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Autore: Ninfea Blu    18/02/2013    20 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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17

17 – Confronti (A Chassillé)

 

 

 

Ero rimasta a Parigi in attesa di notizie.

Mai attesa fu più snervante.

In realtà, stare ferma ad aspettare l’evolversi degli eventi non mi è mai piaciuto; è una di quelle cose che mi rende sempre inquieta e ansiosa.

Lo fui molto anche in quella circostanza. In quei giorni ricevetti poche visite, per lo più la nobildonna pettegola di turno che veniva a ragguagliarmi sull’ultimo noioso scandalo in società, piccole seccature che ebbero il potere di irritarmi oltre misura, cosa che non riuscivo a nascondere come avrei dovuto.

Sapevo che Oscar era partita per raggiungere Chassillé, paese dove presumevo fosse la bambina, la figlia illegittima di mio marito.

Attendevo un qualunque messaggio di Oscar, e non mi aspettavo che Leopold tornasse in città tanto presto, né che volesse parlare con me.

Trovai quanto mai fuori luogo il suo tentativo di scendere a patti.

Pensai dovesse temere seriamente lo scandalo, se tornava a Parigi per blandirmi, ma niente poteva prepararmi alla parole che mi sentii rivolgere, e al tono determinato e coinvolto con cui furono pronunciate.

Non avevo mai sentito mio marito mettere tanto cuore e sentimento in un discorso.

Quel pomeriggio, ero sola con la mia cameriera, quando entrò nel salotto privato senza farsi annunciare; Ninette stava ravvivando il fuoco e con solerzia fu invitata dal conte ad allontanarsi, al che lei fece un rapido inchino, ed uscì.

Io e Leopold ci fissammo in silenzio per qualche secondo.

Con fastidio, abbandonai sul tavolo le carte del solitario che stavo completando.

Io non mi lasciai impressionare dalla sua comparsa teatrale e lo accolsi con durezza, restando seduta dov’ero, vicino alla finestra.

“Avete un bel coraggio a farvi vedere qui. Non dovevate scomodarvi; potevate restare con la vostra amante… e con quella piccola bastarda che avete avuto l’ardire di riconoscere.”

Esordii, senza lasciargli alcun dubbio sul fatto che sapevo tutto. Leopold non si scompose; restò in piedi con il tricorno in mano, in prossimità del camino, affrontando la mia ostilità con una freddezza che mi parve innaturale.

“Non intendo negare le mie responsabilità, signora. In fondo, mi conoscete bene, come io conosco voi. Ho avuto una relazione con un’ altra donna, e da questa relazione è nata una creatura innocente che non merita il vostro disprezzo. Se c’è qualcuno da biasimare, quello sono io.”

“Questo è senz’altro vero. Ma il vostro comportamento scellerato danneggia anche la mia persona, e i miei figli, che sono anche i vostri. Io devo proteggere Monique e Bastien dallo scandalo che potrebbe infangare il loro nome. Quindi non posso tollerare che voi diate il nome dei Recamier a quella bambina. Non sono disposta ad accettarlo.”

“E come pensate d’impedirlo, signora? Colpireste la piccola per colpire me? Non sarebbe degno di voi. Il riconoscimento è avvenuto di fronte alla legge. Non sarebbe più facile accettare il fatto e mettervi l’animo in pace?”

Mi alzai dalla poltrona per avvicinarmi alla finestra, dandogli le spalle. Parlai energicamente.

“Niente affatto! Pretendo la distruzione di quei documenti. Lo esigo! Sapete che ho potere a sufficienza a corte, per farvi cadere in disgrazia e farvi perdere molte delle vostre cariche pubbliche. - Puntai lo sguardo distratto oltre i vetri e osservai la strada che incrociava la piazza, le carrozze che passavano, alcuni passanti fermi all’angolo che parlottavano fra loro. - Basterebbe una mia parola, Leopold; vi consiglio di non abusare della mia pazienza.”

 “Sapete benissimo che questo danneggerebbe anche voi. Siete irragionevole, madame. Non ho intenzione di assecondarvi in questo capriccio, dettato credo, più dall’orgoglio che da una reale offesa. Anch’io ho molti motivi per dubitare della vostra fedeltà passata e recente. Se ci scontriamo, potremmo farci molto male entrambi. Siete sicura di volerlo?”

