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Autore: Para_muse    22/02/2013    2 recensioni
Elisabeth è una ragazza che sogna e poi realizza quello che vuole: va in America, lavora sul set di un telefilm abbastanza famoso e fa la fotografa. Quello che più ama fare nella sua vita è racchiudere in un click più soggetti. I soggetti che l'attirano. Uno in particolare lo ammira...sia con i suoi occhi che con il suo obbiettivo...una storia d'amore, d'amicizia, e di insicurezza che Elisabeth riuscirà, forse, a liberarsene.
*storia per metà betata*
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.'
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*spazio autrice*
Penultimo capitolo, ci siamo quasi. Vi aspetto alla fine per news e altro ;D

La storia fa parte della serie: "The Second Chance" - Racchiusi in un...bookstory.
Dove fanno parte:
-Racchiusi in un... click. (FF)
- The Real Vanacy of Year (Missing Moment dal Cap 8)
- Fire in the Water (Missing Moment 
Rossa dal Cap 21)



Capitolo 28
 
“I’m nevours”
 
- Singer mi servirebbe mezz’ora di pausa. Ho una visita medica, mi dai il permesso di andare? – domandai a bassa voce senza far sentire niente a nessuno. Un po’ preoccupato annuisce, e porgendomi la mano per lasciargli la macchina fotografica appesa al collo, lo ringraziai con un bacio, e abbandonai gli studios in un silenzio assordante. 
Passai dalla reception a salutare Jessica che come me, aveva ripreso a lavorare dopo la maternità. Lasciai un bacio sulla fronte al piccolo Tommy, poi salutai la mia amica lanciandole un occhiolino. Mi augurò buona fortuna. Quella si sa, serviva sempre.
Abbandonando gli studios, presi il sub liberato da Cliff, che sorridendomi mi consigliò di essere prudente per le strade bagnate, sicura di me stessa annuii, facendogli vedere che stavo indossando la cintura, anche se a dirla tutta mi stava un po’ stretta alla vita. Dopo averla messa, accesii subito e mi allontanai, dirigendomi dall’altra parte della città, dove si trovava la ginecologa Shapperd, moglie del dottor Shapperd.
Pimpante, abbassai un attimo lo sguardo a notare l’evidente pancia che, iniziava a intravedersi dal maglione di lana bello largo. 
Dopo aver fissato un appuntamento con la dottoressa, ero stata alla larga da Jensen e tutti gli altri, tranne Aurora e Jessica, a cui avevo riferito la notizia, pregandole di far silenzio perché volevo fare una sorpresa. Avevo iniziato ad uscire in felponi e maglioni pesanti, visto anche il freddo che faceva a Vancouver la scusa c’era: dovevo proteggermi per via della freddura già presa prima.
Tosse e queste cose così non erano permessa durante la gravidanza, la ginecologa dopo aver saputo della mia febbre mi aveva invitata a stare a letto un paio di giorni e così avevo fatto, stando lontano dal mondo esterno. Dopo di ché ero ritornata a lavoro, ma oggi avevo finalmente l’appuntamento con la dottoressa e più di essere felice, bhè…cosa c’era altro da aspettarsi?
Quando parcheggiai di fianco al marciapiede, e scesi, ebbi un forte giramento di testa, perciò mi aggrappai subito alla portiera sperando scivolasse via. Dopo che passarono 5 minuti, contro la volontà della dottoressa, bevvi comunque un po’ di succo che portavo sempre dentro la borsa, bevendone un po’ e prendendo le energie necessarie per riacquistare un po’ di lucidità.
Sicuramente la dottoressa non se ne sarebbe accorta. A passo di marcia mi diressi nel locale a due stanza, una piccola dove c’era la sala di attesa stranamente vuota, e l’altra dove sicuramente ci sarebbe stato lo studio. Appena sentii il campanello squillare, una donna giovanissima sbucò la dietro la porta sorridendomi. 
