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Autore: HamletRedDiablo    05/02/2013    5 recensioni
I corsari giunsero a Marsiglia. E fu l'inizio dell'ultima storia.
"Mio caro lettore.
O forse dovrei dire miei cari lettori. Non offenderti, tu che leggi queste righe, ma spero vivamente che non sarai il solo a soffermarsi su questa storia. Sono abbastanza conosciuto come l’aedo della Marsiglia, ma assai di rado mi sono dedicato alla scrittura. Ritengo che un racconto debba essere vissuto, assaporato, visualizzato, e niente meglio di una novella ben raccontata al tepore di una locanda può farlo.
Tuttavia, questa è una storia che voglio scrivere. Voglio che i miei lettori possano sapere come sono andate le cose anche quando la mia lingua sarà polvere nella terra consacrata. Voglio che questa storia mi sopravviva, e che il mito dei suoi protagonisti possa essere raccontato ancora e ancora, in Francia, in Inghilterra, in Spagna, in America, in tutti i luoghi che i personaggi di questo racconto hanno toccato."
[Pair: Spamano, FrUk]
[Seguito di Rosario Cuentas]
Genere: Malinconico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rosa de los Vientos'
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Capitolo Tre – Autunno

 

Una mano gentile gli accarezzò la schiena per svegliarlo.

«Farai tardi al lavoro» lo spronò gentilmente la moglie.

Diego si rivoltò sul materasso con uno sbuffo, allungando le braccia per afferrare la consorte e farla ruzzolare sulle lenzuola assieme a lui.

Si erano sposati non appena le ferite sulla schiena dell’uomo erano guarite. Antonio e Lovino avevano preso il mare da qualche mese quando erano riusciti finalmente ad organizzare le nozze; la loro assenza era stata l’unica pecca della cerimonia, tenutasi nella culla tiepida del mese di giugno.

Diego aveva temuto il momento in cui il francese, che li aveva assunti come dipendenti nel suo atelier, avrebbe pronunciato il discorso di congratulazioni in vece di Antonio, ma la sua paura si era rivelata immotivata: Francis aveva accantonato le creste più frivole del suo carattere per il tempo dell’omelia, ed esibito un sorriso malinconico nel celebrare il loro amore.

Consuelo lo colpì con il guanciale per riottenere la sua libertà, e si rialzò puntando le mani ai fianchi.

«Sveglierai Domingo» non aveva terminato di rimproverarlo che un vagito infastidito si levò dalla culla poco distante. Avevano ricavato il giaciglio per il neonato da una cesta di vimini, opportunamente imbottita e decorata dalle sartine dell’atelier, elettrizzate per la nascita.

Anche Domingo era nato in assenza di Antonio e Lovino.

Consuelo sollevò il figlio e lo strinse al seno, cullandolo piano per non farlo strillare.

Il tempo aveva cambiato le date e le persone: le ferite sulla schiena di Diego erano ormai cicatrici sbiadite, e i capelli di Consuelo erano cresciuti fino a sfiorarle le spalle, robusti dopo il taglio radicale. Le mani della donna, che avevano impugnato una pistola contro gli Inquisitori, ora reggevano con delicatezza il neonato, e le dita dell’uomo, cui erano stati legati degli aghi avvelenati durante lo scontro con Nicolas, avevano rinsaldato le loro ossa, sebbene un po’ storte, e l’anulare si beava della fede nuziale.

I camerieri erano ora impiegati in un atelier, l’uomo e la donna erano divenuti marito e moglie.

Consuelo osservò il suo sposo da sopra la spalla.

«Spero che Lovino e Antonio tornino presto. L’atmosfera è più allegra, quando ci sono loro» si augurò.

Diego annuì, chinato per allacciarsi le scarpe.

Ogni tanto, quando di sera stavano abbracciati sul letto, avevano parlato della vita alla locanda. Sarebbe stato bello tornare tutti insieme ad accogliere forestieri e chiacchierare con i bucanieri di fiducia. Ma era impossibile: loro erano sposati, e avevano bisogno di stabilità per il bambino, mentre Lovino e Antonio avevano intrapreso una strada di maree e creste di spuma salata. Inoltre, non erano più tutti insieme: qualche volta aveva osservato il mare, e chiuso gli occhi per arrivare con la mente fino allo scoglio dove avevano adagiato il cuoco.

