17 –
Confronti (A Chassillé)
Ero
rimasta a Parigi in attesa di notizie.
Mai
attesa fu più snervante.
In
realtà, stare ferma ad aspettare l’evolversi degli eventi non mi è mai
piaciuto; è una di quelle cose che mi rende sempre inquieta e ansiosa.
Lo fui
molto anche in quella circostanza. In quei giorni ricevetti poche visite, per
lo più la nobildonna pettegola di turno che veniva a ragguagliarmi sull’ultimo
noioso scandalo in società, piccole seccature che ebbero il potere di irritarmi
oltre misura, cosa che non riuscivo a nascondere come avrei dovuto.
Sapevo
che Oscar era partita per raggiungere Chassillé, paese dove presumevo fosse la
bambina, la figlia illegittima di mio marito.
Attendevo
un qualunque messaggio di Oscar, e non mi aspettavo che Leopold tornasse in
città tanto presto, né che volesse parlare con me.
Trovai
quanto mai fuori luogo il suo tentativo di scendere a patti.
Pensai
dovesse temere seriamente lo scandalo, se tornava a Parigi per blandirmi, ma
niente poteva prepararmi alla parole che mi sentii rivolgere, e al tono
determinato e coinvolto con cui furono pronunciate.
Non
avevo mai sentito mio marito mettere tanto cuore e sentimento in un discorso.
Quel
pomeriggio, ero sola con la mia cameriera, quando entrò nel salotto privato
senza farsi annunciare; Ninette stava ravvivando il fuoco e con solerzia fu
invitata dal conte ad allontanarsi, al che lei fece un rapido inchino, ed uscì.
Io e
Leopold ci fissammo in silenzio per qualche secondo.
Con
fastidio, abbandonai sul tavolo le carte del solitario che stavo completando.
Io non
mi lasciai impressionare dalla sua comparsa teatrale e lo accolsi con durezza,
restando seduta dov’ero, vicino alla finestra.
“Avete
un bel coraggio a farvi vedere qui. Non dovevate scomodarvi; potevate restare
con la vostra amante… e con quella piccola bastarda che avete avuto l’ardire di
riconoscere.”
Esordii,
senza lasciargli alcun dubbio sul fatto che sapevo tutto. Leopold non si
scompose; restò in piedi con il tricorno in mano, in prossimità del camino,
affrontando la mia ostilità con una freddezza che mi parve innaturale.
“Non
intendo negare le mie responsabilità, signora. In fondo, mi conoscete bene,
come io conosco voi. Ho avuto una relazione con un’ altra donna, e da questa
relazione è nata una creatura innocente che non merita il vostro disprezzo. Se
c’è qualcuno da biasimare, quello sono io.”
“Questo
è senz’altro vero. Ma il vostro comportamento scellerato danneggia anche la mia
persona, e i miei figli, che sono anche i vostri. Io devo proteggere Monique e
Bastien dallo scandalo che potrebbe infangare il loro nome. Quindi non posso
tollerare che voi diate il nome dei Recamier a quella bambina. Non sono
disposta ad accettarlo.”
“E come
pensate d’impedirlo, signora? Colpireste la piccola per colpire me? Non sarebbe
degno di voi. Il riconoscimento è avvenuto di fronte alla legge. Non sarebbe
più facile accettare il fatto e mettervi l’animo in pace?”
Mi
alzai dalla poltrona per avvicinarmi alla finestra, dandogli le spalle. Parlai
energicamente.
“Niente
affatto! Pretendo la distruzione di quei documenti. Lo esigo! Sapete che ho
potere a sufficienza a corte, per farvi cadere in disgrazia e farvi perdere
molte delle vostre cariche pubbliche. - Puntai lo sguardo distratto oltre i
vetri e osservai la strada che incrociava la piazza, le carrozze che passavano,
alcuni passanti fermi all’angolo che parlottavano fra loro. - Basterebbe una
mia parola, Leopold; vi consiglio di non abusare della mia pazienza.”
“Sapete benissimo che questo danneggerebbe
anche voi. Siete irragionevole, madame. Non ho intenzione di assecondarvi in
questo capriccio, dettato credo, più dall’orgoglio che da una reale offesa.
Anch’io ho molti motivi per dubitare della vostra fedeltà passata e recente. Se
ci scontriamo, potremmo farci molto male entrambi. Siete sicura di volerlo?”
“Siete
un ipocrita!”
“Non
più di voi, signora.”
