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Autore: ArchiviandoSogni_    12/02/2013    8 recensioni
Lui, lei e l'altro.
Roberto e Cristina si conoscono dall'età di tre e cinque anni e diventano, fin da subito, amici per la pelle.
La loro amicizia si fortifica anno dopo anno, ma - per una serie di sfortunati eventi- il destino ha deciso di mandarli in capo al mondo, dividendoli per sempre.
Lei a Milano, Lui a New York: la loro bellissima amicizia sembra affievolirsi ogni giorno di più. Dopo chiamate disperate, videochiamate malinconiche e visite ormai sempre più rade; il destino torna in campo per concendere ai due migliori amici, una seconda possibilità.
E se l'amicizia non fosse più l'unico sentimento che li lega?
E se, nel frattempo, dopo sette anni di distanza, comparisse il simpaticissimo e protettivo Luca al fianco della nostra incasinata protagonista?
Una storia d'amore moderna, frizzante e malinconica al punto giusto; che porta con sé il retrogusto dolceamaro della vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Cap 9

Cap 9

 

 

Al sapore di passato

 

 

I primi raggi di un pigro e caldo sole settembrino fecero sollevare lentamente le mie palpebre.

Dopo lo sfogo della sera prima con Roberto, mi sentivo decisamente più leggera e, mentre distendevo le braccia e i muscoli delle gambe, non riuscii a fermare la nascita di un sorriso beato sulle mie labbra.  

Ero in pace con me stessa ed il mondo.

Strano a dirsi, soprattutto da una complessata cronica come me. Però, in effetti, gli ultimi avvenimenti mi stavano facendo inverosimilmente bene.

Certo, stavo soffrendo per la salute di mia madre, per la decisione sempre meno definita di studiare medicina e anche per la riscoperta di un’amicizia assopita per troppo tempo… Ma stavo bene.

Mi sentivo forte e sicura di me; piena di buoni propositi e rinnovata energia.

Avrei ripreso in mano le redini della mia vita; disinfettato le ferite e guardato negli occhi il futuro. L’avrei raggiunto con un lento, ma deciso passo di marcia.

Scostai le lenzuola e mi alzai in piedi; prima saltellando e poi roteando su me stessa: era ora di iniziare una nuova giornata.

“Buongiorno, dormigliona.”

Entrai in cucina ancora in canotta e pantaloncini del pigiama, sorridendo e dando una pacca sulla spalla del mio migliore amico.

“Buondì, Rob. È rimasto un po’ di caffè per me?”

Lui annuì, girando una pagina di un libro e sorseggiando una grossa tazza di caffè.

Mi sedetti di fronte a lui, arricciando il naso.

“Che c’è?” Mi fissò pensieroso.

“E quello lo chiami caffè? Ti sei americanizzato fin troppo, man.”

Lui fece spallucce e cercò di reprimere un sorriso, ritornando chino sul suo libro.

“Che leggi di così interessante?”

“Un libro sul karate.”

Girai il mio caffè rigorosamente espresso, guardandolo stupita.

“Karate? Non eri mica un patito del nostro tanto venerato calcio italiano?

“Già. Ma, come ben sai, non vivo più in Italia da troppi anni e non riesco a seguirlo come vorrei. Poi, Louis  - il mio coinquilino così dannatamente americano - mi ha decisamente fatto appassionare alle arti marziali. Sono cintura marrone, sai? Saranno quasi sei anni che mi alleno con costanza ed è così gratificante. Mi rilassa e mi fa conoscere meglio me stesso.

Mi appoggiai con il viso su una mano, studiando la nuova luce che aveva negli occhi.

“Cavolo, ti sei dato da fare in questi anni. Sembri così… Come dire?”

Lui sorrise, chiudendo il libro e guardandomi di nuovo negli occhi. “Felice?”

Scossi la testa. “Non solo; sei appassionato. Ami la tua vita?”

Decisamente sì. Non cambierei nulla o quasi.”

Mi regalò uno sguardo malizioso. “Quasi, eh?”

“La tua costante presenza è l’unica cosa che manca per renderla perfetta.”

Sospirai, bevendo in un sorso il mio caffè. “E anche del sano sesso, Mr Sorriso-da-Ebete.”

Lui roteò gli occhi, ridacchiando felice. “Oh, quello non manca di certo.”

Arricciai di nuovo il naso, assottigliando lo sguardo. “Ah sì? Mica non sei fidanzato?”

Rimase in silenzio, guardandomi divertito.

Ahimè, arrivai alla sua muta risposta con qualche secondo di ritardo.

Ma dai! Sei proprio un cazzone. Perché non ti impegni sul serio?”

La suoneria del mio cellulare interruppe il nostro discorso.

Sospirai e risposi sorridendo.

“Buongiorno, Amore.”

“Buongiorno, testa vuota! Va bene che sono bella e dolce, però non me la sento di lasciare Leo per te. Mi perdoni, Criss?”

