Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Josie5    26/02/2013    17 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )


 

20. Il regalo di Parker



In quelle settimane avevo dovuto riorganizzare le mie priorità. Priorità nei miei pensieri e nell'occupazione del mio tempo.

Al primo posto si trovava Elizabeth.

Era stata dimessa molto prima di quello che avevo creduto e aveva passato i giorni dopo a casa con me, per finire di recuperarsi prima di tornare alla sua normale vita. A me andava più che bene così: avevo una "mamma" a tempo pieno e sapere di averla sempre così vicina, a portata di mano, (bastava cercarla o in camera o in sala, sul divano, ed era lì!) era una deliziosa novità e di sicuro rassicurante. Rassicurante perchè dopo quell'esperienza tendevo a starle il più possibile addosso, temendo davvero che potesse sparire da un momento all'altro: come una bolla di sapone o un fiocco di neve sull'asfalto bagnato, e vederla sempre era l'unica cura che avevo trovato contro quella nuova paura di essere abbandonata.

Quindi la priorità ce l'aveva Elizabeth a cui subordinavo scuola, lavoro, giornale. E ce l'avrebbe avuta finchè non fosse tornata a New York.

Dopo c'era il tentativo di calmare i miei nervi e la sopracitata fobia. Ero stata tentata anche di cercare video per praticare lo yoga a casa ma avevo presto rinunciato.

Al terzo posto, oscillante verso il secondo (dato gli scarsi risultati), c'era Francy e la mia normale vita da recuperare.

La normalità, che sembrava non appartenermi più da anche prima dell'incidente, era in realtà lontana, ma provavo a pensarci il meno possibile e ad andare avanti, forte come sempre, come mi aveva detto Francy dopo avermi raggiunta per la seconda volta all'ospedale.

I punti successivi non erano nemmeno numerati, salivano e scendevano a seconda delle situazioni. Ma molti riguardavano la stessa persona. 

Perchè in realtà tra le prime tre priorità, a pari merito con le altre, ci sarebbe dovuto essere anche Parker, che invece tendevo a schiacciare infondo alla lista, provando a non ricordarmi più di lui.

Provando. 

Infatti era inevitabile il contrario. 

Ero innamorata, davvero, e non potevo più fuggire a me stessa. 

La parte del rendersene conto era stata eliminata dall'elenco delle cose da fare, insieme all'assimilazione dell'informazione.  

Chiarire con me stessa cos'avrei dovuto fare di conseguenza era invece ancora il punto da risolvere. 

Francy mi aveva aiutata in tutto, a sistemare il resto, a mettermi in ordine dopo l'incidente di mia zia, ad indirizzarmi verso la strada che avevo faticosamente intrapreso fino a quel momento; ma non aveva potuto aiutarmi con Parker. 

Perchè? 

Perchè non le avevo ancora detto di essermi innamorata di lui. 

Tra le priorità c'era anche quella confessione da fare che rimandavo e rimandavo. 

Perchè lo facevo? 

Temevo che tutto diventasse troppo reale dicendolo chiaramente ad alta voce? 

Ma non era dopo tutto già abbastanza reale? O forse temevo che Francy provasse a farmi agire anche per quello, come con tutto il resto? 

Il problema, probabilmente, era che sapevo già cosa mi avrebbe suggerito di fare lei, sentendo quella rivelazione. 

A parte le urla e le offese, per non essere stata avvisata prima, ci sarebbero stati i "Lo sapevo!" E poi la frase che non volevo assolutamente sentire in qualsiasi caso: "Devi dirglielo!" 

La sentivo detta con la sua voce, chiara, limpida, cristallina, come se l'avesse già pronunciata. 

E la mia risposta era no. 

No. 

Assolutamente no. 

Pensando a quelle cose mi venivano in mente scene in cui io confessavo i miei sentimenti a Max e tutto andava male, sfociando nella mia inevitabile morte per quell'assurda malattia. 

E sarebbe successo esattamente quello. Non poteva andare bene, era ovvio. 

Sentivo poi anche la risposta di Francy al mio no: "E allora cos'hai intenzione di fare?" Sempre col tono irritato, per farsi ascoltare ed essere assecondata. 

Ma appunto, Evelyne, cos'avevi intenzione di fare? 

Beh. 

Non ne avevo idea. 

Fino a quel momento, durante quelle settimane, mi ero solo detta che la soluzione sarebbe arrivata da sé, magari direttamente dal cielo, un regalo divino per compensare quell'assurda punizione. 

Settimane in cui Max ed io ci eravamo visti poco: io troppo impegnata con Elizabeth per andargli a pulire casa o le solite cose; lui fin troppo accondiscendente, capendomi ed evitando casa mia per non farsi vedere dalla zia maniaca ed adorante. 

Erano state settimane in cui a volte, la sera, prima di dormire, avevo pensato che la soluzione potesse essere semplicemente di eliminare la parola amore dalla mia testa, guarendomi con una sorta di placebo, senza niente di concreto, ma dicendomi solo di essere guarita; inutile dire che cambiassi idea poi ogni mattina, vedendo Max che mi sorrideva, alternando i soliti sguardi ironici a quelli sinceri, disarmandomi, uccidendomi e sbattendomi in faccia la cruda realtà. 

Contro il virus Parker serviva una medicina seria, altro che placebo. 

E io ero un caso disperato, ma si sapeva. 

Innamorata del proprio carnefice. 

Quindi le settimane in cui io avrei dovuto completare tutti i punti della lista delle priorità erano ormai finite: il giorno seguente ci sarebbe stato il mio compleanno e poi Elizabeth sarebbe tornata a New York. 

E io non avevo risolto un bel niente, intanto. 

Pensavo a tutto quello, osservando i capelli di Max da circa un paio di minuti. 

- E quindi ... - Borbottò di nuovo, portandosi la penna in bocca e cominciando a mordicchiarla piano. 

- Ci stai capendo? - Chiesi, cercando di smettere di guardare il corto filo rosso, proveniente dalla felpa della squadra di basket che stava indossando, tra i suoi capelli. Ero io a non starci capendo molto, in realtà, a cercare di trattenermi dall'allungare la mano. 

Aggiunsi all'elenco delle priorità, barra cose da fare, l'auto-fustigazione per quei problemi mentali che cominciavano a insorgere sempre più violentemente. 

Mugugnò qualcosa, distraendomi; continuò a tenere basso lo sguardo sul suo quaderno di matematica, ma gli occhi chiari si intravedevano e guardavo quelli. 

Cominciai a pensare se davvero punirmi potesse essere la soluzione, o per lo meno minacciarmi.. 

Evelyne, guarisci, dimentica Parker, sennò frustate! 

Sembrava un'idea masochista, ma forse avrebbe fatto reagire le cellule celebrali. Ma in effetti stavo solo degenerando e peggiorando, a pensare a tutto quello. 

O valeva la pena di tentare? 

Max alzò lo sguardo all'improvviso, facendomi sobbalzare dalla sorpresa. 

Gli spuntò uno strano sorriso ironico. - Cosa c'è?

Feci una smorfia. - Penso che sei un idiota a non riuscire a fare della roba così facile.

- Sì certo - si lamentò, irritandosi subito e tornando a guardare il quaderno con un broncio abbastanza infantile. 

Quella era l'ora di pranzo ed eravamo, invece che nella mensa a mangiare, come persone normali, chiusi dentro l'aula di latino.  

