dimostrata da un respiro corto, mezzo trattenuto, ma pensare che l'interlocutore avesse aspettato fino a quel momento, attaccato alla cornetta, mi preoccupò ancora di più.

- Evelyne, sono Holly. - Holly era la migliore amica di mia zia, un'infermiera sottopagata e molto sfruttata al General Hospital, a New York. Ebbi un tuffo al cuore e sentii quasi la testa vibrare per tutte le idee e i pensieri che solo quella voce stava scaturendo.

- Prima di tutto - iniziò, cercando di usare un tono calmo - Non agitarti, tranquilla, ma appena puoi vieni al General, per favore.

Non agitarmi?

- Cos'è successo?! - Chiesi e la mia voce era già isterica; come fossi arrivata a quel punto nemmeno lo sapevo.

- Eve! Calmati!

- No che non mi calmo, se non mi spieghi cos'è successo! - Ribattei quasi urlando e senza pensare alla preside lì vicina, e normalmente mi sarei odiata per usare quel tono con l'amica gentile e affettuosa di mia zia.

- No! Ti stai agitando già adesso! Vieni qua e basta! - Rispose duramente, cercando di non far trasparire niente dalla voce.

Tutto il contrario di me, insomma. - Dimmelo, Holly! Credi davvero che sia meglio lasciarmi all'oscuro di tutto?! Secondo te cosa posso pensare?!

La testa cominciava a pulsarmi già dolorosamente, per il nodo in gola che si stava formando e gli occhi brucianti.

Sentii un profondo sospiro e dai rumori la immaginai mentre frustrata allontanava un attimo il telefono; alla fine si decise. - Elizabeth ha avuto un incidente, ma sta bene adesso, non rischia di morire né niente del genere. E' sedata e deve riposare e, di sicuro, quello che vorrà sarà vederti, quando si sveglierà. Perciò calmati, vieni a New York, ma con calma! Vieni in treno al massimo, Evelyne! Non rischiare di fare un incidente, davvero! E' l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno! - Stava cercando di rimanere controllata, come era riuscita a fare fino a quel momento, ma un singulto alla fine face capire quanto fosse in realtà preoccupata, e il suono mi fece sobbalzare. Era davvero come diceva lei? O mi stava nascondendo qualcosa? Provai a calmare il respiro accellerato, nonostante tutto, perchè alla fine Holly aveva ragione.

Dovevo stare calma.

Ma come si faceva a stare calmi? Come se Elizabeth era la sola vera famiglia che potessi avere? E sarei riuscita a reggere l'eventualità di perdere una seconda volta mia madre? Perchè Elizabeth era mia madre, anche se mi ostinavo a chiamarla zia.

Holly mi disse qualcos'altro, informazioni per l'ospedale, che sapevo già, e sulla camera e boh; risposi ma non capii molto, cercavo di rimanere ancorata con lo sguardo al paesaggio fuori dalla finestra dell'ufficio. Ancorata perchè tutto stava iniziando pericolosamente a girare, le mani mi sudavano sempre di più e una pesante nausea allo stomaco mi faceva rimanere col dubbio se avrei finito per rimettere o svenire direttamente. Non riuscivo a piangere ma l'avrei tanto voluto fare. Forse avrei voluto anche svenire, dimenticare tutto, risvegliarmi e sentirmi dire che era solo uno scherzo di pessimo gusto, sarei stata anche disposta a perdonare l'artefice: tutto purchè fosse uno scherzo.

Ma Holly mise giù e nessuno stava gridando "Candid Camera", c'ero solo io, in quella stanza, mentre agganciavo il telefono, mi sentivo sola. Sola al mondo contro tutto. Senza Elizabeth sarei stata sola. Per un attimo vidi nero e mi agganciai con le unghie alla scrivania.

- Evelyne, ti giustifico, puoi uscire prima da scuola. - La preside, che si era avvicinata, mi toccò un braccio, con una presa forte, quasi pronta a sostenermi fisicamente, più che moralmente, e cercò di parlarmi con dolcezza, ma a quello non era abituata e l'effetto fu strano, però bastò a farmi riprendere e sollevare leggermente.

Annuii e cercai di respirare normalmente, ma l'aria bruciava entrando in corpo.

Feci velocemente la strada che avevo appena percorso e la testa mi girava sempre più, avvolta in pensieri, ragionamenti, sensazioni; tutto mi sembrava così poco reale, come se non fossi davvero io a camminare in quel corridoio, come se quello non stesse davvero succedendo a me. Tutto in momenti del genere sembra così terribilmente irreale, impossibile.

Entrai nell'aula di Trigonometria e gli sguardi di tutti i presenti si concentrarono su di me.

Non avevo idea di che faccia, di che occhi, potessi aver avuto, ma, guardando Francy e vedendo crescere la preoccupazione che prima era solo accennata, pensai giustamente di non avere una bella cera. E l'idea di sembrare così indifesa davanti a una classe fatta per lo più di sconosciuti a cui ero in odio, mi fece correre verso la tracolla, per fare velocemente lo zaino e scappare via, in macchina e poi a New York. Perchè sarei andata in macchina, forse stringere il volante in mano mi avrebbe fatto ricollegare con il mondo.

- Gray? - Il professor Hoppus mi fu accanto subito e mi guardava perplesso, dall'alto, non capendo, ma non sforzandosi più di tanto di farlo.

- Eve, cosa c'è? - Chiese anche Francy dal suo banco, a bassa voce, e sembrava starsi trattenendo a forza dall'alzarsi ed abbracciarmi.

