Jetzt geht’s weiter!
Malgrado
l’epidemia che sta spedendo a casa amici e colleghi (e la sottoscritta con
loro), siamo riuscite a pubblicare questo capitolo!
Confesso
che è da un po’ che non scrivo una horror “classica” (a buon intenditor poche
parole! ;-P) e mi sento di conseguenza un po’ arrugginita: questo è per
chiedere venia se il capitolo vi farà – traduco letteralmente dal tedesco – mangiare
all’incontrario!
Ah, mi
ero dimenticata di dirvi!
L’ubicazione
di questa fic – similmente a “Blood Brothers” – è vaga e soprattutto in un
paese di fantasia (non mia del signor Kishimoto). Le date e gli stili artistici
e architettonici servono solo per dare un’idea al lettore del periodo, in cui
questa storia potrebbe aver avuto luogo e per aiutarlo a seguire il filo cronologico
degli eventi. In ogni modo, possiamo dire che Konoha poteva corrispondere in un
ipotetico Ottocento all’Inghilterra vittoriana: prospera, bigotta e ipocrita.
Mentre Kiri, l’altra città qui menzionata, alla più liberale e tollerante
Francia del Secondo Impero / Terza Repubblica (il regno della regina Vittoria
copre entrambe le forme di governo sopracitate). Infatti, contrariamente ai
rigidissimi provvedimenti vittoriani contro gli omosessuali, secondo il codice
napoleonico le coppie gay non dovevano essere in alcun modo perseguite come
criminali dalla legge, a condizione che i soggetti fossero entrambi maggiorenni
(ergo aventi 21 anni) e consenzienti. Ovviamente, il matrimonio era fuori
questione, ma questa è una fic di fantasia e quindi mi sono presa qualche
licenza poetica.
Ricapitolando:
Konoha = no matrimonio; Kiri = sì matrimonio tra omosessuali. Capish? Bien,
perché vi servirà per i prossimi capitoli.
Un’ultima
cosa: ho leggermente diluito il brodo di questa fic, nel senso che sono stata
costretta a tagliare a metà il primo capitolo, giacché stava venendo troppo
lungo. Ad alcuni magari non importa, ma per meglio focalizzare gli indizi e i
dettagli di questa storia, forse è meglio propinarla a piccola dosi.
Le età dei
personaggi sono assolutamente sfasate e pure i lavori. Siamo in un’AU, yes sir!
Uhm …
vediamo, cos’ho dimenticato? Il fatto che stamattina pioveva a dirotto,
dopodiché s’è messo a nevicare fino a seppellirci tutti vivi? No?
Giusto!
Ringrazio
i miei lettori e recensori, in particolare: Jooles, Nirvana96 e Sagitta72. Un sentito
ringraziamento anche a coloro che hanno messo questa storia tra le preferite,
seguite e ricordate!
Vi auguro
una buona lettura,
H.
(più in
là, che di qua)
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Agosto 2012
“Entrate,
miei curiosi amici! Forse non ci crederete, ma una bellezza senza pari abitava
in queste stanze … e ancora vi abita! Su, dolcezza, perché non ti mostri?!
Ah-ha! Eccoti qua, trovata! Bella, eh?”, scherzò il padrone di casa, balzando
in un birbante agguato da dietro la pesante tenta scarlatta e catturando la sua
fidanzata, la quale lanciò un gridolino spaventato, divincolandosi
immediatamente.
“Naruto!”,
esclamò ella rossa come un pomodoro, portandosi una mano là dove il suo
cuoricino batteva impazzito. “Certi scherzi!”, protestò, sedendosi velocemente
accanto al cugino, che se la rideva invece alla grossa assieme al futuro
“cognato”, se così si poteva chiamare, e ad un altro loro amico, Inuzuka Kiba.
“Eddai,
Hinata! Non hai proprio alcun senso dell’umorismo, dattebayo! Si trattava solo di
un innocuo scherzetto!”, si giustificò gioviale il giovanotto biondo,
esibendosi in una smorfia giocosamente contrita e cercando di abbracciare la
mora, che di riflesso si strinse al braccio di Neji.
“Come
no!”, mormorò ella in un filo di voce. “Lo sai che non mi garbano simili
birbonate! Soprattutto in questa casa!”, aggiunse Hinata, tremando leggermente
e lanciando delle ansiose occhiate intorno al salotto arredato in stile
pomposamente vittoriano. “Potrebbe sentirci e arrabbiarsi con noi …”
All’udire
ciò, Kiba arcuò un sopracciglio castano. “Come sarebbe a dire? Chi potrebbe
infastidirsi?”, inquisì intrigato.
“E chi
lo sa! Dattebayo!”, sbuffò Naruto, alzando le braccia in segno di resa e
lasciandosi cadere pesantemente sul canapè. “Secondo lei, la casa è infestata
dai fantasmi! Anzi, dal fantasma della Sposa
Mancata!”, sentenziò grave il giovane, ridendo subito dopo e scuotendo la
zazzera dorata. “Un anno che vivo in questo posto e, in fede mia, ancora non ho
avuto il piacere di conoscerla di persona … o di spirito!”
“Non
deridermi, Naruto! Non sto vaneggiando, né sono la sola a crederlo! Anche …
anche l’agente immobiliare la pensava così!”
“Sicuro,
sicuro …”
“Naruto!
…”
“In ogni
modo”, s’intromise Hyuuga Neji nella speranza di evitare una lite tra i due
fidanzati. “Spiriti e spiritelli a parte, deve esserci qualcosa di più concreto
sotto. Insomma Naruto, non per giocare al pignolo rompiscatole, ma hai ottenuto
questa signora villa più giardino romantico ad un prezzo davvero irrisorio per
il suo valore effettivo!”
In
effetti, i dubbi del cugino non apparivano completamente infondati. Non che la
coppia patisse la fame, anzi, il signor Uzumaki aveva ottenuto un vantaggioso
trasferimento da Uzushio a Konoha, avanzando di grado da vice a commissario.
Quanto alla signorina Hyuuga, ella lavorava da tempo presso lo studio di suo
padre, noto commercialista di Konoha. Tuttavia, in circostanze normali, neanche
due salari come i loro sarebbero stati abbastanza per l’acquisto di siffatta
proprietà. Quel che Neji ignorava, era che in realtà sia i proprietari
effettivi che l’agenzia immobiliare stavano letteralmente morendo dalla voglia di trovare un acquirente, sbarazzandosi così
di quel peso morto di villa, la quale non faceva neanche buona pubblicità al
loro negozio.
Passandosi
una mano tra i capelli biondo oro, il giovane sospirò snervato. “E’ vero, me
l’hanno praticamente regalata! Già … sai però in che condizioni era? Per un
anno intero altro non ho fatto, che ripulire stanze che parevano catacombe, cambiare
tutte le serrature e i vetri delle finestre, sradicare erbacce, risanare
fontane talmente melmose, che vi poteva abitare tranquillamente lo stesso
Mostro della Laguna Blu! Ah, e rivendere a tutti gli antiquariati di Konoha un infinito
ammasso di cianfrusaglie, che continuavano a sbucarmi fuori da ogni angolo,
dattebayo! A momenti mi accoppavo con le alabarde delle armature, dattebayo!”
“Ti ho
aiutato anch’io, Naruto, a mettere un po’ di ordine!”, gli ricordò dolcemente
Hinata, allentando la presa al braccio del cugino e azzardando ad avvicinarsi
di più al fidanzato.
“Ma
certo, dolcezza mia! Non l’ho dimenticato!”, le sorrise l’altro, provocando
l’ennesimo feroce rossore nelle gote della ragazza. “E una volta sposati,
ridecoreremo questa villa con uno stile più moderno e meno triste, va bene?
Così potrai organizzare tutti i tea pomeridiani che vorrai! Non sei contenta?”
“Tu che
ne dici, cugino?”
Arricciando
le labbra in un sorriso sornione, Neji dichiarò: “Non sono io quello che si
sposa con Naruto fra due settimane, cuginetta!”
I quattro
risero di cuore alla battuta, alleggerendo l’atmosfera dapprima opprimente.
Nascosta
negli angoli bui del salottino, là dove né la luce elettrica né le guizzanti
fiamme del caminetto potevano raggiungerli, un’ombra si unì a loro, osservandoli
divertita.
In
una villa a Konoha, molto tempo fa, viveva una sposa mancata.