Arrossii per la figuraccia.

“Hey, Stefy! Scusami, ero convinta fosse Luca…”

Lei, invece, rise con naturalezza. Ma figurati! Ho sentito Marghe e mi ha detto che ti sei presa una settimana di permesso per tua mamma. Che è successo? E perché non mi hai avvertita, zucchina che non sei altra?”

Sospirai, stiracchiandomi sulla sedia. In realtà avevo deciso di proposito di non avvisare nessuno, perché quando accadevano determinate cose nella mia vita – diciamo semplicemente negative - tendevo a chiudermi in me stessa per cercare di ricucire i pezzi da sola e ostentare forza verso il resto del mondo. Non che fosse un comportamento maturo e ragionevole, ma – ahimè - ero fatta così.

“È svenuta in seguito ad un problema al cuore. Ora deve solo riprendersi ed uscire; il peggio sembra essere passato. Per fortuna non era sola quando è successo, quindi i medici sono intervenuti subito e hanno limitato i danni. Comunque, non ti preoccupare, penso di rimanere qui qualche giorno o una settimana al massimo. Ti faccio sapere quando torno così ci becchiamo, ok?”

“Pensa te che roba! Quanto mi dispiace, ciccia; vedrai che si riprenderà e starà meglio di prima! Ho sentito anche Luca, perché avevo bisogno delle tue chiavi di casa per farmi il mio nuovo mazzo.. Quando tornerai, mi avrai sempre tra i piedi.” Rise di cuore, facendomi sorridere di riflesso.

“Non vedo l’ora... Mi manchi anche un po’.”

“Non ti preoccupare; vedrò di adempiere ai miei dovere di amica rompicoglioni quando ritornerai in quel di Milano.”

Mi salutò così e io non riuscii a trattenere un sorriso.

“Chi era?”

Mi accorsi solo in quel momento che Roberto era ancora di fronte a me e con gli occhi incollati ai miei. “Una mia collega e una grande amica. Non so se te ne ho parlato, si chiama Stefania. Sta per trasferirsi da me.”

Lui assottigliò lo sguardo. “Gnocca?”

Sbuffai esasperata, passandomi l’indice sulle labbra con fare pensieroso. “Molto direi.”

Cosa aspetti a presentarmela?”

Mi alzai, scrollando le spalle e lavando velocemente la mia tazzina.

“Quando verrai a trovarmi a casa, te la presento. ” Feci qualche passo verso di lui con finta espressione addolorata. “Comunque è fidanzata e con un figo da paura. Quindi la vedo dura, Playboy.”

Lui socchiuse leggermente l’occhio destro, regalandomi un'occhiata poco amichevole.

“Perché io sarei un cesso, scusa?”

Sorrisi, passandogli accanto. “Mai detto questo, ma non ho intenzione di gonfiare il tuo ego.”

La mia spalla sinistra venne sfiorata impercettibilmente dalla sua mano e ritrovai così le braccia del mio migliore amico intorno alla vita e le sue mani intrecciate contro la mia pancia.

Sei ancora brava a giocare con le parole, eh? Dai, dillo apertamente che sono un cesso se ne hai il coraggio.

Feci spallucce, non riuscendo a trattenere un sorriso furbo e provocatorio. Mi girai tra le sue braccia, guardandolo dal mio misero metro e una banana.

“Altrimenti mi picchi?”

Stupendomi di nuovo, Roberto si passò lentamente la lingua sul labbro inferiore, facendomi spalancare la bocca per la sorpresa.

“Oh, no; signorina. Ho in mente altro per te.”

Mi appoggiai spontaneamente sul suo petto, reprimendo un sorriso.

“Non ti riesce molto la parte del dongiovanni, sai?”

Sollevai lo sguardo, trovando gli occhi azzurro/verdi di Rob socchiusi e accompagnati da un sorriso quasi timido. “Non hai idea di quanto poco mi sia impegnato.”

Mi scompigliò i capelli, mettendo fine al piccolo siparietto post colazione.

Pensare che un tempo erano così frequenti, soprattutto quando dormivamo insieme come due bambini senza età.

Seguendo il ritmo gioioso e dolce di quei ricordi, mi avvicinai a Roberto e lo presi a braccetto, proprio come solevamo fare solo qualche tempo prima.

Lui mi baciò tra i capelli e procedendo a finto passo di marcia, ci dirigemmo verso la vecchia e familiare fermata dell’autobus.

 

“Quindi potresti già uscire venerdì? Incredibile…”

Mi sistemai sulla sedia, mentre il dottore si congedava e ci augurava una buona giornata.

“Sì, davvero meraviglioso. Odio stare tutto il giorno incatenata a questo letto. Dovrei fare un sacco di cose… Chissà quante polvere ci sarà a casa ora!”

Scossi la testa, mentre una mano mi scompigliò ancora i capelli.

Mi voltai e vidi Roberto che, ridendo bellamente, si sedeva ai piedi del letto.