- La preside mi giustifica, esco adesso, il compito è a metà - informai piattamente e la mia voce non era identificabile con Evelyne Gray. Era spenta, piatta, senza vita, solo alla fine si ruppe leggermente, in una piccola protesta finale, come se da sola avesse voluto far sapere che stavo male.

Hoppus mi fissò non sapendo che dire. - Tranquilla, la prossima volta ... - Borbottò e prendendo il mio foglio tornò alla cattedra.

- Eve, dove vai? - Chiese Francy di nuovo, insistendo. Lei era la mia miglior amica e avrei voluto in quel momento stringerla e raccontarle tutto, portarla con me; ma quello non era il luogo e la situazione giusta e io non mi sentivo nel modo giusto. Forse nemmeno mi sentivo sul serio.

- Fai il compito. Finiscilo. New York. - Sembravo un telegramma, il nodo in gola che diventava sempre più grande ed insopportabile, probabilmente mi ci rendeva ancora più simile.

Francy mi guardò mestamente e con la giacca sottobraccio uscii dalla classe senza dire altro e senza puntare lo sguardo su altro che non fosse il pavimento.

Non feci però molti passi prima che la porta che avevo appena chiuso si aprisse.

- Gray! - Mi chiamò ad alta voce, mentre se la chiudeva dietro con un sonoro colpo, soffocando la protesta di Hoppus che gli urlava contro.

Riconobbi la voce senza girarmi e, per quello, aumentai il passo, pronta a correre se necessario, mentre senza rendermene conto con quella frase mi ricollegavo al mondo, ricordandomi di tutto il resto. O forse me ne resi conto e proprio per quello volevo scappare ancora più velocemente.

Lui mi raggiunse facilmente, com'era ovvio, e mi prese per un braccio. Cercai di ribellarmi per sfuggire e non guardarlo ma le sue mani mi afferrarono saldamente, bloccandomi in una presa ferma. Però io non volevo parlare con Parker.

- Cos'è successo?! - Chiese e bloccata com'ero mi fu impossibile non incrociare i suoi occhi e quel verde familiare mi destabilizzò ancora di più; soprattutto perchè sembrava preoccupato. Ma sembrava. Era Parker e io ero già tornata sul pianeta Terra, sapevo cosa succedeva lì, normalmente, sapevo com'era lui.

Cercai di allontanarmi di nuovo ma senza risultati. - Come se te ne importasse! - Risposi con rabbia, ma la voce si incrinò nelle ultime sillabe e pensai di essere sul punto di scoppiare a piangere.

- Sì che me ne importa! - Ribatté anche lui ad alta voce, e aveva un'espressione dispiaciuta che non mi piaceva: faceva sembrare ogni sua parola finta, detta tanto per dire, perchè gli facevo pena. Ed era così, era terribilmente così.

Mi ritrovai ad alzare la voce in quel modo isterico da pianto, quando uno urla anche se non ci riesce e gli manca il respiro. Solo senza lacrime. - Ti importa?! E di cosa?! Ti importa e ti è sempre importato solo dei tuoi giochetti!

Avrei voluto dire altro ma non ne avevo la forza e probabilmente fu un bene, di altre parole mi sarei pentita.

Mi strinse ancora più forte per la vita e le braccia, per non farmi scappare come desideravo tanto. - Evy, calmati, cos'è successo? - Quasi implorò a bassa voce. 

Mi venne da piangere e probabilmente una lacrima mi uscì sul serio. - Mia zia! Okay?! Lasciami andare! Torna a non considerarmi più! La parte del menefreghista ti viene molto più spontanea e naturale, dato che non devi fingere niente!

Le sue mani mi lasciarono sul serio e l'ultima espressione che gli vidi non riuscii a capirla.

Poi mi voltai e scappai via.

Via da Francy che avevo trattato male.

Via dalla scuola che in quel momento sembrava non appartenermi.

Via dai miei impegni che non avevano più importanza.

Via da Max, che forse sarebbe stato meglio se mi avesse stretta più forte, per non farmi scappare in quel modo da tutto.


 


 

Non avevo idea di quanto tempo avessi passato in quella stanza: probabilmente ore, dato che la luce che entrava dalla finestra era già di tardo pomeriggio.

Guardai mia zia, sdraiata nel suo letto, con collarino, flebo e una grande fascia a bendarle la testa. Dormiva ancora, ma mi avevano detto che era normale e di stare calma. Anche i dottori, insieme ad Holly, mi avevano detto di calmarmi.

Perchè tutti mi dicevano di 
calmarmi? Calmarmi quando sentivo di non essermi nemmeno sfogata. Ma alla fine mi ero accasciata sulla poltroncina marrone all'angolo della stanza, vicino al letto, non potendone più.

Elizabeth era stata investita.

A New York ogni giorno veniva investita della gente e le probabilità erano sempre state a mio sfavore.

Scossi la testa, sgridandomi: mia zia stava male e io davo della sfortunata a me stessa. 

Era stata investita, ma a parte qualche contusione e una ferita, più grave delle altre alla testa, che si era procurata contro l'asfalto, stava bene. Holly, si vedeva anche mentre mi spiegava, che per quell'ultima ferita aveva temuto. Ma Elizabeth se l'era cavata con collarino, qualche piccola frattura, un paio di punti e un bel po' di sangue in meno; ma niente di irreversibile, niente che l'avesse portata in fin di vita in sala operatoria, come avevo immaginato drasticamente durante tutto il viaggio in macchina. Sarebbe potuta andare molto peggio, ci avevano tenuto a dire i dottori, sorridendomi.