“Siete un ipocrita!”

“Non più di voi, signora.”

“Io non intendo essere sbeffeggiata da tutti a causa vostra; pretendo un minimo di rispetto dal momento che sono vostra moglie. Ho tollerato le vostre amanti, finché non sono state un problema, ma non ammetterò macchie imbarazzanti sul buon nome dei miei figli, sulla dote di mia figlia o il futuro di mio figlio, l’unico vero erede dei Recamier. Potete star certo che vi ostacolerò in ogni modo.”

Ero avvelenata nell’orgoglio, e questo anche un uomo come Leopold lo capiva. L’affronto diretto non lo avrebbe portato a nulla. Così, mio marito cambiò tattica e atteggiamento. 

Il suo fare accomodante, che pure conoscevo, mi colse mio malgrado di sorpresa.

“Danielle, vi prego, non voglio che diventiamo nemici.”

“Non sono sicura che siamo mai stati amici, io e voi. Certamente, non possiamo esserlo ora.”

“Perché no? In fondo, noi due ci siamo sempre intesi alla perfezione. – Mi disse con tono condiscendente, mentre si accomodava su una sedia. - Provate a riflettere; sono certo che possiamo trovare una soluzione senza compromettere nessuno, né voi, né i nostri figli. Anch’io come voi, voglio solo il loro bene e Bastien resta il mio erede legittimo, non dovete dubitare di questo. Ma ho anche a cuore la sorte di questa bambina e voglio garantirle un futuro dignitoso. Voi non avrete mai nulla a che fare con lei, non entrerà mai nella scia della vostra vita. Non sarà mai motivo di vergogna per voi, ve lo posso mettere per iscritto se volete. Dovete solo lasciare che io mi occupi di tutto. Dovete fidarvi di me. Vi ho mai dato motivo di lamentarvi della mia condotta, in passato?”

“Oh, è incredibile quello che mi proponete! Dovrei far finta di nulla, passare sopra l’inganno, il tradimento! Che genere di donna pensate che io sia!?” Esclamai, incapace di contenermi.

“Penso siate una donna dotata di ingegno e intelligenza, oltre che senso pratico. Suvvia Danielle, sto parlando nell’interesse di entrambi, dovete capirlo.”

“Smettetela con le adulazioni, Leopold, con me non servono. I miei interessi li ho sempre curati da sola. Lo farò anche questa volta. Ora non si possono fare previsioni a lungo termine sulle ripercussioni di questa vicenda, sul danno che ne verrebbe alla nostra famiglia se la cosa trapelasse. E la madre? Mi dovrei fidare anche di lei?”, proruppi con tutta la mia indignazione.

“Da lei, non avrete mai nulla da temere, ve lo garantisco.”

Avvertii un’inflessione amara nella risposta di mio marito. Rimasi in silenzio di fronte a quell’ultima esternazione. Ne avvertivo la gravità, la sensazione di qualcosa d’ineluttabile, come un dolore funesto. Sostenni lo sguardo del mio consorte fedifrago con un sospetto appena nato tra i pensieri, finché lui non parlò di nuovo.

“Capisco che questa scoperta possa avervi sconvolta e voglio darvi il tempo di riflettere su quanto ci siamo detti. Non cercate di venire in possesso dei documenti: sono ben nascosti. Sono certo che vi renderete conto che vi offro la soluzione più facile e sicura. Posso accogliere ogni vostra eventuale richiesta, anche denaro, darvi altre garanzie. Se accetterete, non vi verrà nessun danno; in caso contrario, potreste soffrirne ed è l’ultima cosa che vorrei.”

“Quello che dite suona come un ricatto…”

“No, madame, è solo un consiglio. Pensateci. Capirete che ho ragione.” Concluse, prima di alzarsi per andarsene.

Mi sentivo ancora fremere per l’indignazione.

Continuai a guardare attraverso il vetro della finestra, la vita che scorreva fuori dal mio palazzo; avevo la strana impressione di non poter fermare né rallentare quello scorrere. Potevo solo assistervi, impotente. Vidi Leopold salire sulla carrozza che lo attendeva in strada.

 

Ci avrei pensato, sì.

Molto a lungo e attentamente.

Prendevo tempo, mentre attendevo notizie da Oscar.

Intanto, più ci pensavo, più il compromesso risultava inaccettabile.