“Paola, sei sempre la solita; come mia madre d’altronde. Invece che pensare un po’ a voi stesse, vi preoccupate ossessivamente della casa e dei figli.

Mia madre cercò di incrociare le braccia – proprio come faceva sempre quando era in procinto di sgridare entrambi – ma per colpa della flebo, le riportò distese sul letto.

“Signorino, quando sarai padre e avrai una famiglia, allora ci capirai. Vero, Vanna?”

La madre di Roberto alzò lo sguardo dalla rivista, facendomi quasi scoppiare a ridere.

Ogni volta i suoi occhiali le scivolavano sulla punta del naso, donandole un aspetto alquanto buffo.

“Assolutamente, Pao. Ma hai sentito che Belen è rimasta incinta?

Mia madre scosse la testa, fingendo un interesse palesemente inesistente.

Ma dai?”

“Sì, Pao… Pensa che se è femmina la chiameranno Sofia.. So fija de ‘na mign-“

Giovanna, seduta a pochi passi da suo figlio, si alzò di scatto regalando a quello scemo un forte e sonoro copino.

Ma insomma! Sei veramente un insolente, figlio mio.”

Io e mia madre, invece, ci guardammo rassegnate, prima di scoppiare a ridere di gusto.

“Roberto è un piacere vedere che sei rimasto lo stesso ragazzino di un tempo.”

Lui sorrise, riavvicinandosi a mia madre e abbracciandola dolcemente.

Mi si strinse il cuore; Roberto era sempre stato un bambino che abbracciava e baciava tutti, ma non immaginavo certo che all’età di ventidue anni continuasse a farlo con così tanta disinvoltura.

Quando sciolse l’abbraccio, mia madre aveva gli occhi lucidi.

“Pao, lo so  che mi vuoi bene anche per questo!”

Scherzò, ritornando seduto vicino a me.

“Ci sei mancato così tanto, caro.”

Il mio migliore amico si strinse nelle spalle, rivelando forse un po’ di quella timidezza che aveva celato egregiamente per giorni.

“Mamma, ti spiace se torno a casa? Giovanna e Roberto possono rimanere qui a farti ancora un po’ di compagnia, ma io devo assolutamente comperare delle cose che ho dimenticato a Milano per la fretta… Sai, cose da donne.”

Erano le quattro del pomeriggio, ormai, quindi mia madre non si stupì della mia dipartita.

Mi salutò caldamente, prima di lasciarmi andare.

Roberto, cocciuto com’era, non voleva abbandonarmi e così ci dirigemmo al piccolo supermercato del paesello a piedi, insieme. Fortunatamente distava solo pochi passi dall’ospedale; non che fosse una collocazione ad hoc, però era molto comodo per i parenti dei ricoverati che dovevano rimanere in ospedale sia a pranzo che a cena.

Roberto mi rimase accanto stando in un religioso e strano silenzio, tanto che mi spaventai quando il mio cellulare iniziò a vibrare.

“Hey…”

Non riuscii nemmeno a pronunciare il classico ‘pronto’ che la voce calda e avvolgente di Luca, mi avvolse dolcemente. “Ciao..” Sorrisi talmente tanto che fui costretta a socchiudere gli occhi.

“Ci credi che è solo martedì pomeriggio e io sono in crisi da Criss? Crisi da Criss… Potrebbe essere un nuovo programma di Real Time, che dici? Mi sto riempiendo di quella merda quando torno a casa la sera, per evitare di pensarti troppo. Sono proprio patetico; Andre ha ragione.”

“No, non lo sei.” Roberto mi fece un cenno con la testa e dopo aver varcato la porta scorrevole del supermercato, ci separammo silenziosamente. “Io non posso nemmeno guardarlo Real Time, quindi conto sui tuoi aggiornamenti.”

Che strana telefonata, pensai. Sentivo la mia voce assumere un tono sempre più debole, come un bisbiglio, trattenendo quasi le lacrime. Mi mancava di già? Eravamo lontani da 48 ore, com’era possibile!

“Che fai di bello? Sei da tua mamma?”                  

“No, sono al supermercato con Rob a comprare gli assorbenti. Mi sono arrivate ieri notte. Te?”

“In macchina di ritorno dal lavoro. Voglio le vacanze; oggi stavo per mandare a fare in culo un sacco di vecchietti rincitrulliti. Come cavolo puoi improvvisarti elettricista se non sai distinguere una lampadina dalla testa di tua moglie? Roba da pazzi; ho voglia solo di una birra e di te, se fosse possibile.

Passai una mano tra i capelli, attorcigliandoli lentamente tra il pollice e l’indice.

“Come siamo polemici oggi..

“Da morire, non posso nemmeno contare sulla pomiciata serale con la mia ragazza. Mondo infame.”

Risi mentre sorpassavo la corsia dei detersivi e attirandomi gli sguardi di due signore attempate.

“Vorrei poter flirtare con te al telefono, ma le vecchiette dei surgelati mi guardano con fare minaccioso.”