“Io non
intendo essere sbeffeggiata da tutti a causa vostra; pretendo un minimo di
rispetto dal momento che sono vostra moglie. Ho tollerato le vostre amanti,
finché non sono state un problema, ma non ammetterò macchie imbarazzanti sul
buon nome dei miei figli, sulla dote di mia figlia o il futuro di mio figlio,
l’unico vero erede dei Recamier. Potete star certo che vi ostacolerò in ogni
modo.”
Ero
avvelenata nell’orgoglio, e questo anche un uomo come Leopold lo capiva.
L’affronto diretto non lo avrebbe portato a nulla. Così, mio marito cambiò
tattica e atteggiamento.
Il suo
fare accomodante, che pure conoscevo, mi colse mio malgrado di sorpresa.
“Danielle,
vi prego, non voglio che diventiamo nemici.”
“Non
sono sicura che siamo mai stati amici, io e voi. Certamente, non possiamo
esserlo ora.”
“Perché
no? In fondo, noi due ci siamo sempre intesi alla perfezione. – Mi disse con
tono condiscendente, mentre si accomodava su una sedia. - Provate a riflettere;
sono certo che possiamo trovare una soluzione senza compromettere nessuno, né
voi, né i nostri figli. Anch’io come voi, voglio solo il loro bene e Bastien
resta il mio erede legittimo, non dovete dubitare di questo. Ma ho anche a
cuore la sorte di questa bambina e voglio garantirle un futuro dignitoso. Voi
non avrete mai nulla a che fare con lei, non entrerà mai nella scia della
vostra vita. Non sarà mai motivo di vergogna per voi, ve lo posso mettere per
iscritto se volete. Dovete solo lasciare che io mi occupi di tutto. Dovete
fidarvi di me. Vi ho mai dato motivo di lamentarvi della mia condotta, in
passato?”
“Oh, è
incredibile quello che mi proponete! Dovrei far finta di nulla, passare sopra
l’inganno, il tradimento! Che genere di donna pensate che io sia!?” Esclamai,
incapace di contenermi.
“Penso
siate una donna dotata di ingegno e intelligenza, oltre che senso pratico.
Suvvia Danielle, sto parlando nell’interesse di entrambi, dovete capirlo.”
“Smettetela
con le adulazioni, Leopold, con me non servono. I miei interessi li ho sempre
curati da sola. Lo farò anche questa volta. Ora non si possono fare previsioni
a lungo termine sulle ripercussioni di questa vicenda, sul danno che ne
verrebbe alla nostra famiglia se la cosa trapelasse. E la madre? Mi dovrei
fidare anche di lei?”, proruppi con tutta la mia indignazione.
“Da
lei, non avrete mai nulla da temere, ve lo garantisco.”
Avvertii
un’inflessione amara nella risposta di mio marito. Rimasi in silenzio di fronte
a quell’ultima esternazione. Ne avvertivo la gravità, la sensazione di qualcosa
d’ineluttabile, come un dolore funesto. Sostenni lo sguardo del mio consorte
fedifrago con un sospetto appena nato tra i pensieri, finché lui non parlò di
nuovo.
“Capisco
che questa scoperta possa avervi sconvolta e voglio darvi il tempo di
riflettere su quanto ci siamo detti. Non cercate di venire in possesso dei
documenti: sono ben nascosti. Sono certo che vi renderete conto che vi offro la
soluzione più facile e sicura. Posso accogliere ogni vostra eventuale
richiesta, anche denaro, darvi altre garanzie. Se accetterete, non vi verrà
nessun danno; in caso contrario, potreste soffrirne ed è l’ultima cosa che
vorrei.”
“Quello
che dite suona come un ricatto…”
“No,
madame, è solo un consiglio. Pensateci. Capirete che ho ragione.” Concluse,
prima di alzarsi per andarsene.
Mi
sentivo ancora fremere per l’indignazione.
Continuai
a guardare attraverso il vetro della finestra, la vita che scorreva fuori dal
mio palazzo; avevo la strana impressione di non poter fermare né rallentare
quello scorrere. Potevo solo assistervi, impotente. Vidi Leopold salire sulla
carrozza che lo attendeva in strada.
Ci
avrei pensato, sì.
Molto a
lungo e attentamente.
Prendevo
tempo, mentre attendevo notizie da Oscar.
Intanto,
più ci pensavo, più il compromesso risultava inaccettabile.
