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Autore: Josie5    18/02/2013    19 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

19. Confusione
 


 

Cosa significava essere innamorati?

Canzoni, poesie, libri, una coppia di anziani a braccetto, ogni nuova vita, tante cose dimostravano l'esistenza dell'amore.

Ma riuscire a definirlo era un altro paio di maniche.

Avevo sempre saputo di non essere innamorata di Sean, ma non me n'ero mai preoccupata molto; mi ero sempre detta semplicemente di non essere il tipo di ragazza che un giorno sarebbe riuscita a innamorarsi: credevo che l'amore esistesse, ma supponevo anche che per alcuni tipi di amore servisse una specie di “predisposizione”. Come quelli che ad ogni spiffero freddo dentro casa si ammalano, contrapposti a quelli a cui non succede nulla nemmeno girando nudi per strada di inverno; ecco, pensavo solo che le mie difese “immunitarie” fossero troppo forti, incontrastabili.

Ma invece eccomi lì.

Il cliché più tipico dell'intero universo.

Mi ero ammalata. Per colpa sua.

Un virus castano, con una faccia da schiaffi e gli occhi verdi, che avrei sempre voluto avere, mi stava invadendo. Anzi, aveva già concluso l'invasione. La malattia da quando aveva iniziato ad incubare?

Si era insinuato dentro quando avevo abbassato la guardia? A casa sua di notte? A colazione? Nel corridoio fuori dalla classe? Durante l'abbraccio in ospedale? O prima?

Il virus Parker aveva iniziato ad insinuarsi anche nelle cellule celebrali e non sapevo, non capivo quando potesse essere successo e soprattutto come.

Sapevo solo di sentirlo.

L'unico modo in cui avrei potuto definire l'amore, oltre che come una tremenda e mortale malattia, era che si sente. All'ultimo però, si sente fin troppo tardi, e quando lo si percepisce fin nella punta dei piedi è ormai fatta. Ma io non lo volevo! Non potevo volerlo sul serio! Esisteva la cura?

Probabilmente sì, dato che quel virus era così comune.

Ma perchè avevo l'orribile sensazione che io sarei stata la prima e l'unica a morirne?

O forse, al contrario, sarei stata la prima e sola a sopravviverne?


 

 

Mi svegliai di colpo, sentendomi quasi soffocare dalla felpa e con un ciuffo di capelli appiccicato alla tempia sinistra per un velo di sudore freddo.

Provai a muovermi, scombussolata, non riuscendo bene a collegare la testa col corpo: dov'ero?

Due mani ferme mi bloccarono. Riappoggiandomi al suo corpo mi ricordai tutto.

E ricordai anche i vari incubi: mia zia, la telefonata, il corridoio scolastico che non finiva più e non mi permetteva di uscire.

Mentre una mano, stranamente fredda di Max, mi raggiungeva la fronte, aggrottai le sopracciglia: avevo anche sognato Parker sotto forma di tanti piccoli batteri che invadeva il corridoio per poi provare a uccidermi. Quella parte era stata la più ridicola ma forse anche quella che mi aveva scombussolata di più, seppur in un altro modo.

- Forse hai la febbre …

Scossi la testa, ad ogni battito di palpebre le immagini mentali. che stavo provando a riafferrare, scivolavano via sempre più.

Quando lo guardai per la prima volta, incrociando quel colore che non ero ben riuscita a sognare, i pensieri che avevo avuto la sera prima e che avevano contribuito a tormentarmi durante la notte rimasero fissi in mente.

Max sorrise ed era un vero sorriso; mi aspettavo da me stessa una qualche reazione strana dopo la piccola rivelazione della sera precedente, qualcosa di drastico in stile autodistruzione insomma, ma niente stava accadendo; mi limitai ad incantarmi, un attimo disorientata.

Ma fu proprio lui a risvegliarmi velocemente: - Credo di starti vedendo nelle condizioni più inimmaginabili ultimamente: sei proprio orrenda! - Commentò, mantenendo il sorriso.

Che non era un vero sorriso, dopotutto, ma il solito ghigno ironico.

Mi si dipinse immediatamente una smorfia in viso: - Ma tu che cazzo vuoi dalla mia vita?!

Scoppiò a ridere. - Sinceramente? Credo di avertelo già detto: ti uso come scusa per non andare a scuola! La cara preside è un poco arrabbiata con me, non ho ben capito il motivo, ma la vita va così e mi tocca evitarla!

Lo mandai a cagare e mi alzai frustrata (in realtà quasi caddi per terra dalle sue gambe) e il cambiamento rapido mi fece girare la testa. Mi ignorai comunque e marciai verso mia zia, tirandomi i capelli all'indietro e sentendomi uno straccio. Uno straccio appena uscito da una centrifuga e confuso più che mai.