La nostalgia del passato si era ripresentata alla loro soglia, ma l’avevano sempre scacciata in poco tempo: bastava abbracciare il coniuge o cullare il figlio per gioire del presente, nonostante i tempi difficili che avevano attraversato.

Baciò Consuelo sulle labbra e Domingo sulla fronte prima di uscire per iniziare una giornata di lavoro.

E, come ogni mattina, il suo cuore inviò un saluto al cuoco, ad Antonio e a Lovino.

Che potessero avere una buona giornata, ovunque si trovassero.

 

***

 

Avevano una faccia spaesata, come se fossero approdati su di un altro mondo, e non sulle coste marsigliesi.

D’altronde, erano digiuni di diverse informazioni. Fu un pomeriggio costellato di racconti e ricordi, mentre tutto l’atelier narrava agli stupiti corsari il matrimonio di Consuelo e Diego, e la nascita di Domingo. Antonio, in particolare, aveva un’espressione esterrefatta; mi ha ricordato una novella fantasiosa, in cui il protagonista cade addormentato sotto un incantesimo e si risveglia dopo duecento anni, trovando il mondo completamente stravolto: la piega della sua bocca e l’interrogativo nei suoi occhi erano gli stessi di quel personaggio.

Consuelo aiutò Antonio a prendere in braccio Domingo, e il piccolo agitò le manine per afferrargli le guance. E notai gli occhi di Lovino: il loro bel castano ramato si era incupito, come un fuoco soffocato da un panno bagnato. Chissà quante volte quella domanda ha attraversato la sua mente: “sarebbe stato meglio se io fossi nato donna?”

Ah, Lovino, è il destino di noi tutti affrontare almeno una volta quel terribile interrogativo: l’amore del nostro compagno sarebbe più completo se il nostro sesso fosse diverso?

Vorrei dire al leoncino italiano di rilassare i suoi nervi troppo tesi e il suo cervello troppo ansioso: non esiste creatura al mondo, di alcun sesso, razza o religione, che avrebbe mai fatto dimenticare il mare ad Antonio; nessuno, eccetto Lovino. Un uomo con l’oceano nelle vene che adora la terraferma solo perché calpestata dalla persona che ama: è quasi un miracolo, come se un pesce imparasse a volare per raggiungere il gabbiano di cui si è invaghito.

Io non sono riuscito a catturare il mio squalo. Continua a rifugiarsi nei flutti, ed esce solo il tempo necessario per ferirmi ancora una volta. E, nonostante questo, persisto nel chiedere allo squalo di uscire dall’acqua per regalarmi uno dei suoi sanguinosi baci.

Le cose non cambierebbero, nemmeno se il mio sesso fosse diverso: avrei solo una propensione più spiccata al pianto una volta rimasta sola, a filare al telaio.

Se lo squalo non vuole abbandonare l’oceano, l’airone deve essere libero di volare. E trovare qualcuno con cui dividere l’immensità del cielo.

 

Arthur non disse una parola.

Rimase pietrificato sulla poltrona, un’espressione ostentatamente neutra sul volto rigido.

L’attenzione della sala era rivolta al gruppetto spagnolo: Diego e Consuelo non avevano ancora terminato di aggiornare Lovino e Antonio sugli avvenimenti degli ultimi mesi, e le sartine facevano a turno per coccolare Domingo.

Solo l’inglese era stato stravolto da un piccolo intralcio di una novantina di centimetri piazzato sulle ginocchia del francese.

I vestiti del pupo provenivano indubbiamente dall’atelier di Francis: avrebbe riconosciuto la cura maniacale per i dettagli e le cuciture tra tutte le sartorie esistenti al mondo, nonché la predilezione del francese per il colore dei fiordalisi. Non era altrettanto chiaro quale fosse la provenienza delle fattezze del moccioso: gli occhi avevano lo stesso azzurro intenso di Francis, ma i lineamenti erano ancora troppo arrotondati dall’infanzia per scorgere la benché minima somiglianza con il francese. I capelli erano castani, senza alcuna traccia del biondo vigoroso dell’uomo.