La
volontà imposta di un marito che voleva essere padrone delle mie scelte mi
pareva insostenibile e un moto di ribellione stava nascendo e premeva per
liberarsi. Per ora, avrei rimandato ogni decisione. Ma alla fine, la mia
sarebbe stata l’ultima parola.
******
Viaggiarono
per un giorno e mezzo, prima di arrivare a Chassillè. Avevano fatto solo una
sosta ad una stazione di posta per trascorrere la notte e far riposare i
cavalli. Sarebbero ripartiti il mattino seguente, dopo una notte che nessuno
dei due avrebbe dimenticato tanto presto.
Il
giorno prima a Versailles, Oscar tentò di comportarsi come se fra loro tutto
fosse rimasto uguale a sempre. Era finita a letto col suo attendente; non era
una pratica così inusuale e non sarebbe stata la prima persona a concedersi
un’avventura di quel genere, con un servo. Ma se pensava a sé stessa, al rigore
militaresco di cui si era sempre fregiata, non poteva fare a meno di odiarsi.
Non si
perdonava di essersi comportata come una delle tante nobildonne viziose che
infestavano la corte, e che saltavano tra alcove aristocratiche e la paglia
delle stalle con allegra disinvoltura, e tutto solo per sottrarre André alle
seduzioni della gemella. Aveva rimuginato per ore, e si era convinta che il
motivo della sua condotta licenziosa fosse stato quello.
Una
debolezza che presentava le sue inevitabili conseguenze; resistere a certi
pensieri era diventato pressoché impossibile; non avere il controllo di sé era
frustrante.
Ogni
volta che posava gli occhi su André, la sua mente si scatenava in audaci
fantasie al limite della decenza che le sarebbe parso naturale soddisfare. E
André non faceva nulla per liberarla dalla tentazione.
Anzi,
pareva divertirsi a provocarla e metterla in difficoltà, alimentando il fuoco
come si fa con i carboni ardenti. Lo aveva fatto per gran parte del viaggio, in un modo che
pareva involontario, ma non lo era affatto.
A dire
il vero, Oscar aveva cercato in tutte le maniere di evitare l’argomento, ma
alla fine André era riuscito a dirottare il discorso.
“Questa
storia della figlia illegittima è una vera seccatura; mio cognato è un idiota.
Come ha fatto a farsi incastrare in questo modo? Mi chiedo perché certi uomini
siano così stupidi.”
Borbottava
Oscar, sballottata dal dondolio della carrozza che correva lungo la strada.
Andrè, seduto di fronte a lei, non si lasciò ingannare dai suoi sguardi
fuggevoli e noncuranti.
“Perché
incontrano donne più scaltre di loro. Ma noi non sappiamo nulla di come stanno
le cose, forse Leopold non è stato incastrato e questa figlia potrebbe essere
il frutto di un amore sincero.”
“È
quello che voglio scoprire; per questo andiamo a Chassillé.”
“Già…
Non capisco perché ti sei fatta coinvolgere in questa vicenda da tua sorella.
Perché hai accettato di aiutarla? A te, di Leopold, la sua amante e la sua
bambina non te ne importa niente. Solo qualche mese fa non ti saresti data pena
per loro. Adesso, vuoi farmi credere che sei in ansia per lo scandalo che pende
sulla testa di Danielle?”
“Mi
preoccupo per lei. Ti sembra così strano?” Rispose lei, lievemente infastidita.
Ma lui
non le avrebbe dato tregua.
“No. Ma
credo che tu stia evitando di pensare a cose più importanti.”
“Ad
esempio?”
“Ad
esempio, noi Oscar.” Le rispose senza mezzi termini.
Lei si
era mossa come se cercasse la posizione più comoda.
“Cosa
c’entra questo?”
“C’entra
moltissimo e lo sai. Non puoi liquidare la cosa come se nulla fosse. Stai
fingendo che non sia accaduto, ma io ti conosco troppo bene e so che ci pensi
più di quanto vorresti.”
Oscar
si lasciò sfuggire un sospiro nervoso, portandosi una mano alla tempia.
“A
volte, la tua presunzione mi irrita, André. Ora non mi posso preoccupare di
questo.”
“Fingerai
che non abbia significato niente? Oh, avanti! Tu non sei così cinica, per
quanto ti sforzi di apparirlo. Eri con me, ti ho sentita. Eri dentro la mia
anima e io nella tua. Nell’intimo sai che è così.”
