Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: _ivan    19/02/2013    4 recensioni
Un londinese sfortunato, un cinico parigino e un'italiana che si porta sulle spalle l'eredità di una pessima reputazione. Non è l'inizio di una barzelletta, ma il profilo di tre studenti dell'Accademia di magia dell'Ardéche, dove quest'anno serpeggia uno spietato traditore.
Coinvolti nel groviglio di misteri che si celano nell'antica scuola, i tre impareranno ad affrontare i propri mostri, ad affinare l'ingegno e a dubitare di chiunque...anche dei loro più cari amici.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ad ogni passo, l’erba indurita dalla brina scricchiolava sotto le suole delle scarpe degli studenti.
Il libro di magia, aperto tra le mani di Snow, sbatacchiava a ritmo della camminata e veniva scostato solo quando, di tanto in tanto, a causa dei dissestamenti il ragazzo perdeva l’equilibrio.
L’indice destro accarezzò la pagina ingiallita appena al di sotto di una riga di testo:

Il Si’v del Sogno appartiene al mondo dell’Ombra. È uno spirito saggio e misterioso, solito manifestarsi a Cyh’t tranquilli e riflessivi. È uno spirito quieto con il quale facilmente si entra in sintonia, ma non esistono modi per comandarlo. È tanto misterioso quanto impossibile da assoggettare e amante degli enigmi […]Tra i poteri che concede vi sono la premonizione, i viaggi astrali e la capacità di entrare nel mondo onirico altrui. Quando il Cyh’t Erbert Schnegel […]


«Cosa leggi?» chiese Mathieu.

Snow trasalì, chiuse con forza il libro e lo premette al petto. Sotto la giacca riscaldata data in dotazione dalla scuola, sentì il monetarium aderire alla pelle scoperta.

«Niente» rispose lapidario.

Mathieu lo fissò per un istante, poi aumentò il passo.
Alle sue spalle, il cielo plumbeo minacciava pioggia in fondo alla vallata. L’aria profumava di bagnato e di bosco. Erano gli ultimi singhiozzi d’estate.

«Dov’è Denise?» chiese Snow, cambiando argomento in modo magistrale.

Sfilò una sola bretella dello zaino e vi infilò dentro il libro, cercando invano di nasconderne la copertina. Mathieu lo osservava attento, ma evitò le domande. Avevano entrambi il volto vistosamente segnato dal sonno.

«Ha la febbre» rispose Mathieu.

Snow annuì distratto, con la testa altrove.
Non sapeva se parlargli o meno di Vil’yahk, di Lefevbre e del Si’v. Conoscendolo, pur di non affrontare il discorso con serietà avrebbe rifiutato di credere a tutto, anche con le prove sotto al naso.
Era strano da tutta la mattina.
Forse la soluzione stava nel riordinare le idee da solo. Oppure poteva parlarne con Denise.
Dunque Vil’yahk era pericoloso, o comunque sospetto. Idem Lefevbre. Perché il Si’v del Sogno si fosse manifestato, invece, era ancora del tutto ignoto. A quanto diceva il libro, poteva comparire per mostrare presagi o indirizzare le persone verso il proprio destino, ma cosa questo significasse veramente, purtroppo non lo sapeva.
Una fitta al centro della testa gli fece corrugare la fronte e lo riportò alla realtà.
Snow si voltò verso Mathieu, che scambiava due chiacchiere con Aurore Mureau al suo fianco. I riccioli ramati di lei molleggiavano al ritmo della marcia lungo i pendii sterrati.
Dunque era davvero l’ombra il suo elemento, non c’era stato un errore. Il Si’v del Sogno lo confermava. Non doveva appartenere al Si’v della Tempesta, come avevano pensato tutti all’inizio; e allora perché era comparso, durante la Prima Prova?

«Secondo te, Snow?» gli chiese Mathieu.

Snow cadde dalle nuvole e lo fissò.

«Se, va bè, lascia perdere» si sbrigò l’altro. Aurore sorrise «Grazie Aurore. Speriamo d’esser squadra insieme!»

«Di niente, ciao!» Aurore accennò un saluto anche a Snow e si allontanò a passo svelto per raggiungere Coraline, più avanti.

Dietro di sé lasciò una scia di profumo di violette e l’immagine d’un sorriso da telepromozione.

«Certo, come no» bofonchiò tra sé Mathieu, guardandola parlare con l’amica «In squadra con una fioraia. Tanto vale alzare bandiera bianca» sbuffò una risatina.

