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Autore: KH4    16/02/2013    1 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Quando le luci del tramonto lasciarono definitivamente il posto alla sera, il palazzo di San Lorein arrivò pericolosamente a sfiorare l’illusione di essere l’incarnazione della pace. Niente voci, niente passi… niente di niente. Il massimo che si poteva sentire, era il piacevole zampillio delle fontane, il battito d’ali dei pochi colombi ancora fuori dai loro nidi e il respiro mozzato di Lars.
L’albino si stava allenando, come ogni giorno, non curandosi del tempo trascorso. Si era trovato uno spiazzo interno e aveva impegnato il suo corpo in una serie di esercizi che ancora non avevano stancato i suoi muscoli tesi e incandescenti. Sarebbe stato più comodo andare al campo d’addestramento, ma considerata la sua posizione aveva preferito rimanere nei paraggi ed accertarsi che le acque rimanessero piatte fino all’indomani. I pochi pensieri che gli vorticavano in testa sortivano lo stesso effetto di una doppia carica di adrenalina, ma era abbastanza padrone di se stesso da convogliare il tutto e dargli sfogo anche in un piccolo angolo del palazzo come quello.
Oltretutto, a breve sarebbero arrivati anche gli altri e voleva verificare di persona lo status della situazione.
Non avrebbe mai pensato di tornare a San Lorein, ne avrebbe immaginato che il viaggiare con Rufy ce lo avrebbe involontariamente riportato, eppure adesso era lì, di nuovo. E con in programma un combattimento con Eliah, per giunta! Scosse la testa, appoggiando il pollice e l’indice della mano destra a terra, per poi issarsi su e iniziare una sessione di verticali.
Doveva concentrarsi, sfruttare tutta la sua astuzia per assicurare che quei due giorni scivolassero via come l’olio. A meno che le previsioni del tempo non annunciassero un’eminente pioggia di giornali, l’isola era completamente tagliata fuori dal mondo intero e con il signor Eliorath dalla sua parte, il suo vantaggio assicurava già metà dell’impresa.

“Ciao.”

Stava per compiere la quarantasettesima flessione in verticale, quando Shion lo chiamò. Era poco distante, ferma sulla cima di una cortissima rampa di scale e con l’orlo della gonna azzurra tenuto in ostaggio dai suoi pugni. Una piccola presa di coraggio di cui cercava sempre di avvalersi per non cedere e continuare imperterrita a difendere una qualche sua convinzione.

“Che ci fai qui? Ti avevo detto di aspettare il mio ritorno”, le disse, lasciando cadere in avanti il proprio peso e tornando a sorreggersi con le sole gambe.
“Lo so, ma un soldato è venuto a dirci che potevano scendere e…”
“Non dovevi comunque venirmi a cercare, da sola perlopiù”, la rimproverò duramente, dandole le spalle per raccogliere il gilè nero “Se non ci sono io, devi stare con Azu e fare quello che ti dice.”

Freddo, conciso e tagliente. Altri aspetti nuovi per Shion, che aprì la bocca per dire qualcosa, ma che chiuse subito, abbassando lo sguardo e rialzandolo dopo poco. I suoi occhietti erano come impazziti, indecisi se parlare fosse giusto o sbagliato, e in tutto ciò, la sua gonnellina azzurra era ancora tenuta strettamente in ostaggio. Un inizio quanto mai disastroso, ma sembrava niente in confronto a quello che stava per arrivare; Lars era molto intuitivo e nella sua esitazione lesse tutto quello che gli occorse per inclinare il viso e guardarla con cipiglio indagatore.

“Azu non c’era, vero?”

E dopo alzato e abbassato gli occhi per l’ennesima volta, la bambina annuì.

“Quella cretina…!” si ritrovò a sbottare il ragazzo, in un sibilo che conteneva a malapena la sua rabbia.

Strinse il pugno e serrò la mascella, lasciando che la frangia argentata nascondesse la sua voglia di tirare uno scappellotto alla sorella. Stavolta niente gli avrebbe impedito di svitare la testa a quella sconsiderata, ma a perdere di punto in bianco le staffe non ci avrebbe giovato nessuno, in primis lui e alla buona razione di problemi appioppatigli addosso.

“Shion, sai che non voglio che vai in giro da sola in posti che non conosci”, sospirò con voce più rilassata.
“Sei arrabbiato?” pigolò la piccola, sempre con la testa raggomitolata nelle spalle.

I loro occhi si incrociarono di nuovo, ma dalle labbra di Lars non uscì alcun suono. Nessun “Si” e nessun “No”. Solo silenzio. Non c’era mai stato così tanto disagio fra di loro e nel mordersi il labbro inferiore, la bambina sentì qualcosa montarle dentro.

Piagnucolare non ti servirà ad aiutare le persone che ti stanno a cuore. Non stare a chiederti cosa puoi fare, concentrati su cosa sai fare e impegnati di conseguenza. Diventa più forte.

Le parole di Zoro erano state ferme, autoritarie e concise. Perfette per quella scrollata di cui aveva tanto bisogno. Nessuna gentilezza, nessuna carezza o consiglio dato con un buon cucchiaio pieno di miele: solo uno spintone in avanti e tanta polvere da cui rialzarsi. Lars adesso era come un altissimo muro dalla fine non definita. Lei non poteva abbatterlo con la forza bruta, ne era stata dispiaciuta, ma nessuno poteva impedirle di offendersi per come lui la stava ignorando. Quello strano montare era la sua rabbia ridotta ad un sempre più intenso corrugamento della fronte e se la tratteneva un altro po’, rischiava di scoppiare come un palloncino.