Quest’anima
sfortunata possedeva molte virtù e l’intera città ne invidiava la bellezza e
l’intelligenza vivace.
“Hinata!
Esco un secondo a fare la spesa!”, le giunse la voce di Naruto dal pianoterra.
Prima che l’interpellata in questione avesse modo di abbandonare il manico
dell’aspirapolvere e di correre dabbasso, ecco che il portone d’ingresso si
chiudeva in un sordo schiocco, che alla giovane parve riecheggiare per tutte le
pareti dell’antica villa.
Era
rimasta sola.
L’improvvisa
consapevolezza le provocò un violento tremore e Hinata rimase paralizzata da
una sinistra ansia per una buona manciata di minuti, stringendo di riflesso le
spalle e fissando spaurita il vuoto, neanche temesse in un improvviso attacco
da chissà quale angolo di quella casa che, a discapito di quanto affermasse
Naruto, non le era mai piaciuta fin dal primo istante in cui vi mise piede
dentro, nello specifico una settimana fa.
La
trovava cupa, soffocante, con quelle enormi finestre, le linee severe e
l’arredamento troppo legato a tempi perduti e al gusto di coloro, che vi avevano
un tempo abitato. Per questo preferiva le case nuove a quelle già “vissute”: infatti,
la ragazza credeva fermamente che lo spirito dei previi inquilini continuasse
ad aleggiare nella loro dimora, la quale non doveva essere per forza vecchia di
un secolo e passa, tutt’altro! Hinata ne avvertiva la presenza anche se la casa
era stata abitata per neanche due anni! Figurarsi, quindi, come si sentì non
appena quell’ambiente polveroso e putente di chiuso l’aveva avvolta,
sussurrandole quei segreti che le sue mura avevano gelosamente conservato fino
a quel momento. Beh, non che lei avesse udito esplicitamente delle parole – pazza non era né si dilettava
nello spiritismo – tuttavia poteva percepire, ecco, un qualcosa di ancora vivo in essa … a volte così palpabile … e in certe occasioni,
la mora si sentiva addirittura spiata
con insistente intensità … Lo zenit di quel suo malessere l’aveva raggiunto
alla sua prima notte nella camera da letto padronale, tanto grande quanta piena
di ombre.
Inoltre,
sbarazzarsi di quelle che Naruto appellava “cianfrusaglie” si era rivelata
un’impresa non da poco, come nel caso dei ritratti di famiglia dei precedenti
padroni: il fidanzato voleva assolutamente darli via – avevano delle facce
talmente antipatiche, sosteneva - ma
Hinata aveva avuto la certezza (come poi mistero) che qualcuno, o qualcosa,
all’interno della villa se ne sarebbe rammaricato non poco. Di conseguenza, la
ragazza era riuscita a persuadere il fidanzato a sistemarli in soffitta e di
lasciarli lì ad ammuffire. Incredibile ma vero, in seguito a quella decisione l’atmosfera
dell’intera casa le era parsa essersi d’un colpo rilassata e di certo non per
un qualsivoglia litigio tra i due giovani. Senza contare, che le mani avevano
preso a sudarle, quando, coprendo i ritratti con un panno, la mora si era
accorta che la maggior parte di loro era stata o sfregiata da sottili e
profondi tagli oppure vi erano incise frasi piene di crudeli oscenità.
Ed ora,
eccola lì di nuovo sola in quella orribile villa. Come aveva fatto a non
impazzire fino a quel momento? Forse la presenza ognora allegra e rassicurante
di Naruto? Probabile. Anzi, probabilissimo, giacché non appena la sua aura
solare s’era allontanata, le ombre di una notte eterna avevano righermito la
casa, facendola sprofondare ancora nella sua malinconica cupezza. Il suo
fidanzato stesso vi aveva vissuto per un anno intero, eppure non sembrava
costantemente teso e ansioso come al contrario la giovane Hyuuga.
“Basta
così, Hinata!”, si rimproverò ella a voce alta, sperando che chiunque si
ostinasse a celarsi nell’ombra l’ascoltasse per bene. “Adesso è la tua casa! Non devi averne paura! Fra due
settimane ti sposerai e, similmente a quanto ha detto Naruto, la ridecoreremo
in modo tale, che nessuno la indicherà più come un nido di spiritelli
invasati!” e detto questo, fece due bei grossi e profondi respiri e si diresse
al primo piano. “Devo piuttosto pensare
a terminare i preparativi per le nozze: c’è ancora così tanto lavoro arretrato!
Le decorazioni … il rinfresco … i fiori
… l’abito e …”
Le
parole le morirono improvvisamente in gola.
Fu un
attimo soltanto, ma dall’enorme finestra, la giovane aveva scorto chiaramente
una figura seduta ai bordi della vasca della fontana delle Nereidi. Accostò di
riflesso le pesanti tende rosse, quando la stessa si voltò nella sua direzione,
quasi sapesse di essere osservata,
sorridendo a fior di labbra e ritornando al suo passatempo, ergo lasciar
vagabondare una mano guantata tra la frescura cristallina dell’acqua.
“Può
anche uscire, signora”, gridò quella, acciocché Hinata la sentisse oltre i
vetri della finestra e i muri della villa. “Sono il nuovo giardiniere. O
meglio”, si corresse “il solito giardiniere, prima che gli ex-proprietari mettessero
in vendita la villa. È suo marito che mi manda. Non le ha parlato di me?”
Affacciandosi
al balcone, Hinata, fattasi coraggio, replicò domandando: “Mi scusi, temo di
non conoscerla: qual è il suo nome?”
“Shu è
il mio nome … ”, rispose l’altro, osservando le gocce che, una ad una, gli
scivolavano giù dalle dita guantate “… e Taka è il mio cognome”, terminò,
scuotendo energicamente la mano, asciugandola e portandola al grembo quando la
mora, seppur un poco titubante, si risolse a raggiungerlo. “E mi dica, ho forse
l’onore di parlare con la nuova padrona di villa Nakano? Con la signora
Uzumaki?”, disse, voltandosi.
Hinata
dovette sforzarsi notevolmente a mantenere serrata la bocca: dire che il
giovane dinanzi a lei era “bello”sarebbe stato un eufemismo: egli possedeva un
fascino quasi inorganico, non associabile a quello della gente in carne ed
ossa. I lineamenti eccessivamente perfetti e una serica pelle che poteva competere
con la medesima madreperla lo rendevano non dissimile ad un’opera d’arte, un
essere artificiale creato ad hoc e appositamente privo di ogni umano difetto
fisico.
“Sì …
No! … Insomma, non sono ancora la signora Uzumaki … Per quanto … ecco … un po’
abbiamo convissuto … ma non tanto …”, s’ingarbugliò la ragazza, scuotendosi
dalla sua poco ortodossa contemplazione del giardiniere, il quale gettò
indietro il capo e si sciolse in una risata più cristallina e vivace dell’acqua
della fontana, intanto che il suo viso si riempiva di squisite fossette, che lo
rendevano ancora più attraente. Arrossendo furiosamente – diamine, era a due
passi dall’altare e si metteva a fantasticare su altri uomini! – la mora si
sentì in dovere di rettificare: “Naruto
ed io ci sposeremo fra due settimane”, gli spiegò, schiarendosi la voce. “Per
il momento, siamo soltanto ufficialmente fidanzati!”
“Ah,
capisco …”, mormorò pensieroso il giovane uomo, abbassando lo sguardo sulle
mani di Hinata. “E immagino che il suo fidanzato le abbia già regalato l’anello
… quell’anello …”
“Certo”,
confermò la ragazza un poco disorientata, chiedendosi dove volesse andare a
parare.
Il
giardiniere si inumidì le labbra, mordicchiandole incerto. “Potrei … potrei
vederlo per cortesia?”, le chiese in un filo di voce, neanche le stesse
domandando di compiere chissà quale sconceria.
Per tutta
risposta, Hinata allungò la mano sinistra, tremando impercettibilmente al
contatto della sua pelle con la stoffa bagnata dei guanti del giovane: l’acqua
della fontana doveva, infatti, essere stata ghiacciata, altrimenti la mora non
si spiegava il gelo che aveva avviluppato il suo arto. E sempre parlando
dell’acqua, la luce riflessavi aveva donato agli scuri del giardiniere
un’inquietante sfumatura cremisi, rendendo giustizia al suo nome di battesimo.