Fortuna nella sfortuna, ecco. Sospirai e osservai di nuovo mia zia con apprensione. La lasciavano riposare finché poteva, ma avevo una gran voglia di parlarle, come a confermare definitivamente con me stessa che stesse bene.

Guardai il cellulare, cercando per la prima volta di capire l'ora. Mancavano sesanta minuti e le visite non sarebbero state più permesse; io in quanto parente potevo passare la notte lì e sarebbe stato quello che avrei fatto, ma Francy, che due ore prima era partita, doveva muoversi ad arrivare.

Quasi chiamata da quel pensiero, la porta della camera, bianca come tutto il resto, si aprì.

Entrò di corsa Francy, seguita lentamente dalla tarchiata signora Reed.

Io mi alzai e fui letteralmente travolta dalla mia amica.

- Grazie ... - Borbottai, soffocando il viso sulla sua spalla e tra i suoi capelli.

Francy mi accarezzò lentamente la testa e mi strinse davvero forte.

Ci fu un silenzio non imbarazzante, ma un bel silenzio: si riusciva a sentire la gocciolina della flebo.

- Sarai stanca, tesoro, ti vado a prendere qualcosa alla macchinetta? Un thè? - Mi chiese gentile e con fare materno la signora Reed.

Io annuii, da sopra la spalla di sua figlia, e la donna ci lasciò sole: era uscita apposta per quello.

Alla fine ci staccammo, ma intrecciò le dita con le mie con fare affettuoso, e il gesto mi sollevò un attimo, rincuorata.

- Come sta? - Chiese, affrontando il tabù e guardando verso l'unico letto occupato della stanza.

Ci misi un po' a rispondere. - Poteva stare molto peggio, diciamo. Adesso deve riposare e fino a domani pomeriggio, almeno, non credo si sveglierà ...

Francy mi strinse forte la mano. - Mi dispiace di non essere riuscita a venire prima, ma mia madre fino a qua da sola non mi lasciava … E volevo anche restare qua con te la notte, ma non vuole … Domani ti torno a trovare però, a costo di fuggire in treno! - Accennò un sorriso e ricambiai: le guance si alzarono quasi a fatica, ma prendendo coraggio. Mia zia continuava ad essere lì ed ero fortunata.

Francy poi ci sarebbe stata, sempre.

Non ero sola.

Abbracciai di nuovo Francy in un moto d'affetto bisognoso.

Lei rise dolcemente e a bassa voce, influenzata dal luogo. - Vuoi parlarne? Sai che sono qua, sempre; e ci sarò sempre. - A volte sembrava mi leggesse nel pensiero, con quella strana sintonia che avevo visto con frequenza tra Billy e Parker. Pensai all'ultimo e sentii il macigno che avevo al posto dello stomaco, da quando avevo messo piede in macchina, diventare più pesante.

- Ancora no, Francy. Distraimi, per favore.

Continuando ad accarezzarmi i capelli mi raccontò di Hoppus che, nel panico, poco dopo era uscito di classe per andare probabilmente a parlare con la preside e il resto della verifica era stata fatta in comune; lo raccontò con tono leggero, senza soffermarsi troppo sui particolari, davvero per parlare solo di qualcosa a caso.

- Avete sentito? -Pigolai alla fine. Me l'ero chiesta solo sulla poltroncina dell'ospedale, dopo essermi calmata e aver riflettuto su tutto quello che avevo fatto in fretta e furia.

Capì a cosa mi riferivo ed esitò un attimo. - Un po' … Sai le pareti sono di cartongesso e beh … Avete urlato … Ma non si è ben capito il contesto, nessuno ha capito, tranquilla.

Aspettai che continuasse ma non lo fece. - E poi?

- Poi non entrava più … Hoppus è uscito a cercarlo e poi è andato dalla preside. Non so cosa sia successo ma dopo è tornato, Max, e si è messo a finire il test senza dire niente a nessuno. Il Polipo, vedendolo rientrare in classe, è andato su tutte le furie, ma Parker nemmeno lo ascoltava.

La signora Reed arrivò col mio thè, levandomi l'incomodo compito di commentare l'accaduto.

Una buona mezz'ora dopo, forse più, ma era volata così in fretta, le due donne mi salutarono: Francy con la seria promessa di tornare; in cambio le sorrisi con vera gratitudine. Era possibile volere così tanto bene a una propria amica?

Appena uscirono mi sistemai sulla poltroncina, cercando di stare comoda, contro la mia giacca, e rimasi un po' così, con lo sguardo vacuo. La luce mi dava fastidio ma non avevo la forza, né fisica, né mentale, per alzarmi. E mi sentivo piena fino all'orlo di tutta la frustrazione, di tutta la preoccupazione, di tutta la paura.

Cercai con lo sguardo, e poi focalizai, mia zia: i capelli neri e lunghi, simili ai miei, sparsi sul cuscino ma bloccati dalla grande benda. Sembrava dormire tranquillamente, con quel braccio disteso, l'ago e il sottile tubo che ne uscivano.

Tanta paura. Più di qualsiasi altra avessi mai potuto provare.

Sarebbe stato un buon momento per sfogarmi, da sola, su quella poltroncina, ma non ci riuscivo. Ero piena ma non riuscivo a svuotarmi e tremai al pensiero di tenermi tutte quelle brutte cose dentro. Rimpiansi la compagnia di Francy e me la presi stupidamente con sua madre, che non l'aveva fatta restare.

