Cap 9
Al sapore di passato
I primi raggi di un pigro e caldo sole
settembrino fecero sollevare lentamente le mie palpebre.
Dopo lo sfogo della sera prima con Roberto, mi
sentivo decisamente più leggera e, mentre distendevo le
braccia e i muscoli delle gambe, non riuscii a fermare la nascita di un sorriso
beato sulle mie labbra.
Ero in pace con me stessa ed
il mondo.
Strano a dirsi, soprattutto da una complessata
cronica come me. Però, in effetti, gli ultimi
avvenimenti mi stavano facendo inverosimilmente bene.
Certo, stavo soffrendo per la salute di mia
madre, per la decisione sempre meno definita di studiare medicina e anche per la
riscoperta di un’amicizia assopita per troppo tempo… Ma stavo bene.
Mi sentivo forte e sicura di me; piena di buoni
propositi e rinnovata energia.
Avrei ripreso in mano le redini della mia vita;
disinfettato le ferite e guardato negli occhi il futuro. L’avrei raggiunto con
un lento, ma deciso passo di marcia.
Scostai le lenzuola e mi alzai in piedi; prima saltellando
e poi roteando su me stessa: era ora di iniziare una nuova giornata.
“Buongiorno, dormigliona.”
Entrai in cucina ancora in canotta e
pantaloncini del pigiama, sorridendo e dando una pacca sulla spalla del mio
migliore amico.
“Buondì, Rob. È
rimasto un po’ di caffè per me?”
Lui annuì, girando una pagina di un libro e
sorseggiando una grossa tazza di caffè.
Mi sedetti di fronte a lui, arricciando il
naso.
“Che c’è?” Mi fissò pensieroso.
“E quello lo chiami caffè? Ti sei
americanizzato fin troppo, man.”
Lui fece spallucce e cercò di reprimere un
sorriso, ritornando chino sul suo libro.
“Che leggi di così interessante?”
“Un libro sul karate.”
Girai il mio caffè rigorosamente espresso, guardandolo stupita.
“Karate? Non eri mica un patito del nostro tanto
venerato calcio italiano?”
“Già. Ma, come ben
sai, non vivo più in Italia da troppi anni e non riesco a seguirlo come vorrei.
Poi, Louis - il
mio coinquilino così dannatamente americano
- mi ha decisamente fatto appassionare alle arti marziali. Sono cintura
marrone, sai? Saranno quasi sei anni che mi alleno con costanza ed è così
gratificante. Mi rilassa e mi fa conoscere meglio me stesso.”
Mi appoggiai con il viso su una mano, studiando
la nuova luce che aveva negli occhi.
“Cavolo, ti sei dato da fare in questi anni. Sembri
così… Come dire?”
Lui
sorrise, chiudendo il libro e guardandomi di nuovo negli occhi.
“Felice?”
Scossi la testa. “Non solo; sei
appassionato. Ami la tua vita?”
“Decisamente sì. Non cambierei nulla o quasi.”
Mi regalò uno sguardo malizioso. “Quasi, eh?”
“La tua costante presenza è l’unica cosa che
manca per renderla perfetta.”
Sospirai, bevendo in un sorso il mio caffè. “E
anche del sano sesso, Mr Sorriso-da-Ebete.”
Lui roteò gli occhi, ridacchiando felice. “Oh,
quello non manca di certo.”
Arricciai di nuovo il naso, assottigliando lo
sguardo. “Ah sì? Mica non sei
fidanzato?”
Rimase in silenzio, guardandomi divertito.
Ahimè, arrivai alla sua muta risposta con
qualche secondo di ritardo.
“Ma dai! Sei proprio
un cazzone. Perché non ti impegni sul serio?”
La suoneria del mio cellulare interruppe il
nostro discorso.
Sospirai e risposi sorridendo.
“Buongiorno, Amore.”
“Buongiorno, testa vuota! Va bene che sono bella e dolce, però non me
la sento di lasciare Leo per te. Mi perdoni, Criss?”
Arrossii per la figuraccia.
“Hey, Stefy! Scusami, ero convinta fosse Luca…”
Lei, invece, rise con naturalezza. “Ma figurati! Ho
sentito Marghe e mi ha detto che ti sei presa una settimana di permesso per tua mamma. Che è successo? E perché non mi hai avvertita, zucchina che non sei altra?”
Sospirai, stiracchiandomi sulla sedia. In
realtà avevo deciso di proposito di non avvisare nessuno, perché quando
accadevano determinate cose nella mia vita – diciamo semplicemente negative -
tendevo a chiudermi in me stessa per cercare di ricucire i pezzi da sola e
ostentare forza verso il resto del mondo. Non che fosse un comportamento maturo
e ragionevole, ma – ahimè - ero fatta così.
“È svenuta in seguito ad un problema al cuore.