- Prego, da questa parte – mi incitò a seguirla e lo feci, stando al suo passo. Mi accorsi che non era proprio una porta, ma quella che attraversammo era una di quelle porte scorrevoli che tenuta aperta lascia spazio ad una piccola reception. La segreteria non restò nella stanza, anzi, mi scortò fin allo studio senza chiedermi se avessi un appuntamento o meno. Mi fece accomodare tra le quattro mura bianche e poco sfoglie, e mi lasciò da sola, aspettando che la dottoressa uscisse dallo spogliatoio.
Chiudendosi la porta alle spalle con un sorriso, mi fissai intorno trovando svariati immagini di bambini appena nati e di ecografie fatte come quadri e non come semplici analisi.
Nemmeno il tempo di leggere uno dei dépliant sul parto che avevo trovato sul tavolo, che sentii una porta scorrere ed una donna sulla trentina d’anni uscirne fuori con il solito camice addosso e la crocchia di capelli rosso scuri raccolti tra elastico e cerchietto.
- Ciao Elisabeth, sono Mary e ti stavo proprio aspettando! – esclamò cordialmente, allungandomi una mano per stringerla.
- Salve Dottoressa Shapperd. Piacere di conoscerla – confermai, sorridendole a mia volta. Sedendosi dietro la scrivani iniziai a parlare del più e del meno come se fossimo semplice amiche e non solo appena due conoscenti, incontratesi per una visita medica.
Solo dopo un quart’ora abbondante, chiedendomi prima di Jensen e poi di mia figlia (chiedendomi come faceva a saperlo) iniziò a farmi le domande sul bebè in arrivo.
- Tu quando pensi di averlo concepito? – chiese con tonto di voce professionale ma allo stesso tempo delicato.
Era da molto che ci pensavo e l’unica risposta che mi veniva in mente era sicuramente Cayo Largo. 
- Al mio viaggio di nozze quasi 3 mesi addietro ormai. Non ricordo la data precisamente… - borbottai arrossando, visto le notti insonne passate tra le braccia di Jensen.
Alla dottoressa scappò un risolino e annuendo annotò a matita qualcosa su un foglio dove notai che al capo c’era scritto il mio nome di battesimo. 
- Adesso faccio “Ackles” dottoressa. Elisabeth Ackles, non più De Santis – confermai con un cipiglio.
La dottoressa scosse la testa: - Suo marito mi ha detto che per queste questioni è meglio usare il nome di battesimo… - disse tranquillamente, continuando a scrivere qualcos’altro. Io dubbiosa cerco delle spiegazioni: - Mio marito? E’ stato qui?  -. – No, è mio marito che mi ha dato le informazioni! Tranquilla nessuno sa che lei è qui in questo momento, a parte chi lei ha informato ovviamente! – concluse, poggiando la matita sul tavolo, e guardandomi per farmi altre domande di routine prima che possa farmi alzare per farmi mettere sul lettino.
- Pronta allora? – domandò formalmente, azionando televisori e macchinari.
Con sguardo accesso d’ansia annuisco, e scoprendo la pancia aspetto che mi passi il gel ma così non avviene. 
- Si tiri giù i pantaloni, questa è un controllo con la sonda transvaginale, devo controllare per bene e capire precisamente quanti mesi ha e altre cose che non sto qui ad elencarle come l’avvenuto annidamento dell’embrione oppure la presenza di una gravidanza gemellare, ma non penso che sia il caso giusto? Sa se nella famiglia di suo marito ci sono stati casi di gemelli? O magari nella sua… - domandò fissando la sonda che stava lubrificando con il gel, prima coperta da un preservativo, come di norma. Un po’ in imbarazzo fissai l’aggeggio che avrebbe infilato dentro di me, perciò non feci caso alla domanda, non prima di aver passato l’imbarazzante momento del “prenda un respiro e si rilassi”.
- Non credo ci siano gemelli, per quello sono tranquilla, credo… - borbottai, chiudendo gli occhi, pensando a quando fosse stato rosso il mio viso in quel momento. Sentii quella “cosa” strana, inumana e fredda dentro di me. Mi stava dando un leggero fastidio, ma riuscivo a sopportarlo.