Nella nostra scuola infatti venivano date anche lezioni di quella vecchia lingua morta, ma nessuno, tranne una quindicina di coraggiosi, l'avevano scelta. Per questo l'aula rimaneva per lo più vuota e a noi serviva silenzio per quei pochi minuti di concentrazione. 

Hoppus aveva programmato, per la solita lezione dell'ultima ora, un nuovo test: aveva infatti intuito che la classe avesse copiato durante la sua assenza e il compito era stato fissato con un particolare sadismo. Parker aveva preso una F, l'ultima volta, l'unico tra tutti a non aver copiato, e, se non voleva essere sospeso dagli allenamenti di basket, quel giorno doveva farcela a prendere almeno una C.

Mi venne leggermente da sorridere, ripensando agli allenamenti a cui aveva continuato ad andare, di nascosto da suo padre, e alla borsona che usava, nascosta perennemente nel mio baule. Mi venne da ridere, ripensando alla faccia che faceva Dawn ogni volta che lo vedeva aprire la mia macchina, per prendere quel suo effetto personale. 

- Evy? - Mi chiamò di nuovo, guardandomi. 

- Sì, scusa. - Sbadigliai, provando a dissimulare il tutto velocemente con finta noia; mi alzai dalla sedia, aggirai il banco e lo affiancai.  

Gli spiegai velocemente l'esercizio che non aveva capito e alla fine si arrese, chiudendo tutto. 

- Come va, va! - Proclamò, infilando l'unico quaderno dentro lo zaino. 

- Dopo le mie fantastiche lezioni non può non andare bene! - Ribattei, sorridendo leggera, rimanendogli a fianco. 

Sollevò lo sguardo e gli occhi verdi erano scettici, ma in ogni caso tremendamente belli. Deglutii cercando di darmi un contegno.

Avevo anche notato che, dopo la rivelazione, non riuscivo quasi più a censurare certi pensieri nel modo in cui, prima, quasi senza rendermene conto, avevo sempre fatto. - Ma se non mi hai spiegato un cazzo. E se ti richiedo qualcosa dopo un po' ti arrabbi!

Mi accigliai. - Non è assolutamente vero!

- Sì invece, e sei una pessima insegnante, non sceglierla come carriera, ti prego! - Si lamentò, alzandosi in piedi e sormontandomi come sempre. 

Gli feci il verso, pur sapendo che aveva ragione, mentre mi allontanavo. - Non capisco allora perchè le chiedi a me le lezioni.

- Perchè sei la mia schiavetta, ti ricordo, e posso fare quello che mi pare! - Fischiettò, raggiungendomi e superandomi. 

- Smettila di non rispondere alle domande e non puoi fare quello che ti pare!

- Con te sì! - Disse con un sorriso vittorioso, ignorando come al solito quello a cui non voleva rispondere. 

Mi accigliai e lo seguii pronta a litigare. Perchè Evelyne normalmente con lui ci litigava e molto spesso, non sbavava seduta a guardargli i capelli, le ciglia chiare, le mani che si muovevano distratte sul tavolo, le labbra che si chiudevano intorno alla biro. 

Persa in quei pensieri esitai troppo e lui, arrivato alla porta, si girò con un'espressione strana. - Ah e domani è il tuo compleanno vero?

Mi colse alla sprovvista e velocemente mi si dipinse una specie di sorriso sulle labbra, sorpreso ma contento. - Sì. Te lo ricordavi?

- Facebook. - Cercò di trattenere una risata. 

- Logico - sibilai fin troppo evidentemente irritata. 

Max scoppiò finalmente a ridere e uscì dalla classe. - Su, che era questo mese lo ricordavo, non piangere, Evelyne!

- L'unica cosa per cui potrei piangere è sapere che avrò a che fare con te anche il giorno del mio compleanno. Una gioia davvero - commentai apatica e acida come dovevo in effetti essere. 

- Mi avrai come regalo di compleanno! - Disse e mi sentii sfiorare il braccio dalle sue dita, mentre fisicamente mi faceva notare che avrei dovuto cambiare reazione per quella frase. 

- Ho i brividi al pensiero - risposi. E i brividi in effetti ce li avevo. 

Max sbuffò e mi girai a guardarlo, camminando nel corridoio, diretti verso la mensa. - Di buon umore oggi?

- Come sempre in tua presenza. - E sorrisi. 

Sollevò le sopracciglia e gli occhi verdi provarono a leggermi velocemente dentro; si inumidì le labbra, ma distolsi lo sguardo per non rischiare nemmeno che potesse capire qualcosa.  

- Hai le tue cose? - Concluse brillantemente. 

Ma cosa volevo che potesse capire ... 

Non gli risposi nemmeno e scossi la testa, entrando finalmente nella stanza dov'era riunita pressoché tutta la scuola.  

Molti sguardi si posarono su di noi: continuavamo ad essere uno strano fenomeno misterioso e non ben capibile. 

- Dai, Gray, scherzavo! - Mi chiamò, ridendo e passando ovviamente all'uso del cognome, come da prassi ogni volta che eravamo a portata d'orecchio e irritandomi. 

Lo fulminai e basta dal basso. - Io no!

Alzò velocemente gli occhi al cielo, divertito e stando senza molti sforzi dietro al mio passo veloce. - Adesso parlo sul serio: vuoi un regalo?

Lo guardai scettica e fin troppo in guardia. - Non essere stressata da te per un'intera giornata sarebbe probabilmente la migliore cosa del mondo!

Era un po' una bugia. Un po' tanto. 

Parker esibì uno sguardo offeso e si portò la mano al cuore, teatralmente, fin troppo di buon umore. - Gray! Così mi offendi! E io che volevo festeggiare con te la nostra splendida amicizia ...

- Vaffanculo! - Gli diedi un colpo sul braccio, stizzita da tutta quell'ironia e arrivai a passo pesante alla fila per la cassa, davanti al cibo. 

- Che tenera che ti offendi se scherzo sulla nostra particolare ed intima vita sessuale ... - Disse, tranquillo, affiancandomi e facendosi, apposta, sentire dai ragazzi e le ragazze della fila. Tutti si girarono. 

- Dio, Parker! - Ringhiai, provando di nuovo a picchiarlo, ma facendolo solo ridere. - Scherzava! - Mi giustificai con quelli che, intanto, con gli amici, si erano messi già a confabulare.  

- Sì, infatti! - Confermò divertito, facendo di sicuro solo aumentare i sospetti. 

Sospirai alzando la mano e passandomela sulla fronte, chiudendo un attimo gli occhi. 

Come faceva a piacermi quell'essere? Come potevo aver pensato di essere innamorata di quell'individuo? 

- Comunque, seriamente, cosa vuoi per domani? - Ripetè e dal tono sembrò serio. Lo guardai, riaprendo gli occhi ed incrociando i suoi, verdi, limpidi, sinceri, senza scherno, belli, sorridevano come la sua bocca. 

Sapevo come avevo potuto pensare di essere innamorata di lui. 

Mi sentii le mani umide, la gola secca, tutto all'improvviso e per quello sguardo. Andai velocemente nel panico e cercai una via di fuga nella solita ed acida Evelyne: - Che tu non mi rovini la giornata! Davvero, Parker! - Dissi di nuovo e mi uscì con un tono duro, troppo serio, quasi rancoroso. 

E l'Evelyne innamorata era in protesta. 