Ora deve solo riprendersi ed uscire; il peggio sembra
essere passato. Per fortuna non era sola quando è successo, quindi i medici
sono intervenuti subito e hanno limitato i danni. Comunque, non ti preoccupare,
penso di rimanere qui qualche giorno o una settimana al massimo. Ti faccio
sapere quando torno così ci becchiamo, ok?”
“Pensa te che roba! Quanto mi dispiace, ciccia; vedrai che si
riprenderà e starà meglio di prima! Ho sentito anche Luca, perché avevo bisogno
delle tue chiavi di casa per farmi il mio nuovo mazzo..
Quando tornerai, mi avrai sempre tra i piedi.” Rise di
cuore, facendomi sorridere di riflesso.
“Non vedo l’ora... Mi
manchi anche un po’.”
“Non ti preoccupare; vedrò di adempiere ai
miei dovere di amica rompicoglioni quando ritornerai in quel di Milano.”
Mi salutò così e io
non riuscii a trattenere un sorriso.
“Chi era?”
Mi accorsi solo in quel momento che Roberto era
ancora di fronte a me e con gli occhi incollati ai miei. “Una
mia collega e una grande amica. Non so se te ne ho parlato, si chiama
Stefania. Sta per trasferirsi da me.”
Lui assottigliò lo sguardo. “Gnocca?”
Sbuffai esasperata, passandomi l’indice sulle
labbra con fare pensieroso. “Molto direi.”
“Cosa aspetti a
presentarmela?”
Mi alzai, scrollando le spalle e lavando velocemente
la mia tazzina.
“Quando verrai a trovarmi a casa, te la presento.
” Feci qualche passo verso di lui con finta espressione
addolorata. “Comunque è fidanzata e con un figo da paura. Quindi la vedo dura, Playboy.”
Lui socchiuse leggermente l’occhio destro, regalandomi un'occhiata poco amichevole.
“Perché io sarei un cesso, scusa?”
Sorrisi, passandogli accanto. “Mai detto
questo, ma non ho intenzione di gonfiare il tuo ego.”
La mia
spalla sinistra venne sfiorata impercettibilmente
dalla sua mano e ritrovai così le braccia del mio migliore amico intorno alla
vita e le sue mani intrecciate contro la mia pancia.
“Sei ancora brava a giocare con le parole, eh? Dai, dillo
apertamente che sono un cesso se ne hai il coraggio.”
Feci
spallucce, non riuscendo a trattenere un sorriso furbo e provocatorio.
Mi girai tra le sue braccia, guardandolo dal mio misero metro e una banana.
“Altrimenti
mi picchi?”
Stupendomi
di nuovo, Roberto si passò lentamente la lingua sul labbro inferiore, facendomi
spalancare la bocca per la sorpresa.
“Oh, no;
signorina. Ho in mente altro per te.”
Mi appoggiai
spontaneamente sul suo petto, reprimendo un sorriso.
“Non ti
riesce molto la parte del dongiovanni, sai?”
Sollevai
lo sguardo, trovando gli occhi azzurro/verdi di Rob socchiusi e accompagnati da
un sorriso quasi timido. “Non hai idea di quanto poco mi sia impegnato.”
Mi
scompigliò i capelli, mettendo fine al piccolo siparietto post colazione.
Pensare
che un tempo erano così frequenti, soprattutto quando
dormivamo insieme come due bambini senza età.
Seguendo
il ritmo gioioso e dolce di quei ricordi, mi avvicinai a Roberto e lo presi a
braccetto, proprio come solevamo fare solo qualche tempo prima.
Lui mi
baciò tra i capelli e procedendo a finto passo di marcia, ci dirigemmo verso la
vecchia e familiare fermata
dell’autobus.
“Quindi potresti già uscire venerdì? Incredibile…”
Mi
sistemai sulla sedia, mentre il dottore si congedava e ci augurava una buona
giornata.
“Sì,
davvero meraviglioso. Odio stare tutto il giorno incatenata a
questo letto. Dovrei fare un sacco di cose… Chissà quante
polvere ci sarà a casa ora!”
Scossi
la testa, mentre una mano mi scompigliò ancora i capelli.
Mi
voltai e vidi Roberto che, ridendo bellamente, si sedeva ai piedi del letto.
“Paola,
sei sempre la solita; come mia madre d’altronde. Invece che pensare un po’ a
voi stesse, vi preoccupate ossessivamente della casa e dei figli.”
Mia
madre cercò di incrociare le braccia – proprio come faceva sempre quando era in
procinto di sgridare entrambi – ma per colpa della
flebo, le riportò distese sul letto.
“Signorino,
quando sarai padre e avrai una famiglia, allora ci capirai. Vero,
Vanna?”
La madre
di Roberto alzò lo sguardo dalla rivista, facendomi quasi scoppiare a ridere.
Ogni
volta i suoi occhiali le scivolavano sulla punta del naso, donandole un aspetto
alquanto buffo.
“Assolutamente,
Pao. Ma hai sentito che Belen è rimasta incinta?”
Mia
madre scosse la testa, fingendo un interesse palesemente inesistente.
“Ma dai?”