“E’
davvero molto bello”, sospirò egli mestamente, abbandonato a malincuore la mano
di Hinata, che subito la ficcò in tasca, onde riscaldarla. “Lei, signorina, è
molto fortunata ad avere un fidanzato così generoso. E innamorato, suppongo.
Non molti si spingerebbero a comprarle una villa così lussuosa, con un giardino
che assomiglia ad un parco!”, disse, indicando l’insieme con un ampio gesto del
braccio. “Si preoccupa per lei, signorina, desidera darle il meglio e senza
chiedere molto in cambio, se non la sua serenità. Coi tempi che corrono,
talmente pregni di cieco egoismo e del mero appagamento dei sensi, l’atteggiamento
del suo promesso è davvero notevole …”
Nelle
sue parole Hinata vi scovò una nota di infinita, bellicosa tristezza,
spingendola ad inquisire timidamente: “Lei … lei è stato … fidanzato?”
“Oh, sì
…” Un sorriso di dolce rimembranza illuminò quel volto malsanamente pallido.
“Molto tempo fa …”, le rivelò, mentre sfiorava coi polpastrelli la sua mano
sinistra. Quand’ecco, che il tiepido sorriso si mutò in una smorfia. “Alas, vi
furono delle complicazioni assai fastidiose … e lui mi fu portato via!” e le
dita della destra si strinsero così forte al polso della sinistra, che ad
Hinata sembrò per un istante che volesse spezzarlo “Ma è acqua passata: ormai
non ci penso più!”
Silenzio
eloquente.
“Le
disturba apprendere che amavo un uomo, signorina Hyuuga?”
Sbattendo
confusa le ciglia, la mora balbettò: “Come … come fa a sapere il mio … cognome?
Sì è … informato su di … ?”
“No, no,
non sono un pettegolo. Semplicemente, la gente parla …”
Il cuore
di Hinata riprese a battere normalmente. “Ah, meno male! E comunque no, non mi
disturba affatto. A questo mondo esiste tanto di quell’odio, che a mio avviso
qualsiasi forma di amore è benaccetta! Ovviamente, sempre nel rispetto
dell’altro”, affermò convinta. “A proposito, mi può dare del tu e chiamarmi
Hinata! Signorina Hyuuga mi ricorda
troppo i tempi del collegio dalle suore!”
Il
sorriso del giardiniere si allargò ferinamente, mostrando bene i denti
candidissimi.
“Allora,
che fiori desideri come decorazione e soprattutto per il tuo bouquet, Hinata?”
Ma
l’infelice non ascoltava il gracidare delle malelingue, poiché aveva un unico
cruccio:
come
sposare l’amore della sua vita, senza l’approvazione dei genitori?
Shu
aveva la strana abitudine di comparire proprio quando Naruto non si trovava in
casa: sbucava quasi dal nulla, la salutava cortesemente e poi si dedicava con instancabile
dedizione al lavoro assegnatogli.
Non che
Hinata trovasse nulla di strano nell’intera faccenda – con il matrimonio alle
porte, il fidanzato era più fuori che dentro e per di più tanta di quella
gente entrava e usciva, neanche avessero
scambiato casa sua per un bar – ma alla mora avrebbe fatto comunque piacere
presentargli quel giovane molto volenteroso e lavoratore, che la stava
notevolmente aiutando a trasformare villa Nakano in un luogo assai meno lugubre
e malinconico. Inoltre, il fatto che il giardiniere le avesse rivelato il suo
orientamento sessuale, l’aveva notevolmente rassicurata da eventuali scenari di
infamanti pettegolezzi da parte del vicinato. L’ultima cosa che desiderava era
avvelenarsi la vita per colpa delle chiacchiere di linguacce lunghe, che non
sapevano come ammazzare il tempo se non insudiciando con bugie le esistenze
altrui.
In ogni
modo, Shu era una fonte continua di sorprese: oltre che ad aver aiutato il
giardino a rifiorire in un paio di giorni – neanche lo avesse atteso per svegliarsi dal suo sonno
ostinato – egli si muoveva con tale naturalezza all’interno della casa, che
spesso Hinata si domandava se il suo ruolo si fosse limitato a quello di
semplice giardiniere. Tanto per intenderci: la ragazza non sapeva dove si
trovava l’oggetto tal dei tali? Ecco che Shu glielo portava in un battibaleno.
Aveva smarrito la chiave di una delle innumerevoli porte? Voilà che spuntava un
doppione! L’abito da sposa doveva essere modificato? Il tempo di girarsi e Shu
glielo ripresentava risistemato esattamente nei punti dolenti, senza neppure
aver preso le misure, secondo la prassi
sartoriale. Aveva dei dubbi su come decorare una sala? Da angoli impensabili
lui estraeva pezzi di arredamento, quadri e oggettistica assolutamente adeguata
e di buon gusto. Le stanze da arieggiare e da preparare per gli ospiti erano
troppe? Nessun problema, entro sera ci si poteva dormire tranquillamente.
“C’è
qualcosa che non puoi fare, Shu?”, gli rivelò Hinata in un tardo pomeriggio a cinque
giorni dalle nozze, nel frattempo che tentava di non essere seppellita viva
dalle scatole contenenti tutto l’ambaradam necessario al rinfresco post-cerimonia
nuziale. Sfinita da tanto trafficare, si sedette, afferrando cupida la caraffa
di limonata fresca, riempiendo tosto due bicchieri, uno per lei e uno per Shu.
“Sei la
padrona, pardon, il padrone di casa perfetto! A volte non posso trattenermi
dall’invidiarti per la tua bravura … nel senso buono, eh! Per carità, io non …”
e si impappinò di nuovo, temendo di aver in qualche modo offeso il giardiniere,
specie quando lui, bloccandosi, la fissò con tale intensità, che la ragazza
giurò di aver visto nuovamente le sue iridi tingersi di rosso.
Nah,
doveva trattarsi della luce del tramonto!
“Non
posso sposarmi, Hinata. Né ora né mai. Oh, non a certe condizioni, ben inteso
…”, disse egli lentamente, lo sguardo ben incatenato al suo. “Nondimeno, la mia
esistenza non ha nulla per cui valga la pena di essere invidiata … Al
contrario, sono io colui che ne prova nei tuoi confronti …”, sussurrò,
spostando gli occhi sulla mano sinistra, che la ragazza aveva distrattamente
appoggiato sul tavolo di malachite. “Non immagini quanto …”, sospirò,
allungando le dita guantate sopra l’anulare e sfiorando in una rapida carezza
l’anellino, che rifulgeva timido alla calda luce del crepuscolo.
Discreto
contatto che venne involontariamente interrotto da Hinata, la quale, ormai
porpora, si era portata la medesima mano alla guancia surriscaldata
dall’imbarazzo. “Certo, certo … Hai perfettamente ragione, scusa … io …”,
sbrodolò, asciugandosi col dorso gli occhi nel frattanto inumiditisi di lacrime
generate dalla vergogna. “Oh Dio, che … non volevo essere così … ecco io … ti
sarai offeso, non …? Sono così sciocca a volte! Parlo senza riflettere!” e vuoi
per la situazione incomoda, vuoi per lo stress pre-imeneo, Hinata si coprì il
volto con ambedue le mani, sfogandosi in sconquassanti singhiozzi. “Perché non
riesco mai a combinare nulla di buono? Ti chiedo perdono, Shu, io non …”, ma il lieve tocco di un dito sulle sue
labbra la zittì, interrompendo quel flusso continuo di mea culpa.
“Sh, non
una parola oltre, Hinata!”
Quando
esattamente Shu aveva abbandonato il suo posto, aggirato il tavolo e sistematosi
accanto a lei? Un istante prima l’aveva visto seduto dinanzi a lei e ora la
stringeva al petto, intanto che le accarezza i lunghi capelli neri col medesimo
trasporto che una madre avrebbe riservato alla propria creatura.
“Non mi
devi assolutamente domandare scusa, mia cara, né tantomeno auto-flagellarti con
colpe, che non ti concernono”, la consolò, cullandola impercettibilmente. “Non
ti biasimo se hai supposto, che la mia vita scorresse meglio della tua: l’erba
del vicino è sempre più verde. Sai, ho come il sospetto che sia stato lo stress
da aspettative ad averti spinta a parlare così. Ti conosco da poco, eppure ho come
la certezza che tu non sia una persona invidiosa di natura!”
La
ragazza tirò su col naso. “Lo pensi davvero?”
