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Autore: Mary P_Stark    21/02/2013    3 recensioni
Brie e Duncan guidano il branco di Matlock, il Concilio di Anziani è stato destituito e un nuovo corso è iniziato. Assieme a questa nuova via, nuovi amici e vecchi nemici fanno il loro ingresso nella vita dei due licantropi e un'antica, mistica ombra sembra voler ghermire tra le sue spire Brie, che non sa, o non ricorda, chi possa volerla morta. SECONDO CAPITOLO DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nel racconto precedente)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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3.

 
 
 
 
 
 
 


 

Camminammo per un bel po’, svoltando così tante volte che, alla fine, difficilmente avrei saputo dire in che parte di Londra mi trovavo.
Il traffico era caotico come sempre, i rumori infinitamente più fastidiosi dell’odore pungente dei combustibili bruciati, o dell’olezzo proveniente dalle fogne.
Ancora un po’, e avrei cominciato a urlare così forte da distruggere i timpani delle povere vittime sacrificali che mi stavano accanto, vale a dire Duncan e Gwen.
Quando, però, raggiungemmo un bellissimo locale nei pressi di Fitzrovia, dimenticai il mio malumore e lasciai che lo sguardo vagasse nel meraviglioso ristorante in cui stavamo entrando.
Crazy Bear.
Non avevo idea del perché del nome, visto che non mi sembrava vi fossero degli orsi impazziti in giro per il locale, tutt’altro.
L’ambiente era più che elegante, di quella sobria raffinatezza che mette a disagio al primo sguardo.
Le pannellature ai muri, di un lucido legno scuro, forse mogano o palissandro, erano decorate con intarsi dorati.
Ampi vetri riflettevano la luce calda e soffice delleapplique a muro, sostenute da massicce colonne rivestite da lustri pannelli lignei.
Accostati alle vetrate d’ingresso, così come addossati alle lucide pannellature, bei divanetti di velluto scuro si intervallavano a piccoli tavolini rotondi, su cui splendevano soffuse abat-jour a forma di calla capovolta.
Deglutii a fatica, sentendomi un’anatra in uno stagno di splendidi cigni – jeans e maglietta dei Red Socs non erano il massimo, per un posto del genere.
Volgendo uno sguardo disperato in direzione di Duncan, sussurrai: “Ma sei sicuro che non ci cacceranno fuori a pedate?”
Lui si limitò a sorridere divertito e Gwen, ammiccando al mio indirizzo, mi informò a bassa voce: “Stai tranquilla. Siamo amici dei proprietari. Non avranno nulla da ridire sul nostro abbigliamento.”
Sperai non stesse raccontando una fandonia solo per farmi stare calma e, dopo aver dato un’ultima occhiata all’ingresso del locale, mi accodai a loro cercando di diventare trasparente.
Un cameriere dalla livrea scura e il passo tranquillo ci diede il benvenuto, scortandoci a un tavolo prenotato per quattro persone.
Curiosa, mi accomodai al tavolo, nascondendo la sacca sotto i piedi, e chiesi a bassa voce: “Chi aspettiamo?”
“Il mio Fenrir, wic… Brianna” mi spiegò Gwen, ammiccando per quell’ennesimo quasi errore.
Sapevo che stava facendo una fatica tremenda per accontentarmi, perciò sorrisi e asserii: “Gwen, chiamami pure come vuoi. Risponderò in ogni caso.”
“Grazie. Mi sembra quasi di mancarti di rispetto, cancellando a piè pari i tuoi titoli, anche se hai chiarito benissimo che non è così” ridacchiò, prima di alzare lo sguardo e mormorare: “Eccolo.”