Un lampo lontano, dietro le montagne, illuminò il cielo. Una folata gelida si levò stropicciando ogni cosa, tra cui il viso di Snow, che si accartocciò come un fazzoletto.
Fare la salita controvento era faticoso e in molti avevano già il fiatone.
Gli altri studenti chiacchieravano seguendo una fila scomposta, con alla conduzione i professori Villon e Renard, che cantavano canzoni da campeggio, e con alla coda il professor Blanchard, che parlava composto con Momo Kauli Lane, seduto su una poltrona fluttuante. Le frange della coperta sulle ginocchia del vecchio Cyh’t tremolavano a mezz’aria, mentre con sguardo vuoto e fisso al cielo assentiva alle parole del collega più giovane.

«Secondo me prendi questa faccenda della Bataille un po’ troppo sul serio» disse Snow, con le mani nelle tasche dei jeans stretti, sfiancato dalla camminata. L’accademia svettava tronfia tra gli alberi, incoronata da nuvole rumorose.

«Scherzi, spero» rispose Mathieu «È questione di vita o di morte, Fister. È come il ballo delle debuttanti, solo che qui ci si azzuffa. È la nostra occasione per affermarci come fighi o sfigati, per far capire al mondo che valiamo, che non dobbiamo essere presi di mira se non per lanciarci rose o cioccolato, o tutti e due. Ne parlerà anche il giornalino, capisci? È l’ingresso in società, è…»

«Ok, chiaro. Respira, per favore, mi fai mancare il fiato».

«Se non te ne fossi accorto, sei già in debito d’ossigeno».

Touchè. Come sempre.

«Come mai questa notte non eri in casa?»

Mathieu si fermò. Stephane Duval, quasi il doppio di lui, schiantò contro la sua schiena e quando imprecò a denti stretti, Mathieu non si voltò neppure a guardarlo, intento com’era a trapassare Snow.
Seguì la sua schiena con lo sguardo, quindi lo raggiunse a grandi falcate e tornò al suo fianco.

«Non sei mia moglie» si limitò a dire.

«Dico solo che…»

«Fatti gli affari tuoi».

«Ok» concluse Snow, alzando le spalle «Come vuoi».

Gli stava nascondendo qualcosa, e Mathieu non gli aveva mai nascosto nulla. Mai.

«Secondo te Denise ha davvero la febbre?» glissò Snow.

«Saponetta se la fa sotto dopo la figura dell’altro giorno, e non la biasimo: in fondo se fossi un avversario nella gara di oggi, non esiterei un istante a prendermela con la più schiappa».

«Deni non è una schiappa».

«Deni?» Mathieu ridacchiò «Credici. Resta il fatto che sia momentaneamente tornata al suo stato maniaco-depressivo solito, spero solo per oggi. Tu ti sei allenato?»

«Non tanto. Solo quelle volte da Lane».

«Sai cambiare gli oggetti?»

Snow sollevò le spalle, indeciso.

«Perfetto, saprò chi attaccare» Mathieu sorrise.

«Deficiente».

Quando la comitiva raggiunse la cima del colle roccioso, i professori concessero cinque minuti di pausa e tutti si sparsero in gruppetti nella zona.
La poltrona di Lane si appollaiò su una roccia, con piccoli sbuffi di vapore che sfumarono nell’aria.
Alle sue spalle, l’autunno aveva cominciato a mutare lo spettacolo nel quale erano immersi: in quella parte della valle, alle spalle dell’accademia, le querce e i castagni creavano un mare di rossi e arancioni in lento movimento; sui picchi più alti, invece, i pini secolari ammantavano i pendii d’un verde carico e selvaggio, venato qua e là dal grigio delle rocce nude. I cucuzzuli delle montagne, spruzzati dal bianco dell’ultima neve, giocavano a sparire tra le nubi per poi riapparire poco dopo.
Villon e Renard, in abiti da escursionisti, si sedettero sull’erba. I capelli platino della professoressa si adagiarono al terreno e sfavillarono, come puntinati di ghiaccio.
Quando qualche studente li emulava, erano loro stessi a premurarsi di richiamarli con dei cenni, per farli rialzare.