Il bambino lo fissava, vacuo, ciondolando le gambette tozze nel vuoto.

«È tuo?» domandò infine, rinunciando a un esordio più morbido.

Francis appoggiò il mento sulla testa del bambino, sfoggiando un irritante sorriso sornione.

«Possibile» tastò il francese.

«Non prendermi in giro» sibilò il capitano.

«Non è mia intenzione» Francis mosse le ginocchia, in modo che il bambino sopra di esse sobbalzasse e ridesse per il gioco. «Potrei aver cercato compagnia durante i tuoi pellegrinaggi per mare.»

«Non hai ancora risposto alla mia domanda» sottolineò l’inglese.

«No, non l’ho fatto» il sorriso del francese aumentò, screziato dall’espressione tormentata degli occhi. «L’incertezza non è una sensazione piacevole, non è così?»

La linea della mascella del capitano si indurì sotto quell’accusa non troppo velata.

Era una vendetta, per le tante – troppe – volte in cui aveva preso il largo senza di lui.

Arthur portò una mano al ventre, avvertendo una strana fitta. Francis aveva sopportato quell’acido caustico sul fondo dello stomaco per mesi e mesi, facendosi bastare l’ostinata speranza che, prima o poi, le vele della Queen of Pirates avrebbero squarciato di nuovo il cielo marsigliese. Qual era stato il momento preciso in cui la sua testardaggine era venuta meno, e aveva smesso di sospirare al mare per mormorare all’orecchio di una donna?

Francis passò una mano tra i capelli fini del bimbo, e considerò:

«Il nostro è sempre stato un rapporto senza promesse e senza garanzie. Non dovresti sorprenderti troppo.»

L’inglese estrasse la pipa dal tascapane, meditabondo e corrucciato.

Quello che diceva Francis corrispondeva alla verità, eppure lui aveva sempre coltivato l’immotivata convinzione che il francese lo avrebbe aspettato fedelmente. Forse era stato poco realista nel giudicare il compagno: un capitano fantasma valeva meno di una donna in carne ed ossa.

Non si era mai aspettato verginale candore da Francis, durante i mesi di separazione: era certo che qualche volta anche lui avesse avuto bisogno di sfogarsi, e il fatto che non ne parlassero tra di loro non annullava la presenza di quelle tresche notturne. Ma non aveva mai contemplato un marmocchio come via di uscita dalla soffocante attesa.

Osservò il tabacco pressato sul fondo scuro della pipa, e l’odore pungente dell’erba schiacciata gli restituì il ricordo delle parole di Antonio, quindici anni prima.

È bello essere liberi.

Aveva capito quali sentimenti si nascondessero in quella frase solo molto tempo dopo, durante una nottata in cui Antonio gli aveva parlato dell’Inquisizione: una mole inimmaginabile di sofferenza e un immenso sollievo di essere di nuovo padrone del proprio destino.

Arthur amava la sua libertà: ricordava ancora ogni nota dei profumi della città di Marsiglia, la sera in cui era fuggito lungo i suoi acciottolati, ogni sfumatura della notte cupa che lo aveva nascosto dalla cerca dei pirati. E lo scricchiolio della porta che si era aperta offrendogli asilo, e gli occhi color fiordaliso avvampati di curiosità nel sentire l’idioma anglosassone srotolarsi dalla bocca ansante dello straniero.

Francis lo aveva ospitato finché non aveva racimolato i soldi necessari per imbarcarsi in direzione della sua amata Inghilterra. Non si erano visti per anni, finché la pubertà più avanzata non aveva cosparso una barba irregolare sul volto di entrambi. Arthur vestiva l’uniforme da ufficiale di medio rango, e Francis era diventato il braccio destro dei genitori nella gestione dell’atelier di famiglia quando si erano incontrati di nuovo. La sua nave aveva fatto scalo in Francia svariate volte, ma solo in quel giorno di maggio era inciampato nuovamente nel ragazzo che lo aveva aiutato tanti anni prima.

