Alla fine della serata, io e Valerio ci eravamo scambiati i numeri; non che ci fossero serviti a molto, visto che ci eravamo sentiti soltanto il giorno dopo il nostro incontro e in nessun’altra occasione. Inizialmente, ero stata felice di constatare che l’amicizia che stava nascendo tra noi fosse una di quelle che funzionano solo di persona, ma nei giorni seguenti mi ero resa conto che avevamo problemi anche a parlarci a scuola: quando ci incontravamo per i corridoi capitava che ci scambiassimo qualche battuta, ma niente di più, dato che quando era con i suoi amici non avevo il coraggio di avvicinarmi, né lui sembrava avere interesse nell’avvicinarsi a me, quando mi vedeva parlare con Lisa. Era riuscita a tirarmi dalla sua parte, infine: Marta si mostrava un po’ scostante anche con me, per non contare il fatto che ora riuscivo a vedere in lei un accenno dell’arroganza che avevo tanto odiato in Luigi. Valerio aveva ragione, con tutti i suoi discorsi sulla noia e l’appagamento, ma io non riuscivo a stare sola, non ora che avevo anche il suo pensiero ad assillarmi. In fondo, Lisa mi voleva bene: in un modo strano, forse, ma era mia amica e si trovava in difficoltà, con che coraggio mi sarei tirata indietro? E se davvero una parte di me credeva che avrei dovuto farle capire quanto fosse stato scorretto nei miei confronti trattarmi come una stupida quando non riuscivo a smettere di pensare a Daniele, al punto da costringermi a soffrire in silenzio, un’altra parte cercava di farmi capire quanto tutto questo fosse ormai irrilevante. Lisa non aveva mai amato, dopotutto, non poteva capire che cosa significasse. Adesso che la sua prima vera relazione si era conclusa in modo così spiacevole - dato che io invece sapevo - non potevo rifiutarle il mio aiuto. Come ero riuscita ad essere così dura, in quei primi giorni?
Tuttavia, non potevo risultarle molto utile nelle condizioni in cui mi trovavo - nella preoccupante situazione in cui, a volte, mi capitava più spesso di pensare a Valerio che a Daniele. Nella mia testa continuavo a ripetermi quanto fosse normale: con lui mi ero sentita veramente bene, avevo provato una felicità che avrei potuto rintracciare soltanto nei momenti più belli passati con Daniele e con il mio vecchio gruppo di amici, prima che questo si disgregasse. Tuttavia, credevo che fosse davvero troppo quando mi ritrovavo a fantasticare su di lui, a pensare a quanto sarebbe stato piacevole uscire con la sua compagnia - e portare anche Lisa, magari, forse si sarebbe divertita anche lei. Si trattava di fantasie che non ero in grado di realizzare, però, e il fatto che mi ritrovassi a pensarci sempre più spesso mi preoccupava.
Parlarne con Lisa si rivelò una pessima decisione: lei era troppo di cattivo umore e angosciata dai suoi problemi per dare peso a queste mie ansie da ragazzina. Di Valerio mi disse semplicemente che era un ragazzo inaffidabile e che - come era possibile che non lo sapessi! - era uno dei migliori amici di Luigi, quindi mi sarei dovuta aspettare da lui un trattamento pessimo, proprio come quello che era stato riservato a lei.
Non feci in tempo a spiegarle che Valerio mi aveva detto di essersi un po’ allontanato da Luigi quando si era scoperto della relazione con Marta, che Lisa mi disse di averlo visto con un'altra.