La volontà imposta di un marito che voleva essere padrone delle mie scelte mi pareva insostenibile e un moto di ribellione stava nascendo e premeva per liberarsi. Per ora, avrei rimandato ogni decisione. Ma alla fine, la mia sarebbe stata l’ultima parola.

 

 

 

******

 

 

 

Viaggiarono per un giorno e mezzo, prima di arrivare a Chassillè. Avevano fatto solo una sosta ad una stazione di posta per trascorrere la notte e far riposare i cavalli. Sarebbero ripartiti il mattino seguente, dopo una notte che nessuno dei due avrebbe dimenticato tanto presto.

Il giorno prima a Versailles, Oscar tentò di comportarsi come se fra loro tutto fosse rimasto uguale a sempre. Era finita a letto col suo attendente; non era una pratica così inusuale e non sarebbe stata la prima persona a concedersi un’avventura di quel genere, con un servo. Ma se pensava a sé stessa, al rigore militaresco di cui si era sempre fregiata, non poteva fare a meno di odiarsi.

Non si perdonava di essersi comportata come una delle tante nobildonne viziose che infestavano la corte, e che saltavano tra alcove aristocratiche e la paglia delle stalle con allegra disinvoltura, e tutto solo per sottrarre André alle seduzioni della gemella. Aveva rimuginato per ore, e si era convinta che il motivo della sua condotta licenziosa fosse stato quello.

Una debolezza che presentava le sue inevitabili conseguenze; resistere a certi pensieri era diventato pressoché impossibile; non avere il controllo di sé era frustrante.

Ogni volta che posava gli occhi su André, la sua mente si scatenava in audaci fantasie al limite della decenza che le sarebbe parso naturale soddisfare. E André non faceva nulla per liberarla dalla tentazione.

Anzi, pareva divertirsi a provocarla e metterla in difficoltà, alimentando il fuoco come si fa con i carboni ardenti. Lo aveva fatto per gran parte del viaggio, in un modo che pareva involontario, ma non lo era affatto.

A dire il vero, Oscar aveva cercato in tutte le maniere di evitare l’argomento, ma alla fine André era riuscito a dirottare il discorso.

“Questa storia della figlia illegittima è una vera seccatura; mio cognato è un idiota. Come ha fatto a farsi incastrare in questo modo? Mi chiedo perché certi uomini siano così stupidi.”

Borbottava Oscar, sballottata dal dondolio della carrozza che correva lungo la strada. Andrè, seduto di fronte a lei, non si lasciò ingannare dai suoi sguardi fuggevoli e noncuranti.

“Perché incontrano donne più scaltre di loro. Ma noi non sappiamo nulla di come stanno le cose, forse Leopold non è stato incastrato e questa figlia potrebbe essere il frutto di un amore sincero.”

“È quello che voglio scoprire; per questo andiamo a Chassillé.”

“Già… Non capisco perché ti sei fatta coinvolgere in questa vicenda da tua sorella. Perché hai accettato di aiutarla? A te, di Leopold, la sua amante e la sua bambina non te ne importa niente. Solo qualche mese fa non ti saresti data pena per loro. Adesso, vuoi farmi credere che sei in ansia per lo scandalo che pende sulla testa di Danielle?”

“Mi preoccupo per lei. Ti sembra così strano?” Rispose lei, lievemente infastidita.

Ma lui non le avrebbe dato tregua.

“No. Ma credo che tu stia evitando di pensare a cose più importanti.”

“Ad esempio?”

“Ad esempio, noi Oscar.” Le rispose senza mezzi termini.

Lei si era mossa come se cercasse la posizione più comoda.

“Cosa c’entra questo?”

“C’entra moltissimo e lo sai. Non puoi liquidare la cosa come se nulla fosse. Stai fingendo che non sia accaduto, ma io ti conosco troppo bene e so che ci pensi più di quanto vorresti.”

Oscar si lasciò sfuggire un sospiro nervoso, portandosi una mano alla tempia.

“A volte, la tua presunzione mi irrita, André. Ora non mi posso preoccupare di questo.”

“Fingerai che non abbia significato niente? Oh, avanti! Tu non sei così cinica, per quanto ti sforzi di apparirlo. Eri con me, ti ho sentita. Eri dentro la mia anima e io nella tua. Nell’intimo sai che è così.”

