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Autore: L i f e    24/02/2013    5 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA: scusate, cercherò di riprendere appena possibile ._.
In tutti i regni di Ludia qualcosa di terribile sta succedendo, come in un domino di problemi.
Tessera dopo tessera, la regina del mondo di FairyTale cercherà di completare il suo piano malvagio.
Cinquanta volte il sole calerà, e il regno delle streghe avrà inizio.
Ma la nostra Pandora, l’antica prescelta, nasconde ancora un segreto.
Ci saranno colpi di scena,
Lacrime e gioia,
Paura e armonia,
Amore e magia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"Come il destino giochi brutti scherzi"'
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In the world of FairyTale – As fate plays bad tricks
Capitolo 1: Ricominciare
*Ebbene sì, ragazzi, ce l’ho fatta! Finalmente eccovi il seguito di “Uno scrigno, una ragazza e una giornata no – Come il destino giochi brutti scherzi :D*


Posai la rosa bianca sulla lapide, il segno di una lacrima che mi rigava il viso, sbavando il trucco sui miei occhi.
Feci un respiro profondo.
Erano già due settimane, due settimane che non avevo più i genitori.
Uno stupido incidente d’auto, ecco cosa li aveva uccisi.
Quando lo venni a sapere, il mondo sembrò crollarmi addosso.
“Ho solo ventidue anni, ho bisogno di voi!” pensavo.
Soprattutto adesso, perché in quel periodo, sembrava che tutto andasse per il verso storto.
Ero stata licenziata.
Facevo la segretaria d’ufficio, ero solo agli inizi, e mi occupavo di portare i clienti nella sala conferenze, offrirgli un caffè e stupidaggini simili.
Eppure, ero riuscita a sbagliare anche quello.

“Stupidi tacchi.” Pensai. Se non fosse stato per loro, non sarei caduta addosso al cliente più importante che era mai arrivato nell’azienda, e soprattutto non l’avrei ustionato con il caffè bollente.
Con il capo non c’erano state scuse; in poco tempo mi licenziò, senza fregarsene di me.
Sbuffai nuovamente.
Diedi un ultimo sguardo alla tomba dei miei genitori, respinsi una lacrima, e iniziai a camminare sul sentiero di ghiaia che portava al parcheggio fuori dal cimitero. Sentivo la ghiaia scricchiolare sotto i miei piedi, insieme al rumore della pioggia sottile che scendeva in quel momento, bagnando leggermente la strada, che subito prese l’odore di asfalto che proprio non sopportavo.
Tirai la cerniera della mia borsa, presi le chiavi della macchina e mi chiusi immediatamente dentro.
Accesi l’auto, infilai un CD nello stereo e mi lasciai scuotere dalla musica rock che ascoltavo in quel periodo, forse per convincermi che tutto sarebbe andato meglio, anche se non ci credevo nemmeno io.
Dopo circa mezz’ora, arrivai davanti all’appartamento in cui vivevamo io e il mio fidanzato. Sbattei la portiera della macchina con un colpo secco, poi iniziai a salire le scale, il rumore dei miei passi che risuonava per i corridoi silenziosi. Cercai le chiavi del mio appartamento, e, non trovandole, mi convinsi di averle dimenticate sul comodino della camera, allora scossi la testa sconsolata, sedendomi contro la porta, e aspettando che Grisam tornasse. Dopo qualche minuto, ricordai che tenevamo un mazzo di chiavi di riserva sotto lo zerbino, e potei finalmente entrare in casa.
Chiudendo la porta, mi resi conto che c’era un ombrello nel portaombrelli, ancora bagnato, e dedussi che Grisam fosse già tornato.
“Non mi ha neppure sentito.” Pensai, vedendo il salotto deserto.
Mi tolsi il cappotto lentamente, appoggiandolo sull’appendiabiti, poi mi levai anche gli stivali, rimanendo in calze, e camminando in punta di piedi fino alla cucina.
Quando arrivai nella sala, sentii un profumo di cioccolato che aleggiava per la cucina, e non potei fare a meno di sorridere vedendo il mio ragazzo, con un ridicolo grembiule rosso legato alla vita.
-Oh, sei tornata.- mi disse, girandosi, mentre mescolava del cioccolato in una ciotola. Quando vide il mio trucco sbavato, cambiò espressione, appoggiò la ciotola e mi disse, comprensivo: -Va tutto bene?-
Sapevo che lo diceva con tenerezza, ma a quella domanda mi riempii di rabbia, e risposi seccamente: -Come vuoi che vada?! Sono stata licenziata dal lavoro, i miei genitori sono morti…- iniziai a elencare, contando sulle punte delle dita le disgrazie che mi stavano capitando.
Grisam si avvicinò ancora di più, mi zittii mettendomi l’indice sulle labbra, poi sussurrò: -Ehi, stai calma.-
Per un attimo ci guardammo, i miei occhi magnetici che fissavano i suoi color della pece, alla fine non potei fare a meno di scoppiare a ridere, vedendo i suoi capelli biondi pieni di farina, e la sua faccia, dall’espressione incomprensibile.
-Te sei proprio fuori di testa.- sentenziò lui, sorridendo a sua volta e riprendendo a mescolare l’impasto di quella che, immaginai, dovesse essere una torta al cioccolato.
-Può darsi.- risposi ridendo.

