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Autore: Cicciospillo    23/02/2013    2 recensioni
Era imponente e mi dominava. Impossibile sottrarsi. Però non sembrava qualcosa di volatile come un fantasma o qualcosa di astratto. Era solido. Forse una persona. Forse. O forse anche no. Mi attirò fuori città, al limitare del bosco, dove la nebbia e l’oscurità mi stavano circondando inghiottendomi sempre di più
Genere: Fantasy, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao ragazzi, ecco per voi un nuovo capitolo. Mi scuso per la mia assenza essendo troppo impegnata con la scuola. Spero che questo capitolo vi piaccia e che mi farete capire come la pensate. Ps: so che i tempi verbali probabilmente non saranno giusti. Mi dispiace. Buona lettura,
Baci Ila
 
Mi risvegliai la mattina dopo ricordando a tratti il giorno prima. Ero svenuta. Poi ripresa e avevo mangiato qualcosa e poi mi ero messa a dormire. Anche quella sera Nicole mi fece compagnia. La notte stranamente sognai qualcosa di diverso. Non molto rassicurante ma almeno era diverso: ero al buio, non so dove fossi. Avevo paura forse proprio per il fatto che non si vedeva niente e dalla sensazione di avere qualcuno vicino. A un certo punto quel qualcuno che stavo cercando di convincermi che non ci fosse, mi toccò. Su una spalla. Dallo spavento avevo chiuso gli occhi e cominciato a tremare mentre una voce che proveniva da lontano – o almeno così sembrava – mi disse “apri i tuoi occhi, sarai finalmente nel tuo mondo. Te lo ricordi?”

Avevo paura. Ma nonostante tutto schiusi gli occhi e una forte luce mi abbagliò in pieno viso tanto da coprirmeli con entrambe mani. Il bagliore si disperse e riuscì a guardarmi attorno. Ero su una stradina con accanto ad un grande parco giochi chiuso, e dall’altro lato un parcheggio mezzo vuoto. Improvvisamente nelle mani stringevo qualcosa così abbassai lo sguardo.
Avevo nella mano destra un coltello da cucina grande ed affilato sporco di pittura rossa. Nell’altra, in quella sinistra, stringevo un cuore ancora pulsante. Ebbi il sospetto che niente di tutto quel colore fosse pittura. I miei vestiti. No, non indossavo i miei vestiti. Avevo un abito bianco fin sotto il sedere, senza spalline. Anche quello era macchiato di pittura. Sempre scura. Ero felice, la paura era sparita e addentai il cuore. Era caldo e aveva ancora pochissimi battiti per poi morire per sempre. Lanciai i rimasugli a terra. Il mio abito era sempre più sporco. Misi bene a fuoco tutto ciò che mi circondava e non vidi altro che persone. Sì, persone accasciate a terra sporchi di colore rosso. Alcuni si lamentavano agonizzanti. Altri non emettevano più un sibilo. La strada ne era piena. Ma vidi una figura, davanti a me. A era l’unica zona di visione ottica a essere sfuocata così mi avvicinai lentamente cercando di non cadere tra tutte quella gente a terra. Mi avvicinai notando – finalmente anche riuscendo a mettere più a fuoco quell’ombra- che era di spalle e indossava un cappuccio rosa. Nicole. Si girò, mi si avvicinò, e mi pregò di tornare con lei alla normalità. Via da tutto quello scempio. E il coltello sparò un colpo per scostarla e la ferì su un braccio. Ed io proseguì avanti. Un’altra figura. Lasciai perdere le urla di Nicole che mi pregavano di non farlo. Ma non l' ascoltai. Soddisfatta misi la mia mano su quella che la figura mi stava porgendo.