La porta si aprì lentamente. Non mi girai nemmeno, rimanendo al mio posto: l'orario delle visite era appena finito e i dottori probabilmente iniziavano i loro giri di controllo e io non ne potevo più di vedere camici bianchi e persone che mi dicevano di calmarmi.

In quel 
momento ero passivamente calma però, come mi avevano detto di essere. Ma era possibilie che in un certo senso stessi ancora peggio?

La porta venne chiusa, sempre lentamente, come a non voler far rumore.

Finalmente posai lo sguardo verso il nuovo arrivato, che stranamente tardava fin troppo a parlare.

E mi bloccai.

Qualcosa si mosse. Dentro.

Lui abbozzò un sorriso, a disagio.

Parker. Max Parker. Nella stanza 437 del General Hospital, la stanza di mia zia.

Quel qualcosa che si era mosso si spostò definitivamente. E doveva essere un tappo o qualcosa del genere.

Max Parker nella 437. Con la sua felpona rossa da giocatore di basket, nascosta dalla giacca.

Rivolevo il tappo ma ormai era troppo tardi.

Max Parker. Con i suoi occhi verdi che cercavano i miei, incerti.

Era troppo tardi.

Scoppiai a piangere. A dirotto. Singhiozzando ed alzandomi di scatto in piedi.

- Oddio ... - Fu la prima cosa che disse e sentii il rumore di qualcosa che cadeva per terra, ma tra le mie mani con cui cercavo di nascondermi alla vista e gli occhi appannati non capivo niente.

- Gray ... - Mi chiamò e sentii la sua mano appoggiarsi a disagio sulla mia testa. Io ormai ero fuori controllo e non riuscivo a fermare quell'attacco isterico.

- Okay che volevi che non ti considerassi più, ma questa reazione alla mia vista mi pare esagerata - provò a dire, probabilmente per farmi ridere, ma quello che ottenne fu uno sbuffo, un tentativo di sorridere, e alla fine singhiozzi molto strozzati.

Poi si avvicinò e successe qualcos'altro di strano. Non a disagio, ma delicatamente, solo come se non fosse stato abituato a farlo, mi sfiorò con le mani e mi avvicinò. Passivamente, come non ero mai, finii contro il suo petto e non avrei voluto, per non inzuppargli la maglietta, ma lui mi fermò lì, stringendomi. E non erano le sue solite strette, per le braccia, per un fianco, in quei suoi modi contorti, ironici: per tenermi stretta ma non vicina.

No. Quello era un abbraccio.

Automaticamente, a quel pensiero, sollevai le braccia e lo strinsi a me, aggrappandomi alla maglietta. Lui appoggiò il mento sulla mia testa mentre con le mani si muoveva avanti indietro, contro la mia schiena, contro i miei capelli, in un movimento che voleva sembrare distratto, ma erano carezze.

Lentamente cominciai a calmarmi. La schiena smise di sollevarsi a ogni singhiozzo e pian piano si limitò a piccoli colpi, per tornare a respirare normalmente.

- E' vedere la tua … Faccia che mi fa piangere - borbottai alla fine, a fatica, nascondendomi ancora contro il suo petto.

Parker rise piano. - Per l'emozione al pensiero che possa esistere qualcuno di così bello?

Non lo picchiai solo perchè non volevo staccarmi minimamente da lui. - No, perchè è orrenda e fa paura.

- Ah, va bene - rispose con un tono fintamente offeso e facendomi, malgrado tutto, sorridere.

- Come sta? - Chiese a bassa voce e sentii il suo fiato contro i capelli.

- L'hanno investita. Ha perso sangue e … Sta bene. Poteva andare peggio, ci hanno tutti tenuto a dirmi … Collarino e punti e basta - risposi abbastanza sconnessamente, ma ero giustificabile. Sentivo gli occhi caldi e stanchi, di quella stanchezza piacevole: cominciavo a sentirmi meno carica, meno sul punto di scoppiare. Non mi chiesi perchè proprio Parker avesse fatto traboccare il vaso.

Rimase un attimo in silenzio e lo sentii mentre mi tirava i capelli, probabilmente arrotolandoli in un suo gioco strano e non sapevo perchè, ma mi rilassava e avevo proprio bisogno di relax.

- E tu come stai? - Chiese e sembrò quasi dolce.

- Grazie a te meglio ... - Mi pietrificai sul posto appena mi resi conto che a dire quelle poche parole ero stata proprio io, che non mi ero limitata a pensarle. - Cioè, a parlarne con qualcuno sto meglio! - Aggiunsi subito e mi venne da spostarmi per sciogliere l'abbraccio, ma mi trattenne.

Ridacchiò. - E' inutile che correggi, so che intendevi la prima parte senza tanti strani significati! - Commentò con una malizia esagerata, da divertito: voleva solo farmi ridere, non altro.

- Con te non sto mai meglio ... - Ribattei. E stretta tra le sue braccia, al caldo, con il buon profumo di Parker così intenso: suonò tremendamente a bugia.

- Allora, a parte la mia presenza che peggiora tutto, stai bene? - Chiese di nuovo, leggermente divertito.

Schiacciai fronte e naso contro il suo petto. - Non tanto ... - Borbottai. Mi stava spingendo all'angolo facilmente, a confessare le cose che non avevo voluto dire a Francy, che non avevo avuto il tempo di dirle. Ma l'abbraccio e le lacrime appena versate e Max, anche lui, mi rendevano in quel momento tremendamente vulnerabile, era ovvio che fosse quindi così facile per lui riuscirci.