- Eccoci qui! – esclamò la dottoressa accendendo lo schermo, che divenne seppia e d’un tratto sfocato. Solo poco dopo fu più chiaro e riconobbi qualcosa come un piccolo segno, allungato, strano, dentro la mia pancia. Quasi si muoveva…
- E’ lui? – domandai con un filo di voce.
- O lei… - sottolineò con voce dolce la dottoressa, facendomi salire le lacrime agli occhi. Com’era bello quell’essere piccino, piccino, dentro di me. 
I miei pensieri se ne andarono in panne, e la dottoressa non mi risveglio nemmeno. Dopo quasi quindici minuti a fissare lo schermo, sentivo solo lo strano rumore di qualcosa che veniva stampato, poi la dottoressa ruppe la bolla perfetta che si era creata tra me, lo schermo e l’essere umano che stava crescendo dentro la mia pancia.
- Tenga, si pulisca un po’ – mi sussurrò docile, porgendomi una tovaglietta di carta, per ripulirmi dal gel. Con un paio e veloci mosse, mi pulii e con discretezza, lasciandomi sola, la dottoressa mi permise di rivestirmi con tutta la calma del mondo, mentre ancora i miei pensieri volavano a quella persona dentro di me. Quella creatura che si stava formando, lentamente. Colui o colei che portavano il mio stesso sangue, e quello di Jensen. Insieme.
- Elisabeth, vuole avvicinarsi con me alla scrivania? – chiese la dottoressa uscendo di nuovo dal proprio spogliatoio, dove sembrava essersi lavata le mani. La seguii e mi sedetti nella sedia che aveva occupato poco prima. Mentre lei riapriva la mia cartella, scrivendo un paio di cose, annuii sorridente, rivolgendosi a me di nuovo con quel suo tono di voce rassicurante, o almeno così a me sembrava.
- Posso dirle che è tutto apposto. Il battito cardiaco, lo sviluppo, tutto in generale va alla grande. Penso già di poterle dare la data per il prossimo controllo, anche se ci potessero essere dei problemi, non si scomodi ad avvisarmi: io sono sempre qua, e se ha bisogno questo è il mio biglietto da visita! – sussurrò, porgendomi un piccolo cartoncino. 
- Dietro le ho prefissato la data, e non mi resta che dirle alla prossima volta, per sapere il sesso del bambino! – esclamò sorridendomi.
- Bene, grazie mille! – esultai quasi, alzandomi dalla sedia per porgerle la mano. – Alla prossima, e non si dimentichi di portare suo marito! – sottolineò ridendo la dottoressa.
Io alzai le spalle e uscii fuori, stringendomi nel maglioncino bianco.
Quando salutai la segretaria e misi piede fuori d’ambulatorio, dove i primi raggi di un sole, tra le nuvole, volevano illuminare la città.
Sembrava così perfetto quel momento, che avevo pensato fosse troppo un sogno che realtà. Stranamente alzando lo sguardo che tenevo sempre basso, notai due-tre uomini camminare paralleli al mio passo, fin al marciapiede. Le loro macchina facevano rumore, continui click segnavano le foto. I paparazzi continuavano a fare il loro lavoro. Rieccoci da capo.
Portandomi la giacca, la borsa e il cellulare davanti alla pancia come a voler coprire l’evidenza, afferrai la chiave dell’auto dentro la tasca esterna della borsa, e aprii svelta la macchina, entrandovi. I paparazzi continuarono a fotografare, fin quando sfinita, con un sospiro, diedi gas, e sgommai per ritornare a casa. 
Se avessi voluto fare una sorpresa a tutti, questa era stata ben rovinata da persone che facevano il mio stesso lavoro, ma con ben poca molta differenza: il mio era serioso, il loro soltanto pure e semplice gossip.
 
- Stop! – , urlò Singer, da dietro la tv dove stava guardando la registrazione in diretta.
- Ma siete fatti ragazzi? Non sembrate nemmeno voi! Jensen che ti prende? Suvvia, sono solo poche battute! – esclamò un poco arrabbiato, prendendosela con mio marito. Rattristata, sospesi con un braccio la macchina fotografica, pronta a fare un altro paio di scatti prima di finire quella scena.