«Benvenuti a tutti» disse Blanchard a pausa terminata, avvolto in una pesante cappa di cammello che ciondolava e sfiorava i fili d’erba «Come sapete, la Bataille è un evento che celebriamo due volte l’anno nella nostra accademia, fin dalla sua fondazione. È un allenamento dinamico che non va preso sotto gamba. Non è una guerra, ma come le guerre è una lezione di ingegno, astuzia e gioco di squadra».

«Mi perdoni, Dottor Blanchard» si intromise Villon.

Dopo una breve esitazione, Blanchard gli sorrise per cortesia, ma era evidente che l’interruzione – per di più ad inizio del suo discorso - l’avesse contrariato.

«Quello che l’esimio professore vi sta dicendo» continuò Villon, piegando la tesa dell’inseparabile cappello texano «È che nonostante siate ancora mezzi addormentati per via dell’ora dovrete impegnarvi al massimo delle vostre capacità, e possibilmente senza incappare in ferite gravi, ok? Anzi, niente ferite e basta. Niente bullismo, niente accanimenti, niente sangue. Solo qualche livido. Altrimenti non ci sarebbe divertimento, giusto?»
Villon sorrise radioso e fece un cenno con la testa a Blanchard, che gli sorrise di rimando. Gli studenti approfittarono del silenzio per mormorare qualcosa. Un uccello strillò nel vento.

«La ringrazio, professor Villon» disse Blanchard, cortese e austero, coi capelli d’oro sbatacchiati dal vento «Ora veniamo a noi: sarete divisi in squadre, la verde e la rosa. I rosa partiranno da quel punto, là dove il fiume svolta e torna indietro» si voltò, diede loro le spalle e indicò la valle, dove il fiume si esibiva in una curva a gomito, inghiottito in una baia di ciottoli bianchi che da lì brillavano come diamanti «Una colonna di luce rosa segnerà la posizione della vostra Casa Madre, il Refuge. I verdi partiranno dal centro della foresta, dove c’è la Quercia di Annibale».

La luce verde infiammò il cielo partendo dal centro della chioma dell’immenso albero. Entrambe le colonne, così, svettarono e si persero oltre le nubi plumbee. Assieme ad esse, altri sei fasci bianchi illuminarono la vallata.

«Quelle sono le Case Bianche, terre di nessuno: i vostri obiettivi» Blanchard diede la schiena al paesaggio, ma nessuno seguì lo spostamento con gli occhi «Alla base di ognuna c’è un MangiaMagia: scagliate contro di esso un vostro incanto e prendete così il dominio della zona, fino a quando questa non passerà nelle mani degli avversari. Il controllo di ogni Casa conferisce alla squadra un punto al minuto. Colpire un avversario al giacchetto che tutti quanti indossate assegna due punti, ma farlo impedisce che possiate colpirlo nuovamente per altri tre minuti. Avrete un’ora di tempo, durante la quale potrete decidere di tendere trappole, nascondervi, andare all’attacco di persone o alla conquista di territori avversari. Colpite i giacchetti, chiaro? Ogni altra ferita grave sarà punita severamente».

Qualcuno alzò la mano. Palaniuk, un ragazzo tracagnotto che aveva fatto di Alberto Ruiz la sua unica ragione di vita. Blanchard assentì in silenzio.

«Cosa intende per ‘ferire gravemente’, professore?»

Blanchard schiuse le labbra, ma Villon lo anticipò sul tempo «Che potrebbe arrivarti una freccia nella gamba, Palaniuk, o anche peggio. Fossi in te camminerei con la schiena contro i tronchi degli alberi».

Tutti ridacchiarono. Tutti tranne Blanchard e Kauli Lane, che tossì la sua stanchezza dal petto con la lentezza degli alberi.
La professoressa Renard si portò i capelli davanti al petto con un gesto elegante della mano «Vedrete» disse «Andrà benissimo!»