L’aura di Joshua Ridley, Fenrir di Londra e capo di uno dei più numerosi branchi di tutta la Gran Bretagna, era completamente azzerata, chiaro indice del fatto che giungeva a noi in pace.
Volgendomi a mezzo per osservarlo, sgranai leggermente gli occhi nel ritrovarmi di fronte a un albino.
I suoi occhi innaturalmente rossi mi diedero un brivido involontario e i suoi chiarissimi capelli, di recente tinti di biondo – a giudicare dal lieve sentore di ammoniaca che avvertivo nell’aria – sembravano quasi fuori posto, sulla sue pelle pallida e diafana.
Ovviamente, come tutti i Fenrir di mia conoscenza, era alto e robusto come una montagna, ma quel pallore lo rese in qualche modo più… delicato, ai miei occhi.
Cosa davvero assurda da pensare, ma mi venne spontaneo.
Lui sorrise come se avesse avvertito i miei pensieri, oppure fosse abituato a cogliere di sorpresa la gente al primo incontro.
Chinandosi verso di me per darmi un bacio di saluto – naturalmente, non dietro l’orecchio, o avremmo attirato l’attenzione delle poche persone umane presenti – mormorò sommessamente: “E’ un vero piacere conoscerti, Prima Lupa di Matlock e wicca del clan dei tre shires.”
Poiché il nostro clan copriva, per l’appunto, tre contee, il titolo era venuto spontaneo a più di un Fenrir e così, per non fare confusione o ripetizioni inutili, mi chiamavano in quel modo pomposo e altisonante.
Non che mi piacesse particolarmente, ma se stava bene a loro, chi ero io per lamentarmi?
Ricambiai il bacio leggero sulle sue guance ben rasate, e profumate con un dopobarba al sandalo.
Sorridendo lievemente nel vederlo accomodarsi al fianco di Gwen, asserii: “Davvero un’accoglienza degna di un re. Ti ringrazio, Joshua. Non meritavo tanto.”
Lui sorrise generosamente a Duncan prima di tornare a guardarmi, e replicò: “Per te, questo e altro, mia cara. Hai reso felice Duncan come non lo vedevo da… beh, come non l’avevo mai visto, a dir la verità, e hai portato tra noi la ventata del tuo potere inebriante. Credimi, stenderei un tappeto rosso per tutta Londra, se me lo chiedessi.”
Arrossendo leggermente – già in precedenza avevo notato la sua voce musicale quanto ipnotica –, ribattei: “Non ti preoccupare, va già benissimo così. Niente tappeti rossi.”
Ridendo sommessamente e con tono roco – Dio, che splendida risata! –, ammiccò a Duncan e asserì: “La tua compagna è davvero modesta come mi dicevi.”
“Ed è preda del tuo fascino come ogni licantropa del globo, a quanto pare” mormorò per contro lui, sorridendomi benevolo.
Che voleva dire? E perché sorrideva, invece di essere incavolato?
Tossicchiando imbarazzata per essere stata scoperta con così tanta facilità – dovevo davvero prendere dei provvedimenti, per la mia faccia trasparente – borbottai nervosamente: “Beh, ecco,… a dir la verità, io…”
Sorridendomi comprensivo, Duncan disse a mo’ di spiegazione: “Non ti devi preoccupare, Brie. E’ il potere di Joshua. La sua Voce è un po’ particolare.”
“In che senso?” esalai, voltandomi di colpo per fissarlo basita.
Quei suoi strani occhi rossi mi fissarono bonari prima che la sua voce, ora del tutto normale, e non più sensuale e morbida, dicesse: “E’ la Voce di Fenrir, quella che hai sentito prima. La mia, funziona così.”