“Mai
stato così serio, Hinata”, la rassicurò grave Shu, frugando all’interno della
tasca – perché si ostinava ad indossare dei guanti in piena estate? – e
reperendo un fazzoletto, lo usò per tamponare delicatamente gli occhi arrossati
della mora. “Su, su! Via queste lacrime, non si addicono ad una futura sposa!
Le uniche che devono scorrere sono quelle di gioia …”
Seppur
ancora poco convinta, la giovane annuì, lasciando che i suoi lunghi capelli
neri le coprissero il volto. Sennonché, afferratole delicatamente il mento, Shu
la costrinse a guardarlo dritto negli occhi. “Adesso smettila sul serio di
piangere, Hinata. Un banale malinteso non merita un siffatto spreco di energie.
Se devi per forza piangere, che sia per ragioni più gravi di questa, intensi?”,
disse, avvicinando così tanto il suo viso a quello di lei, che quest’ultima
poté discernere ogni venatura delle sue iridi scure e profonde, simili al mare
in tempesta. “Mi prometti di non frignottare mai più per certe sciocchezze,
Hinata?”
“S-sì”,
convenne l’altra, afferrando il morbido fazzoletto – addirittura di seta? – e
terminando il lavoro incominciato dal giardiniere.
“E che
mi farai ora un bel sorrisone?”, la incoraggiò quegli sollecito, scostando una
ciocca umida dietro l’orecchio di lei. Per tutta risposta, la ragazza abbozzò
ad un impacciato sorriso.
“Brava
bambina”, mormorò il giovane in approvazione, posando delicatamente le sue
labbra sulla fronte di Hinata, che rabbrividì dal gelo emanatovi e si imporporò
per l’intimità di quel gesto, per quanto casto esso potesse apparire. “E ora,
al lavoro: Naruto tornerà fra poco! E noi vogliamo fargli trovare tutto pronto,
no?”, esclamò ad un tratto il giardiniere inaspettatamente più vivace,
staccandosi in fretta dalla ragazza e battendo le mani a mo’ di esortazione.
Hinata si
ritrovò d’accordo con lui: ingollato in un sol sorso la limonata, anch’ella si
rialzò, rimboccandosi le maniche. “A proposito, Shu”, si sovvenne “non ti piace
la mia limonata? Non ne hai bevuto neppure un sorso e oggi si bolle!”, ed in
effetti, il bicchiere del giovane giaceva pieno fino all’orlo sul tavolino di
malachite.
Osservando
distrattamente la bevanda, Shu scrollò le spalle, annoiato. “Sono sicuro che è
deliziosa. Tuttavia, non ho sete; berrò più tardi”, l’assicurò, ritornando alle
sue incombenze.
Silenzio
indaffarato.
“Ehm …
Shu?”
“Sì,
Hinata?”
“Posso …
insomma, non vorrei passare per la ficcanaso di turno, però … posso porti
un’altra domanda o …?”
Un
sorriso affabile – l’ennesimo - onorò le labbra vermiglie del giardiniere. “Le
domande non sono mai indiscrete, Hinata, talvolta le risposte lo sono …”,[1] fu
il suo velato invito a proseguire, senza tuttavia distrarsi eccessivamente
dalla sua occupazione.
“Ecco,
non ho potuto fare a meno di notare la tua incredibile famigliarità con questa
casa. Per quanto tempo hai lavorato presso i suoi precedenti proprietari?”
A quel
quesito Shu esitò un istante prima di rispondere, seguitando ad appoggiare
meccanicamente le bomboniere su di una scrivania in stile Biedermeier. “Conosco
villa Nakano da una vita, Hinata”, le confessò infine, lo sguardo assente. “E
certamente meglio dei suoi indegni abitanti …”, sibilò minaccioso, aggrottando
in tal guisa la fronte e le sopracciglia, che ogni tratto gradevole del suo
viso si era subitaneamente mutato in una maschera di demoniaca ferinità, tanto
che la mora indietreggiò inconsciamente di qualche passo, giusto per portarsi a
una distanza di sicurezza, giacché dall’espressione notevolmente adirata
dell’altro ella non escludeva un eventuale lancio di un oggetto. Fortunatamente,
esso non avvenne, anzi! Quel volto alabastrino si rilassò tanto velocemente
quanto si era alterato, ritornando gentile e amabile.
“Allora”,
vinse la ragazza ogni sua ritrosia, avanzando verso il giardiniere “allora di
sicuro sarai al corrente della maledizione, che la gente di Konoha sussurra
aleggiare su questa casa!” Ecco, glielo aveva detto! E stranamente, la mora si
sentì d’un colpo estremamente sollevata, quasi si fosse tolta un enorme peso
dallo stomaco.
Una
risata sarcastica commentò la sua domanda, riecheggiando sonoramente per
l’intero pianoterra. “Che assurdità! Una maledizione?! È dunque questa la
panzana, che ti hanno rifilato? Pah, follie di beghine senza cervello!”, rise
di gusto il giardiniere, scuotendo incredulo il capo corvino. “Vuoi apprendere
il vero motivo, per cui i precedenti possessori di villa Nakano l’hanno
venduta? Perché erano sull’orlo della bancarotta e avevano bisogno di denaro
liquido e pure in fretta!”, le spiegò gioviale, apprestandosi ad aprire un
altro scatolone. Quand’ecco, che il cutter si fermò a metà strada. “A onor del
vero, ora che mi ci fai ripensare, mio padre mi aveva accennato ad un evento
piuttosto … tragico … che si è
consumato tra queste mura …”, affermò lentamente il giovane, socchiudendo gli
occhi verso l’alto, come se si stesse sforzando di riescumare una reminescenza
particolarmente ostica e nebulosa dagli abissi della memoria. “Ma è roba di
quasi centocinquant’anni fa! A chi importa, ormai?”
A me!, avrebbe voluto ribattere
energicamente Hinata, sennonché le buone maniere le suggerirono di attendere
paziente la prossima mossa del giardiniere, magari invitandolo tramite discrete
e cortesi domande a seguitare col suo racconto. “A chi … a chi apparteneva
villa Nakano?”
“Alla
famiglia Mitarashi”, rispose prontamente Shu, arcuando perplesso il
sopracciglio scuro.
Hinata
negò col capo. “No, non loro. Li conosco, sono stati i Mitarashi a vendere al
mio fidanzato la villa. Io intendevo i veri
proprietari!”
“Questo
posto ne ha avuti così tanti, che ne ho ormai perso il conto …”, le ricordò
zelante il giovane, svuotando il contenuto dello scatolone. “Ma se proprio lo
vuoi sapere, ebbene villa Nakano fu costruita dalla famiglia Uchiha alla fine
del diciottesimo secolo. Un clan molto ricco e potente, il pettegolezzo
preferito dalla gente di Konoha!”
“E … che
fine ha fatto questa famiglia?”
“Estinta”,
riassunse laconicamente conciso il giardiniere, appoggiando pigro la schiena su
di un mobile, le braccia incrociate al petto. “Come tutte le famiglie: vanno,
vengono … Nessuno è eterno … Solo il castigo divino …”
Risolino.
“Dunque,
l’episodio tragico cui facevi riferimento riguardava la famiglia Uchiha?”,
giunse Hinata alla conclusione, tormentandosi le dita dalla curiosità: la sua
parte razionale le stava suggerendo di piantarla con quella sua indiscrezione e
di seguitare coi preparativi; l’altra, invece, bramava maggiori informazioni.
“Esatto.”
“Me lo …
me lo potresti raccontare, per favore?”
“No.”
Il
rifiuto di Shu era stato talmente secco e perentorio, che la ragazza sobbalzò
visibilmente. “Farò di più”, proseguì il moro, esibendosi in un’espressione
altamente birbante e complice. “Ti porterò nel luogo dove avvenne il … fatto!”, le sussurrò all’orecchio.
Dopodiché, allontanandosi con fare giocoso, ridacchiò furbescamente: “Ma non
oggi! Non con Naruto che sta per suonare al campanello!”
“E
quando allora?”
“Presto!”
Sbuffando,
Hinata fece per rincorrere un Shu in piena fase monellaccio, sennonché uno
stridulo gargarismo elettrico la distolse dalla sua impresa. “Uffa, Shu! Perché
devi comportarti come un …?”
“Hinata!
Oye, sei in casa? Ho dimenticato le chiavi! Hinata?”