Le sopracciglia folte del capitano si incontrarono in un cipiglio scorbutico.

Era stato allora che era cominciato tutto. Doveva essere un rapporto senza impegno, e per lui lo era stato, almeno in principio: era bello essere senza catene, e non aveva intenzione di rinunciare alla sua libertà per nessuno. Anche la loro sovrana, la Regina Vergine, aveva preferito evitare ogni legame sentimentale, e lui avrebbe seguito il suo esempio.

Eppure, si era ritrovato più volte a desiderare di approdare a Marsiglia e, benché avesse addomesticato quella brama come si fa con un animale troppo rumoroso, non era riuscito a cancellarla completamente. Così l’aveva ignorata, per distaccarsi da una relazione che avrebbe potuto coinvolgerlo troppo.

E ora si sentiva sconfitto e umiliato, come un capitano stupido che non ha saputo riconoscere il tesoro più prezioso nel suo forziere e ha permesso ad un ladro occasionale di sottrarglielo.

Francis vide passare le mille ombre del dubbio e del rimorso sul volto scultoreo del capitano: sapeva riconoscere gli infinitesimali mutamenti nel suo broncio saldato. Solleticò il pancino del bimbo e lo appoggiò a terra, spingendolo con gentilezza verso il gruppo festante delle sartine.

«Non è mio.»

Arthur sentì uno strappo allo sterno, come se un pescatore avesse preso il suo cuore all’amo e glielo avesse strappato dal petto. Gli occorse qualche istante per articolare:

«Non è tuo?»

«È il figlio di mia sorella» Francis picchiettò un indice sulla coda dell’occhio sinistro. «Ha preso le iridi dei Bonnefoy. Per questo mi chiedono spesso se sia mio figlio.»

Arthur non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo che il francese continuò, lapidario:

«Non è mio, ma potrebbe esserlo. È vero che sono l’ultimo dei romantici, dei veri romantici» sogghignò melodrammatico, reclinando il capo all’indietro. «E questo mi ha permesso di aspettarti ogni volta, per tutto il tempo necessario. Credimi, Arthur, non avrei atteso nessun altro al mondo con la stessa pazienza. Ma…» lasciò per un attimo la frase in sospeso e socchiuse gli occhi: «Ma non so mai quando tornerai, e se tornerai. E, per quanto io sia innamorato di te…» abbassò la voce su quell’ultima parte, per non mettere in imbarazzo il capitano. «L’idea di invecchiare da solo mi spaventa. Per questo voglio essere onesto fino in fondo: il bambino non è mio, ma forse un giorno tornerai a Marsiglia e mi troverai accasato, con un nanerottolo che mi gironzola attorno.»

«E saresti soddisfatto?»

Il tono dell’inglese fu assolutamente piatto, così come la sua espressione, e fu compito di Francis spezzare l’atmosfera con una risata priva di allegria.

«Voglio provare ad essere il coniuge ufficiale, per una volta. Essere sempre l’amante bistrattato da tuo marito, l’oceano, è snervante. E avvilente.»

Di nuovo, l’inglese non poté aggiungere nulla: una sartina arrivò a trascinare Francis per un braccio verso il gruppo di spagnoli, chiocciando qualcosa su quanto fosse adorabile il piccolo Domingo.

Arthur sprofondò nella poltrona e nei propri pensieri.

Una relazione “senza promesse e senza garanzie”, come l’aveva definita Francis, non poteva che finire con una separazione: ognuno avrebbe scelto il cammino più confacente alla propria indole, allontanandosi inevitabilmente dall’altro.

Soppesò la pipa nella mano destra, pensoso.

Sarebbe cambiato qualcosa, tra di loro, se solo ci fosse stato un appiglio più tangibile di una speranza effimera?

 

***

 

«Ti sei scordato la tua pipa.»

Francis entrò nella stanza di Arthur senza nemmeno bussare.

Dopo la discussione avuta il primo giorno, non avevano passato nemmeno una serata da soli. Aveva previsto una reazione simile da parte dell’inglese, ma sopportare la solitudine mentre il capitano era ad una sola porta di distanza era frustrante oltre ogni dire.