Quel ragazzo era qualcosa di speciale per me. Riusciva a farmi sorridere con uno sguardo, anche nei momenti peggiori. Senza di lui, non saprei proprio come fare.
Sentii un rumore dalla porta del bagno, e vidi la mia gatta nera che usciva, aprendo un piccolo spiraglio con il musetto.
Lasciavamo sempre la finestra del bagno aperta, in modo che la mia gatta potesse entrare e uscire di casa quando voleva.
Osservai la sua figura elegante muoversi per casa, senza fare il minimo rumore, grazie ai cuscinetti morbidi che aveva sotto alle zampe.
La vidi strusciarsi sulle caviglie di Grisam, poi mi lamentai: -Ehi! La tua padrona sono io però!- e misi un broncio da bambina.
La gatta sembrò aver capito, allora si avvicinò e fece le fusa, mentre le accarezzavo dolcemente il pelo morbido.
-Che gatta intelligente.- affermai.
-E’ solo un’approfittatrice, quella prende coccole da chiunque.- obiettò Grisam. Gli diedi un’occhiata di sbieco, lui alzò le spalle, e versò il contenuto della ciotola in una teglia rotonda.

Era sempre stato lui il cuoco di casa. Aveva sviluppato una particolare propensione per la cucina, cosa che, invece, avrebbe fatto molto più comodo a me, dato che ero sempre io a cucinare i pasti, essendo colei che tornava prima dal lavoro, e beh… Adesso che il lavoro non l’avevo proprio…
-A proposito…- iniziai, dubbiosa.
-Sì?-
-Com’è che sei già tornato da lavoro?-
-Te l’ho detto che oggi c’era mezza giornata, solo che non te lo ricordi.- rispose lui, con un tono mezzo sconsolato, come a dire “Come ho fatto a innamorarmi di una così?”
-Oh, è vero.- ammisi, desiderando di sprofondare nello sgabello sul quale ero seduta.
-E… perché stai cucinando quell’invitante torta al cioccolato?- chiesi nuovamente, dando un’occhiata verso la teglia.
-Perché domani vengono James e Diana a pranzo, ti sei dimenticata anche questo.-

Sbuffai, maledicendomi in silenzio.
James e Diana si erano sposati un anno fa, erano sempre stati la classica “coppietta felice”, e non avevano aspettato molto al matrimonio.
Erano rimasti i miei migliori amici, però, in quel periodo, ci eravamo persi di vista, perché dopo il matrimonio loro erano voluti rimanere un po’ soli, e noi…noi invece avevamo avuto tutta quella serie di problemi interminabili.
Sorrisi al pensiero di rivedere i miei amici, poi mi passai una mano sul viso, e ricordai di avere ancora su il trucco.
Andai in bagno a struccarmi. Sussultai, quando vidi il mio riflesso nello specchio, e mi avvicinai prendendo in mano lo struccante.
Mi tolsi i residui di matita nera dagli occhi e dal viso, levai il rossetto color ciliegia che portavo, e mi sciolsi i capelli ricci, ravvivandoli un po’.
“Decisamente meglio.” Pensai, soddisfatta.