- Come se tu riuscissi ad essere bello anche di prima mattina! - Ribattei alla fine, girandomi dalla sua parte, scocciata, appena arrivai al letto.

Rise ancora, alzandosi e sistemandosi la maglietta stropicciata, di uno strano buon umore, mentre io verificavo con gli occhi quanto la mia ultima affermazione fosse falsa. - Anche? Mi stai confessando che normalmente lo sono?

Esitai un poco, presa in contropiede, ma cercai di riprendermi subito. - No. Sei sempre orrendo, cugino di merda! - Ringhiai, provando a costruire velocemente una sorta di muraglia tra me e lui.

Alzò gli occhi al cielo con fare ironico e stiracchiandosi si avviò verso la porta. Il muro crollò in un attimo e lo guardai allarmata, non seppi mai se colse lo sguardo, ma mi parlò velocemente: - Ti vado a prendere un caffè, ho visto delle macchinette vicino alle scale per salire, in una specie di sala d'attesa - provò a spiegarmi e, con uno sguardo un po' diverso, sparì dopo aver aperto la porta.

Rimasi quindi di nuovo da sola.

Ero un caso disperato e cominciavo ormai a temere di soffrire di sindrome dell'abbandono, legata a quella di Stoccolma, da quando lo conoscevo.

Mi sfiorai la fronte, sollevando lentamente la mano fredda ed effettivamente mi sentii calda. Tornai a guardare mia zia, nella stessa posizione della sera prima, con una strana spossatezza addosso che provai ad ignorare, come tutto il resto.

Osservai i capelli sporchi sparsi sul cuscino, che cercai di ordinarle con un gesto leggero, poi le palpebre chiuse e rilassate, le labbra distese in una piega morbida e simile alla mia. Qualcosa mi faceva pensare che stesse meglio, in quel temporaneo oblio, meglio della sera prima; o forse, pensai, forse ero io a stare meglio.

Non lo sapevo, come ormai non sapevo fin troppe cose, ma sorrisi: quello stesso giorno si sarebbe svegliata. Importava altro?

- Zia, svegliati presto che ho bisogno di supporto morale! - Le sussurrai, per poi sentirmi subito dopo una pazza.

Mi risollevai immediatamente dal suo orecchio e sospirando andai a sollevare le tapparelle, riempiendo la stanza di una fin troppo intensa luce invernale. Che ora era?

A distogliermi dai miei pensieri bastò la porta, che si aprì rumorosamente.

Mi girai e incrociai subito gli occhi di Max, che mi fece cenno con la testa di raggiungerlo, fuori dalla stanza.

Esitando eseguii, con una strana ansia nello stomaco mentre mi avvicinavo sempre più.

- Cosa c'è? - Chiesi, fermando la porta con la mano ma continuando a restare dentro.

- Esci un attimo. So che non sarebbe davvero come prendere aria, ma ti farà bene - mi disse, abbozzando un sorriso e porgendomi il caffè.

Con una smorfia lo presi e provando a guardarlo il meno possibile uscii.

- Continui ad assecondarmi quasi volentieri, sarà un cambiamento definitivo questo? - Domandò, ridacchiando ed appoggiandosi al muro di fianco alla porta, che si richiuse piano da sola.

- E tutta questa tua gentilezza? - Ribattei senza guardarlo.

- Non si risponde a una domanda con un'altra domanda! - Mi ricordò, ignorandomi.

Sospirai frustrata, sapendo che in ogni caso avrei dovuto sempre assecondarlo. - Ovviamente no, Parker, appena mi riprenderò tornerò a detestarti - borbottai, imitando la sua posizione e fissando la parete di fronte. Sapevo che non era vero.

- Quindi adesso non mi detesti? - Chiese logicamente e dandomi una spallata ammiccante, più scherzosa che altro.

Stava provando a comportarsi normalmente fin da quando ci eravamo svegliati, ma io non mi sentivo normale e non solo per il motivo che mi aveva portata all'ospedale, ma anche perchè Max non poteva essere più la mia nemesi, il ragazzo a cui semplicemente rispondevo male e che trattavo nel peggiore dei modi possibili perchè bisognava fare così. Io semplicemente non potevo più essere normale, come prima, con lui.

Alzai lo sguardo finalmente e lo guardai in faccia, osservando con fin troppa attenzione i lineamenti, il sorriso, le labbra, il piccolo neo, i capelli e poi alla fine gli occhi verdi; mi ritrovai a desiderare di capire che tutto quello che potevo provare per lui fosse dovuto al semplice fatto che Max fosse bello.