Oscar
accavallò le gambe, incrociando le braccia e sprofondò contro il sedile della
vettura.
“È
successo tutto troppo in fretta, André. E io ero arrabbiata.”
“Non
era la rabbia che ti faceva muovere; ti sei data come la più tenera delle
donne. Non riesci a ingannarmi, Oscar. Stai solo cercando d’ingannare te
stessa.”
Lei non
aveva risposto, ma lo aveva sentito muoversi per sedersi al suo fianco e una
mano aveva raggiunto la sua, scivolata in grembo, e le dita si erano
intrecciate alla sue. Debolmente aveva tentato di sottrarsi e la stretta si era
fatta più possessiva.
“André,
io… - Aveva esitato di fronte al suo sguardo. – La situazione non era normale,
lo sai. Altrimenti…”
“Altrimenti
cosa?”
“Altrimenti
non sarebbe accaduto; io credo di averlo fatto per dispetto a Danielle.”
Di
fronte a quella confessione lui era rimasto in silenzio. Eppure non era
disposto a crederle. Tra due ore al massimo avrebbero raggiunto la stazione di
posta e decise di aspettare.
Non
avevano parlato molto per il resto del viaggio. Solo qualche parola ogni tanto.
Una
volta raggiunta la stazione, Oscar aveva dato disposizioni per trascorrere la
notte e avere cavalli freschi per il mattino seguente, quando sarebbero
ripartiti. Avrebbe voluto prendere due camere, ma il funzionario le disse di
averne solo una libera; le altre, in verità poche, erano già occupate da altri
viaggiatori.
Dovette
rassegnarsi.
Nella
sala riservata agli ospiti, consumarono una cena frugale al lume delle poche
candele prima di andare a coricarsi.
“Domattina
voglio partire presto; una buona dormita ci farà bene.”
“Non ne
dubito.” Le rispose lui, laconico, mentre ripuliva il suo piatto.
Al
termine della cena si ritirarono per la notte.
Seguita
da André, salì le scale per raggiungere la camera assegnata, ma non si sentiva
tranquilla.
Si
domandava come avrebbe potuto dormire con lui nella stessa camera.
Come
avrebbe fatto a spogliarsi in sua presenza.
Non che
lui non avesse già visto del suo corpo più di quanto fosse lecito vedere.
La
camera era spaziosa e accogliente, ben curata anche se arredata in maniera
molto sobria; oltre al grande letto matrimoniale, c’erano un armadio a due ante
di legno massiccio, un paio di sedie contro una parete, di fianco a un piccolo
scrittoio posto sotto la finestra che si apriva sulla strada, e sull’angolo
opposto stava una cassapanca che conteneva una coperta per la notte e un
cuscino.
Oscar
in piedi sulla porta, esaminò lo spazio con una rapida occhiata, poi avanzò al
centro portandosi davanti al letto. André era di fianco a lei; si guardava
attorno, forse domandandosi dove e se avrebbe dormito.
Lei
tolse il mantello per abbandonarlo su una delle sedie. Quindi sedette sul letto
per togliersi gli stivali con più agio. Dietro di lei, sentì André misurare la
stanza con un paio di passi.
“Bene
Oscar, possiamo dividere il letto, o vuoi che dormo sul pavimento?”
A Oscar
non sfuggì la velata ironia.
“Non
dire sciocchezze; perché dovresti dormire sul pavimento? Dormiremo insieme
senza problemi… dormiremo soltanto.” Aggiunse perentoria, voltandosi verso di
lui, mentre si sfilava in fretta giaccia e gilet, al che André alzò le mani in
segno di resa.
“Non
temere, non sarò io a iniziare un gioco che tu non vuoi.”
Si
coricarono uno di fianco all’altro, facendo attenzione a non sfiorarsi neppure
per errore.
Prima
di posare la testa sul guanciale, André spense l’unica candela presente nella
stanza e piombarono nella semioscurità; dai vetri filtrava il debole chiarore
di uno spicchio di luna.
Ma,
nonostante la stanchezza, addormentarsi fu impossibile.
Ciascuno
sentiva il respiro dell’altro e il più lieve movimento dei loro corpi gettava
il cuore nell’ansia.
Pericolosamente
vicini si sforzavano di restare immobili, fingendo di dormire, lottando contro
l’attrazione, il formicolio che agitava il sangue e assaliva le membra, sintomo
della tensione erotica, temendo che il tocco più lieve e innocente potesse
scatenare la passione che, sentivano, li avrebbe travolti senza scampo.