Lui sospirò, ma sospettai che stesse ridendo della situazione.

“Sono solo invidiose di te. Sai, anche se non sono più sul mercato da tre anni, ho sempre avuto successo con le settantenni. Sono proprio un bel bocconcino; mi addenterei da solo!

Mi portai una mano davanti alle labbra, nascondendo un sorriso. “Lascia fare questo sporco lavoro a chi ne ha le competenze.”

Lo sentii sospirare rumorosamente il che mi fece venire la pelle d’oca per le immagini che passarono davanti ai miei occhi. Entrambi pensavamo ad una cosa sola e non sapevo se ridere per l’assurdità di quella telepatia o se piangere, sbattendo la testa contro lo scaffale più vicino, per la frustrazione.

“E allora muoviti a venire qui che diventerò cieco a furia di pensarti e non poterti toccare.”

Scossi la testa, svoltando dentro la corsia che stavo cercando. Eccoli!

Sono passate solo 48 ore…”

Un altro sospiro. “Te l’ho detto che sono in crisi da Criss. Credo di essere malato.”

Sorrisi di nuovo. “Se tutto va bene per il fine settimana ritorno a casa. Tieni duro.”

“Più duro di così, si muore.”

Scoppiai a ridere del tutto, piegandomi  letteralmente in due.

“Sei incredibile.”

Luca rise di riflesso, abbassando il tono di voce. “Oh, non hai idea di quanto io sia incredibile in questo momento. Dai, ti lascio tranquilla; ora mi sistemo e scendo dalla macchina. Direi che vado a farmi una doccia congelata per riprendermi. Ci sentiamo più tardi; saluta Mamma, Roberto e Giovanna.

“Va bene; tu salutami i tuoi, Leo e gli altri. Ah, Luca?”

Dimmi, testolina.”

“Ti amo.” E un sorriso si impossessò delle mie labbra.

“Oh, piccola. Anche io; fai la brava.”

Chiusi la telefonata con un sospiro adorante, per la quantità di tenerezza e calore che solo la voce di Luca riusciva sempre a donarmi. Era la sicurezza che cercavo da anni, quel tepore che ti fa sentire a casa ovunque. Al centro di un ciclone, nella marea del dolore o in assenza d’ossigeno: lui era la mano calda della salvezza, creata per afferrarmi prontamente nelle vicinanze di ogni baratro.

Non era facile; l’amore non è facile come ci propinano milioni di romanzi e film strappalacrime.

L’amore richiede un addestramento da soldato e la forza di volontà di un eremita; bisogna lottare ogni giorno per incastrare pezzi completamente diversi, senza farli collidere e distruggere a vicenda.

L’amore è l’arte dello smussare, dell’amalgamare ed dell’unire. Per questo è il più complicato, ma anche il più gratificante dei sentimenti. Non è facile ammorbidire gli angoli di se stessi, senza assumere forme diverse e distanti dal reale.

Per questo si soffre e per questo continuiamo a cercarlo incessantemente.

“Toc, toc.”

Roberto mi spuntò davanti, battendomi due dita sulla fronte e risvegliandomi dal torpore emotivo nel quale ero caduta. Infatti, mi resi conto solo in quel momento, osservavo da un buon quarto d’ora le confezioni di assorbenti esterni ed interni con sguardo attento, come se la mia fosse una decisione di vita o di morte.

Probabilmente sembravo, oltre che rimbambita, anche parecchio pazza.

Scossi così la testa e mimai un sorriso un po’ tirato al mio migliore amico.

“Scusa, stavo pensando ad altro. Che hai comprato?”

I miei occhi si incollarono al suo cestino rosso pieno zeppo di schifezze.

“Un po’ di viveri. Anche se - se posso essere sincero, eh - i supermercati degli States sono tre volte più forniti e con confezioni di dimensioni più soddisfacenti.

Alzai un sopracciglio come risposta e lui fece prontamente spallucce.

“Mica è colpa mia, Criss! Ormai mangio schifezze come un vero e onesto cittadino americano.. Se lo sa mamma, mi disconosce.”Ammise, facendomi ridere brevemente. Gli diedi così una pacca sul braccio, fingendo un po’ di pietà per il suo stomaco, e mi inchinai sullo scaffale per afferrare la confezione dei Tampax. Quando mi rialzai, lui stava arricciando il naso, infastidito.

“Che c’è?”

“Brutti ricordi.”

Lo guardai con fare interrogativo, gettando la confezione nel suo cestino.

“Cioè?”

Roberto iniziò a camminare, facendomi correre per raggiungerlo.

“Hai dovuto metterti un Tampax su per il deretano?”

Lui si guardò prima intorno leggermente allarmato e poi mi diede una spinta, scoppiando a ridere e contagiando anche me.