“Eh? Oddio, davvero!?” esclamai, coprendomi la bocca per la sorpresa.
Abituata com’ero a quella di Duncan che, invece, esprimeva una forza e una violenza tali da stendere per la paura, quella di Joshua, letteralmente, mi aveva mandata in confusione totale.
Ridacchiando, Duncan mi spiegò: “E’ un dono rarissimo. Si sa di Voci del genere in non più di quindici, venti casi al massimo, nel corso della nostra storia. In pratica, la Voce di Joshua ammalia e stordisce, non intima e imprigiona.”
“Beh, l’effetto è uguale. Istupidisce forte” commentai, ora vagamente infastidita all’idea di essere stata usata come un giocattolo.
Joshua si passò una mano tra i corti capelli tagliati a spazzola e, arrossendo leggermente – difficile non accorgersene, vista la pelle così chiara – mormorò imbarazzato: “Non volevo certo offenderti, usando la Voce, ma ammetto di essere stato intrigato dal tuo potere e volevo vedere se… beh…”
“Se aveva effetti su di me?” terminai per lui, sollevando ironica un sopracciglio. “Ebbene sì, da quando sono licantropa, la Voce ha potere anche su di me. Il mio lupo non approva, ma è così.”
Lui rise, forse rincuorato dal mio sorrisino, forse dalle onde tranquille del mio potere, fatto sta che il rossore scomparve e, al suo posto, una maschera ombreggiata di tensione venne a sostituirlo.
Sapevo perché era in ansia. Ciò che mi era successo era grave, e probabilmente non aveva buone notizie da darci.
Il cameriere comparve, lasciatoci il menù e, preso nota della nostra ordinazione per le bevande, svanì con un fruscio di cotone inamidato e suole di cuoio nuove di zecca.
Dopo averlo seguito con lo sguardo per un paio di secondi, tornai con gli occhi sul viso di Joshua che, quasi scusandosi, disse: “Non sono riuscito a seguirlo, e neppure Freki lo ha trovato. Quel maledetto si è infilato nei condotti delle fogne, facendo perdere la sua traccia olfattiva.”
Ripensando all’odoraccio che avevo percepito quando era piombato in appartamento, storsi il naso e borbottai: “Ha fatto così anche all’andata. Di sicuro, è furbo. Non è un lupo alle prime armi.”
Annuendo, Joshua guardò con fervore Duncan e aggiunse: “Rimarremo comunque nei pressi dell’appartamento, finché non tornerete a Matlock. Ciò che è successo è molto più che increscioso, e non lasceremo che quel disgraziato si riavvicini alla tua compagna.”
“Ti ringrazio, Joshua. Non sai quanto saperti al mio fianco mi sia di conforto” dichiarò Duncan, apprezzando sinceramente il suo aiuto.
A giudicare dallo sguardo che si lanciarono, c’era altro, oltre al piacere di avere un compagno al fianco in questa strana situazione.
C’era la piacevole sensazione di avere le spalle coperte da un amico sincero, un amico stimato e amato profondamente.
Chissà come era cresciuta la loro amicizia? Chissà cosa li aveva legati tanto?
Non sapevo molto delle amicizie di Duncan, a parte quelle appartenenti al branco e questo, in un certo qual modo, mi spiacque.
Erano successe così tante cose che, a parte i fatti salienti della sua e della mia vita, non sapevamo altro, di noi.
In qualche modo avremmo dovuto recuperare ma, di certo, non in quel ristorante. Avrei dovuto ritagliarmi del tempo, per parlare con lui di tutto ciò che era rimasto in sospeso. Ce lo dovevamo.