Ma sapevo purtroppo che non era così. Sarebbe stato troppo facile in quel caso trovare la medicina per curarmi. Parker era diventato davvero bello durante quei mesi, mentre negli anni precedenti era solo stato il ragazzo fin troppo vanitoso per quel che in realtà era, ai miei occhi. E c'erano dei motivi che l'avevano fatto cambiare alla mia vista ed erano i motivi per tutto il resto.

Risposi mentre la sua espressione iniziava a cambiare. - No.

E alla confusione mentale continuava ad accompagnarsi il perenne malessere che mi faceva contorcere lo stomaco e guardare Max con la strana voglia di abbracciarlo, di avvicinarmi il più possibile: ero stata così bene dopo tutto la sera prima, tra le sue braccia.

E lui non staccava gli occhi dai miei.

Mi sentii prendere leggermente per il bordo della felpa e senza abbassare lo sguardo, troppo incatenato al suo, seppi che erano le dita di Parker.

- Evy, non ...

Cosa?

- Evelyne!

Sobbalzammo entrambi e trattenni a stento il bicchierino di caffè (ormai freddo) saldo in mano.

Cercai velocemente con gli occhi chi mi aveva chiamato e trovai, rimanendone basita, mia nonna e zia Molly.

Lo sguardo di mia nonna Cecilia restava piantato su di me, mentre si avvicinava con quella strana lentezza e austerità tutta sua; mia zia, tenendosi dietro di lei, quasi in disparte, vagava con gli occhi, di quello strano verde sporco, da me a Max.

Max.

I miei parenti.

Max e i miei parenti. Un binomio che forse non rappresentava tanto un ossimoro come il castano e me, ma di certo due cose che sarebbe stato meglio se non si fossero mai incontrate.

Ed era possibile che mi fossi ricordata solo in quell'esatto momento di avere un'altra parte della famiglia che era ovvio sarebbe poi venuta a trovare Elizabeth?

- Cecili … Nonna! - Salutai, a disagio, cercando di riprendermi il prima possibile. - Molly!

- Tua zia è qua? - Chiese, raggiungendoci definitivamente e accennando alla porta.

Annuii, fin troppo presa alla sprovvista per fare altro. Mi sembrava di essere stata sorpresa a disegnare coi pennarelli sul muro, come avevo fatto una volta da piccola. Le espressioni delle mie due parenti non erano identiche, ma assomigliavano in qualcosa a quella di zia Lizzy quando mi aveva scoperta nel pieno dell'opera.

Eppure non avevo fatto niente di male!

- E chi è il tuo amico? - Chiese Molly, che non si era nemmeno mossa come sua madre.

Oscillai con lo sguardo da loro a Parker, che mi lanciò un'occhiata di sottecchi.

- Max Parker, piacere di conoscervi - rispose rapido, dopo aver colto non sapevo nemmeno cosa nei miei occhi.

Cercai di recuperare. - Loro sono mia nonna Cecilia e mia zia Molly - abbozzai una presentazione con dei nervosi cenni di mano.

- Max? - Ripeté Cecilia, osservandolo con una strana curiosità. Il sopracitato annuì, tornando ai suoi sorrisi ammalianti, come ricordandosi di averli.

Mia nonna non aggiunse altro e si avviò verso la porta, seguita da Molly.

Parker ed io rimanemmo per pochi secondi fuori, da soli. - Scappa - gli sussurrai nel panico.

Lui rise e mi guardò divertito. - Non fare l'esagerata! Comunque tra un po' me ne andavo in ogni caso, adesso cerco di fare la figura del bravo ragazzo e definitivamente tutta la famiglia Gray mi amerà - sussurrò, entrando in camera anche lui e ammiccandomi.

Rimasi per un attimo nervosamente perplessa, non capendo se mi stesse inserendo tra quelle che lo amavano, facendomi capire di sapere quello che -probabilmente- provavo; ma mi rilassai, riosservando il suo sorriso e lo seguii sospirando, dandomi della paranoica. - Sei fuori strada allora.

Entrai nella stanza e Molly stava uscendo in quel momento di fretta dal bagno, con un vaso che aveva appena riempito d'acqua, per sistemare i fiori di cui stavo notando la presenza solo in quel momento.

L'atmosfera pacata, statica che si era creata fuori da quella porta, nonostante infermieri, rumori, chiacchiere, si era velocemente frantumata e anche il tempo sembrava scorrere e muoversi con fretta ora, proprio come mia zia.

- Come mai, Max, sei già qua? Le visite si sono appena aperte.