All'Evelyne innamorata quasi si spezzò il cuore, vedendolo fare una smorfia e cambiare la luce negli occhi, mentre il buon umore, in quell'essere lunatico, spariva in un nano secondo. - Va bene. Che acida pesante e misantropa - si lamentò e, dopo aver sbuffato, se ne andò senza aggiungere altro. 

Rimasi lì, sconcertata, chiedendomi davvero perchè lo avessi detto. 

La ragazzina davanti a me sembrò poi guardarmi con rimprovero. 

La guardai col broncio: cosa voleva? Tanto gli sarebbe passata, a me invece no. 


 


 

- TANTI AUGURI AD EVELYNE! TANTI AUGURI A TE! - Francy stonò nell'ultima pezzo quell'orrenda canzoncina. Ma davvero a qualcuno piaceva sentirsela cantare senza tremare (quel giorno ero particolarmente drammatica) dall'imbarazzo? 

- Smettila! - Cercai di zittirla, ridendo. 

Si era messa a cantare in mezzo al corridoio, abbracciandomi, e in tanti passavano, guardandoci divertiti. 

- Sono diciotto! Non posso non urlare la canzoncina il giorno dei diciotto! - Ribatté convinta. 

- Ma è il mio compleanno e dovresti assecondarmi! - Continuai, sorridendole però contenta. 

Francy sbuffò e, mentre aprivo il mio armadietto, sentii la zip del suo zaino aprirsi di colpo. Mi girai, ritrovandomi un pacchettino incartato in malo modo davanti. 

La guardai con gratitudine e, dopo un abbraccio e un bacio sulla guancia, mi appoggiai all'anta dietro di me e cominciai a strappare la carta. 

- Avrei dovuto dartelo alla festa, ma dato che non farai una festa e me lo sento, mi arrendo e te lo consegno oggi. - Alzò gli occhi al cielo mentre un sottile album di foto di un azzurrino chiaro, simile a quello delle buste di Tiffany che vedevo sempre in giro per New York, cominciava a spuntare sotto l'involucro. 

Lo estrassi, sorridendo come un'idiota. - Oddio, Francy. - Lo aprii e sfogliai, trovando foto di entrambe in quei nostri due anni di amicizia: a New York, al mare, durante i balli, alla fiera della città con zucchero filato, persino alcune foto mie, che rasentavano l'imbarazzante e pensavo avesse cancellato. Le ultime erano di Sadie Hawkins e della festa di Kutcher. - E' bellissimo! - Dissi, guardandola sinceramente contenta e un po' commossa. 

Mi osservò un po' imbarazzata. - Visto che questo è il nostro ultimo anno … Nel caso, per colpa dell'università, dovessimo vederci poco, almeno mi ricorderai un po'.

L'abbracciai di slancio, conficcandole quasi l'angolo dell'album nella pancia. - Ti penserò sempre, anche in quel caso, secondo te! - Ridemmo insieme per poi staccarci. 

Francy si sistemò i capelli dietro le orecchie e poi, prendendomi l'album, lo aprì verso la fine. - Ah e ti ho messo anche questa: scommetto che apprezzerai!

Il tono era tutto un programma e presi la foto, nemmeno attaccata, che mi stava porgendo, con fare diffidente. 

La osservai, sbattendo velocemente gli occhi: l'aveva fatta durante il ballo di Natale, era stata la fotografa ufficiale della serata, in effetti. - Sei pessima! - Commentai, continuando a guardarmi nel vestito azzurrino, con la mano di Ben su un fianco, mentre mi allontanavo da lui per guardare il ragazzo che avevo dietro: Parker che prendeva da bere e mi osservava divertito. Dal mio e dal suo sorriso, ironici, era chiaro che anche in quel momento ci stessimo offendendo, ma questo perchè io riconoscevo le espressioni e conoscevo entrambi. A un occhio inesperto saremmo sembrati quasi amici che si scambiavano due parole e semplicemente si sorridevano. 

Lo sembravamo quasi sul serio. 

- Puoi notare il bellissimo sorriso con cui gli urli dietro di solito: anche per questo è cotto di te e tu di lui. - Commentò Francy, sospirando e prendendomi in giro. 

Io sobbalzai a quell'affermazione e non la guardai, infilando la foto dentro l'album. - Certo, guarda, innamorati persi. - Francy non sapeva e non avrebbe ancora saputo. Come dirglielo?! Cominciai a spostare mentalmente i punti della lista delle priorità. 

Lei rise e la campanella mi salvò. 

Ci separammo poco dopo, io con l'album sotto braccio, al solito incrocio trafficato della nostra scuola. 

Andai verso l'aula di Letteratura Inglese con relativa calma. La Granger, la giovane professoressa, arrivava sempre in ritardo, trattenendosi ogni mattina a parlare con uno dei prof di Ginnastica. Girava la voce di un certo inciuccio trai due e a noi andava benissimo così. 

Persa nei miei pensieri e cercando di non dare spallate a nessuno, non mi accorsi del piccolo gruppo davanti a me finchè delle mani non mi fermarono.  

Alzai lo sguardo un po' sorpresa, trovando Kutcher, con i ciuffi neri più disordinati del solito, sorridermi amichevolmente. - Evelyne! Buon compleanno! - Esclamò subito.  

Billy, arrivando dietro di lui, lo affiancò, guardandolo male. - Guarda che stronzo! Se non era per me che aprivo facebook col cellulare nemmeno lo sapevi! - Poi posò gli occhi su di me e sorrise come mi sorrideva sempre. - Auguroni, comunque!

- Grazie - borbottai un po' a disagio e lanciando un'occhiata alle loro spalle. 

Kutcher, seriamente intenzionato a continuare a bloccarmi la strada e a non farmi andare via, mi prese l'album dalle mani e cominciò a sfogliarlo. - Regalo di Francy? Ci scommetto!

- Non cominciare a sbavarci sopra, eh! - Lo ammonì l'amico biondo, divertito. 

C'era Parker poco dietro di loro, impegnato a parlare con uno dei suoi compagni di squadra che Francy ed io ritenevamo assomigliare terribilmente a Corbin Bleu, di High school musical. E c'era anche Clark. L'ultimo, incuriosito, fece per avvicinarsi, mentre gli altri due sembrarono non notarci nemmeno. 

- Sì, di Francy. Sono tutte nostre foto in questi anni - spiegai, sorridendo e tornando ai ragazzi lì vicino. 

- Non è dolcissima?! - Kutcher assunse un'espressione commossa, parecchio esagerata. Billy sospirò. - E ah, Evelyne, vuoi che ti organizzi una festa di compleanno?! - Chiese Alex, sempre con entusiasmo e continuando a guardare le foto. - Ti offro anche casa mia!

- No, Alex, eviterei ... - Borbottai, immaginando già come sarebbe potuta andare una festa così grande, per me. E poi chi avrei potuto invitare per riempire una casa così grande?! Già l'idea di poterlo passare con Parker e la sua compagnia continuava a stonarmi come cosa. 

- Oh, tizia - Clark, che era arrivato finalmente a portata d'orecchio, mi apostrofò così, interrompendo una risposta di Kutcher. - Buon compleanno!

Ringraziai con un sorriso molto simile a una smorfia di fastidio e lui ricambiò, per poi mettersi a guardare le foto. Quanto ammmmore tra noi due. 

- Bleah, la Gray in costume - commentò, ridendo, Seth. Appunto, tanto amore. 