“Sì,
Pao… Pensa che se è femmina la chiameranno Sofia.. So
fija de ‘na mign-“
Giovanna,
seduta a pochi passi da suo figlio, si alzò di scatto regalando a quello scemo un
forte e sonoro copino.
“Ma insomma! Sei veramente un insolente,
figlio mio.”
Io e mia
madre, invece, ci guardammo rassegnate, prima di scoppiare a ridere di gusto.
“Roberto
è un piacere vedere che sei rimasto lo stesso ragazzino di un tempo.”
Lui
sorrise, riavvicinandosi a mia madre e abbracciandola dolcemente.
Mi si
strinse il cuore; Roberto era sempre stato un bambino che abbracciava e baciava
tutti, ma non immaginavo certo che all’età di ventidue anni continuasse a farlo
con così tanta disinvoltura.
Quando
sciolse l’abbraccio, mia madre aveva gli occhi lucidi.
“Pao, lo
so che mi vuoi
bene anche per questo!”
Scherzò,
ritornando seduto vicino a me.
“Ci sei
mancato così tanto, caro.”
Il mio
migliore amico si strinse nelle spalle, rivelando forse un po’ di quella
timidezza che aveva celato egregiamente per giorni.
“Mamma,
ti spiace se torno a casa? Giovanna e Roberto possono rimanere qui a farti
ancora un po’ di compagnia, ma io devo assolutamente comperare
delle cose che ho dimenticato a Milano per la fretta… Sai, cose da donne.”
Erano le
quattro del pomeriggio, ormai, quindi mia madre non si stupì della mia
dipartita.
Mi
salutò caldamente, prima di lasciarmi andare.
Roberto,
cocciuto com’era, non voleva abbandonarmi e così ci dirigemmo al piccolo
supermercato del paesello a piedi, insieme. Fortunatamente distava
solo pochi passi dall’ospedale; non che fosse una collocazione ad hoc, però era
molto comodo per i parenti dei ricoverati che dovevano rimanere in ospedale sia
a pranzo che a cena.
Roberto
mi rimase accanto stando in un religioso e strano silenzio, tanto che mi
spaventai quando il mio cellulare iniziò a vibrare.
“Hey…”
Non
riuscii nemmeno a pronunciare il classico ‘pronto’ che la voce calda e avvolgente
di Luca, mi avvolse dolcemente. “Ciao..” Sorrisi
talmente tanto che fui costretta a socchiudere gli occhi.
“Ci credi che è solo martedì
pomeriggio e io sono in crisi da Criss? Crisi da Criss… Potrebbe essere
un nuovo programma di Real Time, che dici? Mi sto riempiendo di quella merda
quando torno a casa la sera, per evitare di pensarti troppo. Sono
proprio patetico; Andre ha ragione.”
“No, non
lo sei.” Roberto mi fece un cenno con la testa e dopo aver varcato la porta
scorrevole del supermercato, ci separammo silenziosamente. “Io non posso nemmeno guardarlo Real Time, quindi conto sui tuoi
aggiornamenti.”
Che
strana telefonata, pensai. Sentivo la mia voce assumere un tono sempre più
debole, come un bisbiglio, trattenendo quasi le lacrime. Mi mancava di già? Eravamo lontani da 48 ore,
com’era possibile!
“Che fai di bello? Sei da tua mamma?”
“No,
sono al supermercato con Rob a comprare gli assorbenti. Mi sono arrivate ieri
notte. Te?”
“In macchina di ritorno dal lavoro. Voglio le
vacanze; oggi stavo per mandare a fare in culo un
sacco di vecchietti rincitrulliti. Come cavolo puoi improvvisarti elettricista
se non sai distinguere una lampadina dalla testa di tua moglie? Roba da pazzi;
ho voglia solo di una birra e di te, se fosse possibile.”
Passai
una mano tra i capelli, attorcigliandoli lentamente tra il pollice e l’indice.
“Come
siamo polemici oggi..”
“Da morire, non posso nemmeno contare sulla
pomiciata serale con la mia ragazza. Mondo infame.”
Risi
mentre sorpassavo la corsia dei detersivi e attirandomi gli sguardi di due signore
attempate.
“Vorrei
poter flirtare con te al telefono, ma le vecchiette
dei surgelati mi guardano con fare minaccioso.”
Lui
sospirò, ma sospettai che stesse ridendo della situazione.
“Sono solo invidiose di te. Sai, anche se non
sono più sul mercato da tre anni, ho sempre avuto successo con le settantenni.
Sono proprio un bel bocconcino; mi addenterei da solo!”
Mi
portai una mano davanti alle labbra, nascondendo un sorriso. “Lascia fare
questo sporco lavoro a chi ne ha le competenze.”
Lo
sentii sospirare rumorosamente il che mi fece venire la pelle d’oca per le
immagini che passarono davanti ai miei occhi. Entrambi pensavamo
ad una cosa sola e non sapevo se ridere per l’assurdità di quella telepatia o
se piangere, sbattendo la testa contro lo scaffale più vicino, per la
frustrazione.