Oscar accavallò le gambe, incrociando le braccia e sprofondò contro il sedile della vettura.

“È successo tutto troppo in fretta, André. E io ero arrabbiata.”

“Non era la rabbia che ti faceva muovere; ti sei data come la più tenera delle donne. Non riesci a ingannarmi, Oscar. Stai solo cercando d’ingannare te stessa.”

Lei non aveva risposto, ma lo aveva sentito muoversi per sedersi al suo fianco e una mano aveva raggiunto la sua, scivolata in grembo, e le dita si erano intrecciate alla sue. Debolmente aveva tentato di sottrarsi e la stretta si era fatta più possessiva.

“André, io… - Aveva esitato di fronte al suo sguardo. – La situazione non era normale, lo sai. Altrimenti…”

“Altrimenti cosa?”

“Altrimenti non sarebbe accaduto; io credo di averlo fatto per dispetto a Danielle.”

Di fronte a quella confessione lui era rimasto in silenzio. Eppure non era disposto a crederle. Tra due ore al massimo avrebbero raggiunto la stazione di posta e decise di aspettare.

 

Non avevano parlato molto per il resto del viaggio. Solo qualche parola ogni tanto.

Una volta raggiunta la stazione, Oscar aveva dato disposizioni per trascorrere la notte e avere cavalli freschi per il mattino seguente, quando sarebbero ripartiti. Avrebbe voluto prendere due camere, ma il funzionario le disse di averne solo una libera; le altre, in verità poche, erano già occupate da altri viaggiatori.

Dovette rassegnarsi.

Nella sala riservata agli ospiti, consumarono una cena frugale al lume delle poche candele prima di andare a coricarsi.

“Domattina voglio partire presto; una buona dormita ci farà bene.”

“Non ne dubito.” Le rispose lui, laconico, mentre ripuliva il suo piatto.

 

Al termine della cena si ritirarono per la notte.

Seguita da André, salì le scale per raggiungere la camera assegnata, ma non si sentiva tranquilla.

Si domandava come avrebbe potuto dormire con lui nella stessa camera.

Come avrebbe fatto a spogliarsi in sua presenza.

Non che lui non avesse già visto del suo corpo più di quanto fosse lecito vedere.

 

La camera era spaziosa e accogliente, ben curata anche se arredata in maniera molto sobria; oltre al grande letto matrimoniale, c’erano un armadio a due ante di legno massiccio, un paio di sedie contro una parete, di fianco a un piccolo scrittoio posto sotto la finestra che si apriva sulla strada, e sull’angolo opposto stava una cassapanca che conteneva una coperta per la notte e un cuscino.

Oscar in piedi sulla porta, esaminò lo spazio con una rapida occhiata, poi avanzò al centro portandosi davanti al letto. André era di fianco a lei; si guardava attorno, forse domandandosi dove e se avrebbe dormito.

Lei tolse il mantello per abbandonarlo su una delle sedie. Quindi sedette sul letto per togliersi gli stivali con più agio. Dietro di lei, sentì André misurare la stanza con un paio di passi.

“Bene Oscar, possiamo dividere il letto, o vuoi che dormo sul pavimento?”

A Oscar non sfuggì la velata ironia.

“Non dire sciocchezze; perché dovresti dormire sul pavimento? Dormiremo insieme senza problemi… dormiremo soltanto.” Aggiunse perentoria, voltandosi verso di lui, mentre si sfilava in fretta giaccia e gilet, al che André alzò le mani in segno di resa.

“Non temere, non sarò io a iniziare un gioco che tu non vuoi.”

Si coricarono uno di fianco all’altro, facendo attenzione a non sfiorarsi neppure per errore.

Prima di posare la testa sul guanciale, André spense l’unica candela presente nella stanza e piombarono nella semioscurità; dai vetri filtrava il debole chiarore di uno spicchio di luna.

Ma, nonostante la stanchezza, addormentarsi fu impossibile.

Ciascuno sentiva il respiro dell’altro e il più lieve movimento dei loro corpi gettava il cuore nell’ansia.

Pericolosamente vicini si sforzavano di restare immobili, fingendo di dormire, lottando contro l’attrazione, il formicolio che agitava il sangue e assaliva le membra, sintomo della tensione erotica, temendo che il tocco più lieve e innocente potesse scatenare la passione che, sentivano, li avrebbe travolti senza scampo.