Lo fulminai e allungai le mani, pronta a riavere l'album. 

- Ma io non ho detto niente! - Si lamentò Kutcher e Billy lo assecondò, annuendo. Mi lanciarono due sguardi da cuccioli e seppur ansiosa di sorpassarli per incrociare Parker mi trattenni. 

Alzai gli occhi al cielo  assecondandoli. - Va bene, in fretta, su!

Ridacchiarono, sfogliando le ultime pagine e finendo le foto. - Ne volevo altre! - Si lamentò Kutcher, ridendo, e proprio mentre finiva di dire quella frase, girò un'altra pagina. Tra i due fogli dell'album, messo tra lui e Billy, scivolò leggermente una foto. Una foto non attaccata. 

Alex, Billy e Seth, che si era appostato dietro di loro per vedere, guardarono la foto, sollevarono le sopracciglia e poi alzarono la testa. 

All'inizio non capii e trovai solo quella sincronizzazione molto inquietante. 

Poi Kutcher prese su la foto per guardarla meglio e intanto si stava trattenendo dal ridere; Billy chiuse l'album e lanciò un'occhiata alle sue spalle, ridendo; Clark scosse la testa e fu lui a parlare: - Queste foto del tuo grande amore, come ce le spieghi? - Poi rise. 

Collegai e terrorizzata feci uno scatto verso Alex, strappandogli la foto mia e di Parker dalle mani, ma il danno era già fatto. - No, aspettate! - Quasi urlai. - Non è davvero come sembra! Era uno scherzo di Francy! Ve lo giuro! - Ero rossa come un semaforo, me lo sentivo. 

Billy mi allungò l'album, facendo l'occhiolino. - Sì, Evelyne, sì.

Presi anche quello, con abbastanza violenza, e mandandoli tutti a cagare li sorpassai. 

Solo in quel momento notai che Parker non c'era nemmeno più, ma ero troppo imbarazzata e troppo agitata per pensarci troppo. 


 

 

- Perchè hai fatto vedere la foto di Parker ai suoi amici? - Mi chiese subito Francy, mentre Emily ed io ci sedevamo al solito tavolo a mensa. 

Emily quando ero arrivata per inglese, in ritardo, rossa, ma pur sempre prima della prof, mi aveva fatto gli auguri e regalato un piccolo e bel braccialetto colorato che sfoggiavo allegra. 

- Non gliel'ho fatta vedere! L'hanno vista loro! - Mi lamentai. 

Okay, non ero allegra. 

Non ero allegra per niente. 

Andando a pranzo e incrociando di nuovo, per puro caso, Parker, avevo capito una cosa. Quel giorno, per il mio compleanno, proprio come gli avevo chiesto, mi avrebbe evitata. Ed evitata davvero, come aveva fatto prima, sparendo dietro i suoi amici senza nemmeno farmi gli auguri. Auguri che avevo ricevuto da Clark e non da lui.  

Evitata davvero come aveva fatto poco prima in corridoio, vedendo Emily, non guardando me e poi entrando dentro la mensa, come se niente fosse. 

Era infantile. Era un bambino. Era odioso. E io ero tornata a settembre, nemmeno ad ottobre. 

- Da quel che dice Kutcher, non l'hanno ancora detto a Parker solo perchè oggi è di umore pessimo. Ma quando gli passerà preparati a sue battute - mi avvisò Francy, divertita e sedendosi di fianco a me. 

Mi accigliai, versandomi dell'acqua nel bicchiere e facendo tintinnare il nuovo braccialetto. Lui? Lui di pessimo umore?! 

- Come mai? - chiese Emily, divertita. I nostri rapporti con i ragazzi più popolari della scuola la divertivano, non voleva esserne coinvolta, ma probabilmente le sembrava di star assistendo a qualche tipico film americano o ad una qualche storia di quelle che leggeva sempre lei su internet. Magari fossi stata in una di quelle storie, in quel caso i miei problemi sarebbero stati molti meno. 

Francy ridacchiò. - Alexuccio mi ha detto solo che ha trattato male persino Billy, quindi è grave.

- Alexuccio, Francy? - La rimbeccai, cercando di riprendere, almeno io, un minimo di buon umore. Perchè insomma, Evelyne, è il tuo compleanno, provai a dirmi con convinzione. 

- Sì, vabbè, uccio per dire ... - Minimizzò con un cenno. 

A salvarla furono Luke e Nick che si sedettero di fronte a noi.  

- Auguri Eve - borbottò timidamente il moro. 

- Buon compleanno. - Luke sorrise leggermente, nel suo tipico modo. 

Li ringraziai entrambi, sorridendo e recuperando sul serio in umore. 

Poco dopo, terminato il pranzo, appoggiai il mio vassoio su una delle solite pile che si formavano sempre a pranzo, sul tavolo vicino alla cucina. 

- Su, Eve, veloce - mi sgridò Francy, con tono scherzoso. 

Sbuffai, girandomi e facendo per seguire lei ed Emily, ma nel tragitto incrociai Ben. 

Sorrisi automaticamente, rallentando mentre lui accelerava per pararmisi di fronte. Dopo il ballo eravamo rimasti in relativo contatto, parlando se ci incontravamo, ma mai cercandoci a proposito. Non sconosciuti, ma nemmeno amici; due semplici conoscenti in rapporti abbastanza amichevoli ed era probabile che saremmo restati per il resto dell'anno in quella fase: io non sapendo ben cosa pensare del bacio che ci era stato e lui troppo educato, in un certo senso, per starmi troppo addosso col dubbio di infastidirmi e la cosa era strana date le confidenze che, a volte, senza un motivo, cercava di prendersi all'improvviso. 

- Evelyne! È il tuo compleanno vero?! - Mi salutò, attaccando subito con la domanda, ma sorridendo in quel modo che mi piaceva tanto. 

Guardai i suoi occhi neri ed espressivi e mi venne automaticamente da ricambiare quell'allegria. - Esatto. Facebook anche tu?

Gli comparve un'espressione colpevole, ma provò a negare. - Comunque - tossicchiò e, porgendomi il vassoio, fece scivolare lo zaino sulla spalla per poi aprirlo. - Avrei voluto fare di più ma si fa quel che si riesce ... - E detto questo riprese il vassoio, porgendomi in cambio un sacchettino trasparente con biscotti e dolcetti ricoperti da glassa colorata. 

Risi, sinceramente divertita e deliziata dallo scambio. - Regalo improvvisato stamattina?

- Ho avuto fortuna che mia madre ieri li avesse fatti! - Commentò con una faccia che mi fece sorridere. Ben, seppur solo un conoscente, aveva la capacità di distrarmi per un po' e l'apprezzavo davvero. 

- Sono comunque bellissimi!

- Sì, se c'è una cosa che mia madre sa fare è questa. Le sue torte alle mele sono la fine del mondo poi, un giorno se ti va potresti venire a provarle - mi invitò leggero, continuando a sorridere. 

Risi. - Ci penserò e forse ... - Buttai giù, facendo esageratamente la preziosa. 

- Per il mio compleanno? - Propose. - Non vorrei nessun altro regalo! Probabilmente ... - Insinuò. 

- Eve! - mi chiamò Francy, con una strana espressione e ancora poco lontana da me, ferma ad aspettarmi con Emily, evitando al ragazzo di fronte di sentire il mio sbuffo. 