“E allora muoviti a venire qui
che diventerò cieco a furia di pensarti e non poterti toccare.”
Scossi
la testa, svoltando dentro la corsia che stavo cercando. Eccoli!
“Sono
passate solo 48 ore…”
Un altro
sospiro. “Te l’ho detto
che sono in crisi da Criss. Credo di essere malato.”
Sorrisi
di nuovo. “Se tutto va bene per il fine settimana
ritorno a casa. Tieni duro.”
“Più duro di così, si muore.”
Scoppiai
a ridere del tutto, piegandomi
letteralmente in due.
“Sei
incredibile.”
Luca
rise di riflesso, abbassando il tono di voce. “Oh, non hai idea di quanto io sia incredibile in questo momento. Dai,
ti lascio tranquilla; ora mi sistemo e scendo dalla macchina. Direi che vado a
farmi una doccia congelata per riprendermi. Ci sentiamo più tardi; saluta
Mamma, Roberto e Giovanna.”
“Va
bene; tu salutami i tuoi, Leo e gli altri. Ah, Luca?”
“Dimmi, testolina.”
“Ti
amo.” E un sorriso si impossessò delle mie labbra.
“Oh, piccola. Anche io;
fai la brava.”
Chiusi
la telefonata con un sospiro adorante, per la quantità di tenerezza e calore
che solo la voce di Luca riusciva sempre a donarmi. Era la sicurezza che
cercavo da anni, quel tepore che ti fa sentire a casa
ovunque. Al centro di un ciclone, nella marea del dolore o in assenza
d’ossigeno: lui era la mano calda della salvezza, creata per afferrarmi
prontamente nelle vicinanze di ogni baratro.
Non era
facile; l’amore non è facile come ci propinano milioni
di romanzi e film strappalacrime.
L’amore
richiede un addestramento da soldato e la forza di volontà di un eremita;
bisogna lottare ogni giorno per incastrare pezzi completamente diversi, senza
farli collidere e distruggere a vicenda.
L’amore
è l’arte dello smussare, dell’amalgamare ed
dell’unire. Per questo è il più complicato, ma anche il più gratificante dei
sentimenti. Non è facile ammorbidire gli angoli di se stessi, senza assumere
forme diverse e distanti dal reale.
Per
questo si soffre e per questo continuiamo a cercarlo incessantemente.
“Toc,
toc.”
Roberto
mi spuntò davanti, battendomi due dita sulla fronte e risvegliandomi dal
torpore emotivo nel quale ero caduta. Infatti, mi resi conto solo in quel
momento, osservavo da un buon quarto d’ora le confezioni di assorbenti esterni ed interni con sguardo attento, come se la mia fosse una
decisione di vita o di morte.
Probabilmente
sembravo, oltre che rimbambita, anche parecchio pazza.
Scossi
così la testa e mimai un sorriso un po’ tirato al mio migliore amico.
“Scusa,
stavo pensando ad altro. Che hai comprato?”
I miei
occhi si incollarono al suo cestino rosso pieno zeppo
di schifezze.
“Un po’
di viveri. Anche se - se posso essere sincero, eh - i supermercati degli States
sono tre volte più forniti e con confezioni di dimensioni più soddisfacenti.”
Alzai un
sopracciglio come risposta e lui fece prontamente spallucce.
“Mica è colpa mia, Criss! Ormai
mangio schifezze come un vero e onesto cittadino americano..
Se lo sa mamma, mi disconosce.”Ammise, facendomi ridere
brevemente. Gli diedi così una pacca sul braccio, fingendo un po’ di
pietà per il suo stomaco, e mi inchinai sullo scaffale
per afferrare la confezione dei Tampax. Quando mi rialzai,
lui stava arricciando il naso, infastidito.
“Che
c’è?”
“Brutti
ricordi.”
Lo
guardai con fare interrogativo, gettando la confezione nel suo cestino.
“Cioè?”
Roberto
iniziò a camminare, facendomi correre per raggiungerlo.
“Hai
dovuto metterti un Tampax su per il deretano?”
Lui si
guardò prima intorno leggermente allarmato e poi mi
diede una spinta, scoppiando a ridere e contagiando anche me.
“Ma quanto sei scema! No, ovviamente il mio sedere è e
rimarrà sacro e illibato per tutta la vita. Pensavo ad
una mia ex che era fissata talmente tanto con i Tampax che pensavo si
divertisse di più a infilarsi quelli
che il mio amico. Insomma, avevo
quindici anni, ma mi è rimasto un po’ questo pallino.”
Io, se
devo essere sincera, gli scoppiai a ridere in faccia senza molti scrupoli. Constatando che, ahimé, il suo non era affatto uno scherzo e
che lo stavo in qualche modo offendendo. Così mi ricomposi, alla bell’e meglio.