Con il tempo, ero diventata una donna, ma, come diceva Grisam, sembravo ancora una bambina, forse per i capelli ricci, ribelli e indomabili, che mi ostinavo a non piastrare, perché amavo così com’erano; o forse per gli occhioni verdi, che, da spalancati, mi conferivano un’espressione tipica dei bambini, quando sono stupiti per qualche sciocchezza…

Uscii dal bagno spegnendo la luce, poi mi diressi nuovamente in cucina, passando per la sala da pranzo, dove, con mio grande stupore, era stato preparato tutto per una cena al lume di candela.
-Come sei romantico.- dissi, senza una particolare intonazione, sporgendomi verso la porta della cucina.
-Visto?- sorrise lui. –Ammettilo che un po’ sei stupita.-
-Mh, sì, un pochino.- risposi.
-La solita testona orgogliosa.- affermò Gri, appoggiando la torta finita sulla penisola della cucina, e avvicinandosi a me, servendo la cena in sala da pranzo.
Cenammo abbastanza velocemente, mangiando dei piatti che, devo ammetterlo, erano proprio favolosi, e ridemmo e scherzammo tutta la serata.
Anche questa volta, Grisam era riuscito a sorprendermi, e farmi dimenticare i brutti pensieri.

                                                                                                                         ***
La mattina dopo, mi svegliai per colpa della sveglia di Grisam, che puntualmente suonava tutte le mattine.
Strinsi gli occhi, rannicchiandomi ancora di più, e sentii il braccio di Grisam passare dalla mia schiena alla sveglia, e spegnerla in fretta.
-Stupida sveglia.- mugugnai.
-Buongiorno anche a te, tesoro.- rispose lui, ridacchiando.
Aprii gli occhi, mi stiracchiai leggermente, e stampai un bacio sulle labbra del mio ragazzo, che ricambiò stringendomi in un abbraccio morbido e caldo.
Ad un certo punto, Luna si avvicinò a noi, spostandosi dai piedi del letto, dove dormiva solitamente.
-Gatta rompiscatole.- disse Grisam, abbracciandomi ancora di più, come per dire alla gatta di andarsene.
Quella, invece, si intrufolò nel letto, mettendosi fra me e il ragazzo.

Scoppiai a ridere, mentre Grisam guardava male la gatta, che rispondeva allo sguardo con occhi innocenti. Diedi un bacino anche a Luna, che miagolò scuotendo la testa, poi mi alzai dal letto, stringendomi nel mio pigiama blu, e infilandomi immediatamente le ciabatte affianco al letto.

Corsi in cucina, alla disperata ricerca di un caffè per svegliarmi, poi ringraziai l’esistenza delle macchinette del caffè che fanno tutto da sole, premetti un pulsante e aspettai, mentre accendevo la radio in cucina.
-Ma non posso dormire ancora un po’?- chiese Grisam dalla camera da letto.
-Certo che no, fra due ore e… e sedici minuti arrivano Diana e James.- dissi, guardando l’orologio appeso alla parete, raffigurante la bandiera inglese.
Sentii il biondo scendere dal letto pesantemente, e poco dopo lo vidi apparire in cucina. Afferrò le tazze piene di caffè giusto in tempo, prima che il contenuto strabordasse, e mi guardò con un sopracciglio alzato.
-Ops.- fu tutto ciò che riuscii a dire, reprimendo l’istinto di ridere di nuovo.