Sorseggiai il caffè, chiudendo gli occhi a quell'evidente domanda retorica di Cecilia. Si capiva perchè fosse già là: nonostante Parker avesse un aspetto decisamente di molto migliore al mio, l'aria stravolta da appena sveglio, gli occhi assonnati da qualcuno che ha dormito poco e male, e la maglietta stropicciata per la poltroncina, parlavano abbastanza chiaro.

- Ho dormito qua - rispose sinceramente Max, sorridendo ed avvicinandosi alla poltrona, per sedersi sul bracciolo. A me andò quasi di traverso la bibita che non potevo davvero farcela a bere.

Molly rimase con i fiori per un poco sospesi sopra il foro del vaso, a guardarci sorpresa; Cecilia rise leggera, leggermente divertita dal tono con cui Parker aveva risposto, non da altro.

- E ve l'hanno permesso? - Chiese, quasi davvero curiosa, sistemando il cuscino a zia Lizzy.

- Sì.

- C'è Holly in questo piano e ci ha fatto questo favore … - Risposi meglio io, provando a tagliare corto e a impedire che quei due continuassero a parlare.

- E come mai? - Fu l'ennesima domanda, fatta sempre dalla stessa donna che continuava a non guardarci.

- Direi che almeno una persona serviva per fare compagnia ad Evelyne ed ero definitivamente l'unico ad essere qua. - La frase di Max detta con tono pacato era, a tutti gli effetti, un'accusa. Alla faccia della figura del bravo ragazzo.

Questa volta scappò una leggera risata scettica a Molly.

- Noi non potevamo esserci ieri, come suo nonno adesso non può esserci, ma arriverà, come abbiamo fatto noi. Poi, ragazzino, mi sembra che Evelyne fosse in grado di passare una notte da sola, per una cosa del genere, senza badanti: ha passato di peggio lei. - Cecilia stava rispondendo a tono alle risposte, forse non gentilissime, di Parker, ma quelle parole finirono per far stare male me: certo che avevo passato di peggio, crescere sapendo di aver perso la propria vera madre e di essere stata abbandonata dal padre e il resto della famiglia era peggio. Tenni lo sguardo basso sul liquido nero, provando a finire di bere tutto il caffè.

- Lo so anch'io - continuò Max.

- No che non lo sai!

Abbassai il bicchiere. - Non lo sai nemmeno tu, nonna - decretai freddamente, guardandola, perchè lei non c'era stata, da subito, in entrambi i casi in cui avevo avuto bisogno.

Mi arrivò in risposta uno sguardo severo ma, mi sorpresi a notarlo, addolorato. - Invece sì. Tua madre era mia figlia dopo tutto, così come Elizabeth - rispose solo, per poi tornare a guardare mia zia, distesa nel letto.

Molly continuò a sistemare i fiori, toccandoli anche se ormai erano perfettamente al loro posto.

Osservai ancora un po', stringendo il bicchiere, mia nonna e forse per la prima volta la vidi anche come una madre. Mi sentii in colpa per qualcosa che nemmeno riuscivo a capire.

Persa nei pensieri mi riscossi solo sentendomi sfiorare e alzando gli occhi incontrai quelli di Parker. - Scusa - sussurrò.

Scossi la testa, facendogli capire che non ce n'era bisogno. - So cosa stavi cercando di fare ... - Borbottai senza pensarci.

Lui sorrise, rimanendo vicino, chinato verso di me per non farsi sentire. - E cosa?

Mi ritrovai quasi ad arrossire per il tono e il fiato caldo così vicino. - Difendermi - riuscii a rispondere.

- Quest'aspetto orribile ti fa sembrare quasi indifesa, Gray, viene spontaneo purtroppo - specificò a bassa voce e dopo si allontanò per andare a prendere lo zaino e la giacca che il giorno prima aveva buttato per terra a casaccio. - Arrivederci - salutò ad alta voce, rivoltò anche a Cecilia e Molly che ricambiarono: una con una smorfia, l'altra curiosa.

Senza nemmeno pensarci molto, lo seguii fuori dalla porta.

- Mi accompagni? - Chiese divertito, girandosi.

Esitai un attimo, tentata, avrei voluto, ma i pochi neuroni rimasti mi dicevano di non farlo. Perchè stavo quasi esagerando, continuando a comportarmi in quel modo, dimostrando a Parker quanto avessi bisogno di lui, senza prima sistemare tutta la confusione presente in ogni mio organo, avrei rischiato di farmi del male, più di quanto sapevo me ne stessi già facendo.

Scossi la testa. - Ti saluto e basta - risposi piano.

Rise in uno strano modo e, facendo scivolare lo zaino da una spalla, aprì velocemente la cerniera, per poi tirare fuori una felpa. Me la lanciò distrattamente. - Non so quanto resterai qua e se qualcuno ti porterà dei cambi o qualcosa del genere … Nel caso, avevo questa felpa nello zaino quindi vedi un po' tu. - Fece spallucce.