Mi svegliai di colpo sentendo la sveglia che quando suonava erano cazzi perché indicava che mancavano venti minuti alle otto. Tardissimo. Nicole dormiva ancora. La svegliai e le raccontai tutto. Quel giorno decidemmo di restare a casa e saltare la mattinata di scuola. Dovevamo riflettere sull’accaduto. Mia madre era al lavoro e Stephanie in asilo. Facemmo colazione e restammo chiuse in camera il resto del tempo. A metà mattina ricevetti un messaggio. Numero sconosciuto. Sicuramente doveva essere un messaggio misterioso e sicuramente spaventoso come quelli del giorno prima. Diceva: “Allora sei andata a vedere il contenuto della scatolina nel quarto armadietto da sinistra? Ancora non mi credi? Controlla…”
Io e Nicole ci scambiammo un sguardo indecise sul da farsi. Non credo avrei trovato il coraggio per salire in soffitta. La scala era in fondo al corridoio dove non era illuminato da neanche una luce e portava fino ad una porta in quercia, dipinta di blu. Riuscimmo a prendere coraggio l’una con l’altra e ci munimmo di torcia e tanto coraggio. Arrivate in fondo al corridoio accendemmo le lampadine e salimmo le scale. Senza quella fioca luce il buio era pesto. Arrivammo davanti la porta chiusa. Nicol mise una mano sulla maniglia e rimase di sasso quasi quanto me. Era chiusa a chiave.

 Il mio primo pensiero fu quello di esultare. Nessun problema. Nessuna soffita. Niente armadi o scatole. Espirando di sollievo mi allontanai a passo veloce diretta in camera. Vidi la finestra aperta. Ma ero sicura che sia io che Nicole non ci eravamo avvicinate al davanzale quella mattina. Guardai attorno. Magari era entrato qualcuno, magari un ladro. Trovai però quell’unica cosa che non volevo più vedere. Un foglietto bianco infatti era stato attaccato con un pezzettino di scotch alla leggera tenta che ricadeva ai lati. Lo lessi “Solo tu puoi sapere dove hai nascosto la chiave”. Stropicciai il biglietto e, dopo averlo strappato, lo buttai nel cestino. Nicole era lì con me che pensava. A lei piacevano i misteri ma mi disse che questo era veramente troppo.

Era quasi ora di pranzo così per svagarci un po’ uscimmo e andammo in una vecchia pizzeria all’angolo della strada per non allontanarci troppo da casa. Silenziosamente ci sedemmo al tavolgo e ordinammo una pizza ai peperoni. Non spiccai una parola mentre Nicole era ancora pensierosa poi se ne venne fuori “Dove nasconderesti una cosa se non vuoi che venga trovata da nessuno apparte te?” In quel momento qualcuno mi toccò la spalla e sussultai girandomi per scoprire chi fosse.
Sorriso unico tra mille. Capelli neri come la notte e occhi come la luce. Un cenno goffo cercò di nascondere l’imbarazzo. Diego. “Senti, so che magari secondo te…so che magari non ci conosciamo bene ma vorrei invitare te e la tua amica sabato prossimo ad una festa a casa dei Riscow, vicino al parcheggio del centro commerciale” poi aggiunse “ci sarà da divertirsi”. Guardai prima Nicole e poi nuovamente quegli occhi bellissimi che celavano chissà quale mistero. Gli feci un cenno di consenso. Poi lui se ne andò dopo un frettoloso bacio sulla guancia.

Tornammo a casa ormai il pomeriggio era alle porte. Il sole splendeva, il cielo era limpido senza nuvole passeggere. Durante tutto il pranzo pensai alla domanda fatta da Nicole. Sì, un luogo mi era venuto in mente. Forse era troppo stupido. Ma qualcosa mi diceva che nessuno ci pensasse solo per il fatto che era davvero troppo scontato.
 
Nicole mi guardò direttamente negli occhi e notò la mia espressione ansiosa così sputai il rospo “seguimi”. La mia stanza. Avrei nascosto qualcosa sotto il tappeto. Il mio tappeto era molto alto per essere un tappeto. Era sempre stato lì senza polvere perché mia madre lo spolverava sempre. Ci inciampavo spesso finendo a gambe all’aria. Nicole si mise davanti ad esso e lo alzò. Non doveva farlo. Una nuvola di polvere si alzò nell’aria ed entrambe starnutimmo. Corsi in cucina e presi una scopa e pulì quel vero ammasso di polvere. Pensai che mia madre non dovrebbe averlo mai pulito sotto, solo sopra. Sul parquet di legno sottostante intravidi un largo buco di metallo. Una botola. Era semi scavata nel pavimento. Pensai fosse impossibile avere una botola al secondo piano di una casa dove sotto…