Lui scosse la testa ridendo, poi mi porse una tazza, e bevemmo in silenzio il nostro caffè. Guardai fuori, vedendo il sole che splendeva su Londra, e che la faceva brillare, dopo un’intera notte di pioggia. Era raro un sole così bello a Londra, di solito pioveva sempre, oppure c’era nebbia, quel tipico tempo che ti fa venire voglia di dormire e rimanere a casa, magari a leggere un bel libro davanti al camino.
-Che bella giornata.- mi lesse nel pensiero Grisam.
-Già, mi viene voglia di andare a fare una passegg…OH NO!- gridai, fermando appena in tempo la tazza di caffè che avevo inavvertitamente lasciato cadere.
-Che succede?- mi chiese il ragazzo.
-Oggi devo…ecco… sai, la faccenda dell’eredità…-
-Ah, già… Ma non era alle dieci e qualcosa?-
-Sì.-
-E adesso che ore sono?-
-Le dieci e qualcosa.- risposi io, correndo in bagno a lavarmi, per poi lanciarmi verso camera mia e vestirmi in fretta.
Uscii di casa lasciando un Grisam allibito a guardarmi, mentre mi precipitavo in macchina e correvo verso la casa dei miei genitori.
Ero figlia unica, perciò, al momento della morte dei miei genitori, la casa era diventata di mia proprietà, e oggi il notaio doveva darmi ufficialmente le chiavi.

Arrivai all’appuntamento con il notaio in ritardo, parcheggiai in fretta e corsi fino a lui, che stava per ritornare in macchina e andarsene.
-No, aspetti!- gridai.
L’uomo si fermò, mi puntò un dito contro e chiese: -La signorina Ribès?-
-Sì, Pandora Ribès, piacere.- mi affrettai a rispondere, porgendogli la mano destra. L’uomo mi strinse la mano, si presentò e in poco tempo mi diede le chiavi, facendomi firmare qualche carta, e ripartendo velocemente, perché, a quanto mi aveva detto, stava arrivando in ritardo ad un altro appuntamento.
Feci un sorriso di scuse, poi sospirai e mi avviai verso la porta di casa.

Infilai la chiave nella toppa, presi un sospiro e aprii.
Un’ondata di ricordi mi investì da capo a piedi. Per un attimo, mi sembrò di vedere me stessa, Diana e James tredicenni, a giocare alla play station in salotto, e la stessa sensazione la provai quando entrai in cucina, e vidi il microonde, sul quale spesso mi ero basata per riuscire a mangiare un pranzo caldo, quando mia mamma e mio papà erano a lavoro e nessuno poteva cucinare per me.
Era strano. Almeno una volta a settimana, infatti, venivo qui, per salutare i miei genitori e parlare un po’, quindi non era molto che non ci andavo.
Eppure, vedere la casa silenziosa, con tutti gli oggetti al loro posto, mi provocò una stretta allo stomaco, e per un attimo le lacrime mi salirono agli occhi.
Salii le scale che portavano al piano superiore, ed entrai in quella che, ai tempi, era la mia camera da letto, il mio rifugio, la mia tana.
Guardai con un sorriso tutti i miei peluches, il computer, perfino la cartella di scuola, appoggiata in modo ordinato ai piedi della scrivania in legno, e pensai che camera mia non era mai stata tanto ordinata.
Rimasi un attimo lì, ad osservare i miei ricordi, tutte le mie foto da bambina…
"Questi siamo io e James che portiamo a spasso Otto.” Pensai, toccando una foto. “E questi, siamo io, Diana e James, il giorno del diploma; questa invece… oh, questo è il primo appuntamento fra me e Grisam…” pensai nuovamente, scorrendo una a una tutte le foto, con una nota di malinconia.
Inspirai forte il profumo caratteristico della mia camera, di burro-cacao alla fragola e matite temperate, poi mi chiusi la porta alle spalle e mi incamminai nel corridoio. Passai davanti alle scale che conducevano in soffitta. Un po’ stupita, e un po’ curiosa, mi fermai, indecisa sul da farsi.