Sorrisi, all'improvviso più allegra, e sempre più confusa con me stessa, anche solo sul mio stato d'animo. - Dillo che l'hai presa apposta - l'accusai divertita.

Si passò la mano tra i capelli, con un sorriso da schiaffi. - E perchè avrei dovuto, Gray? - Mi chiese, cominciando a camminare all'indietro, allontanandosi.

Risposi di getto: - Per lo stesso motivo per cui sei venuto qua!

- Per saltare un giorno di scuola? - Domandò, ironico.

Gli rivolsi una smorfia e lui scoppiò a ridere.

- Va bene! Perchè siamo amici e un aiutino ti serviva, ma non ti abituare male, Gray, sono casi speciali questi - disse, ammiccando e senza dire altro mi girò le spalle, andandosene. E come sempre il Max Parker del buio era diverso da quello del mattino.

Amici, ripetei mentalmente, sospirando e giocherellando con la felpa che mi era stata appena data.

Forse avrei dovuto chiarire con me stessa cosa fare.

Arrendermi a quello che mi ero detta la sera prima o provare a identificarmi nella parola “amica”?

Perchè forse non ero una persona normale se da odiarlo ero subito passata all'idea di esserne innamorata.

Doveva esserci stato un passaggio in mezzo e, se non l'avevo percepito, forse voleva semplicemente dire che quel periodo lo stavo attraversando in quel momento? Avevo forse scambiato affetto per amore? Era possibile scambiare quelle due cose?

Mi morsi le labbra, continuando a guardare Max che, diventando sempre più piccolo, in quell'immenso corridoio, si infilava in malo modo la giacca, senza farci molto caso.

L'avrei rivisto quando mia zia sarebbe stata meglio e sarebbero passati giorni.

Mi sarebbero bastati per placare la confusione?

La figura di Max svoltò finalmente l'angolo, dirigendosi verso le scale.

Per un attimo fui tentata di seguirlo. Ma per dirgli cosa?

Niente.

Sollevai la felpa scura, schiacciandoci il viso contro, per non vedere più la luce né niente.

Odiavo Parker per essere venuto a trovarmi la sera prima.

Odiavo Parker per essere rimasto a dormire con me.

Odiavo Parker per le cose che mi aveva detto.

Odiavo Max per essere la causa di tutta quella confusione.

E tutta quella confusione c'era perchè lo amavo.

In quel momento fu chiaro che la malattia era allo stato terminale.

 

 

Ci misi un po', non seppi nemmeno quanto, ma alla fine tornai, seppur mogiamente, dal bagno. Mi ero cambiata, indossando la felpa pulita di Max e poi data una sistemata ai capelli e al viso, entrambi indecenti.

Respirai a fondo, prima di entrare nella stanza di Elizabeth.

Molly era seduta sulla poltrona e mia nonna non si era schiodata dalla posa in cui l'avevo lasciata, di fianco al letto di mia zia. Era cambiata solo la posizione della mano, che ora stringeva quella di Lizzy.

- E' passata Holly mentre non c'eri - mi informò piatta Molly, guardandomi dall'alto al basso, ma provai a non farci troppo caso. - Ha detto che è questione di poche ore e dovrebbe riprendersi, poi di provare a essere presenti quando succederà.

Non commentai perchè non ne avevo la forza. Con Parker sembravano essersene andate le relative energie che avevo avuto al risveglio.

- Max - nominò Cecilia e sollevai lo sguardo da terra. - Max, non me ne sono dimenticata, Evelyne, è il ragazzo che tu ed Elizabeth avete nominato a Natale.

Mi bloccai ricordandomi di quel messaggio, della mia piccola fuga in bagno e poi di mia zia che si era lasciata sfuggire quel nome. - Ah - commentai semplicemente.

- Non avevi detto che era un semplice conoscente? - Indagò, smettendo di nuovo di guardarmi.

Sentii la gola secca, ma provai a mantenere il controllo. - E lo è - confermai. Balla.

- Da quando i conoscenti si fanno due ore di macchina per venire a trovare un'altra conoscente?

- Da ieri, sembrerebbe - risposi.

Cecilia rialzò lo sguardo. - E' insolente.

- La mia risposta? - Chiesi più ironica di quanto avrei voluto.

- Lui.

- A me non è sembrato - ribattei, cominciando ad arrabbiarmi: perchè Parker era stato dalla mia parte in tutto, almeno dalla sera prima, e non si meritava quelle parole.

- Lo è stato invece.

- E' stato solo gentile con me, in ogni modo possibile - dissi, cominciando inconsapevolmente a tormentare la felpa.