- Tua zia starà bene - mi ricordò, sussurrando.

Rimasi zitta, respirando piano il suo profumo. - Ho avuto tanta paura - confessai, così piano da non essere quasi sentita.

- Tutti ne avrebbero avuta. - Portò la mano tra i miei capelli piano, in una carezza, senza chiedermi di alzare lo sguardo.

- Mi sarei sentita davvero … Sola, senza di lei ...

- Non lo saresti stata.

- Abbastanza ...

- No, ci sarebbe stata Francy - mi ricordò, tornando a rifarmi piano la stessa carezza di prima e continuando, lentamente. - Poi quell'altra morettina che vi portate dietro, ogni tanto. E quei due sfigatelli del tuo giornaletto, anche se loro preferirei non averli attorno, al tuo posto - finì, ridacchiando.

Rimasi un attimo in attesa, non rispondendo e lui capì che doveva continuare.

- Ah, poi avresti avuto Kutcher, visto che se continua così sarà presto accoppiato, o almeno si illuderà di essere accoppiato, con la tua amichetta.

- Quanta gente ... - commentai e mi sfuggì una breve risata, o almeno, un tentativo di farla.

- Ah e poi Billy, gli stai simpatica; non so perchè visto il tuo caratteraccio. - Gli diedi un pizzicotto sul fianco, senza staccarmi.

- Visto?! - Si lamentò fintamente. Poi tornò serio, ricominciando la carezza. - Ma tutto è andato bene. C'è tua zia e ci sarà ancora e tutti quelli che ho nominato ci saranno. Altro che sola, misantropa, manderai tutti a cagare.

Alzai finalmente il viso. Immaginavo che faccia a chiazze, che naso rosso, che occhi osceni, potessi avere, ma non importava. Cercai il suo verde e ci guardammo: io non sapendo se parlare sul serio, lui in attesa.

Ero giustificata?

Sarei stata giustificabile come mentalmente confusa per quasi trauma e lacrime e per avere quegli occhi addosso? Giustificabile per ogni cosa che avrei detto?

Probabilmente no.

Ma lo dissi comunque: - E tu? - Lui ci sarebbe stato?

- Io? - Chiese, ma aveva capito. Cercò di evitare il mio sguardo, passando a osservare i miei capelli con cui tornò a giocare.

Cambiai la domanda originale con un'altra, ma sembravano così simili. - Perchè sei qua?

Esitò, ma nell'indecisione che gli vidi correre negli occhi sembrò arrendersi: - Ero … Ero … Per … Insomma, per venire a trovarti ... - Borbottò, accigliandosi. 

Sbuffai lievemente: mi sembrava ovvio. - Ma perchè? - Mi sentivo tanto una di quelle bambine piccole, con i perchè facili.

Sciolse l'abbraccio e per un attimo temetti di cadere per terra, ma riuscivo a sostenermi anche da sola, quasi mi sorpresi; capii solo mentre traballavo in avanti il motivo della reazione improvvisa.

- Evelyne? - Holly dallo stipite dalla porta, un po' sorpresa, mi osservava curiosa. Non avevo sentito la porta che si apriva?

Arrossii leggermente, sorpassando Parker che si passava una mano tra i capelli, impassibile, e andandole incontro vidi che guardava perplessa il castano.

- L'orario di visita è finito da un po' ... - disse guardando l'orologio e lui.

- Non ne avevo idea ... - mi giustificai. - Adesso se ne va ...

- Posso rimanere anch'io? - Chiese invece lui, di getto, sorprendendo entrambe. - So che potrebbe solo una persona, un parente, ma Evelyne è minorenne ed è per farle compagnia. Non disturberei nemmeno un altro paziente visto che nella camera c'è solo Elizabeth! Non parleremo né faremo niente di rumoroso, prometto! Sarò buono! - Disse tutto velocemente.

Ad Holly venne da ridere, ma lo guardò dispiaciuta. - Mi dispiace, ma non credo proprio che ...

Parker si avvicinò. - Provi a chiedere; un'eccezione!

Holly mi guardò, un po' indecisa, probabilmente se chiedere sul serio a uno dei dottori del reparto. - Ci terresti tanto, Eve?

Perchè tutto a un tratto per quella richiesta fatta da lui ero io quella a tenerci tanto? Ma in effetti ... Pensai a come mi ero sentita prima del suo arrivo, in quei pochi minuti da sola, pensai a come dovevo apparirle anche, in quel momento. - Prova a chiedere, per favore ...


 


 

Sistemai le coperte a mia zia. Il riscaldamento era ancora acceso ma era un febbraio abbastanza freddo, ancora, e degli spifferi entravano dalla finestra.

La guardai sempre con fare apprensivo, ma in modo diverso. Ero più rilassata, in un certo senso, ed ottimista: sapevo che si sarebbe ripresa e che forse già il giorno seguente avrei potuto parlarci ed abbracciarla.

Continuavo ad essere triste per quella situazione, per lei, ma andava meglio, mi sentivo meglio. E quello era grazie a Francy e la signora Reed. E a Parker.

- Non avevano purè, mi dispiace - sentenziò subito, entrando velocemente nella stanza e mordendo già il suo panino.

Mi girai a guardarlo scettica, ma mi sfuggì un sorriso. - Va bene lo stesso.

Il capo-reparto, pregato dall'infermiera Holly aveva accettato, solo per quella prima sera, che ci fossero due “parenti” (Parker era diventato mio “cugino”) in camera. Nel caso fosse arrivato un secondo paziente a occupare il letto vuoto, Max se ne sarebbe dovuto andare, ma eravamo ottimisti.