- Mi dispiace Robert, sono un po’ fuori ultimamente. Stanco facilmente, la bambina mi porta via ore… - sussurrò Jensen con sguardo smarrito, cercando tra la folla Aurora, che stava facendo i suoi compiti sulla sedia del padre. 
- C’è tua moglie per quel lavoro, tu pensa cinque minuti solo a Supernatural! Poi puoi dedicarti tutta la giornata alla famiglia, ma questa scena è importante, ti prego, concentrati! Pronti al ciak per favore! – esclamò di colpo, facendo mettere tutti sull’attenti, perfino le truccatrici che erano corse per dare un’aggiusta ai fratelli Winchesters con l’angioletto M, come lo chiamavo io.
M per Misha, e non per Castiel. Amavo tantissimo M, ma non lui, la Judi di 007, ovvio.
- Supernatural…Scena… - le parole si persero nella mente quando un piccolo capogiro mi costrinse ad appoggiarmi ad un ragazzo della troupe. Quando mi ripresi, fissai Jensen che stanco cercava di ripetere la parte per bene. 
Forse era meglio non dirglielo…fin quando non se ne sarebbe accorto da solo. In fondo non potevo dirglielo proprio ora. Stava soffrendo come un cane, la vita da padre non faceva per lui. Questo figlio stava arrivando in un momento un po’ sbagliato. Jensen non era pronto per diventare padre.
- E’ tutto okay? Sei pallida – borbottò a bassissima voce il ragazzo a cui mi ero appoggiata. Quasi non lo udii per il forte rumore che la testa produceva dentro le mie orecchie.
- E’ solo un giramento… - sussurrai appena, lasciandomi andare tra le sue braccia per sbaglio.
- Ehi – esclamò piano, quasi infastidito.
- STOP! – urlò di nuovo Robert. - MA CHI PARLA? DICO CHI PARLA MENTRE STIAMO GIRANDO? SILENZIO! SILENZIO PER FAVORE, QUANTE VOLTE DEVO RIPETERVELO? – sbraitò frustrato, scagliandosi contro l’intera crew.
- Signore… - esclamò di colpo il ragazzo accanto a me. Velocemente gli tirai la manica facendolo zittire e rimettendomi in piedi, mi avvicinai alla sedia di Jared dove mi sedetti chiudendo gli occhi.
- Mamma, cosa succede al signor Bobby? – domandò Aurora, fissando prima lui, poi me e infine le sue espressioni algebriche.
- E’ l’età tesoro, lascia stare… - borbottai prendendo un sospiro, trattenendo un respiro, per la nausea che mi stava asfissiando di colpo.
- Devo andare in bagno… - sussurrai passandole vicino per lasciarle una carezza. – Non fare arrabbiare nessuno – conclusi, poco dopo scappai correndo verso il water più vicino.
Appena fui fuori dal bagno e ritornai sul set, trovai un po’ tutti a girovagare per la stanza del set, dove c’era in corso una pausa. Lasciai che la macchina fotografica mi pendesse sulla pancia che si notava un po’ di più. Le mie mani scivolarono quasi meccanicamente ad accarezzare quel rigonfiamento e poi corsero ad afferrare la macchina fotografica, alla vista di Jensen che mi veniva incontro.
- Tutto okay? – sussurrò appena, stringendomi un fianco con una mano. Mi scostai appena quasi scottata.
- Si, tutto okay. Tu? Non sembri abbastanza concentrato oggi – sottolineai la parola concentrato ed indicai le camere di riprese.
- E’ vero, non so…ho dormito poco stanotte – sussurrò, provando a stringermi di nuovo a se, ma mi scostai, e mi vicinai alla sedia dov’era seduta Aurora che faceva ancora matematica.
- Tutto apposto tesoro? – domandai sorridendo ad un viso abbassato, intendo a scrivere con meticolosità.
Mi abbassai la testa per vedere cose stesse scrivendo di così importante, quando notai il foglio bianco e nero, macchiato di lacrime. 