Accidenti! Va bene che aveva solo undici anni e non poteva ancora affrontare certi argomenti, ma c’era un motivo preciso se i suoi voti di alunna privata erano alti!

“Lars?” Tentò ancora, pronunciando il nome del ragazzo velocemente, quasi a voler evitare che la sua  voce si lasciasse sfuggire quanto stava pazientemente trattenendo.
“Hey…”

Aspettò un secondo, due, tre…nove…
Al cinquantesimo secondo passato a guardare la grande schiena di Lars, sperando che le sue larghe spalle larghe muscolose si girassero verso di lei, Shion inspirò così tanto ossigeno dal naso che le narici le si gonfiarono e arrossarono all’unisono. Mollò la gonna per piegare le braccia e serrò ancor più i pugni sotto il mento. Voleva la guerra? E avrebbe avuto la guerra.

“Insomma! Non fare finta di non sentirmi e guardarmi!”

Un piccolo stormo di colombi scappò via, spaventato, e tutto il resto parve appiattirsi come soleva fare l’erba sotto il soffio del vento. Aveva strillato forte abbastanza da trasformare il suo piccolo viso in un tondo e luminescente pomodoro, ma era riuscita ad ottenere quello che voleva: gli occhi di Lars erano tutti per lei, con i loro spicchi azzurrini e le sfumature color neve. Gelidi, severi e con tanta imperscrutabilità a riempirli.

“Io lo so che lo sei. Arrabbiato, intendo”, riprese con decisione “Puoi fare finta di niente, non parlarmi più e ignorarmi se vuoi, tanto non cambierà niente: tu sei e rimarrai sempre il mio migliore amico, e…e non mi importa di nient’altro!!”

Urlò così forte che le sue corde vocali rischiarono di staccarsi.
Si rese conto di quello che aveva fatto una manciata di secondi dopo, con le nocche completamente sbiancate e il respiro accelerato. Sussultò pesantemente, perché gli occhi di Lars erano ancora lì, a guardarla, con una strana e sinistra luce a illuminarli e a bloccare qualsiasi suo pensiero.
L’aveva combinata grossa, in tutti i sensi, e l’essersi tolta un peso dalla coscienza non la stava aiutando a non volersi fare piccola come una formica e nascondersi da qualche parte. Il coraggio era scivolato via fin troppo rapidamente, intimidito da tutto il gelo che Lars trasmetteva con il semplice sguardo. Non era mai stata abituata a vederlo tanto a lungo ed ebbe l’impressione che questo, con la sua uscita, si fosse arrabbiato ancora di più.

Quando poi lo vide salire lentamente le scale, non poté evitare di prendere il labbro inferiore delle labbra con i denti. Il suo cuoricino scalpitava peggio di un puledro imbizzarrito, come se stesse per ricevere il più grande rimprovero della sua vita, e neppure seppe come fece a nascondere il timore dietro alla cocciutaggine. Si ritrovò ad aspettare ancora, con più ansia, ma quando Lars fu sul suo stesso piano e le si inginocchiò davanti, le ci volle tutta se stessa per non mollare la presa sul proprio labbro e tenere alto il suo broncio da battaglia, mentre questi posava una delle sue mani sopra la sua testolina dorata.

“Hai imparato ad essere insistente, eh, Shion?” le domandò con un sospiro divertito.
“Certo, se fai finta di non sentirmi…”, borbottò lei, abbassando gli occhi e gonfiando contemporaneamente le guance “Solo perché sei bravo a combattere, non significa che non devo preoccuparmi per te.”
“Non ho mai detto questo.”
“Invece si e non mi importa! Anch’io posso essere forte e difenderti!” scattò lei, scuotendo energicamente la testa.

Adesso poteva permettersi di distogliere lo sguardo. La tempesta era passata, Lars era tornato a sorridere e il suo piccolo mondo aveva ritrovato il giusto equilibrio. Shion ne era sicura e le bastava, anche se non tutto si era sistemato e le cose dettele da Zoro faticavano ad apparirle del tutto chiare. Si era ripromessa di rifletterci su, per capire cosa effettivamente l’amico avesse voluto dirle, ma poi era scesa dalla nave e aveva pensato bene di trovare Lars anche a costo di  farsi guardare male da ogni singolo abitante di San Lorein. In parte ci era riuscita, perché tutta la scorta di soldati che li aveva condotti a palazzo e una buona manciata di curiosi sembravano non aver mai visto una bambina con una scimmia a presso - anche se a scatenare il panico totale ci aveva pensato Brook -, ma al momento non ci aveva fatto caso.

“Tu sei mio amico. Il mio migliore amico”, ripeté subito, con i pugni tremanti “ E gli amici si difendono sempre. Se tu puoi farlo con me, perché io no?” domandò poi.

Gli occhi lucidi di Shion assomigliavano pericolosamente a tantissime pietre d’acquamarina frammentate. Lars li aveva visti diverse volte in quello stato, ma i ricordi associati rievocavano soltanto delle brutte cadute e non riuscì a trattenersi dal sorridere: era arrabbiata e anche frustrata, eppure non avrebbe mai potuto chiedere miglior forma di rincuoro di quella. 