Quanto ottimismo nell'aria!

Mi allungò il panino e mentre sbirciavo all'interno il tipo di farcitura, si sedette nella mia poltroncina. Lo guardai male, ma ero ancora scombussolata per il pianto e non dissi niente.

Quanto ottimismo e quanta accondiscendenza nell'aria.

- Comunque, come facciamo? - Chiese, arrivato già a metà del suo panino.

- Cosa? - Domandai dopo aver ingoiato lentamente e a fatica il primo morso, perchè okay ottimismo, ma il mio stomaco era ancora chiuso.

- Dormiamo sul secondo letto?

- Ma no, Holly poi ti caccia definitivamente - ribattei e lo osservai perplessa; poi diedi per la prima volta un'occhiata alla stanza: due letti e una poltroncina.

C'era un ovvio problema, ovvio ma non l'avevo notato.

- E come hai intenzione di fare? - Chiese divertito.

Guardai lui e la poltroncina. - E' mia.

Mi lanciò uno strano sguardo di sfida. - Io da qui non mi muovo.

Non poteva sul serio pretendere che dormissi per aria! - E dove dovrei dormire?!

Mi lanciò un'occhiata verdognola abbastanza intensa per poi esordire con un: - Non è problema mio!

L'avrei ucciso.

Mi avvicinai, brandendo il panino e pronta a schiacciargli gli attributi, se ce li aveva, con un ginocchio.

- Ti preferivo prima! - Si lamentò, ridendo però e cercando di tenermi lontana.

Mi ribellai offesa a quell'accenno alla mia crisi isterica e provai di nuovo a picchiarlo, senza molti risultati.

Alla fine mi arresi e mi misi tranquilla a cercare di finire il panino. 

- Se me l'avessero detto subito che la tipa del giornalino era una violenta, con te non ci avrei voluto avere niente a che fare ... - Si lamentò, facendo la vittima e scuotendo la testa.

- E' la tua influenza. Se fossi stata così ad ottobre ti saresti ritrovato morto nel parcheggio - ribattei. E parlare così normalmente del giorno del ricatto con lui mi sembrò strano.

- Ah, che bei ricordi - sospirò esageratamente. - Anche quel giorno stavi per metterti a piangere, ma era più divertente da vedere ...

- Dio, Parker, ti uccido oggi! - Ringhiai.

Lui scoppiò a ridere e provò a farmi un'espressione dolce. - Ma ho detto una cosa carina! - Protestò.

- In un'altra dimensione e detto ad un'altra ragazza forse sarebbe carino! - Scossi la testa, non approvando e continuando a mangiare.

Parker aveva finito e, senza nemmeno alzarsi, centrò con un tiro il cestino lì vicino. Non commentai perchè non ne valeva la pena.

Poi si mise ad osservarmi e sentii, mentre mangiavo e provavo a non muovere troppo la mascella, in soggezione, i suoi occhi sondarmi in modo particolare. Successe qualcos'altro di strano. Un'altra volta. Le mani, che stringevano l'involucro del panino, cominciarono a sudarmi e senza nemmeno rendermene conto probabilmente arrossii. Dopo quella sua breve analisi, dovuta a non sapevo nemmeno cosa, sorrise leggero e si diede un colpetto sulle gambe. - Vieni - ordinò, come ad un cane.

- Eh? - Lo guardai come un pesce lesso.

Ricambiò scetticamente lo sguardo per prendermi in giro.

- Non mi siedo sulle tue gambe - esclamai irritata, riprendendomi a quell'occhiata.

- Non dirlo in quel modo lì, cuginetta, la fai sembrare una cosa peccaminosa! - Commentò ironico, ma ammiccando.

Boccheggiai avvampando. - Non mi chiamare cuginetta! - Riuscii solo a ribattere.

- Dovrai pur dormire da qualche parte ... - Ribatté tranquillo. - Se tengo le gambe aperte e tu ti appoggi qui, dopo romperai solo alla mia spalla, ma ormai quella si è abituata.

- Ma parli sul serio? - Continuavo a non credere che quella proposta, fatta con quegli occhi divertiti, che non promettevano mai nulla di buono, fosse seria.

Sorrise e sul serio, pochi minuti dopo, appena finii il panino e facemmo una piccola andata e ritorno dal bagno lui si risedette sulla, ormai, sua poltroncina, mentre io spegnevo la luce della stanza.

Non lo guardai e andai dalle finestre, oscurandole, aspettandomi già la luce forte l'indomani.

- Quindi, davvero? - Chiesi nella quasi più totale oscurità.

- Sì, su ... - Borbottò, soffocando le parole in uno sbadiglio.

- Poi tu domani non dovresti andare a scuola? - Gli chiesi, andando a memoria dalla sua parte.

- Ti uso come scusa per saltare, contenta?

- Basta che nessuno si metta a inventarsi qualcosa, visto che stiamo a casa lo stesso giorno ... - Andai a sbattere contro il suo piede e mi fermò toccandomi una gamba.

Sobbalzai.

- Ti aiuto a sistemarti? - Mi domandò e dal tono della voce mi uscì automatico il “no”.

Provai a sedermi quindi alla cieca, come mi aveva detto prima lui.

- Porca troia! Evy! Mi hai schiacciato le ...

- Non voglio sapere! Non voglio sapere! - Esclamai subito e mi feci guidare dalle sue mani e in qualche modo ce la facemmo. O almeno, io ero comoda, lui dubitavo.

Ci fu un po' di silenzio.