- Con quell'aria da bell'imbusto, poi - cominciò, con un'aria irritata che forse non le avevo mai visto.

- Non è … - Provai a difenderlo di nuovo di getto, anche se la parte dell'imbusto ci azzeccava in pieno.

- Invece sì! E ti guarda, Evelyne … E ti guarda in quello stesso modo che aveva Charles di guardare Cecilia! Non mi piacciono quegli sguardi, Evelyne, non mi piacevano all'epoca con mia figlia e non mi piacciono nemmeno adesso! Non mi piacciono perchè tu sei come lei: non ci riusciva Cecilia ad evitarli e a non ricambiarli e non ci riesci nemmeno tu. Non voglio che anche mia nipote rimanga fregata, rovinata da un altro Charles! Quegli sguardi portano solo guai! - Disse tutto d'un fiato. E riconobbi nei suoi occhi una vera e pura preoccupazione.

Rischiai di rimanere senza parole ma mi ripresi in fretta: - Max non è come lui!

Perchè Max poteva essere incoerente, prima fregarsene e l'attimo dopo esserci, ma non sarebbe mai stato come mio padre, non poteva essere una persona del genere.

- Li ho visti io, Evelyne, li ho visti entrambi io da giovani!

- Non conosci Max! - Cominciai ad agitarmi.

Sbuffò frustrata, smettendo di guardarmi. - Allora se non è come lui dimostralo e non finire per bruciarti in alcun modo.

- Non c'è bisogno di dirmelo - confermai seria.

- Invece ce n'è bisogno - disse, girando la testa dalla mia parte. Il verde spento mi guardò rigidamente. - Tua madre non mi ha mai ascoltata, fallo almeno tu: stacci lontana.

Non ne potei più e senza nemmeno risponderle marciai fuori da quella camera.

Credevo di aver battuto ogni mio record per il poco tempo in cui avevo resistito.

Uscii con uno strano batticuore e con la vitale necessità di trovare della calma, la calma che la sera prima a un certo punto era sembrata così naturale.

Avevo bisogno di Parker e, mentre camminando senza una metà per i corridoi mi chiedevo se avessi un qualche diritto di chiedergli di tornare, sentii il cellulare vibrarmi contro la coscia.

Lo presi velocemente, con le mani che tremavano senza un motivo, guardai il piccolo schermo: chiamata di Francy in arrivo.

Mi ricordai solo in quel momento della mia migliore amica e sentii un centinaio di piccoli spilli trafiggermi il petto per i sensi di colpa. Ed era assurdo come quel caos interiore mi stesse facendo scivolare tutto via dalle mani.

Risposi cominciando a dirigermi verso le scale.

- Eve! - Mi chiamò subito la sua voce squillante dall'altro lato. - Come stai?! Ho provato a chiamarti anche prima! Ma comunque adesso c'è la pausa pranzo, finisce scuola, esco, passo da casa cinque secondi e poi vengo da te! E pensavo, ti serve qualcosa da casa? La chiave di scorta ce l'hai nel solito posto vero? Allora entro, dai e ti prendo quello che ti serve! Stai bene?! - Disse tutto velocemente, in una crisi logorroica che esprimeva una certa ansia.

Mi venne da ridere e piangere allo stesso momento: perchè mi resi conto stupidamente che io avevo bisogno di Francy, non di Max; Parker avrebbe solo aumentato tutta quella confusione, rischiando di far cedere il mio povero cuore; Francy invece era la mia salvezza, la mia ancora fissa e forte e avevo bisogno di lei. Parker era stato il rimedio la sera prima, ma la morfina che mi avrebbe aiutato a soffrire meno, per la malattia che avevo sentito nascere da poco, era la mia migliore amica.

- Vieni presto, Francy - la pregai.

Ci fu un attimo di silenzio. - Eve, ma stai bene? Non usare quel tono di voce, ti prego, che vado in ansia e poi parlo a cas … Okay vado a casa tua! Poi ti prendo qualcosa di buono da mangiare! Arrivo! Ma stai bene?!

Risi piano. - Sì, Francy, sono solo un po' confusa ...

Non fu evidentemente la risposta che si aspettava, ma non seppi dargliene un'altra migliore.

 

*********

 

Non potevo crederci.

- Dai, sfigato!

Era impossibile.

- Ti muovi, testa di cazzo?!

Aprii finalmente la porta, ridendo, e Max entrò di corsa.

- Non ci credo! - Dissi ad alta voce, finalmente.

Mi fulminò, irritato, marciando intanto verso la sala.

- Sei davvero andato da lei! - Continuai, con un tono che suonava odioso persino alle mie orecchie e sapevo che avrebbe adorato.