Alla fine, optai per salire in soffitta.
Se, quando avevo tredici anni, passare sotto al punto in cui il tetto era basso era complicato, da ventiduenne era praticamente impossibile.
Mi misi a gattonare fino all’altra parte della stanza, picchiando la testa due o tre volte, poi finalmente mi alzai in piedi.
Non riuscii a trattenere un “Wow” sussurrato, davanti alla bellezza di quella stanza. Camminando nella semi-oscurità, inciampai in qualcosa.
Appoggiai le mani appena in tempo, poi mi sedetti in ginocchio, e cercai a tentoni in cosa ero inciampata.
Era un quaderno.
“Il mio quaderno di disegno!” esclamò una vocina dentro di me.
Riconobbi la copertina sporca di pittura, con la scritta “Pandora” in fucsia –e qui alzai gli occhi al cielo- contornata da una serie di fiori colorati.
Non resistetti alla tentazione di aprirlo, allora tirai il nastro che lo teneva chiuso, e iniziai a sfogliarlo, pagina dopo pagina.
Arrivai alla fine, e trovai due cose che mi fecero rimanere a bocca aperta.

Una poesia, che parlava di un mondo magico e di un principe azzurro, e poi un simbolo, che avevo già visto, ne ero sicura.
Inizialmente pensai che fosse uno dei giochini fantastici che immaginavo da piccola, eppure quel simbolo… sì, era qualcosa di più di un gioco per bambini.
Sfogliai ancora il quaderno, senza trovare nulla di interessante, e, proprio mentre stavo per chiudere tutto e andarmene, sfogliai l’ultima pagina del quaderno, e una frase apparì davanti ai miei occhi increduli:

-Brava Pandora, ce l’hai fatta. Ricorda, devi solo chiedere.
Crystalia

Sbarrai gli occhi, tornando indietro con le pagine, e continuando a tornare all’ultima, credendo di aver visto male, ma la frase continuava a brillare alla fine della pagina.
-E cosa dovrei chiedere?- dissi fra me e me.
–Se chiedessi, per esempio, un mondo magico, un posto dal quale scappare una volta per tutte, lontano da qui…-

Qualcosa cadde da una mensola.
Mi avvicinai tremante, e vidi che ciò che era caduto: era un semplice carillon in legno, che profumava di ciliegie.
Per un attimo avrei giurato di vedere lo scrigno brillare, ma quando sbattei le palpebre, era rimasto normale.
Avevo un vuoto di memoria.
No, non era un vuoto di memoria, era una specie di… déjà-vu.
-Fantastico.- dissi sarcastica. –Come può un…un portagioie, mandarmi via da qui?- chiesi nuovamente, come se stessi parlando al vento.
Per tutta risposta, un raggio di sole illuminò un angolo della stanza, e finalmente riuscii a guardarmi intorno, perché il raggio aveva incontrato una superficie dorata, che fece risplendere d’oro tutta la stanza.
Andai gattonando fino a quell’angolo, poi allungai un braccio, cercando di raccogliere la fonte di luce. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, riuscii a prenderla. Era una chiave dorata, dalla superficie liscia e fredda.

Stavo ragionando sul da farsi, quando sentii il cellulare vibrare nelle mie tasche.
-Pronto?- dissi, schiacciando il tasto verde.
-Sai che ora è? Fra poco arrivano gli ospiti, muoviti!- mi rispose la voce di Grisam, riattaccando immediatamente, senza darmi il tempo di rispondere. Guardai l’orario sul display, e scoprii con orrore che il mio ragazzo aveva ragione –di nuovo-.

Senza ulteriori indugi, misi il carillon, la chiave, e…sì, anche il quaderno, nella mia borsa, e corsi fuori di casa, sperando che Diana e James non fossero già arrivati.


*Angolo autrice:*
Eccolo, il primo capitolo pronto per voi :D
Sono felicissima di poter continuare questa storia, perché Pandora mi stava davvero troppo simpatica, non potevo abbandonarla xD
Come chi ha letto la storia precedente avrà notato, Pandora si ritrova esattamente nella stessa situazione di una volta, solo, diciamo… in un contesto diverso :)
Mi scuso per il tono drammatico dell’inizio, ma un po’ di disperazione ci vuole ogni tanto u.u
Beh, che dire… spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, chiunque abbia qualcosa da dire è cortesemente pregato di recensire, voglio sapere cosa ne pensate :3
Prometto che non vi farò aspettare un’eternità per gli aggiornamenti, sapete che su queste cose sono precisa, salvo inconvenienti v.v Quindi, penso che aggiornerò una volta a settimana, okay?
Un abbraccio,
Felì

 

  
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