Mi costrinsi a fingermi indifferente: non potevo rischiare che pensasse che mi fossi innamorata di nuovo, non potevo; sarebbe significato ammettere che non avevo imparato nulla. Tuttavia, quella notizia mi scosse più di quando avrei mai potuto pensare. Ripercorsi mentalmente il nostro primo incontro, la serata che avevamo passato insieme, tutte le cose che ci eravamo detti: nulla avrebbe lasciato presagire un suo interesse nei miei confronti, ma io, nella mia ingenuità, nel mio spasmodico bisogno di credere di nuovo in qualcosa, di essere me stessa, anche di amare di nuovo, forse, avevo sviluppato per lui un sentimento a cui non riuscivo a dare un nome, ma che avrebbe potuto rivelarsi pericolosissimo, perché non c’era niente di concreto su cui potesse basarsi. Nemmeno io mi sentivo pronta per qualcosa di simile, e ora ero terrorizzata, perché avevo perso un’altra volta qualcosa che credevo di aver riconquistato, perché quel breve sogno si era infranto in mille pezzi e perché la luce che avevo intravisto quella notte era svanita prima che potessi raggiungerla. Avevo spiccato il volo, ma era stato un viaggio vano; lentamente sentivo di perdere quota, di riavvicinarmi alla terra, alla gelida terra che tanto avevo desiderato abbandonare per qualcosa di più grande e bello, ma certamente anche più instabile.
Ero sempre stata orgogliosa di me stessa per il fatto di essere riuscita ad evitare la maggior parte delle cose negative che caratterizzano l’adolescenza: l’essere presa in giro da un ragazzo, iniziare a fumare - perfino i quasi inevitabili periodi in cui si hanno delle passioni di cui dopo alcuni anni ci si vergogna, ma soltanto adesso riuscivo a capire che non si era trattato di intelligenza, né di furbizia, forse nemmeno di fortuna. Erano state le mura che mi ero costruita intorno a proteggermi, nient’altro, e ora di quelle mura non restavano che rovine: ero esposta - esposta e terribilmente vulnerabile.
È così difficile spiegare la paura che provai in quel momento! Mi ero innamorata anche di Daniele, mi ero esposta anche con lui, forse allo stesso modo, ma la situazione mi sembrava diversa: allora non sapevo incontro a che rischi stessi andando, né quanto avrei sofferto; inoltre, Daniele era una persona correttissima, mentre Valerio mi incuteva timore anche soltanto per ciò che mi aveva detto Lisa, oltre che per l’imperturbabilità di fondo che avevo notato di sfuggita il giorno in cui ci eravamo conosciuti e a cui adesso non riuscivo a non credere.
Quando finii il libro che mi aveva consigliato, non so perché, iniziai a sentirmi ancora più angosciata: era come se l’ultimo legame con quel pomeriggio di neanche due settimane prima si fosse spezzato, e adesso si avvicinava anche il giorno in cui sarei dovuta tornare alla biblioteca per restituire quel libro. Anche la felicità che avevo provato era stata solo in prestito?
***
Dopo essere uscita dalla biblioteca, l’unica cosa che mi trattenne dal tornare a casa fu il fatto che dovevo vedermi con Claudia, che era tornata da Roma per il weekend. Claudia era stata una mia compagna di danza per molti anni ed eravamo molto amiche, allora, ma da quando aveva deciso di frequentare l’università fuori la vedevo raramente e il nostro rapporto ne aveva risentito un po’. Quando raggiunsi il luogo in cui ci eravamo date appuntamento - una piccola caffetteria nel centro della città - lei era già lì ad aspettarmi e, conoscendola, doveva essersi scolata almeno un paio di caffè. Ero piuttosto in ritardo, in effetti, ma quando mi vide si limitò a salutarmi con il sorriso allegro di sempre. Indossava un vestitino coloratissimo e degli orecchini etnici che le avevo regalato l’anno precedente per Natale, ma la cosa che mi colpì di più fu la rosa fresca che teneva tra i capelli - dopo un’ora e mezza di autobus con quel caldo, mi chiedevo come si fosse mantenuta così bene.