- Tesoro, perché piangi? – domandai in italiano, stupii sia Jensen che mi venne dietro ed Aurora che alzò lo sguardo rigato da acqua salata.
- Mamma, ho sentito dire certe cose, su di me…al-alcuni hanno detto che-che… - singhiozzò e si nascose di colpo tra le mie braccia. La strinsi al petto forte, e la consolai.
- Che cosa? – domandai sempre in italiano, preoccupata.
-What’s happened? Why she burst into tears? – Jensen si unii alla discussione, parlando nella sua lingua.
- I don’t know. I’m in searching of understand her! – sbottai, voltandomi a lanciargli uno sguardo irritato, e abbassandomi dolcemente verso la mia bambina, cercai cosa volesse dirmi.
- Cosa c’è tesoro? – richiesi, accarezzandole il dolce viso a cuoricino.
- Ho-ho sentito dire a-ad alcuni degli uomini che la-la-lavorano qui che io-io… - singhiozzò di nuovo e altre lacrime le caddero dalle guance. 
- Cosa tesoro? Che tu? – domandai, asciugandole con i pollici le lacrime.
- Che io-io sono un peso per-per papà. Che io pote-tevo restare in Italia. Mamma io voglio restare qui co-con te! – mi strinse forte in un abbraccio e pianse nel mio collo. Cercai di farla alzare dalla sedia, ma Jensen non me lo permise. 
- Mi spieghi tesoro, che succede? – chiese in inglese ad Aurora, attirando la sua attenzione. 
Aurora prima che parlasse, le sgranai gli occhi e le feci no con la testa, lentamente e impercettibilmente.
- Io-io non vado benissimo a-a scuola… in-in matematica faccio-faccio schifo! – borbottò, piangendo fintamente. Sorrisi sotto i baffi, notando quando invece fosse una brava attrice “drammatica”.
- Oh piccola, tranquilla. Adesso papà ti aiuta… - sussurrò dandole un bacio sulla tempia. Aurora sorrise appena, e stringendolo in un frettoloso abbraccio, lasciò che il padre le elencasse i primi due punti della sequenza algebrica. Poco dopo suonò la sirena iniziò ripresa, e Jensen seccato lasciò me ed Aurora con una brutta parolaccia.
- Potresti evitare, lo sai… - lo rimbeccai, lasciandogli uno sguardo di rimprovero. Lui corrugò la fronte e scuotendo la testa, distratto e pensieroso si riportò davanti la telecamera.
Voltandomi verso Aurora le afferrai una mano, e  l’invitai ad uscire dalla stanza, dirigendoci lentamente verso la reception dove ci aspettava Thomas e Jessica. Appena Thomas ci vide arrivare, dal suo seggiolino, iniziò a lanciare gridolini che riempirono l’enorme atrio.
- Piccolo della zia – dissi, sganciandolo e prendendo in braccio per fargli fare l’aeroplanino.
- Ciao zia Jessy – salutò Aurora, dandole un bacino, sedendosi poi nella sedia libera dietro il bancone.
- Ciao tesoro. Come stai? – le chiese, giocando con i suoi lunghi capelli. Sorrisi per quel gesto tenero, e strinsi in un grosso abbraccioThomas che iniziò a giocare con i miei capelli.
- Insomma… - sussurrò la bambina, provando a concentrarsi sui compiti.
- Tesoro quello che è successo non è niente, suvvia… - borbottai, cercando di sviare l’argomento. Jessica vi si intrufolò immediatamente, facendole dire le parole magiche ad Aurora.
- Qui agli studios mi odiano – borbottò, cancellando qualcosa con la penna.
- E perché? – domandò sbigottita la mia migliore amica.
- Perché papà non è … -.
- Adesso basta Aurora, non è vero. Tuo padre è bravo, e tu non sei di meno come figlia, quindi smettila di pensare a queste cose! – esclamai irritata, cercando di attenuare quel dolore strano, che si stava allargando lentamente nel petto.