Ma quanto sei scema! No, ovviamente il mio sedere è e rimarrà sacro e illibato per tutta la vita. Pensavo ad una mia ex che era fissata talmente tanto con i Tampax che pensavo si divertisse di più a infilarsi quelli che il mio amico. Insomma, avevo quindici anni, ma mi è rimasto un po’ questo pallino.

Io, se devo essere sincera, gli scoppiai a ridere in faccia senza molti scrupoli. Constatando che, ahimé, il suo non era affatto uno scherzo e che lo stavo in qualche modo offendendo. Così mi ricomposi, alla bell’e meglio.

Scusa-pff-mi. È decisamente una cazzata. Guarda che è fastidioso all’inizio mettersi i Tampax e poi non ha niente a che vedere con il piacere… Dì pure a Mr Melanzana di dormire sogni tranquilli.

Rob non disse nulla e mi prese a braccetto, dirigendosi così verso le casse.

Prima di arrivarci, però, qualcuno interruppe il nostro cammino, facendoci congelare sul posto e con le bocche spalancate.

“Oddio! Roberto Casarini? Cristina Moro? Ma che piacevole sorpresa!”

Eravamo proprio in vena di ex fiamme quel pomeriggio, pensai tra me e me.

“Jennifer? Jennifer…”

“Monteleone! Sì, sono proprio io! Mamma mia, ma sei sempre più carino, sai? Accidenti! Sapevo che eri sparito in America e si erano perse completamente le tue tracce…

Strano, davvero molto strano. Jennifer Monteleone non mi degnò nemmeno di uno sguardo; che dico! Nemmeno di un respiro. D’altronde era più che normale. Figlia di un politico bassotto dal dubbio senso morale e di una consulente matrimoniale; Jennifer era stata una della ragazzine più carine del nostro paesello fin dall’asilo. Era la personificazione più banale e superficiale dei cliché, me ne rendevo sempre più conto mentre sentivo la sua voce sfumare, sopraffatta dal rumore dei ricordi.

Una come lei, non poteva di certo conoscere una come me. Ma le cose cambiavano nettamente, se codesta ragazza rossiccia – l’unico dettaglio degno di remora e bello, a mio parere - era stata per qualche mese una delle fidanzatine più cool di Roberto, quando lui era in seconda superiore. Inutile dire che si stancò facilmente – erano i famosi anni delmenefreghismo totale’ e dell’ormone impazzito – quindi si era divertito fin che aveva potuto. Sfortunatamente Jennifer parlava troppo, anche in certi momenti, e con questa motivazione banale, stupida o semplice per i suoi 15 anni, Rob se la scrollò di dosso. Così, per il tempo restante – più o meno un anno dalla sua dipartita dall’Italia – lei continuò a tormentarlo sia pubblicamente che privatamente, utilizzando modi sempre più subdoli. Ero arrivata addirittura quasi a malmenarla  davanti alla fermata del bus, perché elemosinava insistentemente dettagli sulla vita privata di Rob che solo io e lui sapevamo.  

Bei tempi. Un sorriso soddisfatto si fece spazio sul mio viso, conquistando l’attenzione del mio migliore amico, che con una mano sul mento e il piede sinistro che si muoveva freneticamente, sembrava in procinto di imprecare sonoramente e darsela a gambe levate.

“… quindi alla fine l’amica per la pelle ha vinto su tutti i fronti. D’altronde ora va molto di moda fingersi amica degli uomini per fare breccia nel loro cuore. Sinceramente lo trovo un modo un po’ meschino, ma siete carucci, dai. Roby, tu più di tutti, lo sai. Te l’ho già detto che sto studiando scienze politiche a Roma? È davvero stupendo che il destino mi abbia riportato qui per qualche giorno solo per ritrovarti. Sì, è decisamente il fato!”

Decisamente.” Bofonchiai, incrociando le braccia e facendo sorridere Roberto.

“Cristina… Lo so che non siamo mai andate d’accordo, eri così scontrosa anni fa! Stai lavorando anche tu, immagino. Che cosa fai di bello? Scommetto che a Milano è pieno di risorse per i diplomati.

Strangolare non era il verbo più adatto. Avrei preferito qualcosa come incenerire, disintegrare ed eliminare, ma mi era difficile con tutte quelle persone come testimoni oculari.

“In realtà, penso che farò la barbona per strada. Ma non credo siano esattamente cazzi tuoi. Per lo meno, non dovrò farmi strada con le marchette o perché ho un cognome importante. Ora dobbiamo proprio andarcene! Ciao, ciao! Salutami il paparino.”

Presi Rob sottobraccio e ce ne andammo fin troppo velocemente.

Solo quando entrammo di corsa nel 24, ci mettemmo a ridere contro le portiere.

“Incredibile! L’hai stesa, Cris! Ti ricordi quando la volevi menare, perché ti chiedeva se amavo le ragazze depilate o quelle nature?

Annuii, afferrando la sua mano libera dal sacchetto e prendendo così posto nell’ultima fila a cinque posti.

Era la nostra preferita, da sempre.