“Hai ragione, scusa”, le sorrise, nel prenderla in braccio “Dimentico sempre con chi ho a che fare. D’ora in poi starò più attento.”
“Ecco, tienilo a mente”, borbottò lei, mordendosi il labbro inferiore.
“Ehi, non ti metterai mica a piangere, adesso”, ridacchiò l’albino.
“C..Certo che no!” esplose lei, scuotendo il capo e voltando la testa “Sono grande e i grandi non piangono! Fallo tu, se vuoi!”
“Sicura, Shion?”

Anche se fosse riuscita a fare la sostenuta e a tirare su il naso per più di cento volte senza mai asciugarselo, Shion non sarebbe mai stata in grado di resistere quando Lars pronunciava il suo nome con così tanta gentilezza. Senza accorgersene, nascose il visetto arrossato e bagnato nell’incavo del collo dell’albino, rannicchiandosi contro di lui e singhiozzando silenziosamente, non appena sentì la grande mano di lui accarezzarle i corti capelli dorati.

“Hai avuto paura che me ne andassi per sempre, vero?” le domandò lui piano.
“Un…un pochino”, ammise la protetta con voce sottile e rotta “Sei sembrato così lontano e credevo che …”
“Lo so.”

Era come se fra loro due si fosse alzato un muro alto quanto il cielo e spesso più della terra stessa. Per la prima volta la sua voce non era riuscita ad attirarne l’attenzione, si era spenta, trasformandola in un’ombra. Aveva avuto paura, Shion, paura di perdere Lars, la sua sicurezza e il senso di protezione che le infondeva. Non c’era nessuno che con un semplice sguardo o sorriso potesse capirla meglio di lui, c’era una complicità affiatata e radicalmente diversa da quella che aveva con il padre, la madre e Azu-chan. Era freddo, di poche parole e con una glacialità negli occhi da far rabbrividire chiunque, ma con lei era sempre stato gentile, comprensivo anche con gesti silenziosi e non voleva perderlo. Per nessuna ragione al mondo, voleva vederlo allontanarsi e non tornare mai più.

“Non voglio che tu te ne vada via”, sussurrò lei.
“Starò con te fino a quando ne avrai bisogno”, la rassicurò lui, stringendola un po’ di più “Quando sarai pronta per inseguire il tuo sogno dovrai cavartela con le tue forze, ma ricordati che non sarai mai da sola: avrai tutta la nostra fiducia ovunque andrai e qualunque strada deciderai di percorrere. Fino allora, ti proteggerò sempre, d’accordo?”
“S…Sì”, fu la debole risposta della bambina, che ancora si ostinava a rimanere col viso nascosto.
“Andiamo: come faccio a esserne sicuro, se non mi fai neppure vedere un sorriso?” ridacchiò lui.

Shion non avrebbe voluto staccarsi da dov’era e neppure alzare la testa di mezzo millimetro, ma se era Lars a chiederlo lo avrebbe fatto volentieri. Adesso era tutto a posto, completamente.
Alzando pigramente la testolina, si asciugò gli occhi arrossati con il dorso della mano, per poi sorridere davanti allo sguardo sereno dell’albino.

“Ecco, così va meglio.”




Era andata così. Un veloce scambio di parole e tutto si era sistemato. Nel suo piccolo, Shion aveva fatto intuire a Lars quanto aveva di più caro nei suoi confronti, riuscendo a distrarlo dalla tensione che neppure tutti esercizi compiuti sotto la luce del sole erano riusciti a smaltire. A volte bastava semplicemente essere rassicurati perché tutto rallentasse e anche se un tipo freddo come l’albino sembrava non averne bisogno, in realtà ne necessitava come qualunque altro essere umano.
Una volta riunitisi con gli altri, il problema scomparve definitivamente dietro l’euforia della cena. Un’intera giornata passata a San Lorein avrebbe fatto desiderare a chiunque che un meteorite le si schiantasse contro e che Eliah bruciasse per l’eternità fra le fiamme dell’inferno, ma la buon’anima del signor Eliorath aveva avuto l’accortezza di trasformare la cena in un momento festoso, dove la ciurma di Cappello di Paglia potesse divertirsi.

“Sugoi! Questa carne è buonissima!” esclamò Rufy
“Ehi! Era la mia!” protestò Shion, rubando per ripicca dal piatto del ragazzo di gomma delle patate.
“E quelle erano mie!” si lamentò il capitano, rubando per la seconda volta un'altra fetta di carne appartenente alla piccola.
“Smettila e mangia il tuo di cibo!” esclamò la piccola, puntandogli la forchetta contro.
“Solo se non rubi il mio!”
“Ma hai cominciato tu!” 

E in men che non si dica,  i due cominciarono a duellare con le posate.

“La nostra principessina ha ritrovato il buon umore”, constatò Sanji, dall’altra parte del tavolo.
“Già, sono contento! Anche Red ne è felice”, aggiunse Chopper, lanciando una veloce occhiata alla Scimmia Cresta di Fuoco, tutta presa a dar man forte alla padroncina.
“Yohohoho! Sono così euforici, che mi è venuta voglia di cantare!” esclamò Brook, salendo sul tavolo con la sua chitarra.
“Aw! Dacci dentro, testa d’osso!” lo appoggiò Franky, pronto ad accompagnarlo con il suo ukulele.
“Siii! Suonaci qualcosa!” arrivono Usopp e Chopper, levando le braccia in alto.
“Fermi lì! Niente musica!” sentenziò Nami, bloccando il tutto sul nascere.
“Ma, Nami! Che festa è senza musica?” protestò il capitano, distraendosi dalla sua pseudo lotta a suon di forchettate con Shion.
“Questa non è una festa e non siamo qui per fare baldoria!” gli ricordò con uno dei suoi scappellotti “Siamo ospiti e non del tutto desiderati, perciò diamoci una regolata!”