- Ma cosa è successo? – domandò preoccupata Jessica, fissandomi con sguardo curioso e accigliato allo stesso tempo.
- Niente, solo un paio di disguidi sul set – conclusi, lasciando che Jessica prendesse in braccio suo figlio, mentre il telefono iniziò a squillare e Thomas a piangere per chissà quale motivo, mentre Aurora borbottava che non era vero. Che era tutta colpa sua.
Chiusi gli occhi  e mi portai una mano sul petto, come per opprimere quel strano battito cardiaco così accelerato, che…vidi di nuovo come prima. Sfocato, e sentii i rumore ovattati.
Le mie gambe cedettero, e mi lasciai avvolgere dal freddo pavimento.
- Oh mio Dio, Elisabetta! – sentii dire. Poi sospirai piano, e lasciai che il tempo stesse al tempo.
 
Sentii un odore sgradevole. Strinsi forti gli occhi e smossi una mano per togliere via quel puzzore.
- Si sta svegliando, lasciatele un po’ di aria… - borbottò qualcuno irritata. Jessica si. Era lei. Aprii lentamente gli occhi. La schiena scomoda era ancora appoggiata a terra. Già. Ero svenuta di nuovo.
- Quanto tempo? – domandai con la voce impastata, o forse era perché avevo dell’ovatta.
- Pochissimi minuti. Tutto apposto? Ti fa male qualcosa? – domandò qualcuno alla mia destra.
- Si, tutto okay, credo… - alzai la schiena e lasciai che mi ritrovassi seduta intorno a un paio di persone.
- Mamma, mamma, come stai? – domandò preoccupata la mia dolce Aurora, inginocchiandosi e abbracciandomi forte.
- Sto bene…sto bene.. – sussurrai poco convinta. 
- Vado a chiamare papà! – esclamò sgusciando via per poi farsi largo tra le persone. Cercai di riacchiapparla ma non riuscii. Perciò la chiamai perentoria.
- No Aurora, torna qua! Papà sta lavorando!... Aurora! – gridai arrabbiata, alzandomi per raggiungerla.
La ragazza si fermò e voltandosi rossa in viso, alzò le spalle tristemente, avvicinandosi di nuovo a me.
- Papà sta lavorando, lascialo fare… - borbottai, facendomi sentire solo da lei, le appoggiai una mano sulla spalla e avvicinandola a me, andai alla reception, prendendo un post-it.
- Jessica?- richiamai dalla folla che si stava diramando per tutto l’atrio degli studios.
- Si tesoro? – domandò, avvicinandosi di nuovo alla sua postazione con Thomas in una manina, che camminava piano e stentatamente.
- Se Jensen ci cercasse, o chiunque altro, segui questo post-it! – dissi, attaccandoglielo a vista, dove non se lo sarebbe scordato.
- Okay, vai a casa? – domandò preoccupata. Io annuii e tornando indietro, in religioso silenzio, afferrai giubbotto e borsa, e lasciai insieme ad Aurora il palazzo.
 
- Mamma? -.
Aurora silenziosa, aveva fatto i compiti per l’intera serata, in cucina insieme a me. Quando mi lasciò andare solo per preparare la cena, era diventata così silenziosa che mi ero preoccupata se si fosse addormentata sui compiti, ma invece la vedevo scrivere e disegnare.
Quando mi voltai al suo richiamo, dopo quasi un’ora di lavoro, notai cosa aveva fatto.
Un bellissimo disegno della nostra famiglia, molto realistico e ben fatto per una bambina di appena sette anni.
- Siamo noi? – domandai orgogliosa, notando che la mia dolce ragazzina stava in mezzo ai suoi amici-genitori, mentre una nuvola copriva un sole, dove fuoriuscivano due visi così simili al suo.
I suoi veri genitori, era bello vedere che li ricordava.
E che li amava.
Calde lacrima di felicità mi bagnarono la guance, e sedendomi nella sedia accanto alla sua la strinsi a me, e fissai ancora più attentamente quel disegno vivace e pieno di colori.