Abbandonando
un ridente giardiniere nell’angolo più remoto del salotto, una snervata mora – con te faccio i conti dopo! - si diresse
nel foyer, là dove l’attendeva un Naruto più carico di pacchi di uno sherpa.
“Finalmente,
dattebayo!”, si lasciò il biondo avvolgere dalla frescura dell’ombra,
appoggiando sfinito il suo malloppo. “Scusami, Hinata, se sono stato via per
tutto il pomeriggio! Non riuscivo proprio a trovare le stoviglie che volevi,
sono stato costretto a guidare fino a Suna per comprarle!”, si giustificò
Naruto, asciugandosi la fronte madida di sudore con l’avambraccio. “Spero che
nel frattempo non ti sia annoiata!”
“Oh no,
tesoro!”, lo tranquillizzò la mora, aiutandolo a sistemare gli scatoloni,
acciocché non intrigassero il passaggio. “Shu mi ha fatto un’eccellente
compagnia! Vedessi, poi, come mi ha aiutato a sistemare la casa! Vieni, devi
assolutamente conoscerlo!”, gli narrò entusiasta, pigliandolo per il braccio e
conducendolo in salotto. Infine si presentava l’occasione propizia per
presentarlo al fidanzato. “Shu! Ecco qua il mio …!”
Silenzio.
“Già,
Shu … Il caro, buon vecchio Shu …”, s’allargò oscenamente il sogghigno di
Naruto, incrociando le braccia al petto. “Hinata, sono commosso come, dopo tre
anni che stiamo insieme, tu ti sia finalmente decisa di presentarmi al tuo amico immaginario …”
In
effetti, a discolpa del palese sardonico scetticismo dimostrato dal biondo, il
salotto si presentava completamente vuoto, ad eccezione dell’ordine perfetto
che vi regnava e che Hinata era sicura di non ricordarsene per niente, giacché
aveva lasciato l’ambiente in un chaos totale.
La
giovane donna vide rosso. “A volte sei così …
così … insopportabile, Naruto!”, fumò ella simil teiera, salendo le
scale a due a due e precipitandosi peggio delle Erinni infernali nel suo
boudoir.
“Ma che
ho detto?”, ribatté confuso l’altro, seguendola prontamente. “Sei stata
bravissima! … Il salotto è una meraviglia! … Suvvia, Hinata! … Non fare così …
Ti chiedo scusa! … Hinata! … Hinata! …”
“Va’ in
malora!”
“Hinata!
Ti prego! Scusaaaahh!!!”
Sul
tavolino di malachite, il bicchiere di limonata era rimasto perfettamente
intatto, ricolmo fino all’orlo.
Egli
non era che il figlio di un mercante caduto in disgrazia, mentre la luce dei
suoi occhi apparteneva al fior fiore dell’aristocrazia.
No,
quest’unione violava ogni legge!
Naruto
non aveva la benché minima idea su che cosa stesse accadendo ad Hinata. Oh, non
che il futuro sposo brillasse in quanto a spirito deduttivo quando il gentil sesso veniva tirato in ballo, ciononostante
beota completo non era e perfino uno, che s’era accorto della cotta della
ragazza nei suoi confronti tramite sentito
dire, poteva affermare con assoluta certezza che la sua fidanzata stesse
attraversando un periodo no. Altrimenti, un’anima volenterosa doveva spiegare
al signor Uzumaki il motivo per il quale, a due giorni dalle sue nozze, Hinata
gli aveva per l’ennesima volta sbattuto la porta in faccia, rifiutandosi di
parlare con lui.
I due –
quasi – sposini avevano litigato.
La colpa è solo tua!, gli aveva urlato Hinata nel
gazebo, rovesciando in uno scatto di
nervi la caraffa contenente il tea ghiacciato. Tu e le tue battute del pippio! Un orangutango possiede più tatto di
te! E io che ti difendevo, quando la gente ti chiamava idiota ! Beh, aveva
ragione: tu sei un idiota! Point final!, e, sgolatasi a sufficienza e
spaccati per la parcondicio anche i bicchieri, se n’era andata via a passo
indiavolato, abbandonando un Naruto al limite dello sconcerto.
“Hey,
hey volpino! Su con la vita e giù quella bottiglia di birra!”, lo scosse Kiba –
un suo amico, collega di lavoro e testimone – dal torpore in cui si era chiuso,
nello specifico sul bancone del Ramen
Ichiraku, un piccolo ristorante dove servivano appunto ramen in ogni salsa
e i cui gestori, Teuchi e Ayame, erano stati i primi cittadini di Konoha coi quali Naruto aveva stretto amicizia un
anno addietro durante i primi mesi del suo trasferimento dalla natale Uzushio.
“Lasciami
stare, strambazzo!”, borbottò
scontento il biondo, scrollandosi la mano dell’amico di dosso e proseguendo ad
affogare i suoi dolori sia nella quinta porzione di ramen, che nel terzo
boccale di birra da Oktoberfest.
“Oye,
Naruto!”, ridacchiò partecipe Ayame, mentre asciugava una scodella,
rimettendola poi al suo posto. “Sei stato ultimamente a Kiri, ché incominci a
parlare nel loro dialetto?”
“Nah,
non starlo a badare! Il nostro sposino ha la smara stasera!”
“E via!
Basta sfottermi! Non è proprio il caso stasera, dattebayo!”, tentò il giovane
di accecare Kiba con le sue bacchette, i capelli arricciati di genuina rabbia.
“Invece
di giocare all’oculista pazzo”, lo trattenne Neji, sottraendogli il bisturi di
fortuna “raccontaci cos’è successo? C’entra mia cugina, vero? L’ho sentita
giusto oggi al telefono, mi è sembrata piuttosto depressa …”
“Depressa?
Hinata .. depressa?”, si strangolò
Naruto per poco con la sua medesima saliva. “Per i rotoli di ciccia del Buddha,
ancora un secondo in quella casa e mi sbranava vivo, peggio di una tigre del
Bengala, dattebayo!”
“Ma che
è successo?”
“E che
ne so, dattebayo!”, si strappò Naruto a momenti i capelli, tanto sguazzava
nello sconforto. “Da tre giorni Hinata altro non fa, che rimproverarmi per
essermi comportato come uno zotico nei confronti di tale Shu!”
“Shu?”
Occhiatine maliziose. “E chi è costui? L’amante? Come, come? Non sei ancora
sposato e già ti prude la testa?” e via con delle innocue risatine sfottitrici.
“Nah,
smettetela, banda di ruffiani! Shu è il suo amichetto immaginario! Insomma,
ogni volta che me lo vuole presentare, chissà perché lui sparisce
misteriosamente …” e se lo scopo di Naruto era stato di aggiungere un’aura
sinistra a quella vicenda di per sé assurda, hé, di certo col suo atteggiamento
eccessivamente melodrammatico il giovane aveva ottenuto semmai l’effetto
opposto: cognato e amico, infatti, si dovettero trattenere la pancia dal
ridere.
“Sicuro!
E magari per nascondersi sotto il letto!”
“E
dagli, dattebayo! Volete che vi impicchi alla porta?”, sventolò il giovanotto
il pugno sotto al naso dei due, minaccia non molto sottile di cambiarli i
connotati, in caso avessero insistito nel loro proposito dileggiatore.
E difatti,
Neji, ritornando improvvisamente serio, pose in avanti le mani. “Naruto,
calmati! Si diceva così, tanto per scherzare!”
“Ovvio,
che Hinata non ti decorerebbe mai la testa!”, rincarò la dose Kiba, anch’egli
rinsavito da ogni afflato istrionico.
“La mia
fidanzata mi ritiene responsabile di aver fatto scappar via il suo amico
immaginario e voi, razza di befane in calore, ci ridete sopra? Beh, io non lo
trovo affatto divertente, dattebayo!”
“Naruto
… ascolta …”
“Il signor
commissario ha ragione”, convenne un’anziana signora seduta poco distante da
loro. “Non c’è niente da ridere, non quando c’è villa Nakano di mezzo! Quel
postaccio avrebbero dovuto demolirlo già dal secolo scorso! Invece, qualcuno lo ha impedito …”
“Koharu”,
l’ammansì Teuchi con tono conciliante, sperando di dirottare la conversazione
altrove: perfetto, oltre che alla paventata rissa gli mancava pure la vecchia
matta del villaggio, che si metteva a raccontare storie di fantasmi al posto di
servire l’ammazza caffè! “Non mi dica, che anche lei crede a quelle stupide
scempiaggini di beghine annoiate!”