***

Naturalmente, il cibo si dimostrò stupendo e, per le mie papille gustative superdotate, fu un autentico invito a nozze.
Gustai i piatti prelibati di carne, godendo di ogni salsa e di ogni spezia che il mio palato riuscì a registrare, annaffiando il tutto con – ahimè, soltanto – acqua Perrier e scorza di limone.
L’argomento aggressione venne ben presto soppiantato da altri, molto più leggeri e divertenti.
Quando Joshua venne a sapere della mia famiglia umana, e del fatto che loro fossero a conoscenza del nostro segreto, si dimostrò entusiasta e desideroso di conoscerli di persona.
Risi, di fronte alla sua strana frenesia, e Joshua sogghignò, spiegandomi i motivi di tanta allegria.
“Sai, è così strano che un umano sappia di noi e, soprattutto, che ci accetti che, ogni volta, questo evento va celebrato in modo degno. Inoltre, sapere che la tua matrigna è anche un medico, mi incuriosisce parecchio. Sarebbe divertente sottoporle il nostro sangue da esaminare, per sapere cosa ne direbbe in proposito.”
“Beh, lei è chirurgo, quindi il sangue non è la sua specialità. Ma, forse, ti tagliuzzerebbe volentieri per vedere di persona il processo di guarigione accelerato” ammiccai, divertita.
“Ah, no, grazie… non amo certi tipi di… intrattenimenti. Ma accetterebbe di uscire a cena con me?” mi chiese, facendomi scoppiare a ridere.
A tutti gli effetti, Mary B era ancora nel fiore degli anni, una splendida trentottenne dalla chioma castano rossiccia e gli occhi grigio-verdi più belli che avessi mai visto.
Certo, dalla morte del marito in quello spaventoso incendio, che aveva messo la parola fine sulla nostra vita a Glasgow, un po’ dello splendore dei suoi occhi e della sua vitalità si erano spenti.
Contavo comunque che, con il tempo, questo particolare si sarebbe aggiustato.
A fare star male Mary B, più della perdita in se stessa, era stato l’aver scoperto i sordidi e macabri misteri che avevano circondato il marito, fino alla tragica scoperta della verità.
Mary B, in più di un’occasione, mi aveva confessato che, se anche solo avesse immaginato la verità su Patrick , non si sarebbe mai potuta innamorare di lui, non di un assassino a sangue freddo.
Quello, più di tutto il resto, le impediva di recuperare la gioia perduta; il fatto di essersi fidata di un uomo che, in realtà, non era mai stato onesto con lei.
Né le mie parole, né quelle di Duncan o dei membri del branco, sembravano aver sortito alcun effetto benefico su Mary B. Speravo soltanto che il tempo avrebbe aggiustato tutto.
“Glielo chiederò quando la vedrò, Joshua. In effetti, le farebbe bene uscire” ammiccai.
Chissà. Forse un appuntamento al buio era la soluzione migliore.