La birra portata di nascosto non sembrava essere stata sufficiente se Nami era ancora abbastanza lucida da rimproverare Rufy e gli altri. Salvo il fatto che anche da ubriaca sarebbe stata comunque capace di governare la nave nel mezzo di una tempesta, la navigatrice sembrava aver dormito su un letto di chiodi, tanto era rigida e poco incline dal lasciarsi andare. La cosa non le andava giù, perché non era certo una persona incapace di divertirsi quando l’occasione capitava al volo, ma quel posto proprio non riusciva a digerirlo, non ce la faceva essere completamente spensierata come gli altri, e sapeva che col suo atteggiamento rischiava di rovinare l’unico attimo felice di tutta quell’orrenda giornata.
Appoggiandosi allo schienale della sedia, sospirò con gli occhi chiusi, per poi riaprirli immediatamente nel sentire una mano rugosa appoggiarsi sul dorso di una delle sue. Alla sua destra, il signor Eliorath le sorrise con cordialità.

“Tranquilla, Nami. Non c’è bisogno di alcuna formalità”, la rassicurò l’anziano, divertito dalla situazione creata “Era da una vita che non partecipavo a una cena così movimentata.”
“Bisho? Fo gige aie gui! (Trad: Visto? Lo dice anche lui)” mugugnò il ragazzo di gomma, con la bocca piena.
“Rufy! L’hai fatto ancora!” strillò Shion nel vedersi portare via un altro pezzo di carne conquistato duramente.

Attingendo a tutta la sua pazienza, la rossa si astenne dal rispondere, preferendo sorvolare sulla mancanza di educazione del capitano e sullo strambo balletto che Chopper, Usopp e Franky stavano eseguendo. Li guardò giusto per tre secondi prima di sospirare una seconda volta e arrivare alla conclusione che era inutile preoccuparsi più del dovuto. Anche lo sguardo verde-acqua di Nico Robin, seduta alla sinistra di Shion, le suggerì di non prendere troppo sul serio la loro condizione e di lasciarsi trasportare dalla corrente. 

“Se proprio volete fare festa, aspettiamo almeno Azu. Non è ancora tornata”, concesse lei.
“E’ vero. Non c’era neppure quando siamo arrivati. Chissà dov’è finita…”, si domandò Usopp, guardando la porta della stanza.
“L’ultima volta che l’abbiamo vista, era in biblioteca con noi. E’ da lì che l’abbiamo persa”, ricordò Nico Robin “Lars, tu non l’hai vista?”

Seduto a pochi passi dal signor Eliorath, l’albino sollevò le palpebre pigramente, come se lo sforzo gli costasse più del dovuto. Era difficile capire che cosa gli passasse per la testa, ma di certo non era preoccupato per la sorte della sorella: chi meglio di lui conosceva quell’inguaribile testona?

“No, ma non è il caso di allarmarsi. Vedrete che tra un po’ arriverà”, rispose lui, incrociando le braccia.
“Sei sicuro? Guarda che è via da un bel po’”, gli fece notare il Cyborg, alzando gli occhiali col pollice.
“Decisamente troppo”, si inserì Gamba Nera, espirando una lunga boccata di fumo “Con tutti i malintenzionati che ci sono, non vorrei che fosse stata aggredita.”
“Yohohoho! Molto improbabile! Il destro di Azu-san è assai incisivo!” esclamò il Canterino, memore delle periodo passato in infermeria, a causa del suo voler spiare a tutti costi la suddetta mentre si faceva la doccia.

Sorvolando sul siparietto che ritraeva sua sorella come una furia indemoniata capace di spedire all’obitorio chiunque pensasse di palparle il sedere, non c’era da stupirsi se quest’ultima non si vedeva ancora: San Lorein si era fatta conoscere subito, gli abitanti pure, e il carattere dell’albina non passava di certo inosservato. Perfino la piccola Shion stava nutrendo dei timori, seppur la sua testa fosse rimasta bassa. Azu era tutto fuorché silenziosa e lo scoprire il suo goffo pedinamento si era rivelato tanto facile quanto capirne le intenzioni; anche se non fosse riuscita a ottenere qualcosa lo avrebbe costretto a parlare, dandogli il tormento fino a quando non si fosse sentita soddisfatta o usando la sua testa come un punching ball. Sperare che accettasse un suo silenzio o una risposta ponderata e riflessiva era fuori discussione, la sua impulsività la accecava su molte cose – comportamento compreso -, ma a controbilanciare tutti i suoi difetti c’erano i pregi, quelle qualità che l’albina nascondeva in fondo al cuore, dietro all’orgoglio e agli sbuffi, al fine di non apparire sdolcinata e mielosa; lo avrebbe linciato vivo, se solo avesse osato proferire parola al riguardo.
Con quanto era accaduto in quelle ore, non era sicuro di voler sapere che cosa Azu avesse detto a Eliah o che cosa avesse combinato, ma il suo sesto senso gli suggeriva di non perdere d’occhio la porta della sala e di prepararsi all’impensabile.