*


Snow sentiva il cuore battere con forza, mentre il freddo cercava di insinuarsi sotto il giacchetto termico, che aveva assunto sfumature rosa fluide e luminose. I ciottoli levigati dal fiume scricchiolavano sotto le suole, vicino a quel punto in cui il letto si assottigliava, tanto da risultare attraversabile da un versante all’altro. Attorno a lui, gli altri componenti della squadra erano in silenzio, seduti sulle pietre più grandi e intenti a bisbigliare sotto l’ombra degli alberi o a studiare il paesaggio.
Qualcosa si mosse tra gli alberi, facendo frusciare le foglie sottili del sottobosco. Uno stormo di uccelli fendette l’aria fredda spostandosi verso l’accademia. Solo la Torre del Legno d’Oro, una struttura avvitata su sé stessa e con il tetto di spessa corteccia bronzea, era visibile da quella posizione ribassata.
Qualunque cosa Snow cercasse di pensare veniva rimpiazzata dai ricordi della sera prima: il corpo traslucido di Vil’yahk, gli occhi di rubino del Trent, le fauci del lupo e il bagliore del Si’v del Sogno. Nulla pareva avere un ordine preciso, una ragione d’essere, e questo lo innervosiva. Le parole della filastrocca riecheggiavano nella mente e riaffioravano di tanto in tanto, frammentate.

«Avete litigato?» la voce di Aurore lo riportò bruscamente coi piedi a terra. Si scambiarono un’occhiata in silenzio e lei gli sorrise «Sembrate entrambi di cattivo umore, e in genere fate sempre comunella» aggiunse.

Mathieu, accovacciato sulla riva del torrente, osservava in silenzio l’acqua sciacquettare. Avevano entrambi qualcosa di strano, e la situazione si era inevitabilmente raggelata col passare dei minuti.

«No, cioè, non credo» rispose Snow.

Aurore si strinse nel giacchetto termico animato dal bagliore color confetto. Le scarpe da ginnastica ai suoi piedi erano l’unica stonatura nel suo aspetto, in generale elegante e raffinato nonostante gli evidenti chili di troppo. Aurore era una di quelle ragazze che basta guardare una volta sola per prenderle in simpatia.

«Sai» gli disse «Io e Coraline avevamo discusso, dopo la lezione di Lane: mi accusava di averla umiliata davanti a tutti. È sempre stata un po’ egocentrica. Mi ha tenuto il broncio per qualche giorno, ma poi è passato tutto».

Snow si guardò attorno «Dov’è?»

«Coraline? Nei verdi, ma ci siamo promesse di non colpirci» Aurore sorrise e a Snow migliorò un po’ l’umore.

La ringraziò e si allontanò, così si avvicinò a Mathieu e ne guardò la schiena.

«Hey» gli disse.

«Hey» rispose l’altro, tuffando la mano nell’acqua bassa.

«Cattivo umore?»

«Una specie» Mathieu alzò le spalle.

«Cosa fai?»

«Raccolgo sassi».

«Wow» Snow gli si affiancò e si accovacciò. Vide Mathieu scegliere dei sassolini con accuratezza e tenerli nel palmo della sinistra. Il suo monetarium con due Siv’ne, il primo e quello dello Scoppio, tintinnava ad ogni piccolo movimento.

Un piccolo pesce brillò d’argento sotto l’acqua increspata, frugando tra le alghe marroni incastrate tra i sassi.

«Hai ragione tu» gli disse Snow «Non sono tua moglie».

Mathieu si voltò e lo guardò, quindi tornò ai suoi affari «E meno male» disse.

«Potremmo pestare Adrien per rifarci l’umore, non credi?»

Mathieu infilò nella tasca dei jeans skinny una manciata di sassolini bagnati e si asciugò i palmi sulle ginocchia. Si alzò da terra e lo guardò dall’alto: era un silenzioso trattato di pace.

«Squadra rosa» disse «Conosci un’umiliazione più grande?»

«Andare in giro con te» rispose Snow, con un sorriso.

Il francese fece roteare gli occhi.

«Noi punteremo alla Grotta del Drago» disse Mathieu «Ora ti spiego».

*


Quando il corno rimbombò tra le montagne, stormi di uccelli si sollevarono dalle fronde degli alberi, coprendo il cielo di pagliuzze nere illuminate di tanto in tanto da lampi minacciosi.
Il vento fece risuonare il castagneto come un’orchestra.
In risposta all’allarme ci fu solo una breve esitazione, poi gli studenti della squadra rosa sciamarono nella vegetazione, singolarmente o in piccoli gruppi. Durante l’attesa qualcuno aveva cercato di organizzare una strategia, ma la noncuranza e la spavalderia tipici dell’adolescenza avevano portato tutti, prima o dopo, ad abbandonare la teoria del gioco di squadra.
Mathieu e Snow correvano l’uno accanto all’altro, zigzagando tra i tronchi. Snow era già inciampato due volte nelle radici sporgenti, e ora sui palmi sporchi di terra portava i segni delle sbucciature.
Le chiome degli alberi, tavolozze di rossi, marroni e gialli, disegnavano a terra una trama puntinata di luci che si muovevano veloci, smosse dal vento, come i riflessi chiari sul fondo del mare.
L’aria fredda raschiava il palato di Snow, a bocca aperta.