“Scusa-pff-mi. È decisamente una
cazzata. Guarda che è fastidioso all’inizio mettersi i Tampax e poi non ha
niente a che vedere con il piacere… Dì pure a Mr Melanzana di dormire sogni
tranquilli.”
Rob non
disse nulla e mi prese a braccetto, dirigendosi così verso le casse.
Prima di
arrivarci, però, qualcuno interruppe il nostro cammino, facendoci congelare sul
posto e con le bocche spalancate.
“Oddio!
Roberto Casarini? Cristina Moro? Ma che piacevole sorpresa!”
Eravamo proprio in vena di ex fiamme quel
pomeriggio, pensai tra me e me.
“Jennifer?
Jennifer…”
“Monteleone! Sì,
sono proprio io! Mamma mia, ma sei sempre più carino, sai? Accidenti! Sapevo
che eri sparito in America e si erano perse completamente le tue tracce…”
Strano,
davvero molto strano. Jennifer Monteleone non mi degnò
nemmeno di uno sguardo; che dico! Nemmeno di un respiro. D’altronde era più che
normale. Figlia di un politico bassotto dal dubbio senso morale e di una
consulente matrimoniale; Jennifer era stata una della
ragazzine più carine del nostro paesello fin dall’asilo. Era la
personificazione più banale e superficiale dei cliché, me ne rendevo sempre più
conto mentre sentivo la sua voce sfumare, sopraffatta dal rumore dei ricordi.
Una come lei, non poteva di
certo conoscere una come me. Ma le cose cambiavano nettamente, se codesta ragazza
rossiccia – l’unico dettaglio degno di remora e bello, a mio parere - era stata
per qualche mese una delle fidanzatine più cool di Roberto, quando lui era in
seconda superiore. Inutile dire che si stancò facilmente – erano i famosi anni
del ‘menefreghismo totale’ e dell’ormone impazzito –
quindi si era divertito fin che aveva potuto. Sfortunatamente Jennifer parlava
troppo, anche in certi momenti, e con
questa motivazione banale, stupida o semplice per i suoi 15
anni, Rob se la scrollò di dosso. Così, per il tempo restante – più o meno un anno dalla sua dipartita dall’Italia – lei
continuò a tormentarlo sia pubblicamente che privatamente, utilizzando modi
sempre più subdoli. Ero arrivata addirittura quasi a malmenarla davanti alla fermata
del bus, perché elemosinava insistentemente dettagli sulla vita privata di Rob
che solo io e lui sapevamo.
Bei tempi. Un sorriso soddisfatto si fece spazio sul mio viso, conquistando
l’attenzione del mio migliore amico, che con una mano sul mento e il piede
sinistro che si muoveva freneticamente, sembrava in procinto di imprecare
sonoramente e darsela a gambe levate.
“… quindi alla fine l’amica per la pelle ha vinto su tutti i fronti. D’altronde ora va molto di moda fingersi amica degli uomini per fare
breccia nel loro cuore. Sinceramente lo trovo un modo un po’ meschino, ma siete
carucci, dai. Roby, tu più di tutti,
lo sai. Te l’ho già detto che sto studiando scienze politiche a Roma? È davvero
stupendo che il destino mi abbia riportato qui per qualche giorno solo per
ritrovarti. Sì, è decisamente il fato!”
“Decisamente.” Bofonchiai, incrociando le braccia e facendo
sorridere Roberto.
“Cristina…
Lo so che non siamo mai andate d’accordo, eri così scontrosa
anni fa! Stai lavorando anche tu, immagino. Che cosa fai di bello?
Scommetto che a Milano è pieno di risorse per i diplomati.”
Strangolare
non era il verbo più adatto. Avrei preferito qualcosa come incenerire,
disintegrare ed eliminare, ma mi era difficile con tutte quelle persone come
testimoni oculari.
“In realtà, penso che farò la barbona per strada. Ma non credo siano esattamente cazzi tuoi.
Per lo meno, non dovrò farmi strada con le marchette o
perché ho un cognome importante. Ora dobbiamo proprio andarcene! Ciao, ciao! Salutami il paparino.”
Presi
Rob sottobraccio e ce ne andammo fin troppo velocemente.
Solo
quando entrammo di corsa nel 24, ci mettemmo a ridere
contro le portiere.
“Incredibile!
L’hai stesa, Cris! Ti ricordi quando la volevi menare,
perché ti chiedeva se amavo le ragazze depilate o quelle nature?”
Annuii,
afferrando la sua mano libera dal sacchetto e prendendo
così posto nell’ultima fila a cinque posti.
Era la
nostra preferita, da sempre.
Ti
sentivi potente da laggiù; potevi vedere tutti e sapevi che tutti vedevano te. Un gradino sopra le persone e dominavi il
mondo.
“Crì.”
Mi
voltai verso di lui che smise di guardare la strada dal finestrino per ritornare
concentrato sul mio volto.
“Dimmi.”
“Fotografami.”
Aggrottai
le sopracciglia, socchiudendo le labbra per parlare, ma la sua mano mi fermò.