“Non dovete preoccuparvi, vi dico”, ripeté Lars calmo “Mia sorella è una testa calda, su questo non ci piove, ma non rischierebbe di spedirci tutti in prigione per orgoglio personale.”
Non da lucida, almeno, intervenne subito la sua scettica coscienza.
“Uhm….se lo dici tu, Lars”, mormorò dubbioso il Tenero Peluche.
“Tranquillo, Chopper! Azu è una tipa tosta, figurati se si fa prendere da qualcuno!” esclamò convinto il ragazzo di gomma.
“Grazie per la fiducia, Rufy.”

La porta si era aperta senza cigolare o stridere, cosicché nessuno se ne rendesse subito conto. Azalea era finalmente tornata, ma qualcosa in lei non quadrava per niente e non si trattava certo del fatto che tutti avessero iniziato a fare baldoria senza aspettarla. Oh, no: per farle tirare fuori quella faccia e quel tono di voce, occorreva qualcosa di veramente diabolico, la personificazione di una crudeltà che la costringesse a sopprimere ogni sorta di istinto assassino. Non era furente, non era nera come la morte e pronta a sbriciolare qualunque cosa fosse capitata sotto i suoi occhi. Era cento volte peggio di quel che sembrava.

“Azu-chan….ma che hai combinato?” sussurrò Shion, con Red che, con occhi grandi quanto due palle da biliardo, stava mostrando a tutti i presenti il contenuto della sua bocca.
“Niente, tesoro. Assolutamente niente”, rispose lei, cercando di mantenere un tono di voce dolce e controllato.
“Yohohoho! A me non sembra “niente”, replicò il Canterino.
“Quello è tanto!” boccheggiò il Tenero Peluche, completamente allibito.
“Aw! Super tanto!” esclamò il Cyborg, alzando di poco i suoi occhiali da sole.

Una semplice ma terribile occhiata assassina fece correre il medico e il musicista dietro l’enorme corpo del carpentiere, diventato anch’egli blu per come era stato guardato.

“Lasciali perdere, Azu, scherzano”, intervenne Nami, cercando di distrarla “Il fatto è che ci stavamo chiedendo perché ci mettessi tanto ad arrivare…”
“E perché indossi un coso buffo come quello!”, esclamò Rufy, alle spalle della navigatrice “Sembri un pinguino, ah ah ah ah!”
“Rufy!!!!”  gli sibilò la ciurma intera – esclusa l’archeologa e lo spadaccino -.
“Che c’è? Ho solo detto…”

SBADABADABAM!!!!!

Ahi, ahi….stavolta è arrabbiatissima…, pensò la piccina, nascondendo Red fra le sue braccia e osservando il povero e in fin di vita Cappello di Paglia mentre l’albina andava a sedersi nell’unico posto libero rimasto.

La situazione era tragica, pericolosamente vicina a innescare il pandemonio del secolo e nessuno sarebbe stato in grado di fermarlo. A conoscere una come Azu non ci si metteva molto, la sua era una delle personalità più semplici e facili da inquadrare. Era solare, vivace e non avrebbe esitato a offrire una delle sue due braccia per aiutare un amico in difficolta, ma il vero problema, l’unico, era il gestirla. Fra controllo e irascibilità esisteva una labilissima linea di confine che l’albina non conosceva, oppure, molto più probabilmente, che aveva distrutto così tante volte da rendere vano ogni possibile tentativo di ricostruzione. Il suo era un essere disordinato, squilibrato ed esplosivo e l’essere saltata dentro – di sua spontanea volontà – in uno di quei lunghi e stritolanti indumenti bianchi, doveva esserle costato più di quanto si osasse pensare, perché il suo sguardo omicida non ammetteva sarcasmi o battutine di alcun tipo.

“Bell’abito”, sghignazzò il fratello.
“Vuoi fare compagnia a quello scemo?” Domanda secca e pungente. Decisamente da bollino rosso.
“Che cattiveria. Guarda che il mio era un complimento”, si finse offeso il ragazzo.
“Ci crederò quando gli asini voleranno. E tanto per la cronaca, mi aspettavo un minimo di riconoscenza da parte tua”, replicò lei, borbottando.
“Per l’aver deciso di farti suora o perché ammetti  finalmente che mi vuoi un pochino bene?”
“Adesso non allarghiamoci”, lo fermò lei, andando a sbattere contro quel ghigno che tanto avrebbe voluto prendere a cazzotti “Non credere che mi sia conciata in questo modo per farti fare qualche risata. E’ solo che non mi va di essere etichettata come una poco di buono.”
“Conoscendo la tua umanità nei miei confronti, è già qualcosa”, si accontentò l’albino, memore dell’enigmaticità affettiva della parente “Ah, prima che me ne dimentichi…”
“Cosa?”

SBONK!

Con movimento fluido e velocissimo, Lars colpì la testa della sorella con un sonoro pugno.

“Ahia! Si può sapere perc …AHIA!!” un secondo pugno seguì il primo con la stessa intensità “MA CHE CACCHIO TI DICE QUELLA TUA TESTACCIA?!? MI HAI FATTO MALE!!” sbraitò quella tenendosi le parti colpite.
“Il primo è per avermi seguito di nascosto. Il secondo per aver lasciato Shion da sola”, la illuminò lui, placidamente “Osi affermare il contrario?”
“NO, MA C’ERA BISOGNO DI ESSERE COSI’ BRUTALI?!”
“Forse si o forse no, ma mi andava comunque.”
“E CHE ACCIDENTI DI RISPOSTA SAREBBE?! E POI SAREI IO LA VIOLENTA!” tuonò sempre più imbestialita lei.