- Grazie ... - Borbottai, all'improvviso.

Lui sbuffò divertito e con le braccia mi sistemò in modo da stare più comodo: la mia testa contro la sua spalla e lui appoggiato a me. - Di niente.

- E perchè?

- Perchè di niente? Si risponde così, di solito, no?

- Sai cosa intendo ...

Ridacchiò. - Faccio sempre il contrario di quello mi dici: e hai detto stamattina che non dovevo considerarti, quindi.

- Ho detto che potevi continuare a non considerarmi, lo stavi già facendo - parlai chiaro, aiutata come sempre dal buio. Incolpai ancora quelle lacrime traditrici di prima, che ormai mi avevano resa debole come un ramoscello: tutte quelle affermazioni dirette, con Parker!

- Ti sei offesa? - Chiese divertito.

- E tu eri preoccupato? - Ribattei a tono.

Lo sentii fare una smorfia contro i miei capelli. - Siamo pari?

- Solo perchè ti sei fatto due ore di macchina e probabilmente perderai l'uso del braccio dopo stanotte, quindi okay - concedetti.

Non rispose subito. - Stasera assecondi tutto, sei quasi carina - notò.

Lo ignorai. Strofinò leggero il mento, quasi senza rendersene conto, contro la mia testa e sentii il principio di una corta barba che stava ricrescendo.

- Perchè? - Chiesi ancora.

Smise di graffiarmi il cuoio capelluto. - Smettila con questi perchè ...

- No. Perchè mi stavi ignorando? - Anche quella domanda mi uscii diretta e pur non vedendolo sapevo di averlo preso in contropiede.

Esitò davvero tanto. - Boh - rispose alla fine. Mi venne quasi da sorridere esasperatamente, pensando che era esattamente quello che aveva detto Billy.

- Dopo la serata da finti amici era difficile tornare alla normalità? - Chiesi più a me stessa che a lui, però mi sentì.

- Ma sai, Evy, comincio ad avere un dubbio ... - Disse piano e sentii qualcosa di morbido che mi sfiorava i capelli: senza pensarci molto seppi che erano le sue labbra.

- Cioè? - Più tardi mi sarei sentita in colpa. Perchè in quel momento non mi sembrava nemmeno più di essere all'ospedale, nella stanza di Elizabeth Gray, ero con Parker e basta. Ed era sbagliato, tremendamente sbagliato come comportamento, come reazione, che stesse succedendo quello con Parker.

- Comincio ad avere il dubbio che in realtà noi siamo amici.

Non seppi nemmeno perchè, ma sentii uno strano nervosismo a quelle parole. - Max Parker ed Evelyne Gray, amici? Ti ricordo che mi hai ricattato e continui a farlo - gli feci presente, ma ero ansiosa di sentirlo continuare.

Lui rise. - Lo so. Ma a volte non viene da pensarlo anche a te? Perchè ... Non ti viene?

Più o meno. - No.

- Nemmeno quando parliamo di cose normali, ogni tanto, ultimamente più spesso? Finché non dico qualcosa che ti imbarazza e si nota parecchio quando ci riesco, ti comporti da amica. Ma anche quando ti imbarazzi e fai la finta frigida o vuoi picchiarmi è diverso da ottobre ... Le cose sono diverse da ottobre. Non lo senti?

Lo bloccai. Il mio cuore stava andando a mille per quelle poche argomentazioni e non capivo davvero il perchè. - Quindi?

- Siamo amici? - Chiese di nuovo, divertito.

- E non sono frigida ...- mi lamentai, accigliandomi, ma non riuscendo ad assumere il solito tono acido. Ancora per colpa del battito impazzito.

- Ho detto finta, infatti. - E solo con la voce stava ammiccando.

- Forse sì …

- Forse sei frigida?!

- No, idiota. Forse sì siamo amici. Due ore di macchina per me te le sei fatte, alla fine ... - Ricordai per continuare a fargliela pesare.

Rise. - Quindi amici? Però la storia della foto rimane ...

- Vaffanculo.

- Mi ci sono affezionato, insomma ... - Si lamentò, ma non diceva sul serio.

- Vaffanculo.

Mi diede un colpo col mento. - Rispondi alla domanda!

Feci una smorfia. - Amici un po' particolari - concessi e un po' per disturbarlo, un po' a caso, mi misi a giocare con la sua maglietta.

- Con beneficio? - Chiese stupidamente.

Mi uscii una piccola risata. - No, idiota. Amici che si odiano.

- Che si sopportano, dai - provò a correggere, divertito.

- Io non ti sopporto mica! - E in quel momento, così comoda e tranquilla, accoccolata contro di lui, era evidentemente una bugia. Rendermene conto mi fece arrossire e ringraziai il buio.

- Ma non mi odi, per niente. Che litigano a volte, diciamo.

- Spesso. E amici in cui lei picchia lui, quando se lo merita, quindi sempre.

- Un'amicizia violenta, quanto sarà dura uscirne ... - Commentò con fare drammatico, ma l'ultima parte mi fece cominciare a mordere l'interno guancia, nervosamente.

Le sue mani sfiorarono le mie, che gli avevano appena lasciato la maglia. Al contatto sentii le dita bruciare, ma non mi spostai.

- Che si ricattano - aggiunsi a bassa voce.

- Fondamentale. - Ridacchiò facendo tremare, come sempre quando l'abbassava, la voce in quel suo modo caldo e roco.

- Amici che in qualche modo si fanno compagnia. - Il buio mi rendeva stupida, notai, stupida per dire quelle frasi con così tanta semplicità.