Claudia passò almeno un’oretta a raccontarmi tutte le novità dall’ultima volta che ci eravamo viste: aveva superato l’esame di anatomia artistica con ventinove, aveva trovato un nuovo lavoro part-time, dato che il locale in cui lavorava aveva chiuso, e si era trovata una compagnia molto interessante con cui uscire - alcuni suoi compagni di corso, da quanto riuscii a capire. Non era affatto raro che, per via del suo parlare incessantemente e a una velocità a tratti quasi disumana, perdessi intere parti dei suoi discorsi, specialmente in occasioni in cui mi era così difficile riuscire a concentrarmi. Comunque, lei non ci aveva mai badato più di tanto, e anche quella volta capì immediatamente che qualcosa non andava. Quando succedeva, sapevo di non avere altre alternative che dirle tutto, così le parlai di quello che era successo tra Lisa e Marta, che anche lei conosceva, e - dopo aver esitato un po’, anche di Valerio: le spiegai cosa mi aveva detto Lisa e come quelle parole, nonostante fosse assurdo, mi avessero ferita. All’inizio mi ascoltò senza dire niente, ma quando mi lasciai sfuggire il cognome di Valerio aggrottò le sopracciglia, incuriosita.
«Lo conosci?», le chiesi, provando un misto di angoscia e di speranza.
«Eravamo vicini di casa», disse semplicemente, «da piccola giocavo più con suo fratello, in realtà, ma conosco abbastanza bene anche lui». Mi sembrò un po’ amareggiata.
«Lisa non ha tutti i torti», continuò, «forse dovresti ascoltarla. Valerio … ecco, non è mai stato un granché, per quando riguarda le ragazze».
Per un istante mi sentii irritata: quando mai avevo pensato a lui come a un possibile amante? Mai, credevo, tuttavia mi resi conto che quello che provavo per lui, nonostante nemmeno io fossi in grado di comprenderlo appieno, era più identificabile con l’amore che con altro.
All’improvviso, mi sorpresi a desiderare che Claudia continuasse a parlare di lui, che mi dicesse tutto ciò che sapeva.
«Vedi, Marianna, quel ragazzo non ha avuto una vita facile, almeno da quel punto di vista. Mi ricordo quando frequentava i primi anni del liceo e usciva con questa ragazza, Elena, forse, e lei … beh, forse non è il caso che ti racconti tutte queste cose: in fondo le ho sapute confidenzialmente da suo fratello e, beh, ti basti sapere che ha sofferto molto. Qualcosa che tu o io saremmo state in grado di sopportare tranquillamente, ma Valerio è una persona fragile e ha lasciato che tutto questo gli facesse del male».
Mi scrutò per un istante. «No, Marianna, non pensarci neanche: non credere che abbia dimenticato il pasticcio che hai fatto con Daniele! Tu lo vedevi soffrire, poverino, ed ecco che -badabum! - ti salta in testa questa idea di aiutarlo. Già con lui è andata male, e non ti biasimo certo per questo, ma devi sapere che la situazione di Valerio è incredibilmente più difficile e che non accetterebbe di essere aiutato, non da te, non nel modo in cui tu credi di aiutarlo. Credimi, ti faresti davvero del male, e ciò che è peggio è che non servirebbe comunque a niente, né a lui né tantomeno a te».
Mi sentii sopraffare dall’irritazione. «Se tu non mi dici cosa gli sia successo esattamente, come pretendi che io capisca se posso aiutarlo o no?», sbottai.
«Vuoi saperlo davvero?», mi chiese, abbassando la voce. «Va bene. Elena lo ha tradito - no, non come si tradisce un ragazzo: lo ha tradito come si tradisce una persona, in modo crudele e, secondo me, anche innaturale. Che senso aveva distruggere dalle fondamenta ogni sua convinzione, che senso aveva?»