André
chiese aiuto ai suoi ricordi, sperando di placare l’ansia che lo teneva
sveglio.
E in un
sussurro appena udibile nel buio, si ritrovò a dare voce ai suoi pensieri, non
pensando che lei potesse sentirlo, credendola addormentata.
“Eravamo
solo due ragazzi l’ultima volta che abbiamo dormito insieme… sembra passata una
vita…”
“Stavo
pensando la stessa cosa.”
Sorpreso,
trattenne il respiro quando la sentì muoversi e rigirarsi accanto a lui.
“Oscar,
ma… sei sveglia? Scusa, credevo
dormissi.”
“No… -
seguì un breve silenzio, poi Oscar continuò come se dovesse rispondere a una
muta domanda. - L’ultima volta è successo la sera prima del duello col Duca di
Germaine.” La tensione parve stemperarsi nel buio.
“Sì,
hai ragione. Avevi paura quella sera.”
Oscar
restò immobile nel letto, prima di infrangere di nuovo il silenzio.
“Anche
adesso ho paura…” e André si sentì assalire da un vago senso di panico.
“Di
cosa? Di essere qui, con me?”
“No
André. Ho paura di quello che sento, di ciò che voglio.”
“Oscar…”
E non
seppe mai come fu, ma gli bastò allungare una mano sotto il lenzuolo a
incontrare le dita di lei che per istinto si intrecciarono alle sue. Poi la
mano di Oscar iniziò a percorrere il braccio, passò sul torace, raggiunse e
aprì i lembi della sua camicia e scivolò sulla pelle del petto e dell’addome.
Lui la serrò con la sua più grande, bloccandola un istante e bisbigliò un sussurro
rauco.
“Oscar,
se fai così, io non so se…”
“Non
dire niente, André. Ho bisogno di questo: ho bisogno di sentirti dentro di me,
perché la mia carne brucia.”
E sentì
le sue braccia che lo circondarono e poi le sue labbra lo raggiunsero: erano
audaci, tenere e prepotenti.
La
circondò serrandola contro il suo petto e capovolgendo le loro posizioni, la
portò sotto di sé.
“Anche
la mia carne brucia e tu Oscar, sei il fuoco che divora le mie viscere.”
La voce
calda e roca di André nel buio le sembrò che avesse un suono sconosciuto, la
cosa più eccitante che avesse mai udito; un brivido le percorse la spina
dorsale e le fece tremare l’anima.
Bastò
un secondo; la sua mente cancellò ogni scusa cui avesse tentato di ancorarsi
fino a quel momento - non dovrei, non è giusto, è
uno sbaglio – e ascoltò solo ciò che il suo cuore
desiderava davvero: fare l’amore con lui, lì in quella stanza, in quel buio
denso di sospiri.
“Insegnami
l’alfabeto del tuo corpo, la lingua che parlano le tue mani, André.” [1]
Lo
attirò a sé e lo baciò con tutto il desiderio che sentiva e voleva fargli
sentire.
E André
non la deluse affatto e tradusse in gesti sicuri e lenti le sue voglie più
intime.
Si
abbandonarono senza pudore a carezze
dolci ed esigenti, alle mani che cercavano, trattenevano e spogliavano l’altro,
esplorando angoli proibiti, pieghe intime della pelle del corpo per dare e
prendere piacere; fu istintivo inseguirsi con le bocche affamate, e con le
lingue tracciare linee umide su dolci declivi.
Un uomo
e una donna si unirono nel buio, perdendosi nell’amore dell’altro, e fu un
abbraccio tenero, profondo, pieno e appagante. Fu una notte lunga e l’abbraccio
dei corpi divenne forte, impetuoso, travolgente come il mare della Normandia
quando è in burrasca, e le dita di Oscar al culmine dell’amplesso incisero
graffi di un’ amante possessiva sulla pelle della schiena di André.
“Sei
mio e di nessun altro! Sei solo mio, André!”
“Sì
Oscar, sono tuo. – Sospirò con le ciocche nere che ricadevano sul seno di
Oscar. - Non sarò mai di nessun’ altra, te lo giuro.”
Dormirono
forse soltanto un’ora, poco prima del sorgere dell’alba; quando più tardi del
previsto, ripresero il viaggio per raggiungere Chassillé, il sole era già alto
nel cielo cristallino di un mattino frizzante.