André chiese aiuto ai suoi ricordi, sperando di placare l’ansia che lo teneva sveglio.

E in un sussurro appena udibile nel buio, si ritrovò a dare voce ai suoi pensieri, non pensando che lei potesse sentirlo, credendola addormentata.

“Eravamo solo due ragazzi l’ultima volta che abbiamo dormito insieme… sembra passata una vita…”

“Stavo pensando la stessa cosa.”

Sorpreso, trattenne il respiro quando la sentì muoversi e rigirarsi accanto a lui.

“Oscar, ma… sei sveglia?  Scusa, credevo dormissi.”

“No… - seguì un breve silenzio, poi Oscar continuò come se dovesse rispondere a una muta domanda. - L’ultima volta è successo la sera prima del duello col Duca di Germaine.” La tensione parve stemperarsi nel buio.

“Sì, hai ragione. Avevi paura quella sera.”

Oscar restò immobile nel letto, prima di infrangere di nuovo il silenzio.

“Anche adesso ho paura…” e André si sentì assalire da un vago senso di panico.

“Di cosa? Di essere qui, con me?”

“No André. Ho paura di quello che sento, di ciò che voglio.”

“Oscar…”

E non seppe mai come fu, ma gli bastò allungare una mano sotto il lenzuolo a incontrare le dita di lei che per istinto si intrecciarono alle sue. Poi la mano di Oscar iniziò a percorrere il braccio, passò sul torace, raggiunse e aprì i lembi della sua camicia e scivolò sulla pelle del petto e dell’addome. Lui la serrò con la sua più grande, bloccandola un istante e bisbigliò un sussurro rauco.

“Oscar, se fai così, io non so se…”

“Non dire niente, André. Ho bisogno di questo: ho bisogno di sentirti dentro di me, perché la mia carne brucia.”

E sentì le sue braccia che lo circondarono e poi le sue labbra lo raggiunsero: erano audaci, tenere e prepotenti.

La circondò serrandola contro il suo petto e capovolgendo le loro posizioni, la portò sotto di sé.

“Anche la mia carne brucia e tu Oscar, sei il fuoco che divora le mie viscere.”

La voce calda e roca di André nel buio le sembrò che avesse un suono sconosciuto, la cosa più eccitante che avesse mai udito; un brivido le percorse la spina dorsale e le fece tremare l’anima.

Bastò un secondo; la sua mente cancellò ogni scusa cui avesse tentato di ancorarsi fino a quel momento  - non dovrei, non è giusto, è uno sbaglio –  e ascoltò solo ciò che il suo cuore desiderava davvero: fare l’amore con lui, lì in quella stanza, in quel buio denso di sospiri.

“Insegnami l’alfabeto del tuo corpo, la lingua che parlano le tue mani, André.” [1]

Lo attirò a sé e lo baciò con tutto il desiderio che sentiva e voleva fargli sentire.

E André non la deluse affatto e tradusse in gesti sicuri e lenti le sue voglie più intime.

Si abbandonarono  senza pudore a carezze dolci ed esigenti, alle mani che cercavano, trattenevano e spogliavano l’altro, esplorando angoli proibiti, pieghe intime della pelle del corpo per dare e prendere piacere; fu istintivo inseguirsi con le bocche affamate, e con le lingue tracciare linee umide su dolci declivi.

Un uomo e una donna si unirono nel buio, perdendosi nell’amore dell’altro, e fu un abbraccio tenero, profondo, pieno e appagante. Fu una notte lunga e l’abbraccio dei corpi divenne forte, impetuoso, travolgente come il mare della Normandia quando è in burrasca, e le dita di Oscar al culmine dell’amplesso incisero graffi di un’ amante possessiva sulla pelle della schiena di André.

“Sei mio e di nessun altro! Sei solo mio, André!”

“Sì Oscar, sono tuo. – Sospirò con le ciocche nere che ricadevano sul seno di Oscar. - Non sarò mai di nessun’ altra, te lo giuro.”

Dormirono forse soltanto un’ora, poco prima del sorgere dell’alba; quando più tardi del previsto, ripresero il viaggio per raggiungere Chassillé, il sole era già alto nel cielo cristallino di un mattino frizzante.