«À la Bastille!» urlò qualcuno, oltre le creste delle querce.

L’ombra proiettata sul letto di foglie, di qualcosa in alto e in movimento, oscurò il terreno e sparì inghiottita dalla natura. Mathieu rise, ma senza mai fermare la corsa.

«Jerome Durand!» disse col fiato corto «Si’v del Volo. Dieci euro che lo abbattono per primo!»

Un ammasso di colori saettò di fronte a loro, sfuocato dalla velocità, con rumori simili a quelli d’uno scacciaspiriti di conchiglie smosso dal vento. Snow interruppe la corsa e per poco non ruzzolò a terra. Mathieu inchiodò il piede nel terriccio e seguì con lo sguardo la figura che balzava tra i fusti di querce e castagni: era Jasmine Vijaya, con il Si’v del Balzo.
La sentirono ridere e la videro fuggire.
Entrambi ne approfittarono per recuperare il fiato.
Piegato in avanti, sfiancato, Snow guardò l’amico alla ricerca di risposte: lui aveva già perso l’orientamento.

«Beati loro» disse.

«Credo sia lungo quel sentiero» rispose il francese, ravvivandosi i capelli biondi sudaticci; la casacca rosa lo rendeva buffo.

Indicò a destra, dove il sottobosco già calpestato si snodava tra alcuni cerri dal tronco più largo che avesse mai visto.
Il rumore di un’esplosione lontana scosse la foresta.

«Ti prego, Mathieu, dimmi che hai un piano».

«Forse».

«E se ci trovano?»

«Di certo non mi faccio ammazzare per salvarti».

«Certo che sei amorale come un ratto di fogna in cerca di cibo».

Mathieu, forse scambiandolo per un complimento, ridacchiò divertito. Un rumore tra le foglie zittì entrambi.

«Nasconditi, sbrigati!» sibilò il francese.

Snow rimase immobile e inebetito, così Mathieu prese l’iniziativa e lo spinse tra i cespugli. Snow ruzzolò a terra in malo modo e rimase coi polmoni svuotati. Un ramo gli si conficcò nel braccio e qualcos’altro gli premette su un fianco. Quando aprì la bocca per gridare, Mathieu gliela tappò con una mano e si sdraiò su di lui, fronte contro fronte.
Snow mugugnò contrariato e si irrigidì per fronteggiare scomodità e dolore.

«Shht!»

Con un cenno indicò oltre i rami di biancospino, verso Adrien e i suoi amici. Le catene ai loro colli sbatacchiavano contro le casacche verdi, tintinnando. Snow non conosceva i nomi degli altri due, ma li aveva già visti più volte nelle aule e nei corridoi. In tutta franchezza fino ad allora non sapeva neppure fossero amici di Adrien. Erano persone ordinarie, in mezzo alle quali Adrien spiccava in quanto ad estro. L’unica ragazza, più alta di entrambi i suoi compagni, aveva spalle larghe e un seno prosperoso da donna matura, che tradiva la sua età anagrafica, invecchiandola. Dai lunghi capelli mori, a boccoloni, spuntava sul lato destro un orecchio largo e leggermente appuntito, da volpe.
L’altro ragazzo, alto nella media, indossava un paio di occhiali dalla montatura spessa e giocherellava con un anellino che gli forava il centro del labbro inferiore.

«Peccato non ci sia Saponetta» disse Adrien, sistemandosi il ciuffo con una mano «Ci saremmo divertiti un sacco».

Snow digrignò i denti e Mathieu premette più forte il palmo sulla sua bocca. Entrambi trattennero il respiro.

«Potremmo prendercela con Mureau» suggerì la ragazza alla sua sinistra. La sua voce era morbida, da doppiatrice di film «Tanto sarà rimasta al Refuge».

«Scherzi?» concluse il terzo «E poi chi ci prova più, con Dubois?»