Il viso era così rosso e tirato che di sicuro le nervature sul collo coperto erano pronte ad esplodere, ma la fortuna volle che l’ira dell’albina scemasse grazie ad una lunga serie di pesanti ansimi e occhiate assassine. Nessuno dei presenti avrebbe avuto il coraggio di avvicinarsi e tentare un approccio.

“D’accordo, va bene: mi sono distratta”, rantolò lei “Ma invece di prendermi in giro per come mi sono conciata e di picchiarmi, pensa a un modo per non rimetterci la pelle domani.”
“Perché? Che succede?” domandò Franky, incuriosito.
L’albina aggrottò immediatamente le sopracciglia “Come? Questo scemo non ve lo ha detto?”

Tutti scossero la testa, in segno di negazione, e la ragazza sbuffò per la milionesima volta.

“Ne parla tutta la città: a quanto pare, domani si disputerà un combattimento fra Eliah e questo tizio qui”, e indico il fratello col pollice.
“Un combattimento? Che figata!” esclamò Rufy, con le stelline al posto degli occhi “Zoro, partecipiamoci!” affermò poi, decisissimo, guardando il vice semisdraiato contro una colonna a bere sakè.
“Perché no? Un po’ di movimento è quello che mi ci vuole”, rispose lui, interessato.
“Mi spiace, Rufy, ma è un incontro fra me e Eliah soltanto” lo bloccò Lars “Ti toccherà assistere e basta.”
“Che????” la sua faccia rasentò la delusione assoluta “Oh, pazienza! Sarà comunque divertente!”
“Certo che tu ci metti davvero poco a riprenderti…”, osservò Usopp. Cinque minuti prima era a terra in fin di vita e adesso sprizzava eccitazione da tutti i pori.

Neanche uno squadrone di bulldozer agguerriti sarebbe stato capace di sfondare il sorrisone di Cappello di Paglia, ma non era qualcosa su cui indagare: l’incrollabilità di Rufy era grande quanto la sua abilità nel fare casino nei posti meno consoni. Ma non era il capitano a essere il vero punto della situazione: la notizia di quel combattimento così imminente suscitò una gran sorpresa, perché Lars non aveva aperto bocca al riguardo.

“Lars…”, lo chiamò il signor Eliorath, volgendo debolmente la testa verso il ragazzo “Hai davvero accettato la sfida di mio nipote?” sembrava quasi titubante a conoscere la risposta.
“Non è una proprio una sfida, ma un modo per abbellire il numero conclusivo dell’esercitazione”, gli rispose quello, senza farlo aspettare troppo “E no, non sono stato forzato”, aggiunse velocemente.
“Perchè mi è difficile crederti?” gli domandò l’anziano signore, ridendo con roca amarezza.

Era impossibile che Lars avesse raccolto il guanto di sfida senza essere sollecitato a dovere e non sarebbe stato da Eliah non sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Stringendo le sottili dita attorno al suo bastone, il signor Eliorath chiuse lentamente gli occhi, rinunciando al voler scoprire quali fossero i meccanismi che muovevano tutto quel quadro indefinibile. Vecchio e stanco com’era, non sarebbe riuscito a prevalere su nessuno dei fronti, e questo perché conosceva quei due ragazzi meglio di chiunque altro.

“Ma chi è questo Eliah?” chiese Chopper.
“E’ quel ragazzo che si è presentato alla Sunny. In poche parole, è il capo della città”, spiegò sinteticamente Sanji.
“Yohohoho! E Lars-san dovrà battersi con lui? Mi tremano le ossa al sol pensiero!” esclamò lo scheletro,
“Non essere ridicolo, Brook! Lars è cento volte più forte di qualsiasi spadaccino! Nessuno può batterlo!” asserì convintissima Shion, scattando in piedi.

La vocina della biondina rimbalzò elasticamente sulle pareti, guadagnandosi l’attenzione meritata. Tutti guardavano lei e quel broncio che sosteneva con cocciuta caparbietà, appoggiato amorevolmente dal muso corrucciato della Scimmia Cresta di Fuoco. Di colpo, prevalse l’imbarazzo: troppi occhi le erano puntati addosso e quel silenzio tombale cominciò a irrigidirla quanto un manichino. Arrossì  e si sedette di botto quando poi colse furtivamente gli occhi di Lars guardarla con quell’accenno di sorriso che le rivolgeva spessissimo. Le parve passata un’eternità dall’ultima volta che lo aveva visto.

“Voglio dire, perché non dovrebbe vincere? E’ forte e…whaa!” cercò di spiegare, prima che il Cappello di Paglia le arrivasse di spalle e iniziasse a scompigliarle i capelli.
“Rufy!” strillò lei, per come l’amico la stava conciando “Perché mi ha….ahi! Ahi!”

Come se scompigliarle i capelli non fosse bastato, il ragazzo di gomma prese a tirargli le guance scherzosamente.

“Ahio! Rufy, mi hai fatto male!” si lamentò lei, massaggiandosi le parti pizzicate.
“Shishishi! Lo so, ma non puoi fare il tifo per Lars con quella brutta faccia!” se ne uscì quello, bello sorridente.
“Non stavo facendo una brutta faccia”, replicò la piccina “Lo so che devo essere allegra, però mi chiedo se ci lasceranno guardare l’incontro: queste persone non sono tanto gentili.”
“Shion ha ragione. Considerata la calorosa accoglienza, non abbiamo tutta la libertà personale di questo mondo e lo stare relegati in questo palazzo, sa un po’ di arresti domiciliari ”, asserì il cuoco.
“E’ ovvio: vorranno evitare che qualcuno faccia l’idiota con tutte le donne dell’isola”, disse lo spadaccino.
“O che un buzzurro come te devasti la città”, replicò prontamente il biondo, schioccando uno sguardo di sfida al compagno.