- Non dirlo in quel modo, deficiente! - Appunto, adorato.

- Non importa come lo dico, importa il concetto: sei andato da lei. - Lo seguii, ridendo, tremendamente divertito.

Max infatti era vestito ancora come il giorno prima, aveva un'aria distrutta, marchiata da delle occhiaie profonde che gli avevo visto solo l'estate scorsa (per un evento che era meglio non ricordare), occhi stanchi da chi ha dormito poco e in quel caso guidato anche tanto, e per ultimo era sparito dal pomeriggio precedente, dopo Evelyne: tutte le prove parlavano chiaro.

- Smettila di fare quella faccia da culo! - Continuò ad arrabbiarsi, mentre si smollava stancamente, a peso morto, sul divano.

Risi. - Va bene! Come mai qua? - Chiesi, sistemandomi sull'altro divano, riprendendo in mano il joystick che avevo lasciato da solo, dopo aver sentito suonare alla porta.

- Ci sono i miei a casa, c'erano anche ieri quindi sanno che ho passato la notte fuori; ho circa cinquecento chiamate perse e come se non bastasse la preside probabilmente ha rotto il cazzo perchè ieri sono uscito di classe e li ha chiamati. Cerco di evitare il ritorno a casa il più possibile - si lamentò, tenendo gli occhi chiusi.

Scoppiai a ridere, non riuscendo a contenermi. La partita di basket all'Xbox avrebbe aspettato.

Fece una smorfia tra l'irritato e il divertito, continuando a non aprire gli occhi. - Taci, idiota.

- Ti caccio fuori di casa, eh! - Lo minacciai, scherzando.

- Figuriamoci, - Sbadigliò, soffocando uno sbuffo.

- Lei come sta? - Chiesi, non volendo allontanarmi da quel discorso. Avevo le mie teorie e sapevo che ultimamente c'era puzza di bruciato in giro: qualcosa (o meglio, qualcuno) era troppo cotto e non solo metaforicamente. Evelyne invece aveva già iniziato a bruciare e, se anche si fosse spento il forno, per lei non ci sarebbe stato molto da sistemare.

O almeno era quella l'idea che ormai avevo cominciato a farmi e in parte era stata abbastanza confermata con la conversazione del giorno precedente.

- Adesso meglio - borbottò, come scocciato all'idea di parlarne.

Rimasi in silenzio, aspettando che continuasse, con un'aria scettica. Max aprì gli occhi e guardandomi li alzò al cielo.

- Poi vabbè … Ieri sono arrivato ed è scoppiata a piangere. Odio quando le ragazze piangono - si lamentò, guardando verso la tv. - Giochiamo?

Lo ignorai. - E cos'hai fatto? - Sorrisi sotto i baffi.

- Ma boh. - Fece uno strano verso e si alzò, andando verso la televisione per prendere un secondo joystick.

- L'hai consolata almeno, sfigato? - Gli chiesi, pur sapendo già la risposta: Max di solito scappava appena vedeva una traccia di lacrime, ma Evelyne ormai stava diventando un caso a parte.

- Se - rispose, trafficando con i fili, alla ricerca, senza guardarmi.

- A scuola si è sparsa già la voce, non so come, ma tutti sanno che sua zia è finita all'ospedale - lo informai.

Si girò, quasi serio. - Non è perchè ci avete sentiti, fuori nel corridoio?

Scossi la testa. - Forse qualcuno era fuori e vi ha sentiti, ma noi no. E comunque, cos'hai fatto per consolarla? - Indagai di nuovo, sorridendo divertito.

- Che palle che fai venire quando ti metti a fare la donnicciola pettegola! - Si lamentò, finendo ed alzandosi dalla posizione piegata, davanti alla tv e all'Cbox.

- L'hai abbracciata, eh? - Lo canzonai, ridendo.

Gli sfuggì una risata, fulminandomi. - Billy, vaffanculo.

- Non hai approfittato della situazione per molestarla, vero?

Mi ignorò, scuotendo la testa.

- Poi sai, ieri, prima della telefonata, mi ha chiesto perchè la stavi evitando - dissi, vagamente, uscendo dalla partita in corso; tanto stavo perdendo.

- Sì, l'ha vagamente chiesto anche a me - buttò lì, con un tono poco interessato.

- E cosa le hai detto? - Domandai, ridacchiando.

- Che non lo sapevo.

Risi di più. - Me l'aspettavo. Ma il vero motivo? - Mi girai a guardarlo. - Non me l'hai ancora detto. - Anche se lo immaginavo.

Esitò un attimo. - Le stavo troppo addosso - disse solo, guardando la tv, aspettando.

- E quindi? - Chiesi, cercando di soffocare un sorrisetto.