“Stasera,
dopo cena. Andiamo in camera tua e fotografami come facevamo tempo fa. Voglio
farti vedere quanto talento hai e devi smetterla di negarlo a te stessa. Vali
mille volte di più di una stupida sciacquetta di provincia che tenta la carriere politica per notorietà. Cris, sei una
sognatrice. Noi dominiamo il mondo, ricordi? Da qui, con le
nostri idee e le nostre passioni, siamo sopra tutti.”
Mi passai
due dita sulle tempia destra e sorrisi, voltandomi
dall’altra parte.
“Se
ritrovo la Nikon…”
Rob mi
posò un braccio dietro le spalle e mi avvicinò a sé, cambiando discorso e
raccontandomi nuovi aneddoti sulla sua vita lontana dall’Italia.
Arrivammo
a casa quasi in contemporanea con Giovanna, che si stupì del nostro ritardo, ma
non disse nulla, scorgendo le nostre espressioni felici.
Mangiammo
con ilarità e dolcezza, ricordando il passato, parlando del presente e
azzardando qualcosa sul futuro.
Di certo
quei giorni sarebbero presto finiti; Roberto sarebbe ritornato in America ed io
a Milano da lì a poco. Ognuno avrebbe continuato a rincorrere la propria vita e
l’infinità della cose che sognavamo di realizzare o
quantomeno provare solo a sfiorare.
Chiamai
di nuovo Luca che mi rispose mezzo assonnato e mi rivelò che si era addormentato sul
divano dalla stanchezza. A Milano continuava a piovere freneticamente e si era
infradiciato, quando aveva scaricare il nuovo materiale che gli era arrivato al
negozio. Mi aveva dato una buonanotte veloce, ma dolce
e amorevole che mi fece sorridere nonostante avesse le mani nell’acqua
calda da un quarto d’ora e stessi
lavando i piatti.
“Miss
Piggy, la Nikon è carica e ti aspetta.”
Mi
voltai e mi asciugai le mani, cercando di nascondere un po’ del tremolio che
non voleva abbandonarmi.
Da
quanto non fotografavo davvero?
Non lo
ricordavo con precisione; avevo solo smesso di farlo. Quando facevo
qualche piccolo viaggio c’era sempre Luca o qualche amico che lo faceva per me.
Fotografare era la mia memoria, il mio cassetto dei ricordi che avevo
conservato per tanti anni. Purtroppo la passione era finita, la mia vita aveva
preso pieghe sempre più diverse e avevo deciso di allontanare quella passione
infantile, per cercare un vero lavoro e magari studiare qualcosa che mi avrebbe
garantito una solidità economica.
La vita
non era per i sognatori; l’avevo capito ormai da un po’.
“Ho trovato una delle mie chitarre nel tuo armadio. Mi ricordavo che ne lasciavo sempre una da te, perché ti piaceva
ascoltarmi. Dimmi cosa devo fare.”
Quando mi
chiusi la porta alle spalle, sospirai.
Eccola
lì la mia compagna.
Nikon D100, regalatami da mia madre, con sacrifici, nel 2003 per il mio
decimo compleanno. Un
regalo davvero troppo bello per una bambina, mi resi conto anni dopo, ma mia
madre diceva che quando fotografavo, brillavo di luce propria. Ero nel mio
habitat e nessuno poteva farmi male dietro l’obiettivo che solo io potevo
controllare. Solo io decidevo chi immortalare nella mia vita.
Per
questo me la regalò; per darmi un degno compagno che mi avrebbe protetto e resa
felice quando lei non riusciva a capirmi o semplicemente non poteva.
Anni
prima mi ero divertita con macchine fotografiche usa e
getta e per una bambina era già troppo quello, figuriamoci una macchina
fotografica pesante, grande e costosa. Ma mia madre non
si era mai pentita di aver risparmiato per mesi solo per una mia passione.
Forse lei aveva visto lontano… Aveva capito che per me fotografare non era un
capriccio, ma il mio modo di esprimermi.
Fu così
che incominciò tutto.
“Eri così gasata quando tua madre te la regalò. Passasti una settimana a letto con lei.” Disse indicando quella piccola scatola nera che ora stava
benissimo in una mia mano.
Il
contatto con la sua superficie ruvida fece volatilizzare all’istante il nervosismo
e l’ansia. Sorrisi davvero con gli occhi, la bocca e tutto il corpo.
“Cavolo
è piena di polvere.” Utilizzai la maglietta per spolverarla, rendendomi conto
che non era proprio il massimo della professionalità.
Ma feci spallucce e andai in
bagno per ripulirmi le mani.
“Oh
cazzo!”
Roberto
mi raggiunse giusto in tempo per aiutarmi a chiudere il rubinetto.
“Che
cavolo hai fatto?”
“Non lo
so! Mi stavo solo lavando le mani e a un certo punto è uscito un getto
dall’altra parte!”