******
Chassillè
era un piccolo paese, ma la residenza dei Marchard restava poco fuori la
centralità delle case, in aperta campagna, circondata dal verde delle colline
coltivate a vigneti.
Fu
abbastanza facile trovare il piccolo palazzo, una delle poche case nobili
presenti nella zona.
Lungo
la via avevano incrociato un mercante che guidava il suo carretto in direzione
del paese; André aveva chiesto informazioni e l’uomo aveva indicato loro una
strada che si snodava tra curve che salivano su per il crinale di una collina.
Quando
la carrozza si fermò davanti l’ingresso della tenuta, Oscar osservò la facciata
dalla linee semplici del piccolo palazzo: l’aspetto era sobrio e ben tenuto,
così il piccolo giardino che circondava la casa; tutto era molto più modesto
rispetto al lusso che si poteva trovare nei palazzi della capitale o in quelli
adiacenti a Versailles. Era l’immagine tipica della nobiltà di campagna, quella
che non aveva libero accesso a corte, perché priva di mezzi e sostanze.
André
restò a fare anticamera, mentre la padrona di casa, cortese e ospitale, accolse
Oscar in un piccolo salotto arredato secondo un gusto non propriamente
all’ultima moda parigina, con tessuti e tendaggi dai toni piuttosto scuri.
“Benvenuta
nella mia umile dimora, madamigella Oscar. Non mi aspettavo di ricevere la
visita di un personaggio importante come voi, Colonnello. Vi trovo molto bene,
da quando ci siamo viste a casa di vostra sorella.”
“Grazie.
Vi porgo i miei omaggi, signora. Scusatemi se sono venuta qui senza darvi alcun
preavviso, ma c’è un motivo serio se oggi mi presento a voi.”
“Vi
ascolto, madamigella.” Disse Lisette, versando il té in una tazza che offrì
alla sua ospite.
“Bene,
sarò molto chiara e sintetica; ho ragione di credere che voi madame, siate a
conoscenza di una questione importante che riguarda mio cognato, il conte
Leopold di Recamier.”
Lisette
non parve turbata, e se lo era lo nascondeva molto bene.
“Quale
sarebbe questa questione importante?” chiese con calma.
“È cosa
nota che mio cognato abbia avuto e magari ha tuttora una relazione con voi,
signora; dalla vostra relazione è nata una figlia che il conte ha voluto
riconoscere; credo che voi possiate confermarlo, madame.”
Lisette
sorseggiò il suo tè, prima di rivolgerle la sua domanda.
“Non
siete qui di vostra iniziativa… chi vi manda, madamigella Oscar?”
“Sono
qui per curare gli interessi di mia sorella, la contessa di Recamier, legittima
consorte dell’uomo che avete preso come amante, madame…” Oscar fece una pausa
studiando la sua interlocutrice, che parve trattenere il respiro.
“Nonostante
le apparenze, io e il conte di Recamier siamo legati da un sincero e profondo
affetto.”
“Sarà,
ma il problema non è precisamente questo e non m’interessa; il problema è lo
scandalo che scoppierebbe se si venisse a sapere di questa bambina e del nome
ingombrante che porta. Se pensate di approfittare del nome dei Recamier per
trarne in futuro, dei vantaggi personali, non sarà così facile.”
Oscar
era stata diretta e Lisette pensò che fosse inutile tergiversare.
“Non
userei mai la piccola in maniera così meschina…- Lisette parve rattristarsi e
abbassò lo sguardo sulle mani che teneva in grembo – Non ho mai chiesto a
Leopold di riconoscere la bambina, ero pronta a prendermi cura di lei senza
chiedere aiuto a nessuno; il conte ha fatto tutto di sua spontanea volontà.”
“Scusate,
ma viene naturale pensare il contrario; per una donna sola e con pochi mezzi,
amante di un uomo influente, sarebbe difficile prendersi cura di una figlia
senza un po’ d’aiuto; so che mio cognato ha pagato molti dei vostri debiti.
Immagino che i documenti del riconoscimento siano in mano vostra.”
“Sì è
così, madamigella. Ma voi adesso cosa pensate di fare? Non vi aspetterete che
vi ceda i documenti, vero? Non sono tenuta a farlo.” Il tono di Lisette era
determinato e per nulla intimorito.