- Forse potrei farlo … Comunque grazie mille, Ben, ma come vedi mi reclamano. Grazie ancora! -  Blaterai in fretta, accennando ad andarmene ma fui bloccata velocemente dal suo tocco sul braccio. Mi bloccai, incrociando ancora i suoi occhi scuri. 

- Dai, Evelyne! Aspetta un attimo! Non me lo merito nemmeno un abbraccio? - Chiese con un sorriso convinto e allo stesso tempo buffo. Per quelle uscite però non apprezzavo del tutto la compagnia di Ben, ma come sempre arrivavano dopo qualcosa di fin troppo gentile e non riuscivo, per qualche motivo, a dirgli di no. 

Accigliata e divertita annuii, dopo tutto potevo anche concederglielo, no?  

Mi sporsi quindi per un breve abbraccio, appoggiando la mano con cui tenevo il regalo sulla sua spalla. 

Mi staccai presto, ma proprio quando lo feci lui si chinò subito, lasciandomi un veloce e piccolo bacio sull'angolo della bocca.  

Mi ritrassi da quel contatto immediatamente e lo guardai male, mentre lui ricambiava con uno sguardo di nuovo colpevole, ma allo stesso tempo divertito: la sua faccia diceva che qualsiasi cosa avessi detto, lui, potendo tornare indietro, lo avrebbe rifatto. - E queste libertà? - Chiesi retorica, ma non riuscendo davvero ad essere del tutto arrabbiata.  

Non riuscii però ad ottenere una risposta.  

Un enorme fracasso alle nostre spalle, preceduto da un colpo sordo, mi fece sobbalzare e seguii lo sguardo sorpreso di Ben alle mie spalle. 

Le pile di vassoi erano cadute per terra, lasciando anche residui di cibo e alcune posate sporche, che la gente non aveva tolto per pura pigrizia; tutte a terra tranne l'ultima che, un po' storta, si era salvata. Vidi solo come ultima cosa Max, distinguendo i suoi capelli castani che sorpassavano abbastanza velocemente i suoi amici perplessi; se ne stava andando come se niente fosse. 

- Parker! - Urlò la cuoca della mensa, uscendo da dietro il bancone, con i capelli biondi arruffati sotto la cuffietta. - Max Parker! Torna subito indietro!

Collegai solo in quel momento che a far cadere tutte quelle cose doveva essere stato lui.  

- PARKER! Torna indietro o ti caccio dalla preside! - Guardai il castano che, facendo un cenno alle sue spalle, come mandandola a quel paese, non si fermava ed usciva definitivamente dalla mensa. 

Ben, davanti a me, rise. - Bella scenata! - Commentò per poi guardarmi tremendamente divertito. Io mi ero anche dimenticata del semi-bacio con tutta quella confusione. 

La cuoca della mensa lanciò un ringhio sommesso che sormontò anche l'alto vociferare che era nato ovunque e poi marciò all'inseguimento, sembrando un vero e proprio cacciatore pronto a una strage. Billy, con una leggera corsa, fece lo stesso percorso degli altri due; e lui rappresentava di sicuro l'animalista pronto a difendere la possibile vittima. 

- Abbastanza! - Borbottai, non capendo ancora bene cosa fosse appena successo. 

Ben fece spallucce, sorridendo. - Vabbè, Eve, i problemi a Parker, come ben sai, non sono una cosa che mi dispiace!

Sospirai, continuando a guardare il punto dov'erano spariti. Perchè Max doveva mettersi nei casini senza un motivo? Se era di mal umore non poteva andare a correre? Giocare a basket? Fumare? Dare pugni ai pali della luce (pratica già vista e non capita)? No, mensa, luogo pubblico, tanto per beccarsi una punizione. - Sì, ricordo. - Ridacchiai, sdrammatizzando la mia preoccupazione: era ovvio che Parker stesse per andare dritto filato dalla preside. 

- E per te è ancora la stessa cosa? - Mi chiese. Attirò la mia attenzione, distraendomi e facendomi sobbalzare e quasi, presa alla sprovvista, arrossii. 

- Certo, Ben, che domande sono? - Mi difesi. 

Lui continuò a sorridere e fece spallucce, come a dissolvere la domanda appena fatta. - Ti lascio alle tue amiche dai e goditi la giornata! - Augurò ancora, sempre allegro. 

Lo ringraziai, abbozzando anch'io un sorriso e sorpassandolo mentre lui faceva lo stesso. 

- Alla faccia del mal umore - borbottai, ancora abbastanza perplessa, raggiungendo finalmente Francy che però non sembrava nemmeno così tanto scocciata per l'attesa.  

Avrei voluto sapere davvero cosa e chi c'entrava in tutta quella rabbia casuale, ma sapevo che Parker, almeno quel giorno, non mi avrebbe parlato e non sarebbe venuto a cercarmi. E io ovviamente avrei fatto lo stesso. 

Lei ed Emily mi osservarono un attimo.  

- Beh a me è sembrato ... - Borbottò Emily, indecisa, e guardando l'amica. 

- Anche a me, ma meglio non dire niente. - Francy tossicchiò. 

Cosa era sembrato? Le guardai interrogative, ma ripresero a camminare verso le proprie aule e semplicemente le seguii. 

Pensai purtroppo di nuovo a Max che quel giorno mi stava “rovinando la giornata” ancora più del solito, con la sua assenza volontaria. 

 

 

- Sicura di non volere delle ciambelle? Forse c'è qualche ciambella in qualche bar. - Provò zia Elizabeth, continuando a camminare un po' a fatica sul muretto del marciapiede nonostante tutte le mie occhiatacce. Ci mancava solo che cadesse e si facesse del male, e non importava se ormai dicevano che si fosse totalmente recuperata. 

- Bar aperti alle undici di sera il Mercoledì? E' difficile! - Le ricordai, ridacchiando e camminando come una persona civile sul marciapiede. 

Eravamo uscite da poco dal ristorante in cui mi aveva portata per festeggiare e dopo primo, secondo, dolce, torta, lei aveva ancora fame. 

Torta fin troppo grande per cui doveva aver speso un patrimonio. 

Torta tutta glassata seguita dalla sua canzoncina a squarciagola, fin troppo imbarazzante. 

Torta accompagnata dalle mie risate felici, ma isteriche, per provare a dissimulare di essere io la festeggiata, pur essendo anche l'unica a tavola con lei. 

Rimasugli di torta che portava sotto braccio in un contenitore che, se fosse caduta come temevo, avrebbero fatto una brutta fine. 

- Ma sono diciotto, bisogna festeggiare e ingrassare! Poi oddio, hai diciott'anni! - Borbottò di nuovo, disperandosi, cambiando totalmente umore, e aumentando il passo per raggiungere la macchina. - E tra poco andrai all'università e sarò abbandonata al mio destino! - Entrò drammaticamente dentro l'abitacolo, dalla parte del passeggero, e io, alzando gli occhi al cielo, la imitai.  

- Devo trovarmi un uomo per sostituirti! - Proclamò, seria, guardandomi.  

- Zia, sono ancora qua e ci resterò ancora un bel po' - provai a rammentarle mentre mi sistemavo la cintura e accendevo la macchina. Mia zia ormai poteva guidare ma, fin troppo apprensiva per essere io la figlia, volevo evitarle sforzi di qualsiasi tipo. 