***

Sdraiata nel mio lettuccio accanto a Duncan che, letteralmente, mi circondava con tutto il suo corpo, sospirai e ammisi: “Non mi piace questa situazione. Ho scomodato un sacco di persone, e non è giusto.”
“Christine è alla clinica al mio posto, quindi gli animali sono sistemati. I lupi di Joshua sono per la maggior parte poliziotti, quindi non fanno che il loro lavoro. Dove sta il problema?” replicò Duncan, sorridendomi e passando svogliatamente la punta del naso lungo il mio collo.
Rabbrividii e sussurrai: “Ti prego, non farlo, o Mandy sentirà più cose di quante non vorrei.”
Ridendo sommessamente, e facendomi tremare di desiderio, Duncan mormorò per contro: “Pensi che non se l’aspetti?”
“Non voglio pensare a quel che pensa lei…” brontolai, aggiungendo: “… so solo che non riuscirei a guardarla in faccia, domattina, se sentisse anche un solo mugolio.”
“E se ti prometto che, dalle tue labbra, non uscirà neppure un sospiro?” mi tentò, abbandonandomi momentaneamente per mettersi a cavalcioni su di me.
Ammettiamolo, averlo sopra di me, completamente nudo, e illuminato dalla luce rada proveniente dall’esterno, era uno spettacolo così stuzzicante che, anche la più frigida tra le donne, sarebbe crollata ai suoi piedi, desiderosa di farsi toccare ovunque.
E io non ero affatto frigida!
Sorrisi deliziata, sapendo che quel corpo magnifico, fatto di muscoli plastici e sodi, era tutto mio.
Annuendo impercettibilmente, lo minacciai scherzosamente. “Mi vendicherò in maniera orrenda, se lei sentirà qualcosa.”
“Non sentirà nulla” mi promise, aggredendo la mia bocca con la sua, mentre le sue mani cominciavano a sciogliere i lacci del mio pigiamino striminzito.
Annegai letteralmente in quel bacio divorante, sentendo bramosia, paura e rabbia, oltre al desiderio sempre crescente di farmi sua.
Era ancora in ansia, nonostante non lo desse a vedere, e quello era un ottimo metodo per pensare ad altro.
Lasciai perciò perdere quei sentimenti latenti per concentrarmi – sì, beh, per quanto fosse possibile – su quel che stavo facendo e, nell’avvertire le sue mani grandi e calde sui seni, sentii prepotente un singhiozzo salire alla bocca.
Subito, il bacio si fece più profondo, soffocando sul nascere quel sussurro.
Del tutto preda del suo corpo, del suo aroma, del suo potere, affondai sempre più dentro di lui, come lui dentro di me.
Percepii solo vagamente le sue spinte profonde e morbide, distratta com’ero dalla carezza prepotente del suo potere sul mio, quasi che le nostre due auree stessero facendo l’amore come i loro padroni di casa.
La sua bocca lasciò la mia giusto il tempo di appoggiarsi, morbida e vogliosa, su uno dei capezzoli.
Mordendomi un labbro per non erompere in un imbarazzante mugolio, lo sentii muoversi con leggerezza sulla mia pelle rovente, tracciando scie di baci su tutto il mio busto, prima di tornare a divorarmi le labbra.
E, mentre la bocca di Duncan pensava a soffocare i miei ansiti di passione, il resto del suo corpo accese in me vampate tali che, ne ero sicura, il letto sarebbe arso da un momento all’altro.
Durante l’amplesso, il corpo di un licantropo va come a fuoco.
E’ come se fosse febbricitante; il tutto è causato dall’energia emanata dall’aura che, senza freni inibitori, fuoriesce dal corpo per dare maggiore piacere al partner.
Non avendo mai fatto sesso, prima della trasformazione, non avrei saputo dire se fosse meglio o peggio, ma credevo di poter affermare con assoluta sicurezza che sì, i licantropi sapevano farlo decisamente meglio.
Raggiunsi l’acme due volte, due volte in cui ebbi l’impressione di sentire il mio cuore spezzarsi in mille piccoli pezzetti di cristallo, salvo poi rendermi conto che era integro, vivo e vegeto e completamente appagato.
Era difficile dire chi dei due lo fosse di più – non volevo mettermi a gareggiare con Duncan, per una cosa simile – ma fui abbastanza certa che anche a lui, piacque parecchio.
Si sdraiò al mio fianco madido di sudore, appagato come un bambino di fronte ai regali di Natale e gli occhi resi vacui dalla passione appena consumata.
Un dito, lento e leggero, giocherellava con la mia pelle accaldata, disegnando immaginari cerchi intorno al mio ombelico.
Io, ansante e completamente priva di forze, galleggiavo senza peso in quel mondo intermedio che stava tra la realtà e il sogno, persa completamente nel piacere che aveva saputo risvegliare in me.
Ero restia ad allontanarmi dal quel tepore, indecisa se tornare a respirare l’aria normale e viziata della mia stanza.
Alla fine, però, dovetti rientrare in me e, sospirando, lo osservai per alcuni istanti prima di chiedergli: “Non voglio sapere con quante lupe ci hai dato dentro, per diventare così bravo ma… quanta esperienza hai, Duncan?”