- Io, tu, papà, e gli angeli custodi. Guarda mamma, ti piaci? Anche con la pancia sei sexy! – borbottò scherzando.
Risi divertita, e le arruffai i capelli. – Sexy eh? Divertente! – dissi, notando che la mia pancia era un po’ gonfia ai lati. 
- Vorresti un fratellino o una sorellina? – domandai ridendo. Lei alzo le spalle e non se ne fece una ragione. – Chiunque sia, vorrò semplicemente scegliere il nome, tutto qui… - disse sorridendomi e stringendo piano le braccia intorno alla pancia.
Appoggiai la testa alla sua, e lasciandole un bacio, la strinsi a mia volta.
- Vedremo, vedremo… - sussurrai, chiudendo gli occhi, lasciandomi cullare dal suo dolce mormorio.
 
- Sono a casa – disse una voce stanca. Erano le undici quando riaprii gli occhi e sentii la porta principale aprirsi e richiudersi con un leggere tonfo.
Il foglio con il disegno che avevo tenuto sulle gambe, fissandolo per almeno un’ora prima di chiudere gli occhi, stanca, lo piegai e lo nascosi sotto il sedere, facendo finta di nulla, quando Jensen sbucò dal corridoio, non prima di aver dato un’occhiata come sempre, alla stanza di Aurora, dove dormiva bellamente ormai giunta al terzo sonno.
- Ehi, tesoro -  si avvicinò al divano, e abbassandosi mi lasciò un lungo bacio sulle labbra, fredde e screpolate per la temperatura esterna.
- Tutto okay? – domandai, sorridendogli appena, lasciandogli anche una carezza.
- Abbastanza. Per oggi abbiamo finito. Tu come stai? Aurora? Passato il pianto? – domandò preoccupato, facendo il giro del divano per sedersi al mio fianco.
Mi voltai di faccia, e lo fissai appoggiare il collo sulla spalliera.
- Abbastanza – “non dire proprio” pensai, comunque. Quella storia “dell’Aurora di troppo” doveva finire.
- Posso andare a parlare con la professoressa, magari potrà capire che la ragazza non è adatta alla sua materia no? – domandò, voltandosi a guardarmi con occhi stanchi.
Scossi la testa, e feci una smorfia con le labbra. – No, è tutto okay! E’ solo una questione momentanea secondo me… - sussurrai. – Passerà. Ma tu… stai bene? Insomma oggi non è andata alla grande sul set. Singer ce l’aveva con te, e non capisco questo accanimento sul fatto di… - mi tappai la bocca, senza rendermi conto che stavo citando mia figlia. Non volevo citarla, facendo capire a Jensen quello per cui oggi Aurora, piangesse.
- Di? – mi esortò. – Di recitare…ma niente, lascia perdere. Sono stanca voglio andare a letto – sussurrai, alzandomi dal divano. Sentii la mia mano stringersi ad una della sue grandi. Mi voltai a fissarlo. Il suo sguardo fu di preoccupazione.
- Ti trovo strana ultimamente. C’è qualcosa che devi dirmi? – domandò, guardando le nostre mani unite.
Corrugai la fronte e mi apprestai a guardare le nostre mani, strette una all’altra. Poi rilassandomi lasciai che lo fissassi dritto negli occhi e alzando le spalle, scossi la testa.
- Se c’è un problema basta farmelo sapere – costatò lasciando andare il nostro legame, con un bacio a fior di pelle.
- Okay – sussurrai, abbassandomi per un veloce bacio sulle labbra.
Stavo iniziando a sentirmi in colpa. Dovevo dirglielo.
 
Lasciai che l’acqua calda, portasse via le lacrime che mi avevano bagnato il viso, al ricordo di tutti i brutti ricordi che mi avevano assalito nella disperazione della consapevolezza di non aver avuto il coraggio di dirglielo. 
Codarda. Codarda. Codarda. Ecco la parole che continuava a perseguitarmi dietro i quattro vetri della box doccia, dove l’acqua calda scorreva a fiumi, bagnandomi la pelle, alleviando i dolori, e sciogliendo le lacrime.