Cambiò un attimo espressione e mi guardò, sorridendo ironicamente. - E quindi non mi piace così tanto da starci a perdere troppo tempo, volevo che tornasse da me lei, chiedendo un altro bacio; so di piacerle anch'io, anche se vuole fare la secchiona orgogliosa e non ammetterlo - tagliò corto, apaticamente.

Lo guardai insoddisfatto, ma sapendo, da quella faccia che aveva appena assunto, che non avrei ottenuto un'altra risposta e quindi nemmeno la verità che volevo io. - E perchè alla fine ti sei arreso e sei andato a trovarla? - Provai.

- Dai non rompere il cazzo, alla fine la Gray ed io siamo più o meno amici, tra una balla e l'altra, è normale che l'abbia fatto! Lei mi ha aiutato e non potevo non farlo anch'io, volevo aiutarla anch'io - rispose, accigliandosi e guardandomi male.

- Non riuscivi ad avere un'amica femmina nemmeno alle elementari, figuriamoci adesso - lo presi in giro.

- E cos'altro saremmo? - Chiese, mantenendo lo stesso cipiglio.

Sorrisi. - Di sicuro quello che hai fatto oggi per lei non l'avresti fatto per molti.

Sembrò pensarci vagamente solo in quel momento. Aprì la bocca per parlare, la richiuse e poi tentò di nuovo. - Per te sì. - Sembrava un'affermazione molto gay.

- So che mi ami alla follia e che io entravo nell'elenco, ma per Clark?

- Seth mi sta vagamente sul cazzo, lo sai; l'avrei fatto ma con molta fatica. - Rise.

- Per Kutcher?

Alzò gli occhi al cielo, scocciato. - Ma sì, sfigato. Farai davvero l'elenco del mondo intero?

Lo ignorai. - Avresti davvero guidato tu per due ore? - Chiesi, insistendo.

Sospirò. - Sì.

- Per Dawn?

Fece una smorfia. - Cosa ...

- Dopo tutto è tua amica: è da quattro anni che vi parlate ogni giorno e alle feste c'è sempre e chiacchierate e usciamo tutti insieme; ci hai anche scopato, cazzo. In teoria dovrebbe essere più una tua amica lei che Evelyne; con la Gray ci parli solo da novembre e per un ricatto.

Esitò. - Per Dawn no.

Sorrisi vittorioso.

- Smettila di farti tutti questi viaggi, idiota, e smettila di fare lo psicologo mancato; qualsiasi idea idiota stia circolando per la tua testa: cancellala, eliminala - mi sgridò con una smorfia.

- Che idee? - Chiesi, canzonandolo.

Mi ignorò, sospirando davvero irritato.

- Che ti piace intanto l'hai già ammesso con te stesso ... - Gli ricordai, facendo partire la partita.

- Sai in che senso ho detto che tende al piacermi - sibilò tra i denti, con un fare abbastanza stressato che mi fece ridere.

- E allora se ti piace solo un po', nel senso fisico, perchè nel caso di Dawn no e in quello di Evelyne sì?

Riuscii a fregare la palla a un suo giocatore.

- Guarda, Billy, vaffanculo, stai zitto!

Scoppiai a ridere mentre la mia squadra faceva anche canestro. - Cosa c'è?!

- Se osi nominare ancora la Gray ti ficco l'xbox tu sai dove! - Disse e il tono sembrava quasi serio.

- Coda di paglia! - Fischiettai, riuscendo a riacquistare di nuovo la palla.

- Billy, porca puttana, stai zitto!

Avevo detto che nel forno si stava bruciando seriamente solo Evelyne?

Cominciavo a cambiare leggermente idea ...




*** Angolo autrice:

Ciao! 
Prima di tutto: scusate il ritardo, ma non ho davvero avuto tempo e il capitolo non mi convinceva, quelli di passaggio mi mettono sempre dei dubbi.
Per farmi perdonare per il ritardo e le paranoie di Evelyne potete però vedere comunque il Pov Billy :D

Seconda cosa: per comunicarvi dei ritardi o per darvi spoiler o chidere consigli o semplicemente per parlare ho creato il gruppo della storia su fb 
http://www.facebook.com/groups/326281187493467/ ! Spero che l'idea faccia piacere e risulti in qualche modo utile :)

Il capitolo è, come ho già detto, di passaggio e quindi in alcune parti abbastanza statico ... Mi dispiace di avervi fatto aspettare tanto per questo e basta ma dovevo finire di chiarire la situazione o per lo meno farvi vedere la complessata Eve :)
Spero comunque di non avervi delusa! 
Il prossimo proverò ad aggiornalo presto per compensare di questo.




 

   
 
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