Aveva approfittato della scoperta della pipa di Arthur sul proprio comodino per fare irruzione nella stanza dell’ospite: come quell’oggetto fosse finito in camera sua era un mistero, ma Francis non si era preoccupato di risolverlo.

L’inglese squadrò la pipa tra le dita dell’uomo senza particolare interesse, e spostò di nuovo la sua attenzione fuori dalla finestra mentre dichiarava:

«Non l’ho scordata.»

Francis lanciò un’occhiata interrogativa al tabacco pigiato, come se quelle foglioline scure potessero rispondere al suo quesito.

«Cosa intendi dire?» chiese quindi.

Arthur rialzò la testa e le spalle, ma gli occhi acquamarina continuarono ad essere rivolti al vetro notturno e le labbra rimasero sigillate.

Come sempre, il francese dovette interpretare il silenzio dell’inglese, e la sua mente ricamò con chiarezza gli eventi che li avevano portati a quel punto: Arthur che si macerava nei dubbi come il giorno in cui gli aveva fatto conoscere il suo nipotino, con la solita espressione granitica scolpita in viso per non far trasparire i suoi pensieri; il capitano che continuava a rigirarsi la pipa tra le mani, finché proprio quell’oggetto non era diventato la soluzione ai suoi problemi; l’inglese che entrava nella sua stanza per appoggiare la pipa sul comodino e poi se ne andava, senza nemmeno un biglietto per spiegare quel gesto.

Francis picchiettò indeciso sull’imboccatura consumata. Era davvero l’ultimo dei romantici se pensava una cosa simile di un orpello dimenticato nella sua camera… la domanda scoppiettò sulle sue labbra prima che se ne rendesse conto:

«È la garanzia che aspettavo? Un pegno?»

Arthur si strinse nelle spalle, borbottando:

«Dovrò tornare a prenderla.»

La pipa venne portata all’altezza degli occhi azzurri, che sorbirono ogni suo dettaglio. Non era un anello, non era una promessa insaporita di parole dolci: era una dichiarazione di legno dal profumo secco, perfettamente in sintonia con il carattere aspro dell’inglese.

Non doveva essere troppo felice: se il capitano si fosse stancato del clima francese, avrebbe sempre potuto acquistare una nuova pipa da qualche altra parte. Ma Francis, al contrario dell’inglese, non era nato per soffocare le proprie emozioni: appoggiò la pipa sul cassettone, con la massima cura permessa dalle sue mani tremanti, e con quelle stesse dita instabili abbracciò saldamente il capitano.

Arthur protestò verbalmente, ma il corpo rimase fermo nella stretta del francese. Francis lo cinse con maggiore forza, mormorando:

«Quindi non mi lascerai invecchiare da solo.»

Vide la nuca del capitano aggrottarsi, e sorrise sui suoi capelli crespi. Certe espressioni dell’inglese erano visibili perfino di spalle.

«Niente marmocchi. Odio i loro strilli» patteggiò brusco Arthur.

«Niente marmocchi» accordò Francis. «Ma tornerai.»

Le parole furono veicolate da un sospiro esasperato:

«Devo riprendere la mia pipa.»

Lo sbuffo si ingolfò in un’esclamazione inviperita quando la mano del francese cominciò a sbottonargli la camicia.

«Che diavolo fai?» inveì Arthur, stringendo nel pugno i lembi aperti.

«Tra poco ripartirai. E abbiamo già sprecato troppo tempo» rispose angelico il francese, continuando a spogliare il capitano.

«Non hai un minimo di decenza?» si ribellò l’inglese, voltandosi di scatto nell’abbraccio dell’altro.

La fronte di Francis si appoggiò a quella del corsaro, ed il suo respiro accarezzò il viso del compagno con la successiva risposta:

«Ne ho avuta fin troppa. In questi giorni, e nei mesi precedenti.»

Il viso dell’inglese si abbatté sulla sua clavicola, e le parole si sbriciolarono contro la sua camicia.

«Almeno spegni la luce, voyerista.»