“Lo so,
madame. Comunque non ho bisogno di farlo. In realtà, sono venuta per dirvi che
mia sorella ha il potere per farli annullare, ed è decisa a farlo con gran
danno per voi e la bambina. Tutto potrebbe essere evitato se rinuncerete
spontaneamente al nome dei Recamier e ad eventuali diritti di eredità per
vostra figlia.”
Oscar
rimase in attesa di vedere come avrebbe reagito Lisette alle sue parole; non
era ancora riuscita a farsi un’ idea precisa di quella donna. Non sapeva se era
la solita arrivista, che cercava di migliorare la sua posizione accalappiando
uomini ricchi e di potere, o solo una donna qualsiasi che si era innamorata di
un uomo sposato.
Un uomo
come Leopold, poi… la quintessenza della mediocrità, del pensiero chiuso dentro
certi limiti.
L’età e
l’aspetto, oltre all’atteggiamento semplice e schietto non la facevano
assomigliare né a una Du Barry, né a una Pompadour; sembrava un’ ingenua, ma
Oscar aveva il sospetto che non lo fosse.
“Capisco…
- disse infine Lisette, emettendo un sospiro pesante. – Dovete esservi fatta
una pessima opinione di me, madamigella. Ma è naturale che voi siate dalla
parte di vostra sorella, lo posso capire…”
Oscar
posò la tazza vuota di fronte a sé.
“Ecco,
veramente…”
“Volete
vedere la bambina?” chiese all’improvviso Lisette.
“Cosa?”
“Volete
vedere la figlia di Leopold? È qui con me… vi prego, Oscar, venite a vederla.”
Così
Oscar, un po’ sorpresa dalla richiesta, seguì Lisette in un’altra stanza dove,
vicina a una finestra da cui filtrava la luce chiara del giorno, stava una
culla profilata di bianco. La piccola Margot dormiva tranquilla, con le piccole
braccia spalancate, e accanto a lei stava un pupazzetto di pezza con la forma
di un animale.
Sembrava
così fragile e indifesa. La stessa impressione che le avevano fatto sempre i
suoi nipoti la prima volta che aveva posato gli occhi su di loro.
“Ecco,
madamigella: questa è Margot Celine di Recamier, figlia di Leopold di Recamier…
mia nipote.”
“Come
avete detto?” chiese Oscar al culmine della sorpresa.
“È la
verità: Margot è la figlia di mia sorella minore, Isabeou De Marchard che è
morta dandola alla luce quattordici mesi fa. È stata male, sapete? Ha rischiato
di seguire la sua mamma, il che sarebbe stata la soluzione più facile per tante
persone, ma avrebbe dato a me un dolore immenso, oltre quello che già ho.”
Disse
Lisette mentre rimboccava le copertine alla creatura nella culla.
Oscar
era costernata di fronte alla strana compostezza che le rivelava quella
donna.
“Non fraintendetemi.
Vi assicuro che nessuno vuole il male di questa bambina, anche mia sorella è
madre; Danielle vuole solo tutelare i suoi figli.”
“Lo so,
me ne rendo conto, ma io sono l’unica che può proteggere Margot, adesso. Oscar,
c’è una storia che vorrei raccontarvi, una storia dolorosa. Avete voglia di
ascoltarla?” chiese Lisette restando in piedi accanto alla culla.
“Sì…”
“Allora
sedetevi qui con me: è una storia lunga.” La invitò Lisette, prima di iniziare
a parlare.
Il
cielo si sarebbe acceso dei colori del tramonto, prima della fine del racconto.
Continua…
Eccomi qui.
Scusate l’enorme ritardo, ma questo è stato un capitolo difficoltoso e
l’ultima parte era quella più ostica; risulta spezzato, ma ho dovuto farlo,
altrimenti sarebbe diventato troppo lungo. Lascio il resto per il prossimo
capitolo.
Intanto spero che apprezzerete fin qui; grazie sempre per tutti i
vostri commenti e l’incoraggiamento, sono un grande stimolo per me. Se ne avete
non risparmiate le critiche.
Ne approfitto per farmi un po’ di vergognosa pubblicità.
Ho ritardato la pubblicazione di “Spirito inquieto” perché ero
impegnata in un’altra fiction: ho scritto una storia un po’ insolita per me, lontana
dal mio genere solito, un noir che s’intitola “Scarlett”; se vi va di leggerlo,
lo trovate tra i crossover di Lady Oscar. Un saluto.
[1] Liberamente tratto dal testo della canzone di Mario Venuti
“Quello che ci manca”, mi piace troppo.