Ti sentivi potente da laggiù; potevi vedere tutti e sapevi che tutti vedevano te. Un gradino sopra le persone e dominavi il mondo.

“Crì.”

Mi voltai verso di lui che smise di guardare la strada dal finestrino per ritornare concentrato sul mio volto.

“Dimmi.”

“Fotografami.”

Aggrottai le sopracciglia, socchiudendo le labbra per parlare, ma la sua mano mi fermò.

“Stasera, dopo cena. Andiamo in camera tua e fotografami come facevamo tempo fa. Voglio farti vedere quanto talento hai e devi smetterla di negarlo a te stessa. Vali mille volte di più di una stupida sciacquetta di provincia che tenta la carriere politica per notorietà. Cris, sei una sognatrice. Noi dominiamo il mondo, ricordi? Da qui, con le nostri idee e le nostre passioni, siamo sopra tutti.”

Mi passai due dita sulle tempia destra e sorrisi, voltandomi dall’altra parte.

“Se ritrovo la Nikon…”

Rob mi posò un braccio dietro le spalle e mi avvicinò a sé, cambiando discorso e raccontandomi nuovi aneddoti sulla sua vita lontana dall’Italia.

 

Arrivammo a casa quasi in contemporanea con Giovanna, che si stupì del nostro ritardo, ma non disse nulla, scorgendo le nostre espressioni felici.

Mangiammo con ilarità e dolcezza, ricordando il passato, parlando del presente e azzardando qualcosa sul futuro.

Di certo quei giorni sarebbero presto finiti; Roberto sarebbe ritornato in America ed io a Milano da lì a poco. Ognuno avrebbe continuato a rincorrere la propria vita e l’infinità della cose che sognavamo di realizzare o quantomeno provare solo a sfiorare.

Chiamai di nuovo Luca che mi rispose mezzo assonnato e mi rivelò che si  era addormentato sul divano dalla stanchezza. A Milano continuava a piovere freneticamente e si era infradiciato, quando aveva scaricare il nuovo materiale che gli era arrivato al negozio. Mi aveva dato una buonanotte veloce, ma dolce e amorevole che mi fece sorridere nonostante avesse le mani nell’acqua calda  da un quarto d’ora e stessi lavando i piatti.

“Miss Piggy, la Nikon è carica e ti aspetta.”

Mi voltai e mi asciugai le mani, cercando di nascondere un po’ del tremolio che non voleva abbandonarmi.

Da quanto non fotografavo davvero?

Non lo ricordavo con precisione; avevo solo smesso di farlo. Quando facevo qualche piccolo viaggio c’era sempre Luca o qualche amico che lo faceva per me. Fotografare era la mia memoria, il mio cassetto dei ricordi che avevo conservato per tanti anni. Purtroppo la passione era finita, la mia vita aveva preso pieghe sempre più diverse e avevo deciso di allontanare quella passione infantile, per cercare un vero lavoro e magari studiare qualcosa che mi avrebbe garantito una solidità economica.

La vita non era per i sognatori; l’avevo capito ormai da un po’.

“Ho trovato una delle mie chitarre nel tuo armadio. Mi ricordavo che ne lasciavo sempre una da te, perché ti piaceva ascoltarmi. Dimmi cosa devo fare.”

Quando mi chiusi la porta alle spalle, sospirai.

Eccola lì la mia compagna.

Nikon D100, regalatami da mia madre, con sacrifici, nel 2003 per il mio decimo compleanno. Un regalo davvero troppo bello per una bambina, mi resi conto anni dopo, ma mia madre diceva che quando fotografavo, brillavo di luce propria. Ero nel mio habitat e nessuno poteva farmi male dietro l’obiettivo che solo io potevo controllare. Solo io decidevo chi immortalare nella mia vita.

Per questo me la regalò; per darmi un degno compagno che mi avrebbe protetto e resa felice quando lei non riusciva a capirmi o semplicemente non poteva.

Anni prima mi ero divertita con macchine fotografiche usa e getta e per una bambina era già troppo quello, figuriamoci una macchina fotografica pesante, grande e costosa. Ma mia madre non si era mai pentita di aver risparmiato per mesi solo per una mia passione. Forse lei aveva visto lontano… Aveva capito che per me fotografare non era un capriccio, ma il mio modo di esprimermi.

Fu così che incominciò tutto.

“Eri così gasata quando tua madre te la regalò. Passasti una settimana a letto con lei.” Disse indicando quella piccola scatola nera che ora stava benissimo in una mia mano.

Il contatto con la sua superficie ruvida fece volatilizzare all’istante il nervosismo e l’ansia. Sorrisi davvero con gli occhi, la bocca e tutto il corpo.

“Cavolo è piena di polvere.” Utilizzai la maglietta per spolverarla, rendendomi conto che non era proprio il massimo della professionalità.

Ma feci spallucce e andai in bagno per ripulirmi le mani.

“Oh cazzo!”

Roberto mi raggiunse giusto in tempo per aiutarmi a chiudere il rubinetto.