Lui si limitò a sorridere sornione, baciandomi la spalla senza mai smettere di tracciare ghirigori sulla mia pelle. “Per la verità, non ho mai fatto sesso con una licantropa.”
Quella notizia mi lasciò così sconcertata che mi levai a sedere, fissandolo a occhi sgranati, prima di esalare: “Non ci posso credere.”
Lui mi ricondusse giù, tornando a giocherellare con il mio ombelico – chissà perché gli piaceva tanto, poi? – e, con un sorrisino appena accennato sulle sue labbra carnose e tumide di baci, mi spiegò l'arcano.
“Ero più che sicuro che, se l’avessi fatto con una del branco, sarebbero sorti così tanti problemi da rendermi la vita un inferno. Sai bene, no, quanto ero ricercato?”
“Sì” grugnii.
Duncan ammiccò ironico e aggiunse: “Così, le mie uniche esperienze me le sono fatte all’università, con donne umane. Certo, è stata una faticaccia resistere e non usare tutta la mia forza, però… beh…”
“Credo abbiano apprezzato quanto ho apprezzato io” celiai, serafica.
“Sei tu che me l’hai chiesto” precisò, ridacchiando.
“Già, io e la mia curiosità mostruosa…” brontolai, voltandomi su un fianco. “…però, se non l’hai mai fatto con una lupa, non avevi mai provato…”
“L’unione delle auree? No, mai” scosse il capo, schiacciandomi contro il suo corpo come per voler fondersi con me.
Mi strappò il fiato dal petto e, leccandomi vogliosa le labbra, sussurrai: “Sai che effetto mi fai, no? Quindi, perché infierisci?”
“Perché mi piace vedere i tuoi occhi che cambiano colore” ammise, sfiorandomi la guancia con un bacio leggerissimo. “Ora sono quasi del tuo colore di lupa, ma hanno ancora qualche riflesso dorato… sono splendidi.”
Ridacchiai, leccandogli leggermente l’angolo della bocca, ed esalai: “Sai che bello! Un occhio azzurro, uno verde e tutti e due macchiati d’ambra.”
“Credimi, sono splendidi. Neppure Monet, pur con tutta la sua bravura, avrebbe potuto creare simili tinte di colore. Inoltre, avere gli occhi di due colori, è molto raro. Solo pochissimi licantropi li hanno avuti così” mi mise al corrente Duncan, scendendo con la mano a sfiorarmi il fianco morbidamente arcuato.
“Oh, e chi?” volli sapere, sorridendo melliflua.
“Fenrir e i suoi figli” mormorò, baciandomi la punta del naso. “Loro sono stati i primi, poi ne vennero pochissimi altri.”
Non appena sentii nominare Fenrir, un brivido sordo scivolò dalla radice dei miei capelli fino alla punta dei piedi, portandomi a rabbrividire per un attimo.
Duncan, sorpreso da quella reazione improvvisa quanto strana, si puntellò su un gomito per guardarmi, cercando nei miei occhi, confusi non meno dei suoi, qualche spiegazione a quel brivido involontario quanto imprevisto.
Non seppi cosa dirgli, né come rispondere ai dubbi che aleggiavano anche dentro di me.
Seppi soltanto che, non appena quel particolare degli occhi fu registrato dal mio cervello, qualcosa scattò dentro di me, mettendomi in allarme.
Dare un nome al pericolo che mi aveva scosso, però, non mi fu possibile, come non mi fu possibile mormorare parole di conforto a Duncan, o persino a me stessa.
E, di colpo, quella frase che tanto a lungo era rimasta sedimentata in me, con un enorme punto di domanda scritto a caratteri cubitali, tornò a tormentarmi.
Perché, un attimo prima di svenire, durante la mia prima mutazione in licantropo, avevo avvertito quelle parole nella mia mente ottenebrata dall’aconito?
Eccoti, finalmente!
Cosa potevano significare? E chi le aveva dette?
A tutte le mie interrogazioni, la quercia non aveva mai risposto, dicendomi unicamente che, quella frase, non significava nulla e, soprattutto, nulla che valesse la pena di essere vagliato in quel dato momento.
Perché, ogni tanto, la quercia sacra si divertisse a essere reticente, non l’avevo ancora capito.
Ricordava molto l’Oracolo di Delfi e le sue predizioni misteriose e confuse. E questo non mi era per niente di conforto.
“Tutto bene?” chiese a quel punto Duncan, notando il mio silenzio prolungato.
Annuii, non essendone per niente certa e, stringendomi a lui, sussurrai soltanto: “Sì, tutto bene, ma abbracciami forte.”
Lui annuì, accontentandomi e baciandomi più volte la fronte, carezzandomi nel contempo la schiena nuda in lenti e morbidi tocchi.
Con il passare dei minuti, mi portarono a un meritato quanto agognato riposo.
Sperai con tutta me stessa che quella strana sensazione, con il sonno, sparisse completamente dal mio cervello.
Avevo ancora troppi esami da affrontare, per pensare a misteriose voci provenienti da chissà dove, e oscuri misteri da dissipare.
No, dovevo concentrarmi su una cosa alla volta.
A ogni costo.







  
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