- E si consolano … Anche se si odiano.

- Non abbiamo appena detto che non ci odiamo?

- Ah-ah! Quindi ammetti di non odiarmi!

- Sfigato.

Rimanemmo un po' in silenzio ad ascoltare il rumore delle numerose macchine fuori dalla finestra, i passi di dottori e infermiere fuori dalla porta, poi noi che semplicemente respiravamo. - Siamo un po' strani - notai, mentre tornavo a mordicchiarmi le labbra, facendo uscire sangue dalle ferite che avevo aperto in macchina.

- Particolari, no? - Disse piano, senza presa in giro o divertimento nella voce.

- Vero - borbottai.

La sua mano, dalle mie, salì lungo il braccio. Mi sfiorò la maglietta leggero, ma percepivo il tocco sulla pelle; poi raggiunse la spalle e il collo. Io ero rimasta in attesa, lasciandomi perdere le labbra, ferma e quasi febbricitante, da come mi sentivo.

Lo vidi mentre leggermente si chinava.

- Se sei un vampiro e stai per succhiarmi il sangue, dimmelo che ti elimino dalla lista degli amici! - Lo minacciai, cercando di buttare, il prima possibile, l'atmosfera sullo scherzoso, ma la mia voce era un soffio e chissà cosa pensava lui.

- Io volevo baciarti, in realtà ...

Non riuscii più a fiatare, definitivamente, il cuore smise davvero di battere, il sangue di circolare, sentii freddo e caldo allo stesso momento. E aveva solo promesso un bacio, un bacio come me ne aveva già dati.

Chiusi gli occhi di riflesso, così tanto da vedere le stelle nell'oscurità totale, e poi sentii le sue labbra, morbide, sulla mia fronte. In un bacio delicato, senza malizia, senza niente tranne … Tranne cosa? Mi chiesi.

Tutto riprese a funzionare, nel mio corpo. Presi aria velocemente e lui non tardò molto ad allontanarsi di nuovo; il cuore ricominciò prepotentemente la sua normale attività. Mi lasciò una lieve carezza sul collo, sfiorando l'attaccatura dei capelli e poi allontanò la mano anche da quello.

- Amici ... - Sussurrò, impassibile.

Dopo si sistemò meglio, spostandomi leggermente e nessuno dei due parlò più, né io né lui; mi limitai ad appoggiarmi alla sua spalla.

Ma io ero concentrata in quello strano tumulto interiore, quell'assemblea straordinaria dei miei pochi neuroni rimasti, il caos degli ormai troppi ormoni presenti.

Forse stavo anche diventando schizofrenica.

Una vocina mi rimbombava in testa, superando in caos la testa che girava e lo stomaco in subbuglio. Una vocina che forse era più una consapevolezza, un pensiero che stava prendendo dal nulla sempre più consistenza. Ma come poteva essere partito dal nulla?

- Guarda un po', Eve - continuava a dire. - Che tonta, Eve - continuava a sgridarmi. - Alla fine ci sei cascata anche tu, eh?

Provavo a giustificarmi, con me stessa, degna da rinchiudere.

Provavo a giustificarmi ma non ci riuscivo.

- Ci sei cascata un po' come tutte!

Feci una smorfia a quel pensiero. Perchè non era come tutte. Era impossibile che tutte sentissero come me quella fitta all'altezza del petto. Esattamente in quel modo, esattamente per le stesse cause.

- Di Max Parker, ti sei innamorata di Max Parker, nonostante tutto. Che stupida, Eve.

No, no. Era decisamente impossibile, soprattutto per una come me.

- Sicura? - Mi rispondevo però da sola.

Non molto.

 

 

 

Angolo autrice

NON LINCIATEMI!
AHAHAH no premetto che il ritardo questa volta non è colpa mia! Il computer mi voleva uccidere e aveva SIMPATICAMENTE cancellato questo capitolo. Sono dovuta andare alla sua ricerca tra pagine e pagine di conversazione con una mia amica e alla fine l'ho trovato ... Somma fatica e tanta disperazione. Eccolo qua però :D
Questi capitoli di seguito sono con il punto interrogativo non a caso. Evelyne poi si fa ultimamente più domande del solito, è confusa e tutto e alla fine arriva a dirsi (e a chiedersi) quello che c'è scritto nelle ultime righe.

Spero che vi sia piaciuto :D
Succedono taaante cose! E mi dispiace per quello che succede ad Elizabeth ma ho i miei scleri e mi vengono queste idee e boh e ... Vabbè .
In questo capitolo uno degli eventi principali è che comunque Evelyne capisce. Qualcuno forse starà gridando all'"allelujah"/"era ora", ma Evelyne solo adesso chiarisce (abbastanza, lo nega ma lo sa ormai) di provare davvero qualcosa per Max.
I motivi dovrebbero essere chiari e in questo capitolo nemmeno lei può più ignorarli.
Alcune avevano indovinato il motivo della chiamata e praticamente tutte che la litigata sentita fosse tra Parker ed Eve :D
GIURO che la prossima volta aggiorno prima . Okay, non giuro, ma ci provo! :3

 

Direi alla prossima, vorrei tanto sapere cosa ne pensate di questo capitolo, scriverlo è stato difficile e spero di avervi comunicato tutto quello che volevo su Evelyne e Max :)

Amo Maxuccio <3

Alla prossima, care! E grazie mille a tutte quelle che continuano a mettere la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite e che commentano, vi adoro tutte :)

Alba.

 

   
 
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