Mi lanciò uno sguardo comicamente triste. Poi ovviamente, da brava lunatica, cambiò subito espressione e argomento. Perchè ero circondata da lunatici? - I tuoi amici, oggi? - Chiese allegra. 

Risi, cominciando a fare retromarcia. - Francy mi ha regalato l'album che ti ho fatto vedere. - E da cui avevo tolto prima la foto incriminante. 

- Sì e non c'erano mie foto e mi sono offesa! - Commentò. - Non le faccio più i biscotti! - Disse, mettendo su il broncio. 

Mi uscì un'espressione scettica, ma cercai di non alzare gli occhi al cielo e di guardare la strada. 

- Poi Emily il braccialetto ...

- Che ho intenzione di fregarti perchè mi piace!

- E un mio amico dei pasticcini - continuai, ignorandola. 

Elizabeth sobbalzò sul sedile. - Amico chi? - Come rizzasse le antenne al sospetto di qualche ragazzo era terribilmente inquietante. 

- Un amico ... - Borbottai, cercando di arrivare in fretta a casa. Sapevo dove stava per svoltare quella conversazione e non ci volevo arrivare. 

- Max? - Chiese ovviamente, come mi aspettavo, e sospirai.

- Ultimamente non ti è venuto più a trovare e io lo volevo salutare e uffa! - Si lamentò e mi chiesi se fossi davvero io quella ad avere diciott'anni. 

- No, non Max. Ben, un mio amico, niente di chè.

Riuscii a vedere in lontananza casa nostra e nella mia testa partì l'inno di gioia. Perchè non volevo davvero parlare di Parker. Parker che era finito dalla preside, da quanto dicevano le voci, e che in tutto il pomeriggio non mi aveva detto niente, nemmeno un “Auguri” senza niente di espressivo. Il cameriere sconosciuto del ristorante mi aveva fatto gli auguri. Lui no, niente. 

Sospirai e, mentre parcheggiavo, mi risollevai solo al pensiero che mancava poco al mio letto e al mio cuscino e lì avrei potuto provare, pian piano, durante la notte, ad impegnarmi per tornare ad odiarlo. Con un po' di impegno avrei potuto farcela, no? Speravo di sì perchè non bisognava provare qualcosa per Parker, non se si era Evelyne Gray; tutto sarebbe stato senza futuro, nel nostro caso. Come avevo anche solo potuto pensarci, che lui potesse essere davvero amichevole con me? 

- Un giorno lo porti a casa così me lo presenti, allora! - Esclamò Elizabeth allegra, ignara di quello che mi passava per la testa. 

- Ci penseremo - dissi e sorrisi per non farle capire niente di quello che avevo appena pensato.  

Ci slacciammo le cinture e scendemmo, mentre lei blaterava sul lavoro e sui colleghi che non voleva rivedere. 

- Mi faccio un thè ne vuoi anche tu? - Mi informò subito mia zia, svoltando verso la cucina mentre finiva di togliersi la giacca. Era migliorata in cucina, ma pretendere che facesse un thè buono era quasi troppo. 

- No, tranquilla. Mi lavo un attimo e poi a dormire, visto che domani ti devo anche accompagnare in stazione e dobbiamo alzarci presto! - Le ricordai, per poi verificare se si ricordasse l'orario della sveglia. 

Salii le scale, lasciandola giocare con l'acqua e le scatole, alla ricerca della sua busta di thè verde; entrai in bagno, mi struccai di quel poco che mia zia mi aveva messo sul viso e andai in camera mia, per mettermi il pigiama. 

Dopo essermi cambiata e mentre cercavo uno dei miei, ormai, pochi elastici, sentii il cellulare suonare. Mi accigliai, legandomi velocemente i capelli in malo modo e andando a vedere chi mi cercava. 

Guardai lo schermo del mio antiquato telefono: 11:48 di sera, notai. 

Le 11:48 del mio compleanno e c'era la chiamata di Parker in arrivo. 

Osservai il nome prima incredula, poi sorpresa e alla fine accigliata. 

Afferrai il cellulare per un attimo, indecisa sul da farsi. Mi decisi all'ennesimo squillo: chiusi la porta e risposi. - Sì? - Mi uscì seccamente. 

Mi complimentai con me stessa per quel tono duro che ero riuscita ad usare fin da subito.  

Lui rimase un attimo in silenzio. - Stavi dormendo? - Chiese e aveva una voce strana. 

Illuso se pensava che fossi seccata semplicemente per essere stata svegliata. - No. Tornata adesso a casa - risposi freddamente. Ero arrabbiata ma in realtà avrei voluto solo sapere perchè quella volta mi aveva ascoltata e perchè si comportava sempre così con me. Avrei voluto abbracciarlo, ma dovevo essere fredda e distante. Dovevo cominciare ad odiarlo di nuovo, no? 

Importava che fossi in realtà felice di sentirlo di nuovo? 

La malattia peggiorava? 

- Ah ... - Borbottò e mi chiesi che cosa volesse, davvero, sapendolo forse avrei potuto mandarlo a cagare e chiudere quella telefonata. 

- Quindi? - Lo incitai. 

- Mi perdoni? - Chiese velocemente, sembrò costargli fatica quella frase. 

Non riuscii ad evitare, purtroppo, un sorriso e mi offesi mentalmente. - Per cosa?

Tentò una mezza risata, capendo subito che l'atmosfera si era alleggerita. - Buon compleanno, Evelyne, e scusa.

- Questo cambio d'idea improvviso? - Chiesi, provando ad essere sempre acida. 

- Oggi mezzo mondo mi ha detto che sono un idiota: la preside, mia madre, mio padre ha detto che sono un fallito ma è la stessa cosa, poi Billy. E in effetti snobbarti solo perchè me l'avevi chiesto è da idioti: insomma, avevo l'occasione giusta per tormentarti e invece ... - Rise leggero e mi venne voglia di sentire la risata dal vivo, il cellulare la smorzava.  

Mi morsi le labbra per evitare un altro sorriso, più grande. Ero un caso perso? Provai a fare l'ultima e piccola resistenza, solo per non dargliela vinta del tutto e così presto. 

- E' quasi mezzanotte, non so se vale - risposi, cercando di rimanere impassibile. 

- Neanche se te li faccio di persona? - Chiese, ma aveva un tono di voce di nuovo incerto.  

Pensai un attimo a quello che aveva detto. Possibile che il mio mezzo desiderio si fosse avverato?  

- Non faresti in tempo ad arrivare prima di mezzanotte! - Cercai di fargli notare, cominciando a camminare avanti e indietro, nervosamente. 

- Beh ... - Cominciò. - Se apri la finestra io sarei anche qua sotto ...

Per poco non mi cadde il cellulare dalle mani. Sentii un tuffo al cuore e mi avvicinai velocemente alle imposte, chiuse. Ci appoggiai la mano, senza aprirle. - Come sei qua sotto?!

- Sono qua sotto! - Ripeté tranquillamente e sentirmi tesa sembrava avergli ridato la solita sicurezza. - Se apri la finestra ...

- No! - Mi negai, ma lentamente feci come aveva detto. 

Il tuffo al cuore fu sostituito da un generale malessere. 

Max, davanti alla mia finestra, con uno zainetto aperto appoggiato contro le sue gambe, guardava in alto e mi sorrise. 

- Non apri? - Chiese ironico e vidi le sue labbra muoversi. 

Avvampai e aprii la bocca per ribattere, ma non sapevo con cosa. 