Inspirò nervosamente. «Valerio era già fragile, per alcuni versi, ma io, dopo tutti questi anni, continuo ad essere convinta che sia stata lei a rovinarlo. Si tratta soltanto di una mia idea, ovviamente, e so già che tu spiegheresti la cosa dicendo che certamente è stata ferita anche lei, ma io non tollero questo genere di cose. Credo che la cosa migliore per te sia stare alla larga da lui e dalla sua situazione - non è roba che riusciresti a risolvere, davvero, non dopo che le sue insicurezze hanno avuto tanti anni per consolidarsi. Neanche a dire che tu sia determinata - non sai quanto mi dispiaccia fartelo notare, ma è così: al suo primo rifiuto, o anche al suo primo segnale di irritazione, tu ti tireresti indietro. Non dirmi di no, sai che è la verità. Inoltre, credo che certe fragilità siano come spine conficcate nella carne, in grado di ferire noi e gli altri. Lascia stare, per favore, non voglio che tu ti faccia del male un’altra volta: non ora che Lisa ha bisogno di te».
Sospirai. Quelle parole erano così vere! Anch'io avevo delle debolezze che ci avrebbero feriti entrambi, come potevo negarlo? E soprattutto, come potevo desiderare di arrecare altro dolore a qualcuno che aveva già sofferto così tanto? Capii - cercai di costringermi a capire, almeno - che dovevo rinunciare a lui.
Ripensai tristemente al nostro primo incontro e a tutto quello che ci eravamo detti; a come eravamo entrati in confidenza in modo così naturale, al modo in cui aveva cercato di consigliarmi, anche senza riuscirci, e a come ero riuscita a pensare, per un istante, che con lui avrei potuto essere felice.
«Forse sarebbe stato meglio che continuassi a sentirti legata a Daniele, se l’alternativa era cacciarsi in una situazione del genere», azzardò.
Non raccolsi la provocazione: del resto, pensai, davvero la piccola fiamma dell'amore che avevo provato per Daniele mi avrebbe dato più conforto di Valerio, adesso che ogni speranza che avevo riposto in lui era svanita oltre l'orizzonte; ma quella luce si era estinta nel momento in cui l'avevo abbandonata al suo destino per spiegare le ali e librarmi nella notte oscura, alla ricerca di un nuovo giorno. Ero stata così felice, così incredibilmente felice che se anche adesso mi trovavo di nuovo con i piedi per terra, con le speranze distrutte, non riuscivo a smettere di guardarmi indietro, di guardare quel cielo così limpido e distante, le nuvole sottili che si sfaldavano, la luce del giorno che iniziava a declinare oltre i fiori sospesi nel vento, che solo poco tempo prima sbocciavano sui loro rami e che, adesso, seguivano la brezza nei luoghi di oblio in cui essa cercava di condurli.
Avrei voluto fermare il tempo e impedire che quell’istante fosse distrutto, avrei voluto alzarmi e trovare il coraggio di prendere una decisione, ma mi sentivo paralizzata: ero davvero vile come diceva Claudia? Lo ero davvero?
«E dov’era Lisa, quando io avevo bisogno di lei?», sibilai. «Dov’era? A ridacchiare di me con la ragazza di Daniele, a ripetere in continuazione quanto fossi stupida a continuare ad amarlo? Non sapeva nulla, certo, non aveva idea del dolore che si prova, ma adesso perché dovrei rinunciare a una possibilità che vedo per me stessa, dopo tanto tempo?»
Mi sentii mancare il fiato: non avevo mai trattato Claudia così, ma per la prima volta dopo tantissimo tempo avevo detto ciò che pensavo davvero, e non mi curai di quanto potesse sembrare egoista o infantile, perché era la verità!
Lei mi ignorò semplicemente: restò in silenzio per un po’, si ordinò il terzo caffè e non mi rivolse la parola fino a quando non fu il momento di pagare: sapevo che era contrariata, ma non mi interessava, tanto ero convinta di aver ragione io. Poteva restarsene in silenzio per il resto della serata, per quel che mi riguardava.