Utatane
Koharu, ex-membro del consiglio cittadino di Konoha, si alzò dal suo posto e,
posizionatasi davanti al gestore del ristorante, gli mostrò a distanza
ravvicinata il pomello del suo bastone da passeggio. “Taci, anatra ripiena! È
facile per te parlare: tu non hai vissuto, quel che io ho invece sperimentato
in quell’infernale villa!”, berciò la donna, gonfiandosi come un tacchino e
sminuendo con la sua aria autoritaria il povero Teuchi, che si rimpicciolì,
sopraffatto.
Al
contrario, la gioventù si spostò con le sedie più vicino a lei, le orecchie ben
tese.
“Tu,
ocone infarcito, non eri lì, quando trovarono nel boudoir la figlia
dell’industriale Yamanaka con la mano sinistra mutilata!”
Uno
scioccato silenzio ammutolì tutti gli astanti del Ramen Ichiraku; l’unico rumore rimasto era il ritmico bollore della
zuppa di miso.
“La … la
mano sinistra mutilata?”, ripeté Naruto incredulo, respirando appena. “E chi
…?”
Una
risata sardonica sfuggì dalla bocca sottile della donna. “Chi, chiede lui! Povero signor commissario, non conosce la Ballata della Sposa Mancata di Konoha?”,
inquisì beffardamente perplessa, puntando i suoi occhi scuri contro quelli
azzurri del biondo. “Fate quindi
attenzione, care fanciulle, il giorno delle vostre nozze!”, recitò Koharu
un verso, afferrando il suo bicchiere di liquore e tracannandolo in un sorso.
Di nuovo
silenzio.
“Signora
Utatane, io non sono di queste parti: di conseguenza, non ho la più pallida
idea di chi possa essere questa Sposa Mancata,
sebbene non si faccia altro che sussurrarmelo alle spalle, ogniqualvolta
passeggio per il centro di Konoha. La gente sostiene essere un fantasma, però,
in tutta onestà, mi risulta assai arduo crederci!”
Koharu
sogghignò perfida. “Le stesse parole, che il padre di mia zia Ino pronunciò il
giorno in cui decise di comprare villa Nakano dall’ultimo degli Uchiha. Un
vecchio pazzo, come pazza era sua moglie e come pazzi erano tutti lì dentro!
Colpa della Sposa: uno ad uno li ha condotti alla follia, non se n’è salvato
nessuno! Tranne la sua bastarda, ovviamente, ma perché era la figlia del
diavolo!”
I tre
giovani deglutirono penosamente, pendendo oramai dalle labbra dell’anziana
signora, che proseguì: “All’epoca ero una bambinetta e neppure io badai più di
tanto a simili dicerie. Infatti, a quei tempi la tragica decadenza della
famiglia Uchiha venne accreditata ad una serie di infelici coincidenze. Tzé!”,
scosse la donna energicamente il capo, estraendo dalla borsetta un lungo
bocchino nero, infilandovi dentro una sigaretta.
Accesala,
Koharu ne aspirò il forte fumo, nel frattempo che si massaggiava la tempia
sinistra. Infine, rivelò in un grave sussurro: “Io ho visto la Sposa.”
I suoi
ascoltatori smisero di respirare; similmente i loro cuori ebbero un tuffo.
“Non
fissatemi come la controfigura di un pesce palla! Sì, l’ho vista e no, non
avevo bevuto quel giorno! Né è l’Alzheimer che parla per me! Io ho visto come
la Sposa si è presentata a mia zia, come l’ha avvicinata con quel suo viso
d’angelo, la voce soave di chi non farebbe del male ad una mosca!” Altra nuvola
di fumo. “E ho visto con che occhi
fissava l’anulare portante l’anello! Come un lupo affamato!” Lungo sospiro. “Lo
stesso anulare, che venne reciso alla mia povera zia il giorno delle sue
nozze!”, terminò ieratica, spegnendo nervosa la sigaretta nel posacenere. “Scusami,
Teuchi: mi ero dimenticata, che è proibito fumare qui dentro!”
“Impossibile!”,
replicò invece Kiba, alzandosi di scatto. “Ci sta forse dicendo, che un
fantasma avrebbe per davvero tagliato un dito a sua zia?”
“Non un
dito, ignorante, il dito; stiamo pur
sempre parlando di una “sposa”! E comunque, non tutti i fantasmi sono eterei;
alcuni di loro si presentano dannatamente corporei …”
“Sì,
però, che fine ha fatto l’anulare? E l’anello?”, s’informò Neji.
“Spariti.”
Tre
labbra inferiori tremarono impercettibilmente. “Spariti?”
“La
Sposa ne aveva bisogno”, fu la sibillina spiegazione di Koharu, prima di
scendere dalla sua sedia e di pagare il dovuto al gestore, scusandosi
nuovamente per la sua irruenza di poco fa. “In ogni modo, signor commissario”,
disse la donna a Naruto, fermandosi all’uscita “a casa ho una foto della Sposa:
gliela scattai a tradimento, a qualche giorno dalle nozze amare e mai più
avvenute. Se dovesse avere ancora dei dubbi, non esiti a porgermi una visita;
possiedo altre cosucce interessanti su quest’anima dannata. Tuttavia, fossi in lei,
mi preoccuperei piuttosto di raccogliere baracca e burattini e di ritornartene
a Uzushio il prima possibile, rinviando le nozze come minimo fra cinque anni:
quando la Sposa ha designato il suo obiettivo, non c’è angolo in tutta Konoha,
in cui vi possiate nascondere dai suoi occhi maledetti!”
Detto
questo, uscì.
Quella
notte, Naruto non riuscì ad addormentarsi: l’afa estiva aveva raggiunto livelli
insopportabili e il giovane, stufo di rigirarsi simil braciola sulle lenzuola
disfatte e madide di sudore, decise di schiarirsi le idee e di rinfrescarsi
uscendo in giardino.
Aveva
bisogno di riflettere.
Tutto
stava prendendo una piega assurda e disastrosa; infatti, due settimane
addietro, il giovane commissario si era figurato l’antivigilia del suo
matrimonio come un momento certamente carico di stress e di ansie, ma felice,
spensierato e soprattutto in compagnia
di Hinata.
Invece,
contrariamente alle sue aspettative, aveva trascorso l’antivigilia a tentare il
suicidio mangereccio da Ramen Ichiraku e
a farsi riempire la testa di grottesche stramberie ultraterrene da una signora,
ch’era meglio andasse in casa di riposo. Naturalmente, dopo essere stato
informalmente cacciato via di casa dalla sua futura moglie.
Concentrandosi
sullo scricchiolio della ghiaia sotto i suoi sandali, Naruto si fermò per un
istante, voltandosi in direzione di villa Nakano e contemplandone l’elegante e
distinta silhouette stagliarsi alla torrida luce di una luna rossa e calante.
Pensare, che il biondo vi aveva investito tante speranze! Sin dal giorno in cui
l’anziana Anko Mitarashi gli aveva ceduto le chiavi, egli già s’era immaginato
al suo interno una vita serena, costellata di piccole gioie e dal calore di una
famiglia finalmente tutta sua. L’infanzia del giovane commissario non si poteva
annoverare tra le più felici ed era per questo suo atteggiamento disincantato e
pragmatico, che non aveva minimamente dato credito alle inquietanti storie
riguardanti la casa. Diamine, vi aveva perfino vissuto da solo per un anno! No,
l’intero bedlam era incominciato dall’arrivo di Hinata …
Perché soltanto la mano sinistra
della signorina Anko indossava un guanto?, si ritrovò un perplesso Naruto a riconsiderare
quel piccolo dettaglio, che all’epoca non vi aveva dato alcun peso.
Inutile
negarlo, le parole di Utatane Koharu non cessavano di ronzargli moleste per il
cranio, tormentandolo. Era forse possibile, che sotto quelle fiabe da balia si
celasse un fondo di verità? Che una presenza maligna avesse trovato il modo di
divenire abbastanza corporea appositamente con lo scopo di mutilare una sposa?
E perché? Che cosa ne avrebbe guadagnato?
L’anulare
… l’anello di fidanzamento … La Sposa ne
aveva bisogno …
Inconsciamente,
Naruto contemplò il suo quarto dito sinistro: fra poco più di un giorno, una
fede nuziale vi avrebbe brillato. Una vera …
E se …?