- Mi fai salire? - Domandò, anticipandomi e passandosi una mano tra i capelli. Vidi una piccola nuvoletta uscirgli dalla bocca per il freddo dell'aria notturna.  

Mi voltai nervosa, verso la porta che avevo chiuso e solitamente non chiudevo mai con mia zia in casa. - C'è Elizabeth, è tardi, non ti fa entrare - dissi rapidamente e deglutendo nervosa. Nervosa perchè sapevo che l'avrei fatto salire. Volevo che salisse. 

Parker si avvicinò alla casa. - Non lo verrà mica a sapere. Se apri la finestra per bene salgo, ci riesco! - Cercò di convincermi e ce la fece, facilmente. 

- Abituato a intrufolarti nelle case dalla finestra? - Provai a ironizzare, ma con scarsi risultati. 

Mi ammiccò da là sotto e mise giù la chiamata con uno strano sorriso. 

Mi ritirai leggermente dalla vista e aprii la finestra del tutto, poi scattai dall'altra parte della camera e chiusi la porta a chiave. Mentre tornavo alla finestra da dove stava per entrare mi slegai e rifeci la coda, in un gesto nervoso che sfiorava l'isterico. 

Max Parker a mezzanotte in camera mia. Entrato di nascosto dalla finestra. 

Chiunque avrebbe pensato male. Forse addirittura io. 

Capii che in realtà stavo quasi sperando di dover pensare male. 

Lo aspettai, mordendomi le unghie, in un gesto che non era mio. 

- Sì, ma aiutami! - Sentii blaterare e, vedendolo allungare una mano la presi, calda e familiare. Con un piccolo aiuto riuscii a farlo entrare, scavalcò e si appoggiò sul pavimento pesantemente: temetti che mia zia, al piano di sotto, potesse averci sentito. - Mai più! - Si lamentò, mettendosi dritto con un'espressione sofferente. 

- Se cadevi e ti uccidevi ci godevo. - Sbuffai e mi sedetti alla scrivania.  

Max rise. - Saremmo morti in due! - Insinuò e notai che i suoi occhi quel giorno mi erano proprio mancati. 

- Perchè? - Chiesi, un po' in ritardo, cercando di non incantarmi troppo. 

Mi sorrise e fece scivolare lo zaino per terra e lo aprii. - Perche io ieri ti ho chiesto cosa volevi per il tuo compleanno ma te l'avevo già preso ... - Mi spiegò. E un batuffolino nero uscii di corsa dallo zaino. Si rifugiò, soffiando sotto il mio letto, irritato per il trasporto. 

- Un gatto?! - Chiesi a volume fin troppo alto e probabilmente con gli occhi sgranati. 

Parker si portò un dito sulle labbra, sorridendo. - Piano, sennò tua zia ci sente! - Mi ricordò con un tono che istigava violenza, fisica, picchiarlo. O forse altro, in effetti. 

Non riuscii a non arrossire. - No, comunque! Io … Odio i gatti - Dissi, alzandomi e, con una strana smorfia, chinandomi per guardare sotto il letto. 

Sbuffò. - Come odi i gatti? E la tua futura vita da gattara depressa e ancora vergine, dove la metti? - Chiese, chinandosi al mio fianco. 

Lo guardai scettica. - Parker.

- Gray - rispose sorridendo. E sì, mi era mancato. 

- Sei un idiota! - Cercai di fargli notare. 

- Smettetela di dirmelo! E poi sei tu che offendi i miei regali! - Ribatté e i suoi occhi, più scuri per l'oscurità, lasciarono i miei, per cercare il gatto. 

Il micino, nell'angolo, contro il muro e una delle gambe del letto, ci osservava soffiando ostile. Due grandi occhi chiari brillavano. 

- Mi hai anche preso un gatto antipatico! - Dissi e mi venne da ridere. Mi aveva sul serio comprato un gatto! 

- Siete fatti l'uno per l'altra. Lo chiamerei Evelyno. 

Gli diedi un colpo sul braccio, ma scoppiai fragorosamente a ridere, non riuscii ad evitarlo. 

Parker mi osservò, sorridendo e quando mi calmai i miei occhi incrociarono i suoi, naturalmente.  

- Ma ha gli occhi chiari e quello antipatico sei tu, quindi direi che è Max - ribattei, non riuscendo a rompere il contatto visivo. 

Nemmeno lui lo fece però. - Chiameresti il tuo animale domestico col mio nome? Che cosa inquietante ... - Notai una minuscola sfumatura grigia solo nell'occhio destro, vicino al contorno dell'iride, un particolare che mi deliziò particolarmente. 

- Potrei sfogare la mia rabbia repressa nei tuoi confronti, su di lui! - Gli feci notare e ormai mi ero incantata a guardarlo. 

Rise. - Rabbia? - Non capii cosa stesse insinuando, ma in quel momento la maniglia della mia camera si abbassò rumorosamente. Sobbalzai.  

- Evelyne? Ti sei chiusa dentro?

Sgranai gli occhi terrorizzata. Parker cercò di soffocare la risata sotto la mano e si lasciò cadere per terra. 

- Eh, sì, zia! Mi stavo cambiando e ... - Guardai disperata Parker e corsi verso l'armadio, indicandogli l'interno con forza. 

Max mi fece cenno di no, provando intanto a calmarsi. 

- Da quando ti chiudi a chiave per cambiarti?

- Non posso? - esclamai stizzita, stizzita verso Parker che continuava a rifiutarsi di nascondersi dentro il mio armadio. - Ho diciott'anni!

Mia zia all'inizio non rispose. - Va bene, Eve … Ma … Non c'è niente di male se … Ti tocchi … Stavi facendo quello?

Parker stava morendo e, alzandosi in piedi, cercava di ridere, facendo meno rumore possibile. Scarsi risultati. Io avvampai. - Zia! Non sto facendo un bel niente! 

- Ah, okay … Dicevo … Non c'è niente di male, eh, figurati! Vado a letto, tesoro. A domani! Divertiti! - E sentii i suoi passi mentre si allontanava. 

- Amo tua zia! - Blaterò lui, appena si riprese un attimo. 

Lo mandai a quel paese con un cenno e poi mi risedetti per terra, contro il letto. Parker sorrise, calmandosi, ma nel suo solito e bel modo divertito. - Quindi? - Chiese, avvicinandosi e sedendosi come me, ma a un po' di distanza. 

- Quindi stiamo un attimo buoni, così mia zia non pensa chissà cosa! - Risposi, con il broncio. 

Lui fece una risata corta. - Si può fare anche silenziosamente, eh. Anche se quando sono io a farlo a qualcuna è impossibile ma ...

Lo bloccai, alzando le braccia. - Zittozittozitto! Non voglio sapere! - C'era più irritazione che schifo in quelle parole. 

- Guarda come fa la pudica, Evelyno - sussurrò Parker, guardando verso il letto. 

Gli diedi un colpo accigliata. - E come mai un gatto? - Chiesi, per cambiare discorso. 

- Perchè non hai una faccia da tipa a cui piacciono i gatti. - Lo fulminai, ma lui continuò sorridendo divertito. - E così quando tua zia tornerà a New York ti sentirai meno sola. - La risposta però uscì limpida, sincera; adesso sembrava sincero anche il suo sorriso. I lati della bocca mi si sollevarono in risposta. - E così dovrò stressarmi meno io per farti compagnia ... - aggiunse. Le labbra mi si arricciarono. 