“Che cavolo hai fatto?”

“Non lo so! Mi stavo solo lavando le mani e a un certo punto è uscito un getto dall’altra parte!

Gli indicai il pezzo di congiunzione che evidentemente si era guastato e lui prese solo l’asciugamano e glielo legò intorno.

“Dai, domani chiamiamo un idraulico. Certo che sei un disastro sei tutta bagnata e io non sono da meno.”

Scoppiammo a ridere, ritornando in camera.

Ripresi in mano il mio gioiellino e spensi la luce della camera, accendendo invece l’abat-jour. Poi aprii la finestra, spostai dei cuscini e feci segno a Roberto di stendersi sul letto senza chitarra.

“Sicura? Non è che mi fai spogliare e poi rivendi le mie foto su Ebay?

Gli diedi una spinta decisa e lui si tolse le scarpe con i talloni, stendendosi così sul letto con la schiena sulla testiera e le mani dietro la testa come cuscino.

“No, non ci siamo. Mettiti completamente disteso. No, il braccio destro sotto la testa e l’altro tra i capelli.”

Ma così sembro frocio!”

Lo fulminai con lo sguardo. “Zitto e ubbidisci!”

Lui sbuffò. “Si, badrona. Così?”

Mi avvicinai a lui e gli sompigliai i capelli, divertendomi.

Aveva la maglietta bianca bagnata sui pettorali e i capelli con le punte inscurite dall’acqua.

In quel contrasto di bianco e pelle, i suoi occhi risplendevano.

Presi la sedia all’angolo e, dopo averla posizionata ai piedi del letto, ci salii sopra.

“Perfetto.”

Portai la Nikon vicino al mio viso e Roberto si alzò a sedere, a disagio.

“Che c’è? Dai, Rob!”

“Posso mettere un po’ di musica? Mi sento un cretino così… Di solito io facevo altro e tu mi riprendevi in pose naturali.

Sorrisi e acconsentii. Lui estrasse il cellulare e lo appoggiò sul comodino, dopo aver trafficato con lo schermo tattile.

“Stronzo con l’iPhone.”

Lui rise. “Invidiosa. Da noi non costa come qui.”

Li feci la linguaccia mentre le voce roca di Chad Kroeger solleticò le mie orecchie.

“Ti piacciono ancora i Nickelback, eh?”

Lui si riposizionò come poco prima, sorridendomi. “Sempre. If today was your last day, questa canzone, mi ha fatto compagnia per anni. Lo sai.”

Sorrisi, iniziando a fotografarlo e giocando con la luce calda dell’abat-jour in contrasto col buio della stanza.

“Li ho sempre adorati anche io.”

“Certo e mi sfottevi perché non ho mai avuto la voce come Chad. Mondo crudele.”

Risi, scendendo dalla sedia e mettendomi in piede sul copriletto.

“Ora alza la maglietta e scopri un po’ la pancia. Fingi di dormire.”

Lui sollevò le sopracciglia, malizioso. “Oh, tesoro. Dillo subito che mi vuoi nudo nel tuo letto.

Gli diedi un leggero calcio sul fianco e lui seguii le mie direttive.

Mi abbassai per spettinargli i capelli sul viso e mi resi conto che da vicino, con gli occhi chiusi e i riflessi aranciati dalla luce artificiale: era davvero bellissimo.

Roberto era sempre stato un bel ragazzo, ma in quell’espressione ingenua e così naturale, conservava la bellezza di un bambino e il fisico tonico di un adulto.

Click, click, click.

Mi aggirai per la stanza come un’ombra leggera e silenziosa che giocava con la luce e la luna.

“Amo questa canzone. Mi ricorda il passato. Mio padre. I finti amici e poi te.”

Sorrisi, avvicinandomi e coprendoli la pancia.

“Lo so. Non mi hai mai detto perché ti ricorda me, però. Ora, Rob, mettiti a testa in giù verso la finestra. Vediamo se la luce lunare è dalla mia parte.

Lui gattonò verso di me e si sistemò proprio come volevo io.

“Facciamo solo qualche scatto così, non voglio di certo farti perdere l’unico neurone decente che ti è rimasto.”

Lui mi fece la linguaccia e ne approfittai per scattare una foto.

“Stronza!”

Sorrisi e tornai a fotografarlo.

“Guarda verso la finestra.”

Mi spostai per spegnere tutte le luce, lasciando così solo la luna e farmi da riflettore.

“Perfetto. Cazzo, sembri un angelo caduto.”

Lui fissò i suoi occhi nei miei. “Sono venuto per portarti via con me.”

Risi e lo feci alzare.

“Ora siediti sul davanzale. Un ginocchio sul legno, l’altro sul pavimento.

Il mento sul ginocchio, sì, bravo. Perfetto. Le braccia mettile di fianco, ok. Ora guardami.”

Click, click, click.

Era meraviglioso come solo muovendo un passo potessi rendere la foto incredibilmente diversa.