Quale oltraggio maggiore …? Quale impedimento …? Quale, oh Dio santissimo!, quale
ripicca migliore! …
Fantasma?
Pah, doveva essere l’operato di un pazzo, di un criminale, di un essere in
carne ed ossa che aveva osato compiere il più ingiurioso degli atti a danno di una
futura sposa! E qui di nuovo: ma perché? Cosa potevo averlo spinto? O averla spinta: nella mente del biondo
commissario, incominciava in effetti a sorgere il sospetto, che simile
carognata poteva essere stata compiuta sia da un uomo – un innamorato respinto?
– che da una donna – una rivale! Un pendaglio da forca che, sfruttando le
leggende popolari, aveva inscenato quella grandguignolesca vendetta.
Eppure,
leggendo tra le righe, l’episodio di Yamanaka Ino non pareva essere il solo …
Aspetta! Significava forse, che ve n’erano stati degli altri? Assurdo! Insomma,
l’amputazione dell’anulare della ragazza, come caso a sé stante, aveva senso …
Ma collegato ad altri? Dov’era, dunque, il file rouge?
… Ding- Dong!
Naruto
sussultò, bloccandosi guardingo simil gatto in piena caccia notturna,
rilassandosi subito dopo. Che sciocco, si trattava soltanto della solitaria
campana della cappella di villa Nakano, che annunciava la mezzanotte.
La
mezzanotte!
“Cavolo!”,
realizzò il biondo con impacciata meraviglia. “Domani mi sposo …”
Un
brivido freddo gli scese per tutta la lunghezza della spina dorsale e non di
certo per il felice nervosismo. O per il freddo. I vapori dell’afa si erano nel
frattempo raccolti e vivacizzati in un vento man mano sempre più gagliardo,
sollevando aria bollente da terra, che scuoteva le fitte fronte degli alberi
per poi ricongiungersi alla luna, la quale venne prontamente inghiottita da grassi
e bellicosi cirri nero inchiostro, rabbiosi annunciatori di un temporale.
Decisamente
era il caso di rientrare e anche in fretta: se nel suo cogitare, Naruto aveva
raggiunto la cappella – e il camposanto di famiglia annesso – doveva essersi
conseguentemente allontanato parecchio dalla villa. E ciononostante,
un’inspiegabile curiosità aveva ghermito il cuore del giovane, portandolo ad
indugiare a metà strada. Che fare? Ritornare oppure ..?
Quale
arcano desiderio stava guidando i suoi piedi verso il piccolo cimitero della
proprietà?
… in cui decise di comprare villa
Nakano dall’ultimo degli Uchiha …
Gli
Uchiha … coloro che avevano costruito villa Nakano …
Che
fossero ancora lì seppelliti?
Elargendo
un energico colpetto alla torcia e presi due bei respiri profondi, Naruto si
avventurò in direzione della chiesetta, aggirandola e proseguendo per il retro,
là dove il sentiero si’infoltiva di erbacce, le quali, straripando dalle loro
recinzioni artificiali, lo occupavano e lo rendevano pressoché inagibile, a
volte perfino cancellandolo. Testardo, il giovane commissario non si lasciò di
certo scoraggiare da queste quisquiglie e per l’appunto proseguì tra un balzo e
l’altro, sperando di non incappare in alcuna spiacevole sorpresa, poiché l’erba
in certi punti cresceva così alta da imitare la placida superficie del mare,
adesso tuttavia scossa in tumultuose onde a causa del vento, infrangendosi
sulle bricole e paline ch’erano divenute le lapidi.
… Un vecchio pazzo, come pazza
era sua moglie e come pazzi erano tutti lì dentro! …
Muschio,
edere, l’azione corrosiva degli agenti atmosferici e ovviamente il tempo
avevano reso la lettura degli epitaffi piuttosto difficoltosa; nondimeno,
gettandovi un’occhiata distratta, Naruto intuì che le tombe più antiche erano
databili verso la fine del Settecento e che non doveva essere rimasto al mondo
alcun tipo di erede, poiché il camposanto giaceva nell’abbandono totale, anche
fin troppo nel caso vi fosse stato seppellito un lontano parente da poco deceduto.
Che triste! Una famiglia così importante, che aveva edificato uno splendore di
villa, relegata ora in un pezzetto di terra incolta, dimenticata da tutto e
tutti!
… Colpa della Sposa: uno ad uno
li ha condotti alla follia, non se n’è salvato nessuno! …
E in
effetti, Naruto appurò che le date del decesso degli Uchiha più “recenti” si
susseguivano una dietro l’altra: 1861,1862, 1863 … e avanti così per dieci anni
di fila, ordinate e pulite.
“Marcite
all’inferno”, leggeva incredulo il biondo in un filo di voce le colleriche e disordinate
incisioni, che deturpavano l’epitaffio di ciascuna lapide, come se qualcuno
avesse in uno scatto di nervi afferrato una pietra tagliente e vi avesse
sfogato tutto il suo rancore. “Marcite all’inferno, figli di cagna, marcite
all’inferno assieme a me …”
Deglutendo
per inumidire la gola divenutagli d’un colpo secca, il giovane commissario
proseguì il suo studio, notando come la serie di morti giungesse al suo termine
nell’anno 1870. Evidentemente, al triste appello mancavano solamente uno o due
Uchiha e Naruto non faticò molto a scovare le loro tombe.
R.I.P.
HARUNO SAKURA
(1843-1879)
Un dolce fiore di ciliegio
Che il diavolo avvizzì anzitempo
La follia la condusse qui.
Doveva essere la moglie di uno di
loro; strano però che non sia stato aggiunto il cognome del marito, meditò un Naruto leggermente interdetto, passando i
polpastrelli sugli scarabocchi, tentando di decifrarli: anche quella lapida
aveva subito il medesimo atto di vandalismo. Come … come se non avesse fatto in tempo a sposarsi … come se fosse
morta prima … però … trentasei anni … a quell’epoca era già troppo “vecchia”
per le nozze … non ha alcun senso … a meno che “Haruno” non fosse stato il
cognome del primo marito, però lo stesso non … Hey! Ma tu guarda che figlio di
…!
Puttana.
Scrofa.
Ladra.
Me la
pagherai.
Voilà le
parole che s’accompagnavano al mesto epitaffio, insulti che molto probabilmente
il fidanzato o il marito o chiunque avesse avuto a cuore codesta Sakura s’era
premurato più volte di cancellare e con scarsi risultati a giudicare dalla
profondità delle incisioni.
Inumidendosi
nuovamente le labbra, il biondo passò alla tomba lì accanto, l’ultima.
Qui giace:
UCHIHA SASUKE
(1842-1919)
Finalmente libero.
“Leggi qua, leggi qua Hinata!
Chiunque ha scritto questa roba, doveva essersi fumato un bel po’ di erba!”
“ Naruto, non essere
irrispettoso!” Piccola pausa incuriosita. “Che c’è scritto?”
“ Oh, delle cosette molto allegri
e rassicuranti tipo: Tornatene all’inferno, maledetto!”
Mai.
“Oppure: Lasciami in pace! …”
Non
sarai mai libero da me!
“… Dio mio, proteggimi da lui!”
Ti
aspetto nell’eterno abisso …
“Oh, questa è la migliore: Ha preso mio padre.
Ha preso mia madre. Ha preso tutti i miei parenti. Ha preso Sakura. E ora …?
Perché non prende anche me? Perché continua a tormentarmi? Vattene via,
demonio!”
... stupido
fratello!
“Chi va
là?”, gridò Naruto a pieni polmoni, girandosi di scatto e puntando la torcia contro
il fitto buio. Dio del cielo! Aveva davvero udito delle … risate? Un
gracchiante gorgoglio che lo dileggiava beffardo?
Un
insistente battito d’ali. Sfregamento di lucenti penne nere.
“Pah …
corvi …”, si rilassò il biondo, sospirando di sollievo e tuttavia avviandosi a
passo spedito verso la villa: che gli Uchiha e i loro segreti se ne andassero
tutti allegramente in malora, nulla a questo mondo avrebbe persuaso il giovane
a rimanere in quel lugubre cimitero per un secondo di più!