Ricominciò a parlarmi poco prima che Lisa si unisse a noi, ma non osò certo affrontare l'argomento precedente; si tenne molto sul vago, in realtà, e nulla di quello che ci dicemmo aveva alcuno scopo, se non cancellare un silenzio diventato troppo opprimente: quando arrivò Lisa, in realtà, mi sentii molto sollevata. Claudia le chiese di rispiegarle tutto quello che le avevo già detto io, e le sentii affrontare di nuovo un discorso che, solo nell’ultima settimana, credevo di aver ascoltato almeno cinque o sei volte. Almeno, questo mi diede l’opportunità di calmarmi. Ora che avevo preso finalmente una decisione, però, mi sentivo come se non ne avessi più bisogno: era come se insieme a me anche il resto del mondo si fosse acquietato e avesse ripreso a scorrere nella sua solita placidità - mi sembrò come se la gente che mi circondava avesse rallentato il passo; la leggera brezza che era spirata fino a quel momento sembrava essersi placata; perfino il sole sembrava indugiare, nella sua discesa verso l'orizzonte. Restai qualche passo dietro Lisa e Claudia, ma non credo che se ne accorsero - non subito, almeno: le raggiunsi soltanto quando si fermarono davanti a un bar del corso principale, e neppure allora mi dissero nulla. Sembravano troppo impegnate nella loro conversazione per accorgersi di me. Avevamo camminato per molto tempo: ormai era quasi buio. Ci sedemmo in uno dei tavolini all’esterno e ordinammo qualcosa, osservando nel frattempo un complesso che si accingeva a suonare quella sera, intento a sistemare gli strumenti e gli amplificatori. È quasi buffo pensare che prestai più attenzione alle idiozie che dissero per provare il microfono che al discorso di Lisa, che ancora non aveva finito di raccontare tutte le prodezze di Luigi.
Le luci si accesero, la gente iniziò a riversarsi nelle strade; il gruppo - una cover-band dei Pink Floyd - iniziò a suonare un brano di The Dark Side of the Moon: tutto sembrava volermi ricordare il mio primo incontro con Valerio, ma a me non dispiacque affatto; mi sentii di nuovo felice come quel giorno, in qualche modo: fu una sensazione meravigliosa e allo stesso tempo straziante. Per un attimo, desiderai avere ancora con me il libro che avevo appena restituito: leggere qualcuno dei passaggi che mi erano restati impressi mi avrebbe certo aiutata a sedare l’inquietudine e la malinconia così dolce e insidiosa che provavo. Pensai che il gruppo che stava suonando fosse a un livello semiprofessionale, data l’incredibile bravura nell’interpretare i pezzi, e questo mi fece un po’ calmare. Mi sorpresi a sperare che Valerio venisse lì: desideravo vederlo e parlarci, finalmente, adesso anche a costo di affrontare il timore che i suoi amici mi incutevano.
Lo vidi davvero, pochi minuti dopo: era soltanto con tre dei suoi amici più stretti e all’inizio sembrò non accorgersi di me. Tuttavia, quando i nostri sguardi si incrociarono, mi fece un cenno di saluto e poi, dopo un attimo di esitazione, venne verso di noi.
Claudia lo salutò calorosamente e gli chiese di suo fratello, mentre Lisa si limitò a fargli un cenno con la mano e a guardarlo in modo ostile. Mi sorpresi a chiedermi che genere di parte avesse avuto nella questione di Luigi e Marta per guadagnarsi un’antipatia del genere.
Quando ebbe finito invitò i suoi amici, che erano restati in disparte, a sedersi con noi. Prese posto accanto a me e, dato che eravamo di spalle alla band, decidemmo di ruotare le sedie nella direzione opposta. Ci scrutammo per un po’, senza dire niente, poi lui prese la parola.
«Non credevo che conoscessi Claudia. Era la mia vicina di casa, prima di andare a studiare fuori».
«Andavamo a danza insieme», gli spiegai. Mi sentii quasi in colpa a pensare che soltanto tre ore prima stavamo parlando di lui, quasi come se fosse ingiusto nasconderglielo.