Tutti e tre sghignazzarono e la ragazza spintonò il più anonimo dei tre. Quando Adrien si interruppe, come se si fosse ricordato qualcosa all’improvviso, sbirciò verso l’alto sotto lo sguardo vigile degli amici, poi riprese a camminare al loro fianco. Si allontanarono e le voci sparirono nel verde.
Mathieu si scostò e Snow fu libero di contorcersi per il dolore, mugugnando insulti. Ad essersi piantato nel fianco era un grosso sasso, fortunatamente liscio. Si rialzarono, ripulirono i vestiti dal fogliame e tornarono al centro della via battuta, accanto ad una spruzzata di funghi precoci, ai piedi di un faggio.

«Ricordami di distruggerlo» disse Mathieu, guardando nella direzione da cui erano venuti e mettendo fine a un discorso neppure mai iniziato.

Si addentrarono nella foresta correndo su un terreno in pendenza, verso l’alto, fino a quando tra le fila di caducifoglie si intromisero gli abeti, prima con discrezione e poi in maniera virale, prepotente. Un tuono scosse la vallata e una folata di vento costrinse entrambi a socchiudere gli occhi.

Mathieu sbirciò il cellulare «Sono passati venticinque minuti. Mi aspettavo qualcosa di più emozionante».

Una ragazza strillò squarciando la quiete.
Snow guardò Mathieu, che non gli disse nulla. Veniva dalla loro destra, verso il cuore della foresta.

«Impara a stare zitto» disse Snow.

«Tanto noi dobbiamo andare dall’altra parte» azzardò il francese. Improvvisamente non sapeva più dove guardare.

«E se fosse dei nostri?»

Mathieu lo guardò in silenzio, poi sbirciò verso la direzione che avrebbero dovuto seguire, verso la Grotta del Drago, e sospirò.

«La devi smettere» disse.

«Stai diventando sempre più buono».

«Dopo dieci favori mi regali un peluche?» Mathieu si ravvivò i capelli «Lo sai che le prenderemo, vero?»

Snow annuì e sorrise: «Grazie».

Senza aggiungere altro, Mathieu corse verso il centro del bosco e Snow lo seguì.
Trovarono Jasmine Vijaya intrappolata in un intrico di corde, appesa al ramo di un abete a più di due metri da terra. Il fagotto dondolava e sussultava pericolosamente, mentre le corde stridevano tese all’inverosimile. I suoi strilli cessarono solo per un istante, quando con lo sguardo impazzito incrociò quello dei di Snow. Le braccia e le gambe sbucavano dalle maglie larghe della rete, agitandosi come gli arti di una tartaruga ribaltata. Gli strilli ripresero più forti di prima, così come le richieste d’aiuto.

«È Jasmine!» gridò Snow, gettandosi di corsa ai piedi dell’albero, lasciandosi dietro Mathieu.

«FERMO!» tuonò il francese.

Un fiotto di energia traslucida, come gas addensato, scudisciò e si schiantò su un fianco di Snow prima ancora che questo potesse ascoltare l’amico, facendolo accartocciare su sé stesso e schizzare tra gli aghi dei sempreverde.
Snow cacciò un urlo e ruzzolò fino a finire tra i rovi secchi e puntuti. I rami graffiarono il suo volto facendolo avvampare.
Mathieu rimase immobile e Jasmine si calmò.
Dal suo nascondiglio dietro un tronco, Alberto Ruiz uscì allo scoperto. I suoi piccoli occhi neri guardavano Snow contorcersi a terra. Il giacchetto termico, che lo rendeva ancora più grosso di quanto già non fosse, avvampava di luce verde.

«Scusami, Snow» disse con un filo di voce, muovendo un unico passo nella sua direzione, indeciso sul da farsi. Il suo sguardo si mosse agitato prima verso Il ferito e poi verso Mathieu.

«Aiuto!» squillò Jasmine.

«Taci, tu!» Mathieu corse verso l’amico.

«Io, io» balbettò Alberto.

«Tutto ok?» Mathieu poggiò una mano sul petto di Snow, che annuì e cercò di sollevarsi da terra.

Peggio d’un colpo ben assestato c’è solo un colpo ben assestato ed inaspettato, e questo Snow lo aveva imparato a sue spese.
Mathieu ferveva di rabbia; il suo volto avvampò d’un rosso innaturale e i suoi muscoli si irrigidirono. Assieme a Snow si sollevò da terra lentamente, quindi digrignò i denti e quando si voltò inchiodò lo sguardo su Alberto, che in risposta venne scosso da un brivido e diede loro le spalle, tentando la fuga.

«Eh no» vomitò Mathieu.