Un tranquillo pasto serale non sarebbe stato lo stesso senza che i due cominciassero a sfottersi a vicenda.

“Hai così tanta voglia che ti pesti, cuocastro?” gli domandò Zoro.
“Tzè! Pensi ancora che mi faccia battere da un marimo come te?” gli rimandò Sanji.
“Se è per questo l’ho già fatto, numero sette.”

A quell’ultima uscita, il nervo pulsante di Gamba Nera si gonfiò ancora di più. Dio, come lo odiava quando tirava in ballo quella stupidata…

“Solo perché sei arrivato prima di me all’arcipelago Shabondy, non significa che sei il migliore. E poi ”, e lì si infervorò sul serio “Vuoi dirmi come diavolo hai fatto a trovare quel sakè?!?”

Sanji sapeva perfettamente che quelle quattro bottiglie di liquore provenivano da uno degli scomparti segreti della sua cucina, ma si rifiutava di credere che uno come Zoro – capacissimo di perdersi anche dentro un camino – fosse riuscito a trovarle senza devastare l’abitacolo.

“Tu hai i tuoi segreti da cuoco, io ho i miei da spadaccino”, si limitò semplicemente a dire il ragazzo.
“Che?!”

Buzzurro o meno, Zoro era pur sempre un uomo di parola, e nello scoccare una fulminea e complice occhiata a Shion, le assicurò che non avrebbe spifferato il suo nome per nessuna ragione al mondo. In fondo, era utile avere qualcuno che ti dicesse dove quell’imbecille del cuoco nascondeva i liquori.

“Comunque sia….”, e Nami dovette alzare la voce per elevarsi al di sopra del litigio fra i due compagni “Rimane il fatto che non possiamo muoverci come vogliamo. Fino a quando il log pose non avrà registrato il magnetismo di San Lorein non potremo tornare alla nave.”
“Oh, mia cara, per quello non c’è problema”, intervenne il signor Eliorath “Potete sbrigare tutte le vostre faccende senza alcun problema. Ovviamente, non prima di aver assistito all’esercitazione.”
“Sicuro che possiamo?” domandò Franky, scettico “Da quello che ho capito io, sembra essere una cosa riservata…”
“Non esattamente: ho letto sui documenti della biblioteca che queste esercitazioni rientrano nelle attività più note dell’accademia e che rappresentano una sorta di festività molto in vista e aperte al pubblico, quindi anche a noi, visto che non si accenna nulla sulla presenza di stranieri”, intervenne Nico Robin.
“ Uhm…vedo che qualcuno ha dato un’occhiata ai nostri libri”, osservò l’anziano signore.
“Ho solo letto le pergamene esposte, tutto qui”, si difese l’archeologa, alzando le mani.
“Bene, è deciso: domani andiamo tutti a fare il tifo per Lars!” sentenziò il capitano dei pirati, levando le braccia al cielo “Ci divertiremo un sacco!!”



I lussuosi bagni del palazzo di San Lorein erano principalmente conosciuti per la grandezza e l’eleganza. Occupavano un’intera ala dell’edificio e le acque profumate che ne riempivano le vasche avevano il potere di ammansire addirittura un’aragosta prossima alla bollitura. Scioglievano ossa e muscoli dolcemente, alleggerendo il corpo da qualsiasi forma di impurità che lo avesse appesantito ed era raro che qualcuno, dopo un soggiorno dentro di essi, ne uscisse indifferente. Considerato l’utilizzo limitato, forse tanta eleganza era sprecata per un posto del genere, ma Nami, Nico Robin e Azu erano troppo occupate a godere dei benefici purificatori di quel piccolo d’angolo di paradiso per far lavorare le loro menti su simili faccende. La vasca era grande, il suono dell’acqua fuoriuscente da una delle sfarzose fontane a forma di leone a dir poco rilassante e, cosa ancora più gratificante, niente ragazzi fra i piedi.