- Ti ho mai chiesto di farlo?! - Mi lamentai, a bassa voce, cercando di picchiarlo ancora. 

Max rise, bloccando i colpi, afferrandomi i polsi. - L'hai detto tu che siamo amici che si fanno compagnia, per non stare soli, no? - Ammiccò, ricordando quella frase che avevo detto in un totale momento di debolezza. 

- Non mi citare! - Mi lamentai, sporgendomi verso di lui per provare in qualche modo a fargli male. 

Lui sorrise e mi sorprese, avvicinandosi. Andava in contro alla sua morte? - Non avevi detto che dovevamo stare buoni? - Chiese, a bassa voce, e le sue mani scivolarono leggermente sulla mia pelle, in modo casuale. 

Non capii, ma mi bloccai e lo stesso fece lui. 

La piccola palla di pelo nero infatti era uscita da sotto il letto e, miagolando, si avvicinò a me. 

Max mi lasciò andare ed io, esitando un poco, abbassai la mano sull'animaletto, accarezzandolo mentre si appoggiava ai miei jeans. Il micio cominciò piano a fare le fusa e mi venne da sorridere, mentre guardavo incerta Parker per quella frase che aveva appena detto e non avevo fatto in tempo a interpretare bene. Il suo tocco mi bruciava ancora così come il suo sguardo dritto nei miei occhi. 

Parker interruppe il silenzio, durato in realtà nemmeno pochi secondi, con una risata corta. - Visto? Proprio un Evelyno: basta una carezza e guarda come fa le fusa! - Insinuò divertito in una chiara provocazione. 

Io ci cascai in pieno, fulminandolo e dimenticandomi della sua frase, del tocco, degli occhi. - A me sembra molto un Max, guarda come fa lo schizzinoso e poi alla fine viene a cercare proprio me. 

Parker rise e mi lanciò un'occhiata ambigua. - Questa era buona, te lo concedo. 

Sbuffai, distogliendo lo sguardo, orgogliosa di me stessa per essere riuscita a nascondere l'imbarazzo, e tornai sul gatto. 

- Lo terrai? - Mi chiese. 

Guardai il gattino. Sia io che mia zia odiavamo i gatti. - Sì. 

- Ah, lo sapevo! Un altro regalo perfetto! - Si complimentò da solo, spostandosi i capelli all'indietro. 

Scossi la testa divertita, senza rispondere. 

Subito dopo sentii un rumore e, alzando lo sguardo, vidi Max che si metteva in piedi. Lo guardai sorpresa, come se non fosse stato normale che a un certo punto dovesse andarsene; lui colse probabilmente lo sguardo e mi sorrise in modo strano. - E' passata la mezzanotte, Cenerentola deve tornare a casa dalla matrigna - disse. 

Sorrisi, ma mi uscii probabilmente una smorfia, un po' triste. - Sentirti paragonare a una principessa Disney è molto inquietante. 

- Tutta invidia. 

Mi alzai anch'io, toccandomi il collo e sbuffando. - Certo. 

Parker sorrise e si avvicinò piano alla finestra. - Ti lascio lo zainetto, c'è la sua copertina, mezza distrutta tra l'altro, e una mia maglietta che gli piace evidentemente mordere e graffiare - mi spiegò, con un leggero cenno e guardandomi di sottecchi. 

Mi avvicinai, annuendo. 

C'era uno strano disagio, in quel momento, che non capivo bene, pur provandolo io e sapevo, dalla sua strana espressione, anche lui. 

- Ah e non so se è maschio o femmina! - Aggiunse all'improvviso, di fianco alla finestra, ma senza accennare ad aprirla. 

Ridacchiai. - Penso che mi ucciderebbe se provassi a verificare quindi mi dirà il veterinario. 

Parker sorrise e guardò fuori dal vetro. 

Mi feci avanti io, lo affiancai e cercai di aprire la finestra silenziosamente. 

- Vado - ripeté. 

- Sì - risposi. Sapevo che avrei dovuto abbracciarlo o qualcosa del genere, ma non ce la facevo, per qualche motivo. Lui esitò un attimo e poi alla fine fece per uscire, dopo essersi riallacciato la giacca. 

- Grazie, Max - blaterai, mentre cautamente scavalcava la finestra. Almeno quello glielo dovevo. 

Lui mi sorrise e fu un sorriso sincero, bello. 

E fu forse quello, o i suoi occhi verdi con il piccolo contorno grigio che incrociarono i miei, ma mi sporsi e, mentre lui ormai si stava calando per raggiungere un'altra base di appoggio, lo baciai.  

Io, Evelyne Gray. 

Parker traballò e sul momento temetti che stesse per cadere, preso alla sprovvista, e la mia mano l'arpionò per la giacca. Mi staccai subito dopo, lasciando anche la presa, mentre lui si metteva in equilibrio e per pochi secondi mi guardò sorpreso. Era stato un bacio veloce, a fior di labbra, più sull'angolo della bocca perchè nella fretta avevo anche mirato male. E io non conoscevo vie di mezzo: o niente o un bacio.  

- Notte! - Dissi quasi terrorizzata da me stessa e da quello che avrebbe potuto dire e chiusi la finestra con un colpo secco, fin troppo rumoroso.  

Solo per un attimo, prima di girarmi e andare velocemente verso il mio letto, attraverso il vetro, vidi Parker a cui sfuggiva una risata, dopo aver collegato. 

Poco dopo, mentre mi rotolavo sul letto, dandomi dell'idiota con l'aria al posto del cervello, il cellulare vibrò. 

Mi allungai per prenderlo e controllare, le dita tremanti, non del tutto sicura di volerlo sapere: perchè tanto immaginavo chi fosse il mittente.

No, una domanda e questo? Fa tanto la frigida e poi mi salta addosso rischiando di uccidermi. Okay, okay :D, diceva. 

Cercai di non morire per auto-combustione e risposi velocemente: 

Miravo alla guancia, idiota. 

La risposta ovviamente non tardò e sapevo che era ancora lì, con la macchina parcheggiata davanti a casa mia.

Ah …
Non ci crede nessuno. 

Risposi cercando di sembrare seccata e offenderlo. 

Ma in effetti sì, come l'idea che potessi davvero guarire: non ci credeva nessuno. Nemmeno io. 

 



*Angolo dell'Autrice:

Ciao belle! :)
Eccomi a neanche tanto tempo di distanza come avevo promesso :D (sono orgogliosa di me stessa!)
E' un capitolo che non riesco a capire se mi piace o no . Quindi lascio a voi la scelta ma come sempre spero di non avervi deluse:)
Ero in crisi col titolo e ho provato a farmi aiutare da MaudeScott (per fortuna che ci sei te <3 *so che ti emozioni con questa dedica .*) e siamo arrivati a un "Il regalo di Parker" . Accontentatevi, su AHAHAHAH (e sono appena tornata da 9 ore a scuola, comprendete la mia poca fantasia :c )
Ringrazio tutte le ragazze che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate, le preferite, che leggono e che recensiscono e grazie a Giangina87 che mi sopporta e beta i capitoli! Grazie mille davvero a tutte!
EEEEH beh, alla prossima :) Non ci metterò molto! (penso!)

Se volete novità comunque ecco il gruppo Spoiler !
 http://www.facebook.com/groups/326281187493467/ :D

   
 
Leggi le 17 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Josie5