«Lascia stare, dai» disse Snow, accarezzandosi il petto. Il suo giacchetto non brillava più di rosa.

Aveva tre minuti di immunità.

«Non me ne fotte un cazzo» rispose Mathieu osservando la schiena flaccida di Alberto «deve morire».

Snow sospirò.
Mathieu puntò la mano aperta verso Alberto e prima ancora che Snow potesse aggiungere altro urlò: «Aq’muceh!»
Per un attimo non successe assolutamente nulla, poi delle scintille porpora sfrigolarono sul palmo. Con uno scoppio assordante che fece sobbalzare tutti, un fuoco d’artificio sparò verso il fuggitivo e spedì indietro la mano di Mathieu, stordito dal suono, dai colori e dal rinculo. Una scia di luci pirotecniche fischiò a mezz’aria delineando una retta precisa. Il colpo mancò Alberto d’un fiato, strisciò contro il fianco del giacchetto, quindi rimbalzò sul terreno come un ciottolo sulla superficie di un lago. Quando colpì la corteccia di un albero, il fuoco fece un altro botto e sfavillò in una fontana di tizzoni arancioni. Alberto si fermò e si voltò: aveva il terrore dipinto sul viso e le scuse bloccate in gola. Quando riprese a correre, Mathieu si gettò al suo inseguimento.

«Fermo!» urlò Snow.

Mathieu si fermò a comando dopo neppure tre falcate, ma con lo sguardo non smise di seguire Alberto Ruiz che, balzato un cespuglio con l’agilità della disperazione, si fece sempre più distante. La cosa non sembrava acquietare il francese, che si costrinse al silenzio e all’immobilità con un forte morso al labbro inferiore.
Jasmine riprese a piagnucolare, nella sua prigione di corde.
Snow mosse il braccio facendo roteare la spalla destra e accartocciò il viso in un’espressione di fastidio. Non era propriamente dolore, ma non era neppure una sensazione piacevole. Era ben peggiore la sensazione di frastornamento dovuta all’intera situazione.

«Arrivo, ho capito» si rassegnò a dirle, avvicinandosi alla quercia «Stupida prova» bofonchiò.

«Tiratemi giù!» squillò Vijaya.

«E cosa stiamo facendo, secondo te, raccogliamo le castagne?» Mathieu si avvicinò di nuovo a Snow e si passò una mano tra i capelli. Sul suo viso si conservava un’espressione crucciata «Sicuro che sia tutto ok?» chiese di nuovo a Snow, che non rispose.

«Jasmine, se rompo la corda riesci a fare qualcosa?» chiese invece.

Jasmine si guardò attorno e prese un respiro profondo «Potrei provarci» rispose.
Snow si allontanò di qualche passo.

«Cos’hai in mente?» chiese Mathieu, guardandosi in giro e seguendo l’amico in quel piccolo spostamento.

«Io lo so chi è stato» cinquettò l’indiana: la sua voce cominciava ad essere snervante «Quel simpaticone di François, con il Si’v della Costruzione. Appena lo prendo gli faccio una testa grossa come un’ananas».

«Chi è?» mormorò Snow a Mathieu, che alzò le spalle.

«Sbrigati, che dobbiamo andare alla grotta» gli disse, anzi.

«Pronta?» Snow guardò verso l’alto e studiò ogni dettaglio.

«Fossi in te non lo farei, Foster» una voce richiamò la loro attenzione.

Mathieu scattò con le mani avanti.
Adrien e i suoi due amici erano l’uno accanto all’altro, con le spalle appoggiate ai tronchi di due pini adiacenti. Uno sbuffo di vento gelido suonò la foresta. Snow sentì il cuore sobbalzare. Adrien gli sorrise beffardo.

«François!» Jasmine squillò come una tromba «Giuro su me stessa che ti ammazzo!»



NOTE VARIE : a piccoli passi sono tornato a scrivere. c'è bisogno d'aggiungere altro?

Beta-reader (e amica): Ely79. è una scrittrice grandiosa che ha in cantiere una storia dall'ambientazione steampunk dal sapore Zafoniano. Da quello che so sta anche scrivendo altre storie sui licantropi, alcune fantasy, altre ancora fantascientifiche e..insomma, è in piena fase creativa trascendentale (a differenza mia, insomma), quindi vale la pena dare un occhio! Stay tuned! qui c'è il link al suo profilo ( click )
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: _ivan