“Ma te guarda in che razza di situazioni mi
vado ogni volta a ficcare! Come se non mi bastassero le rogne del lavoro! A
quest’ora dovrei essere tranquillo e beato a casa mia, nella mia stanza,
nel mio letto, con la mia Hinata e non in giro per cimiteri a
frugare tra i croccanetti di una qualche famiglia di svitati vissuta secoli fa,
dattebayo!” , si lagnava sottovoce tra sé e sé, abile escamotage per rilassare
i nervi tesi ed infondersi al contempo una sana dose di coraggio.
L’intero
suo corpo non cessava, infatti, di tremare e la maglietta a causa del sudore
gli si era attaccata alla pelle umida, delineando le linee del torace e della
schiena. Stancamente, il biondo si passò una mano sugli occhi, percependo un
malsano torpore, un continuo vorticare , nonché una bizzarra pesantezza alle
gambe. Avanzava barcollando, senza rendersi conto della direzione intrapresa o
in che ordine avesse dovuto muovere dei piedi divenuti pericolosamente autonomi,
inciampato per poco sul bordo della vasca della fontana, sbucata chissà dove da
quel buio schifosamente pesto.
Ripigliando
tosto l’equilibrio compromesso, Naruto immerse nell’acqua deliziosamente fresca
le mani, rinfrescandosi il viso e il collo. Godimento puro. E per magia, ogni
cruccio e timore sembravano essersi dissolti, apparendogli infantili e stupidi.
Che idiota! Come aveva potuto lasciarsi spaventare da un paio di pennuti? Da
degli ossetti vecchi come il cucco? L’afa gli stava davvero giocando un brutto
scherzo, friggendogli impietosa il cervello!
Non
c’era niente di cui aver paura! Niente!
Adesso
sarebbe rientrato a casa, rinfilato sotto le coperte e …
“Amico immaginario, eh?”
La
frescura piacevole dell’acqua divenne improvvisamente una gelida maschera, che
qualcuno alle sue spalle lo costrinse ad
indossare, spingendolo con inaudita forza sottoacqua.
Terrorizzato
dalla mancanza di ossigeno e dall’impellente bisogno di respirare, che gli bruciava
i polmoni ad ogni asfissiante secondo, Naruto si contorse di riflesso,
scuotendo il capo, mulinando invasato le braccia e cercando affannosamente ogni
tipo di leva onde potersi sollevare e quindi riemergere con la testa
dall’acqua, la quale si stava infilando maligna su per il naso, nella sua bocca,
nelle orecchie. Invano: imperturbabile a
quei tentativi di liberarsi, il suo misterioso aggressore seguitava serafico ad
esercitare una ferrea quanto mortifera pressione, tenendolo di conseguenza
fermo e impedendogli di riaffiorare da quello che aveva designato essere
l’ultimo giaciglio mortale del giovane.
Ben
presto, complice anche il razionamento non molto savio dell’aria, Naruto cessò
di dimenarsi, percependo ogni suo senso ovattarsi assieme ad un fastidioso
ronzio alle orecchie e una grande voglia di chiudere gli occhi, fatale
desiderio gentilmente offertogli dal suo cervello privato del prezioso ossigeno
per quasi due minuti.
Una
volta raddoppiati, esso avrebbe dato infine forfè e allora …
La presa
d’acciaio si ingentilì in una più leggera e delicata, la quale al posto di
costringerlo là dove solamente i pesci sopravvivevano, lo issò di peso e lo
ricondusse tra i suoi simili. La bocca del giovane commissario si spalancò in
automatica in un rauco e rospesco gasp!,
ingollando avido tutta l’aria disponibile in gracidanti singulti e,similmente ai bifolchi della Licia
rappresentati nella fontana di Latona a Versailles, anche il biondo cadde a
carponi sopraffatto da tale esperienza, rigettando in un unico abbondante
flusso l’acqua tracannata controvoglia e quel che non aveva digerito della
cena, tossendo nel frattempo scompostamente e ingolato.
“Naruto?”,
lo chiamava una vocina titubante, alternandosi ora a delle carezze circolari
sulla sua nuca dei discreti ma decisi colpetti alla schiena, aiutandolo a
liberarsi completamente dell’acqua ingoiata.
Ripulendosi
gli angoli della bocca, il biondo si voltò verso la fonte di quel richiamo,
stupendosi grandemente di vedere Hinata scalza, con indosso soltanto una
leggera camiciola da notte e
inginocchiata accanto a lui. E perché poi si doveva stupire? La ragazza
abitava con lui; di conseguenza, era assolutamente logico che fosse stata lei la prima a
prestargli soccorso …
E
allora, come mai quell’attimo di esitazione da parte sua? Perché Naruto
seguitava a fissare stranito e dubbioso la sua fidanzata? E soprattutto,
cos’era quella molesta sensazione di sbagliato
quando un’apprensiva Hinata lo abbracciò con trasporto, sussurrandogli
all’orecchio paroline di conforto?
“Hai
visto?”, si staccò Naruto da lei, afferrandola saldamente per le spalle e
puntandole contro gli occhi cerulei.
La mora
sbatté disorientata le ciglia. “Cosa? Cosa avrei dovuto vedere, tesoro?”,
disse, alterandosi in seguito un poco. “Come mi lasciavi vedova prima ancora di
sposarci?”
Snervato
e poco incline alle battute di spirito – argh! Quella parola! – il giovane
commissario scosse il capo. “Hai visto chi era alle mie spalle? Chi mi ha messo
la testa sottacqua? Hinata, se sei accorsa da casa, devi per forza aver notato
qualcuno, dattebayo!”
“Ma …
con questo buio … non saprei …”
Mentiva,
oh era così evidente! E non per il suo tipico balbettare, no: a tradirla era
quel suo ostinarsi a non volerlo guardare in faccia mentre gli stava
raccontando quella frottola!
“Hinata!”,
l’ammonì perentorio il fidanzato, stringendo gli occhi in una linea severa.
“Non mi rifilare certe panzane: come mi avresti allora trovato a colpo sicuro,
se non riuscivi a muoverti per via del buio?”
V’era in
lei qualcosa che gli suonava un po’ strano.
Solo qualcosa? Ma era
un’intera sinfonia sbagliata!
Hinata,
la sua Hinata, che dinanzi ad
un’occhiata simile si sarebbe contorta come Bretzel, stava sul serio
ricambiando con placida indifferenza il suo sguardo, il capo leggermente
reclinato? E sempre con quella annoiata flemma, ella gli rispose:
“ Non
c’era nessuno dietro di te, Naruto! Nessuno!”
Fu il
turno del biondo di protestare la sua incredulità, esibendosi subito in una
serie di ma. “Nessuno? E secondo te,
avrei tentato di annegarmi? Da solo? Alla vigilia delle nostre noz- … umphf!”,
non gli venne concesso di terminare, giacché Hinata, afferratogli il viso,
l’aveva zittito con un bacio imperioso.
“Sarà
stato un incidente, amore. Eri stanco, accaldato e magari ti eri sporto troppo
dai bordi della vasca, scivolando di conseguenza … Non ti fissare con questa
solfa della “teoria del complotto”! In tutta onestà, chi mai avrebbe voluto la
tua morte?” e rise di cuore, mostrando i denti perfetti. “Suvvia, tesoro,
andiamo a dormire! Non dobbiamo affaticarci troppo: domani sarà un grande
giorno … per entrambi …”, gli
sussurrò all’orecchio, schioccandogli in seguito un bacio sulla tempia. “Non
credi?”
“Hinata
… io …”, provò ad argomentare Naruto, preso di contropiede dall’atteggiamento
eccessivamente intraprendente della fidanzata.
Perché alla mattina mi caccia e
alla sera mi rivuole nel suo letto?
Ma,
oh-oh, mica così spiacevole!
Sennonché
…
“Naruto!
… Naruto, dove sei? … Naruto! … Naruto,
ti chiedo scusa, mi sono comportata male, però per favore non giocarmi certi
scherzi! … Vieni fuori per favore! … Naruto! …”
Un paio
di occhi celesti si spalancarono, fuori di sé dal terrore.
“Sentito?
È ora di fare la nanna, tesoro!”
L’unica
cosa che Uzumaki Naruto contemplò, prima di venire inghiottito dall’oscurità
dell’incoscienza, furono due ferini e compiaciuti occhiacci cremisi …
Poi, il
nulla.
Spiegatelo
voi, però, a due anime innamorate! Un unico cuore, un unico pensiero.
Teneri
baci, impudiche carezze e la promessa di appartenersi l’un l’altro, ora e per
sempre.
To be continued …
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[1] = citazione da Oscar Wilde