Il “sotto” era stato murato. Forse una decina di anni fa. Non riuscivo a ricordare bene. Forse era rimasta una piccola stanza all’interno circondata da mura in mattoni e intonaco ormai incrostato. Una volta faceva parte del soggiorno poi per problemi alle tubature era stato modificato venendosi a creare una piccola e stretta stanza buia all’interno.
Dopo esserci scambiate uno sguardo d’ intesa cominciammo a svitare la botola impresa non troppo facile. Dopo qualche minuto ci riuscimmo e, prese le torce, guardammo giù. Era molto profonda. Sembrava come scavata anche al di sotto del terreno. C’erano dei piccoli gradini in pietra così uno per volta cominciammo  a scenderli con molta cautela. Il buio ci sovrastava. Dopo poco la stanza si allargava fino a diventare a grandezza di un soggiorno. Tastammo le pareti alla ricerca di qualunque cosa. Stranamente trovai un interruttore. Era l’ultima cosa che avrei pensato di trovare. Lo premetti e una fioca luce si accese ad un angolo. Illuminava discretamente tutta la stanza abbastanza da poter vedere ciò che ci circondava.

Lo spazio era per la maggior parte vuoto. Era tutto umido e per ciò cominciai a pensare che eravamo davvero scese sottoterra. Spegnemmo le torce e le appoggiammo su un tavolino a lato della fioca lampada. Tutti i quattro angoli erano vuoti. Tutti tranne uno. Sulla sinistra c’era una piccola scrivania con due cassetti  e qualche libro appoggiato sulla mensola poco più sopra. Una sedia era accostata mentre un’altra appoggiava su un lato, era rovesciata a terra. Poi, una libreria stava appoggiata pericolosamente alla parete e ogni secondo che passavo ad osservarla sembrava sempre più instabile. Conteneva grossi libri alcuni dei quali rivestiti in finissimo tessuto ingiallito. C’erano anche vari vasetti che non contenevano nulla.
Le paresti erano di un grigio scuro che provocava una strana sensazione di paura e mistero. Al pavimento un tessuto blu rivestiva la stanza. Nicole raccolse la sedia da terra e la appoggiò ad una parete. Io invece andai verso la scrivania. Era marrone scuro. Lucida e dipinta a mano, su tutto il bordo, con un striminzito motivo floreale rosso e verde. Aprì i due cassetti. In uno era riposto solamente un libro. Nell’altro una penna, una matita e un blocco di fogli stropicciati. Presi il libro e lo sfogliai. Era un libro molto grosso. Voltai la prima pagina. Non ci potevo
credere. La mia scrittura. Si, era proprio la mia. Lessi frettolosamente ad alta voce:

“Se mai ricapiterà di trovarmi quaggiù devo ricordare. Ricordare quello che ho fatto. Il male, il bene. Non devo più ricaderci. Non devo. Non posso. Non posso più permettermi di sbagliare. Mi sono pentita, sono caduta e mi sono rialzata, pronta a ricominciare. Ma se cadrò di nuovo penso che resterò lì per sempre stesa a terra. Non devo dire di sì. Non devo cedere.  Ma lo amo. Spero che non mi ritroverò mai qui a leggere questo ma penso che sia inevitabile. Lui vuole che io ritorni. Mi metto in guardia. Non ne uscirei viva.”
Svenni. Per la paura, per il terrore. Per l’ansia che mi cresceva nel petto causata da quelle poche parole scritte. Sognai. Lo sognai. E fu proprio lì, in quell’incubo che lo vidi. Il suo sorriso era unico tra mille.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ho da dire:Ecco qui un nuovo capitolo e mi scuso se ci ho messo tanto :D Le idee son tante ma articolarle insieme non è sempre facile :D
Accenno al prossimo capitolo: “Eravamo rimaste chiuse, al buio. Ormai era sera mia madre sarebbe rientrata a breve. La botola era chiusa. Non potevamo più uscire. Dovevamo fare qualcosa e in fretta. Nicole era in lacrime, come me del resto. Prese dal panico ci accasciammo a terra, l’una vicina all’altra e ci addormentammo in un sonno profondo e indisturbato, senza sogni.”
Saluti: Un grosso bacio e saluto a chi legge i miei capitoli in Particolare un grosso abbraccio soprattutto a Follemente Me, Alexeia, Kay33 e EllaMasen :D Un bacione :D
  
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