Gli
indicai il pezzo di congiunzione che evidentemente si era guastato e lui prese
solo l’asciugamano e glielo legò intorno.
“Dai,
domani chiamiamo un idraulico. Certo che sei un
disastro sei tutta bagnata e io non sono da meno.”
Scoppiammo
a ridere, ritornando in camera.
Ripresi
in mano il mio gioiellino e spensi la luce della camera, accendendo invece l’abat-jour. Poi aprii la finestra, spostai dei cuscini e
feci segno a Roberto di stendersi sul letto senza chitarra.
“Sicura?
Non è che mi fai spogliare e poi rivendi le mie foto su Ebay?”
Gli
diedi una spinta decisa e lui si tolse le scarpe con i
talloni, stendendosi così sul letto con la schiena sulla testiera e le mani
dietro la testa come cuscino.
“No, non
ci siamo. Mettiti completamente disteso. No, il braccio
destro sotto la testa e l’altro tra i capelli.”
“Ma così sembro frocio!”
Lo
fulminai con lo sguardo. “Zitto e ubbidisci!”
Lui
sbuffò. “Si, badrona.
Così?”
Mi
avvicinai a lui e gli sompigliai i capelli,
divertendomi.
Aveva la
maglietta bianca bagnata sui pettorali e i capelli con le punte inscurite
dall’acqua.
In quel
contrasto di bianco e pelle, i suoi occhi risplendevano.
Presi la
sedia all’angolo e, dopo averla posizionata ai piedi
del letto, ci salii sopra.
“Perfetto.”
Portai
la Nikon vicino al mio viso e Roberto si alzò a sedere, a disagio.
“Che
c’è? Dai, Rob!”
“Posso
mettere un po’ di musica? Mi sento un cretino così… Di solito io facevo altro e
tu mi riprendevi in pose naturali.”
Sorrisi
e acconsentii. Lui estrasse il cellulare e lo appoggiò sul comodino, dopo aver
trafficato con lo schermo tattile.
“Stronzo
con l’iPhone.”
Lui
rise. “Invidiosa. Da noi non costa
come qui.”
Li feci
la linguaccia mentre le voce roca di Chad Kroeger solleticò
le mie orecchie.
“Ti
piacciono ancora i Nickelback, eh?”
Lui si
riposizionò come poco prima, sorridendomi. “Sempre. If today was your last day, questa
canzone, mi ha fatto compagnia per anni. Lo sai.”
Sorrisi, iniziando a fotografarlo e giocando con la luce calda
dell’abat-jour in contrasto col buio della stanza.
“Li ho
sempre adorati anche io.”
“Certo e
mi sfottevi perché non ho mai avuto la voce come Chad. Mondo
crudele.”
Risi,
scendendo dalla sedia e mettendomi in piede sul copriletto.
“Ora
alza la maglietta e scopri un po’ la pancia. Fingi di dormire.”
Lui
sollevò le sopracciglia, malizioso. “Oh, tesoro. Dillo
subito che mi vuoi nudo nel tuo letto.”
Gli
diedi un leggero calcio sul fianco e lui seguii le mie direttive.
Mi
abbassai per spettinargli i capelli sul viso e mi resi conto che da vicino, con
gli occhi chiusi e i riflessi aranciati dalla luce artificiale: era davvero
bellissimo.
Roberto
era sempre stato un bel ragazzo, ma in quell’espressione ingenua e così
naturale, conservava la bellezza di un bambino e il fisico tonico di un adulto.
Click, click, click.
Mi
aggirai per la stanza come un’ombra leggera e silenziosa che giocava con la
luce e la luna.
“Amo
questa canzone. Mi ricorda il passato. Mio padre. I finti
amici e poi te.”
Sorrisi,
avvicinandomi e coprendoli la pancia.
“Lo so.
Non mi hai mai detto perché ti ricorda me, però. Ora,
Rob, mettiti a testa in giù verso la finestra. Vediamo se la luce lunare è
dalla mia parte.”
Lui
gattonò verso di me e si sistemò proprio come volevo io.
“Facciamo
solo qualche scatto così, non voglio di certo farti perdere l’unico neurone
decente che ti è rimasto.”
Lui mi
fece la linguaccia e ne approfittai per scattare una foto.
“Stronza!”
Sorrisi
e tornai a fotografarlo.
“Guarda
verso la finestra.”
Mi
spostai per spegnere tutte le luce, lasciando così
solo la luna e farmi da riflettore.
“Perfetto.
Cazzo, sembri un angelo caduto.”
Lui
fissò i suoi occhi nei miei. “Sono venuto per portarti via con me.”
Risi e
lo feci alzare.
“Ora siediti sul davanzale. Un
ginocchio sul legno, l’altro sul pavimento.
Il mento
sul ginocchio, sì, bravo. Perfetto. Le braccia mettile di fianco, ok. Ora guardami.”
Click, click, click.
Era
meraviglioso come solo muovendo un passo potessi rendere la foto
incredibilmente diversa.