Contro luce, non si vedeva altro che il contorno delle sue labbra e i suoi occhi chiari.

Era surreale.

And would you find that one you're dreaming of. Swear up and down to God aboveThat you'd finally fall in love.”

Rob canticchiò il mio pezzo preferito della canzone, ma mi fissava diversamente.

Sembrava che mi stesse inviando una sorta di messaggio.

“Che hai?”

“Queste sono le parole che mi ricordano te. Sempre, in continuazione. Se dovessimo morire oggi, non hai idea di quanto mi pentirei di non avertelo mai detto.

Si portò un braccio sopra il ginocchio, sotto il mento e mi guardò fisso.

Spostai la Nikon, per guardarlo meglio.

“Mi hai già detto che mi amavi, Rob. Non ti preoccupare, non dovresti avere rimpianti.”

“Invece ne ho, perché…”

Scosse la testa, fermandosi. “Abbiamo finito, vero?”

In realtà volevo fargli qualche altro scatto, ma non volevo approfittarmene. Sembrava che il suo buonumore si fosse completamente dissolto.

“E ti si vede il pizzo del reggiseno, le tue gambe sono diventate più sode e le tue labbra sono sempre rosse, perché le stuzzichi con i denti in continuazione. Non dovrei notarle queste cose e dovrei farmi una doccia e starmene zitto. ‘Notte, Criss.”

Ma che cazzo stai blaterando?”

Lo inseguii alla porta e gli posai una mano sulla spalla.

Lui si voltò, mi guardò dritto negli occhi e non so cosa ci vide, ma io so cosa vidi nei suoi.

Calore. Erano lucidi, languidi e mi guardavano in un modo che non avevo mai visto, se non nei film e non avevo mai sperimentato sulla mia pelle.

“Rob?”

Lui mi posò un dito sulle labbra e mi abbracciò.

“Lo sapevo che rimanendo qui con te mi sarei ricordato di troppe cose che avevo cercato di dimenticare.”

Cercai di respingerlo un po’, solo per poterlo guardare negli occhi, ma la sua presa era decisamente più forte delle mie braccia.

Ma che hai? Ti ho per caso offeso senza rendermene conto?

Ma la sua risposta non arrivò mai, perché in quel momento rividi i suoi occhi che si insinuarono nei miei e le sue labbra che prima mi sorrisero e poi scesero ad  accarezzare le mie.

Rimasi impietrita, mentre Roberto iniziò a baciarmi.

Non era possibile, che cavolo stava succedendo?

E perché erano così morbide e calde?

Lui non chiuse gli occhi e non smise per un attimo di accarezzarmi il collo.

Scosse la testa, quasi rispondendo mentalmente alla mia domanda.

Nemmeno lui sapeva cosa stava succedendo e quando la mia mano afferrò i suoi capelli, mi resi conto che nemmeno io lo sapevo.

Mi trovai a ricambiare il bacio per qualche secondo e poi mi staccai.

Non disse una parola e nemmeno io.

Me ne andai semplicemente in camera di mia madre e mi rinchiusi lì.

Quello sì che era un gran bel casino.

 

 

_______________________

 

Ehm, un mese e mezzo di ritardo, so che è tantissimo! Mi scuso davvero tanto, purtroppo non ho passato un gran bel periodo e quindi sono stata un po’ ferma con le storie. Ora riesco un po’ a respirare e finalmente sono riuscita finire questo capitolo lunghissimo e ricco di piccole rivelazioni.

Cosa ne pensate?

Luca è a Milano e continua a essere presente nella vita di Cris, nonostante la lontananza. Roberto riscopre vecchi sentimenti che credeva assopiti e Cris è semplicemente confusa, perché non si è mai trovata in una situazione simile.

L’unica cosa che ho da dirvi è che la canzone citata da Roberto è molto famosa :) If today was your last day dei Nickelback. Mi pare ovvio che è quasi obbligatorio averla ascoltata almeno una volta nella vita u.u

Per il resto, attendo i vostri commenti! Sono proprio curiosa di leggere le vostre teorie e le vostre impressioni. :3

Personalmente l’ultima parte è la mia preferita e fare quel mini servizio fotografico è stato uno spasso. Sì, sto parlando come se avessi partecipato anche io, ma vi assicuro che nella mia testa è successo davvero! xD

Grazie di tutto.

 

Un bacio stra grande e a presto <3

 

Ps: ho deciso di modificare dei “numeri” nei primi capitoli, per spiegare meglio la situazione. Nel senso che, quando Rob e Cris si lasciano, hanno appena 15 e 13 anni e mi sembrava troppo presto, per un flashback che ho inserito negli ultimi capitoli e per quelli che arriveranno. Quindi, li renderò un po’ più adulti accorciando un pochino gli anni di distanza. Spero non sia un problema, ma ci ho pensato a lungo e mi sembra la scelta migliore.

 

Un altro bacio, dai :3

   
 
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