Nell’istante di silenzio che si creò tra noi due, ebbi modo di notare la conversazione che era nata al tavolo dietro di noi: sembrava che i nostri amici fossero molto meno in imbarazzo di noi.
Valerio aveva preso a fissare rapito il gruppo, che era alle prime note di Time **.
Forse fu la prima volta che lo guardai davvero attentamente, cercando di cogliere nella sua espressione indecifrabile una traccia delle parole di Lisa o della fragilità che Claudia aveva esaltato così veementemente, ma non riuscii ad andare oltre la maschera di imperturbabilità che avevo notato la prima volta che l’avevo visto; non sarei riuscita a capire niente in quel modo, me ne resi conto immediatamente. Il cantante solista del gruppo fece un acuto che mi diede i brividi, riportandomi alla realtà. Dovevo aver compiuto qualche gesto inconsueto, perché Valerio spostò l’attenzione su di me.
«Niente a che vedere con il concerto dell’altra volta, eh?», esordì.
Annuii senza troppo interesse. Il più giovane dei componenti di quel gruppo - forse proprio il cantante solista - doveva essere almeno sulla trentina; inoltre, nonostante non ne capissi granché, anche il sistema di amplificazione mi sembrava migliore. Mancava, però, la vitalità di dieci giorni prima: i suoni gracchianti degli amplificatori di bassa qualità, l’infinità di problemi che c’erano stati con i microfoni e i ragazzi che suonavano in mezzo alle urla dei loro coetanei, che ballavano in modo disordinato ai piedi del palco. Adesso i suoni erano raffinati, perfetti; i musicisti di buon livello, eppure dentro mi sentivo vuota, inutile, quasi infelice. Valerio era lì, accanto a me, ma non sapevo cosa dirgli, come comportarmi con lui. Mi sentivo intimidita dal silenzio che adesso ci circondava, permeando quell’immobilità così opprimente, quasi intollerabile. Desideravo dirgli qualcosa: desideravo alzarmi, prenderlo da parte e chiedergli perché mi avesse ignorata; desideravo sapere se le parole di Claudia erano vere, se davvero non si sarebbe mai fidato di me.
Quanto a me, io non avevo altra scelta se non fidarmi di lui: era stato l’unico, in quei mesi, in grado di aprire una breccia nel muro che circondava il mondo isolato che mi ero costruita per proteggermi, ma che con il tempo sarebbe crollato su se stesso, se non mi fossi decisa a uscire.
Mi voltai verso di lui, indecisa. Era molto concentrato sulla canzone, credevo che l’avrei quasi infastidito, se avessi iniziato a parlargli proprio in quel momento.
« È Us and Them **, giusto?», gli chiesi, senza troppa convinzione.
Lui sembrò rifletterci per un istante, poi annuì, senza spostare lo sguardo. Sprofondai ancora di più sulla sedia, demoralizzata.
«Scusami, è una delle mie preferite. Quando finisce andiamo a fare un giro?»
Accettai; alle prime note di Any Colour You Like **, Valerio si alzò e mi tese una mano, che strinsi senza neanche pensarci. Ci allontanammo di poco: dal muretto su cui ci sedemmo si riusciva ancora a sentire distintamente la musica, ma il fatto che lì ci fossero persone che parlavano ad alta voce e si muovevano freneticamente in qualche modo mi rassicurò.
Se devo essere sincera, non ci dicemmo nulla di particolare, né di importante.
Valerio mi sorrise e io pensai che forse mi ero sbagliata a non volermi fidare di lui: sentivo il suono delle nostre risate, delle persone che ci circondavano, della musica che riecheggiava in lontananza; il suono della vita che riprendeva a scorrere, il suo respiro lento e regolare, il calore che il suo corpo emanava e quella felicità irrazionale che si impadroniva di nuovo di me, come se quei giorni in cui avevo perso tanto tempo a rimuginare non fossero stati che un'ombra nella notte.
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** Canzoni tratte da The Dark Side Of The Moon, 1973