Contro luce, non si vedeva altro che il contorno delle sue labbra e
i suoi occhi chiari.
Era surreale.
“And would you find that one you're dreaming of. Swear up and down to God
above…That you'd finally fall in love.”
Rob canticchiò il mio pezzo preferito
della canzone, ma mi fissava diversamente.
Sembrava che mi stesse inviando una
sorta di messaggio.
“Che hai?”
“Queste sono le parole che mi ricordano
te. Sempre, in continuazione. Se dovessimo morire oggi, non hai idea di quanto
mi pentirei di non avertelo mai detto.”
Si portò un braccio sopra il ginocchio,
sotto il mento e mi guardò fisso.
Spostai la Nikon, per guardarlo meglio.
“Mi hai già detto che mi amavi, Rob. Non ti preoccupare, non dovresti avere rimpianti.”
“Invece ne ho, perché…”
Scosse la testa, fermandosi. “Abbiamo
finito, vero?”
In realtà volevo fargli qualche altro
scatto, ma non volevo approfittarmene. Sembrava che il suo buonumore si fosse
completamente dissolto.
“E ti si vede il pizzo del reggiseno,
le tue gambe sono diventate più sode e le tue labbra sono sempre rosse, perché
le stuzzichi con i denti in continuazione. Non dovrei notarle queste cose e dovrei farmi una doccia e starmene zitto. ‘Notte,
Criss.”
“Ma che cazzo
stai blaterando?”
Lo inseguii alla porta e gli posai una
mano sulla spalla.
Lui si voltò, mi guardò dritto negli
occhi e non so cosa ci vide, ma io so cosa vidi nei
suoi.
Calore. Erano lucidi, languidi e mi
guardavano in un modo che non avevo mai visto, se non nei film e non avevo mai
sperimentato sulla mia pelle.
“Rob?”
Lui mi posò un dito sulle labbra e mi
abbracciò.
“Lo sapevo che rimanendo qui con te mi
sarei ricordato di troppe cose che avevo cercato di dimenticare.”
Cercai di respingerlo un po’, solo per
poterlo guardare negli occhi, ma la sua presa era decisamente
più forte delle mie braccia.
“Ma che hai?
Ti ho per caso offeso senza rendermene conto?”
Ma la sua risposta non arrivò mai,
perché in quel momento rividi i suoi occhi che si insinuarono
nei miei e le sue labbra che prima mi sorrisero e poi scesero ad accarezzare le mie.
Rimasi impietrita, mentre Roberto
iniziò a baciarmi.
Non era possibile, che cavolo stava
succedendo?
E perché erano così morbide e calde?
Lui non chiuse gli occhi e non smise
per un attimo di accarezzarmi il collo.
Scosse la testa, quasi rispondendo
mentalmente alla mia domanda.
Nemmeno lui sapeva cosa stava
succedendo e quando la mia mano afferrò i suoi capelli, mi resi conto che
nemmeno io lo sapevo.
Mi trovai a ricambiare il bacio per
qualche secondo e poi mi staccai.
Non disse una parola e nemmeno io.
Me ne andai semplicemente in camera di
mia madre e mi rinchiusi lì.
Quello sì che era un gran bel casino.
_______________________
Ehm, un mese e mezzo di
ritardo, so che è tantissimo! Mi scuso davvero tanto, purtroppo non ho passato
un gran bel periodo e quindi sono stata un po’ ferma
con le storie. Ora riesco un po’ a respirare e finalmente sono riuscita finire
questo capitolo lunghissimo e ricco di piccole rivelazioni.
Cosa ne pensate?
Luca è a Milano e
continua a essere presente nella vita di Cris, nonostante la lontananza.
Roberto riscopre vecchi sentimenti che credeva assopiti e Cris è semplicemente
confusa, perché non si è mai trovata in una situazione simile.
L’unica cosa che ho da
dirvi è che la canzone citata da Roberto è molto famosa :) If today was your last day dei Nickelback. Mi pare ovvio che è
quasi obbligatorio averla ascoltata almeno una volta
nella vita u.u
Per il resto, attendo i
vostri commenti! Sono proprio curiosa di leggere le vostre teorie e le vostre
impressioni. :3
Personalmente l’ultima
parte è la mia preferita e fare quel mini servizio
fotografico è stato uno spasso. Sì, sto parlando come se avessi partecipato anche io, ma vi assicuro che nella mia testa è successo
davvero! xD
Grazie di tutto.
Un bacio stra grande e a
presto <3
Ps: ho deciso di modificare dei
“numeri” nei primi capitoli, per spiegare meglio la situazione. Nel senso che,
quando Rob e Cris si lasciano, hanno appena 15 e 13
anni e mi sembrava troppo presto, per un flashback che ho inserito negli ultimi
capitoli e per quelli che arriveranno. Quindi, li renderò un po’ più adulti
accorciando un pochino gli anni di distanza. Spero non
sia un problema, ma ci ho pensato a lungo e mi sembra la scelta migliore.
Un altro bacio, dai :3