 

 

******

 

 

Chassillè era un piccolo paese, ma la residenza dei Marchard restava poco fuori la centralità delle case, in aperta campagna, circondata dal verde delle colline coltivate a vigneti.

Fu abbastanza facile trovare il piccolo palazzo, una delle poche case nobili presenti nella zona.

Lungo la via avevano incrociato un mercante che guidava il suo carretto in direzione del paese; André aveva chiesto informazioni e l’uomo aveva indicato loro una strada che si snodava tra curve che salivano su per il crinale di una collina.

Quando la carrozza si fermò davanti l’ingresso della tenuta, Oscar osservò la facciata dalla linee semplici del piccolo palazzo: l’aspetto era sobrio e ben tenuto, così il piccolo giardino che circondava la casa; tutto era molto più modesto rispetto al lusso che si poteva trovare nei palazzi della capitale o in quelli adiacenti a Versailles. Era l’immagine tipica della nobiltà di campagna, quella che non aveva libero accesso a corte, perché priva di mezzi e sostanze.

André restò a fare anticamera, mentre la padrona di casa, cortese e ospitale, accolse Oscar in un piccolo salotto arredato secondo un gusto non propriamente all’ultima moda parigina, con tessuti e tendaggi dai toni piuttosto scuri.

“Benvenuta nella mia umile dimora, madamigella Oscar. Non mi aspettavo di ricevere la visita di un personaggio importante come voi, Colonnello. Vi trovo molto bene, da quando ci siamo viste a casa di vostra sorella.”

“Grazie. Vi porgo i miei omaggi, signora. Scusatemi se sono venuta qui senza darvi alcun preavviso, ma c’è un motivo serio se oggi mi presento a voi.”

“Vi ascolto, madamigella.” Disse Lisette, versando il té in una tazza che offrì alla sua ospite.

“Bene, sarò molto chiara e sintetica; ho ragione di credere che voi madame, siate a conoscenza di una questione importante che riguarda mio cognato, il conte Leopold di Recamier.”

Lisette non parve turbata, e se lo era lo nascondeva molto bene.

“Quale sarebbe questa questione importante?” chiese con calma.

“È cosa nota che mio cognato abbia avuto e magari ha tuttora una relazione con voi, signora; dalla vostra relazione è nata una figlia che il conte ha voluto riconoscere; credo che voi possiate confermarlo, madame.”

Lisette sorseggiò il suo tè, prima di rivolgerle la sua domanda.

“Non siete qui di vostra iniziativa… chi vi manda, madamigella Oscar?”

“Sono qui per curare gli interessi di mia sorella, la contessa di Recamier, legittima consorte dell’uomo che avete preso come amante, madame…” Oscar fece una pausa studiando la sua interlocutrice, che parve trattenere il respiro.

“Nonostante le apparenze, io e il conte di Recamier siamo legati da un sincero e profondo affetto.”

“Sarà, ma il problema non è precisamente questo e non m’interessa; il problema è lo scandalo che scoppierebbe se si venisse a sapere di questa bambina e del nome ingombrante che porta. Se pensate di approfittare del nome dei Recamier per trarne in futuro, dei vantaggi personali, non sarà così facile.”

Oscar era stata diretta e Lisette pensò che fosse inutile tergiversare.

“Non userei mai la piccola in maniera così meschina…- Lisette parve rattristarsi e abbassò lo sguardo sulle mani che teneva in grembo – Non ho mai chiesto a Leopold di riconoscere la bambina, ero pronta a prendermi cura di lei senza chiedere aiuto a nessuno; il conte ha fatto tutto di sua spontanea volontà.”

“Scusate, ma viene naturale pensare il contrario; per una donna sola e con pochi mezzi, amante di un uomo influente, sarebbe difficile prendersi cura di una figlia senza un po’ d’aiuto; so che mio cognato ha pagato molti dei vostri debiti. Immagino che i documenti del riconoscimento siano in mano vostra.”

“Sì è così, madamigella. Ma voi adesso cosa pensate di fare? Non vi aspetterete che vi ceda i documenti, vero? Non sono tenuta a farlo.” Il tono di Lisette era determinato e per nulla intimorito.