“Che meraviglia! Finalmente un po’ di tranquillità”, disse la rossa, lasciandosi dolcemente sprofondare dentro l’ acqua fino alle spalle.
“Niente scioglie la tensione meglio di un bagno”, arrivò l’archeologa, alzando di qualche centimetro la testa verso il soffitto.
“Concordo”, si limitò l’albina, tutta presa e massaggiarsi la pelle tonica con del sapone liquido alla menta. Non c’erano parole abbastanza elogianti per descrivere il sollievo provato una volta riuscita a saltar fuori da quell’abito strangolatore “E poi è l’ideale per parlare di affari di cuore”, aggiunse subito dopo, lanciando un’occhiata maliziosa a Nami.
“Che affari di cuore?” domandò la suddetta, cogliendo all’istante lo strano sguardo di Azu.
“Oh, Nami cara! E' inutile che fai la finta tonta: sei tra amiche. Ammettilo, dai” sghignazzò la più grande avvicinandosi a lei.
“Di grazia, che cosa dovrei ammettere?” aggrottò la fronte, infastidita per quell’insistenza di cui lei ignorava le fondamenta.
“Ma che sei cotta di Rufy, ovvio”, le rispose placidamente lei.
“C-Cosa?! Ma, Azu, come ti viene in mente?! “ scattò la navigatrice, raddrizzandosi istantaneamente.
“Non provare a fare la commedia con me, tanto non ci casco. Vi ho osservati abbastanza da avere prove sicure e poi io non sbaglio mai su certe cose”, continuò quella.
“Sarà, ma questa volta hai preso un abbaglio con i controfiocchi: io non sono innamorata di Rufy!” sillabò la ragazza.
“Uhm…ma davvero?” Azu tornò alla carica, sfoggiando un sorriso a trentadue denti immacolato, beffardo e pure saccente “Eppure la tua reazione mi è sembrata l’esatto contrario. E poi c’è il viso a tradirti”, continuò lei, picchiettandole la guancia congestionata con il dito indice, mantenendo alta e fiera l’espressione di chi la sa lunga e ha già capito tutto.
“Si dia il caso che ci troviamo in un bagno termale e che l’acqua sia piuttosto calda. Aggiungi i vapori e ti sarà chiaro perché sono tanto rossa”, replicò fermamente lei, allontanando con la mano l’indice dell’albina.
“Forse, ma intanto comincia ad ammettere che ti ha fatto piacere essere difesa da Rufy”, incalzò la più grande.
“Ora capisco perché hai voluto che Shion facesse il bagno prima e non con noi”, borbottò la Gatta Ladra, guardandola con occhi storti.
“Non tentare di cambiare argomento e sputa il rospo.”

Nami sbuffò, indispettita per come l’incalzante ostinazione dell’albina stesse mandando all’aria il suo momento di relax. Non c’era proprio niente per cui valesse la pena interrogarla fino all’esasperazione, ma la più grande era convinta oltre l’inverosimile della sua teoria, tanto da ricamarci sopra un’improponibile e strampalata storia. Lei cotta di Rufy? Vero quanto il suo odio per il denaro. Era impensabile, non concepibile e non perché ai pirati fosse proibito amare: semplicemente, Rufy e quel tipo di sentimento non sostavano sullo stesso pianeta.
Si parlava di due forze quasi estranee fra di loro, molto travisate, ma la bella navigatrice, volendosi salvare da quell’arpia argentata il prima possibile, evitò di rimuginarci sopra a lungo.

“Guarda che non c’è proprio nulla di cui discutere”, sbuffò, rilanciando all’albina uno sguardo per nulla toccato dalle sue provocazioni “A Rufy non piace la gente che offende o deride i suoi amici e darebbe la vita per difenderci tutti quanti. Ognuno sulla nave ha il proprio compito e Rufy, in qualità di capitano, deve prendersi cura di noi, anche se come hai ben visto, lo fa a modo suo. L’episodio di oggi non è certo un eccezione: si è messo in mezzo perché non voleva che io e Robin venissimo maltrattate, tutto qua” spiegò con impeccabile controllo emotivo “Dico bene?” domandò poi alla suddetta, rivolgendosi a lei quasi volesse ottenere un maggiore supporto.
“Certo, però lui ha nominato soltanto te, non me o Azu”, puntualizzò placidamente la donna.
“Robin!” e la guardò come a volerle dire “Ti ci metti pure tu, adesso?!”
“Vedi? Anche lei se ne è accorta”, ghignò la ragazza, accavallando le gambe e ignorando lo sguardo ultra-omicida che la rossa le lanciò “Ma, in fondo, posso capire perfettamente la tua esitazione.”
“Che intendi dire?”
“Beh, se non sbaglio, Rufy non è esattamente il prototipo di fidanzato ideale. E’ più piccolo di te, mangia come una fogna, si comporta peggio di un bambino e credo che l’unica forma d’amore che conosca sia per il cibo. Per non parlare poi della sua mancanza d’educazione e galanteria. Decisamente un caso senza speranza.”
“Il tuo è un giudizio troppo superficiale”, si ritrovò a dire Nami, leggermente infastidita.
“Può darsi, ma non è colpa mia se mi piacciono uomini di tutt’altro stampo. E, come ti ho già detto, capisco benissimo le tue titubanze: avrei anch’io le tue difficoltà, se…”
“Non è certo per i difetti di Rufy che io es…!!”

Anche bloccandosi prima della fine di quella frase, niente impedì ad Azu di esibire un’espressione di puro e assoluto trionfo. Ci era cascata. Si era lasciata trascinare dalle circostante ed era caduta come un’ingenua in quella stessa trappola di cui aveva fiutato la presenza sin dall’inizio. Non era da lei lasciarsi intortare a quella maniera, in quanto nessuno era abilissima a ripulire le tasche altrui e a incastrare chi provava a fregarla, ma arrivare quasi a dire che non erano le mancanti buone maniere del capitano a fermarla….

“Questa me la paghi!” sbottò, alzandosi in piedi e fasciandosi il corpo con l’asciugamano.

No, no e no! Lei non era innamorata di Rufy, poco ma sicuro. Era una ridicolaggine che non poteva stare ne in cielo ne in terra e quella testona di Azu non l’avrebbe passata liscia per averle quasi fatto confessare una cosa che neppure….
Le si infiammò il viso per quanto pensò e il caldo aleggiante in bagno, stavolta, non c’entro niente.

“Non avrai esagerato?” le domandò Robin, sentendo la porta sbattere.
“Nah! Vedrai che tra qualche settimana mi ringrazierà!” affermò Azu, intrecciando dietro la nuca le braccia.
  
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