Francis lasciò a malincuore il capitano per andare a smorzare il lume della lampada ad olio, e si ricongiunse a lui il prima possibile.

Avrebbe voluto assaporare con calma quel momento, ogni asola slacciata, ogni stridio della fibbia dei pantaloni, ogni fruscio di stoffa. Ma aveva aspettato troppo a lungo per rispettare quel desiderio.

Un sentore di lavanda si spanse dalle lenzuola pulite quando si sdraiarono sul letto. Arthur serrò proteste e gemiti dietro le labbra morsicate, e Francis si portò le sue gambe attorno alla vita per unirsi a lui.

Lo baciò più a lungo e più a fondo quella notte di quanto non avesse fatto in tutte le altre serate che avevano passato insieme: quel pegno, anche se era solo una pipa impregnata di tabacco, aveva reso il capitano più suo, lo aveva ancorato a quell’atelier, e Francis volle degustare infinite volte le labbra che avevano giurato di fare ritorno.

Fu la prima volta che giacque con l’inglese senza avvertire la falce del mare incombere su di loro.

 

***

 

«Monsieur

Una mano nivea lo scosse docilmente per la spalla, riscuotendolo dal suo torpore.

«Vi siete assopito, monsieur» si giustificò la sartina, inchinandosi con grazia.

Francis coprì lo sbadiglio con una mano e si stiracchiò sulla poltrona.

Non aveva dormito molto, nelle ultime notti, ma il motivo della sua insonnia non avrebbe potuto essere più piacevole.

Lanciò un sorriso beato al monile che aveva posizionato sul caminetto, in modo da poterlo vedere in ogni momento della giornata. La pipa gli restituì un orgoglioso luccichio sul legno lavorato.

Le vele dei corsari avevano di nuovo galoppato il vento, portando lontano il galeone e il suo capitano. Aveva salutato il veliero con uno spirito nuovo, rinato grazie al pegno legnoso e rinvigorito dalle notti passate con l’inglese.

«Aspetto con ansia il tuo ritorno» sussurrò alla pipa e al capitano assente. E non aveva mai creduto tanto nelle sue stesse parole: aveva la certezza che Arthur sarebbe davvero tornato.

Francis si alzò in piedi, un sorriso splendente negli occhi e nel cuore.

«Coraggio ragazze!» le animò, prendendo posto al suo tavolo da lavoro. «Abbiamo un sacco di ordinazioni da soddisfare!»

 

Lo squalo era tornato all’oceano, lasciando l’airone.

Ma il volatile non era più solo: avrebbe aspettato il ritorno dello squalo grazie alla goccia di mare che gli era stata regalata.

Era proprio un airone innamorato per emozionarsi tanto per un dono privo di qualunque romanticismo. Innamorato, e felice. Nostalgico, ma felice.

L’autunno incalzava, l’inverno incombeva.

E le stagioni non avevano esaurito le loro sorprese.

 

 

 

… ovviamente dico: “Voglio postare in una settimana” e via che partono i giorni -.-“

Vi chiedo scusa, ma preparare l’ultimo esame è stato massacrante çAç

Ma ora – e lo dico con la massima gioia possibile – gli esami sono finalmente FINITI e io sono libera e felice di scrivere<3 (finiti nel modo più assoluto, ad ottobre laurea, se lo stage in Giappone va bene *O*)

Ed eccoci giunti al terzultimo capitolo ç_______ç Di già ;________;  Basta, devo staccare il cordone ombelicale da questa fanfic, o l’addio sarà traumatico XD

Diramerò però ai quattro venti una dichiarazione d’intenti: finita questa storia, si aprirà una nuova saga piratesca. Anche se i corsari della fanfic che sta pian piano prendendo forma nella mia testa affollata e incasinata non hanno molto a che spartire con i protagonisti di questa saga XD Fandom Hetalia, of course<3 Ambientazione: spazio galattico<3

Come sempre, grazie per essere arrivati fin qui a leggere :D<3

A presto<3

Red

P.S. Mi pongo di nuovo l’obiettivo di aggiornare esattamente tra sette giorni. Che Francis mi schiaffeggi con i fiordalisi se non rispetto l’impegno u.u

   
 
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