Come potevo riuscire a mantenere ancora dentro di me quel senso di colpa? Sarei uscita fuori di testa; ero già impazzita. Dovevo farlo. 
Ma non potevo dirglielo.
Come l’avrebbe presa? Sarebbe uscito fuori di testa subito dopo di me, se l’avesse saputo. 
Dovevo farlo. Dovevo ritornare dalla dottoressa fin quando ero in tempo.
“No.”. “No.”. “Tu lo vuoi. Fallo.”. “No.”. Mi tappai le mani alle orecchie e le strinsi forte, cercando di non sentire le voci che dentro la mia testa sembravano prendere forma. Scossi la testa, e cercai di lavare via quell’insolita forma di pazzia.
Dovevo farlo. Dovevo dirglielo.
- Lo farò -, sussurrai, convintissima, aprendo gli occhi per cercare lo shampoo tra le altre boccette.
Una mano la prese per prima, e stringendola nel suo palmo, se ne spruzzò un po’ nell’altro, per poi avvicinarsi al mio capo. 
Mi raddrizzai di colpo, dandogli la schiena.
- Lascia che ti aiuti – dissi, cercando di prendere il suo posto, ma le sue mani mi cacciarono via, e le sue dita abili, iniziarono a lavorare in un massaggio circolatorio.
Quando ormai i capelli furono pieni di schiuma, si preoccupò di sistemarmi sotto lo getto d’acqua per toglierla via. Appena furono sciacquati, afferrai la boccetta del bagnoschiuma per una veloce strofinata al corpo, dovevo scappare via. Subito.
- Voglio farlo anch’io, lascia stare… - sussurrò, afferrandomi le braccia da dietro, obbligandomi a ruotare verso di lui.
- No lascia, faccio io! –, cercai di allontanare via le sue mani, ma rese scivolose, non riuscii ad avere una presa ferrea.
- E’ tutto okay, non ti vergognare amore, sono solo… io -.
Le sue mani caddero senza rendermene conto, sui fianchi che leggermente ampi, facevano pensare a tutt’altro,  e non ad un paio di chili presi in più.
Le sue dita si strinsero leggermente, e obbligandomi a voltarmi, abbassai lo sguardo, notando le vene sul suo collo, un poco gonfie.
Solo leggermente…
- Jensen io…posso spiegare…cioè –, avevo iniziato con un piede sbagliatissimo.
- Sei…sei incinta… ? – non capii se fosse proprio una domanda o una costatazione, ma quando alzai lo sguardo sul suo, fisso sotto il petto, e sopra il mio inguine, imbarazzata, mi lascia tra le sue braccia, appoggiando la fronte sul suo petto liscio.
- Sono incinta, aspettiamo un bambino e non volevo dirtelo perché… - le parole mi morirono in gola, mentre un singhiozzò scosse il mio petto.
- Elisabeth…perché? – domandò con tono di voce tremante, tra il rumore dell’acqua che cadeva giù e i miei singhiozzi.
Io…non seppi rispondere.
 
*spazio autrice*
 
Eh, eh, e siamo al penultimo capitolo. Voi mi chiederete ma lo fai finire così il capitolo? Proprio ora che siamo alla fine? Bhè, ihih, direi proprio di si u.u ma tranquille. Davvero, TRANQUILLE! ;D
Per il resto, non ho altro da aggiungere, se non che ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo. 
Ormai ci siamo!
E’ quasi finita, e…mi viene di urlare e piangere. Insomma, mi sarebbe piaciuto farla durare per sempre, ma andava finita così u.u
O meglio quasi, perché la prossima è l’ultimo, forse… :)
 
VI RICORDO LA MIA NUOVA STORIA, IN VIA DI SVILUPPO (sto scrivendo il secondo capitolo, datemi tempo eh! u.u) in cui c’è di nuova JENSEN ACKLES e SYBIL (nuovo personaggio). Una storia d’amore tra la follia, i ricordi e la mia fantasia stravagante e pazza. xD
 
La vita che avrei voluto (cliccate sul link per entrarci).

 
Xoxo Para_muse
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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