“Lo so, madame. Comunque non ho bisogno di farlo. In realtà, sono venuta per dirvi che mia sorella ha il potere per farli annullare, ed è decisa a farlo con gran danno per voi e la bambina. Tutto potrebbe essere evitato se rinuncerete spontaneamente al nome dei Recamier e ad eventuali diritti di eredità per vostra figlia.”

Oscar rimase in attesa di vedere come avrebbe reagito Lisette alle sue parole; non era ancora riuscita a farsi un’ idea precisa di quella donna. Non sapeva se era la solita arrivista, che cercava di migliorare la sua posizione accalappiando uomini ricchi e di potere, o solo una donna qualsiasi che si era innamorata di un uomo sposato.

Un uomo come Leopold, poi… la quintessenza della mediocrità, del pensiero chiuso dentro certi limiti.

L’età e l’aspetto, oltre all’atteggiamento semplice e schietto non la facevano assomigliare né a una Du Barry, né a una Pompadour; sembrava un’ ingenua, ma Oscar aveva il sospetto che non lo fosse.

“Capisco… - disse infine Lisette, emettendo un sospiro pesante. – Dovete esservi fatta una pessima opinione di me, madamigella. Ma è naturale che voi siate dalla parte di vostra sorella, lo posso capire…”

Oscar posò la tazza vuota di fronte a sé.

“Ecco, veramente…”

“Volete vedere la bambina?” chiese all’improvviso Lisette.

“Cosa?”

“Volete vedere la figlia di Leopold? È qui con me… vi prego, Oscar, venite a vederla.”

Così Oscar, un po’ sorpresa dalla richiesta, seguì Lisette in un’altra stanza dove, vicina a una finestra da cui filtrava la luce chiara del giorno, stava una culla profilata di bianco. La piccola Margot dormiva tranquilla, con le piccole braccia spalancate, e accanto a lei stava un pupazzetto di pezza con la forma di un animale.

Sembrava così fragile e indifesa. La stessa impressione che le avevano fatto sempre i suoi nipoti la prima volta che aveva posato gli occhi su di loro.

“Ecco, madamigella: questa è Margot Celine di Recamier, figlia di Leopold di Recamier… mia nipote.”

“Come avete detto?” chiese Oscar al culmine della sorpresa.

“È la verità: Margot è la figlia di mia sorella minore, Isabeou De Marchard che è morta dandola alla luce quattordici mesi fa. È stata male, sapete? Ha rischiato di seguire la sua mamma, il che sarebbe stata la soluzione più facile per tante persone, ma avrebbe dato a me un dolore immenso, oltre quello che già ho.”

Disse Lisette mentre rimboccava le copertine alla creatura nella culla.

Oscar era costernata di fronte alla strana compostezza che le rivelava quella donna.

“Non fraintendetemi. Vi assicuro che nessuno vuole il male di questa bambina, anche mia sorella è madre; Danielle vuole solo tutelare i suoi figli.”

“Lo so, me ne rendo conto, ma io sono l’unica che può proteggere Margot, adesso. Oscar, c’è una storia che vorrei raccontarvi, una storia dolorosa. Avete voglia di ascoltarla?” chiese Lisette restando in piedi accanto alla culla.

“Sì…”

“Allora sedetevi qui con me: è una storia lunga.” La invitò Lisette, prima di iniziare a parlare.

Il cielo si sarebbe acceso dei colori del tramonto, prima della fine del racconto.

 

 

 

Continua…

 

 

 

Eccomi qui.

Scusate l’enorme ritardo, ma questo è stato un capitolo difficoltoso e l’ultima parte era quella più ostica; risulta spezzato, ma ho dovuto farlo, altrimenti sarebbe diventato troppo lungo. Lascio il resto per il prossimo capitolo.

Intanto spero che apprezzerete fin qui; grazie sempre per tutti i vostri commenti e l’incoraggiamento, sono un grande stimolo per me. Se ne avete non risparmiate le critiche.

Ne approfitto per farmi un po’ di vergognosa pubblicità.

Ho ritardato la pubblicazione di “Spirito inquieto” perché ero impegnata in un’altra fiction: ho scritto una storia un po’ insolita per me, lontana dal mio genere solito, un noir che s’intitola “Scarlett”; se vi va di leggerlo, lo trovate tra i crossover di Lady Oscar. Un saluto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]  Liberamente tratto dal testo della canzone di Mario Venuti “Quello che ci manca”, mi piace troppo.

   
 
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