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Autore: Argorit    05/03/2013    3 recensioni
Meliandra, la principessa del regno di Ader, viene mandata da suo padre a compiere una missione essenziale per la sopravvivenza del popolo. Ad accompagnarla, Farin, un giovane mercenario, potente, spietato e dall'oscuro passato.
Insieme, dovranno salvare il loro mondo dalla minaccia di un essere millenario, una creatura fatta di odio e da esso alimentata.
Ma ce la faranno?
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[Cit]
-Andrà mai via?- chiese Meliandra, fissandosi le mani ancora grondanti d'acqua gelida.
Farin la guardò a lungo, con attenzione. Sapeva cosa avrebbe dovuto risponderle, ma se l'avesse fatto, di quella ragazza non sarebbe rimasto che un guscio vuoto, un mero simulacro di quella che sarebbe potuta essere una magnifica regina.
Quindi, suo malgrado, si chinò su di lei, la avvolse con proprio mantello e le sussurrò -No, non lo farà. Solo gli stolti credono che il tempo lenisca ogni ferita-
-Ma allora cosa devo fare? Come posso convivere con questo? Io non sono forte come te, io non posso andare semplicemente avanti, dimenticando quello che è successo!-
Il ragazzo le rivolse il sorriso più gentile che poteva. -Allora combatti ancora, perchè il dolore che provi ora non sia vano-
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                    Oriveila
 
                                                                                                                              Regno di Ader. Passo dei lupi. Anno 1859
 
Una freccia nemica gli sibilò a poche dita dal viso, ma Ian Montgomery non se ne curò, confidando nella protezione dell’elmo. Evitò con una piroetta un fendente d’ascia e mozzò la testa del soldato che la impugnava, dopo di che sguainò un corto pugnale di ferro e lo scagliò contro un lanciere con tanta forza da conficcarglielo nell’occhio fino all’elsa. Ebbe appena il tempo di rallegrarsi con se stesso per l’ottimo tiro, che un uomo gli si avventò contro mulinando una spada. Il comandante imprecò, aggiustò la presa sul suo pesante spadone a due mani ed ingaggiò un breve scontro, avendo in poche mosse ragione dell’inesperto avversario.
Dannazione, pensò, quanti diavolo di uomini ci sta mandando addosso Alner? Era il terzo plotone che li assaltava da quando, due settimane addietro, la prima pattuglia aveva cercato di attraversare il Passo, e non dava l’impressione di essere l’ultimo.
I rinforzi dalla capitale erano stati una manna dal cielo – senza non avrebbero retto neppure al secondo attacco -, ma anche così le battaglie, così poco distanti l’una dall’altra, fiaccavano sempre più i difensori. Ormai non disponeva più di uomini freschi, ed i guaritori erano sommersi di feriti da rimettere in sesto in fretta e furia. La conta dei morti saliva di giorno in giorno, e neanche l’aiuto dei maghi dell’Accademia riusciva a far fronte all’immane fiumana umana che li stava investendo.
In mancanza di alternative aveva arruolato tutti gli uomini ed i ragazzi abili dei villaggi nei dintorni, armandoli al meglio con quello di cui disponeva, ed aveva inviato un messaggero a Rublia con la richiesta di ulteriori rinforzi, ma non c’era garanzia che avrebbero resistito abbastanza a lungo da riceverli.
Di questo avrebbe dovuto cedere la piazzaforte e ripararsi dietro le mura secondarie, benché la sola idea di fuggire di fronte ad un invasore lo ripugnasse profondamente.
Lo spallaccio destro della sua corazza intercettò un giavellotto, che cadde a terra tintinnando, lasciando solo una larga ammaccatura nel metallo. L’istante successivo l’uomo che l’aveva scagliato venne avvolto da una vampa di fuoco vermiglio e al fianco del comandante si materializzò Jalut, il possente mago dalla pelle scura che era a capo degli incantatori.
«Siamo troppo pochi» commentò in tono pacato con la sua possente voce da basso.
«Lo so» rispose Montgomery, afferrando il giavellotto e scagliandolo contro un fante «Ma ciò non mi impedirà di portarne negli Inferi il maggior numero possibile. Uomini! Formazione ad anello.» Il suo ordine sovrastò il clamore della battaglia, ed i suoi uomini, obbedendo al comando, abbandonarono le proprie posizioni, lasciarono che i nemici sfondassero al centro e li circondarono, schiacciandoli in una morsa senza vie di fuga.
«Bella tattica» approvò Jalut, evocando al contempo un globo di fulmini grande quanto un barile. L’incantesimo si abbatté sulla retroguardia Anshari, trasmettendosi rapidamente attraverso il metallo delle armature e folgorando i soldati al loro interno. La risata tonante del mago accompagnò lo sfrigolio della carne bruciata.
Montgomery grugnì in segno d’approvazione. «Anche il tuo trucchetto non è male. Quanti ne puoi fare?»
«Non abbastanza comandante. È un incantesimo faticoso.»
«Peccato. Arcieri! Coprite la ritirata. Uomini, ripiegare!» I luogotenenti ripeterono subito l’ordine, ed in breve oltre millecinquecento guerrieri indietreggiarono fino alla prima cinta muraria, in una posizione più sicura.
Il resto del plotone tentò di inseguirli, ma una salva di frecce li decimò prima che potessero muoversi. I pochi sopravvissuti si diedero alla fuga.
«Li lasciamo andare?» chiese un tenente, un ragazzo di umili origini di nome Caleb con un incredibile talento nell’uso dell’ascia. Ian annuì «Lascia che siano i lupi a finirli.» Gli antichi signori di quelle terre non tolleravano intrusioni di sorta nel loro territorio, e decimavano le fila nemiche quasi quanto gli scontri con le sue milizie, come a voler proteggere il regno da coloro che lo minacciavano. Anche il freddo contribuiva: abituati ai climi miti della pianura, i soldati di Alner mal sopportavano i venti gelidi e le tempeste di ghiaccio che sferzavano il Passo. Mollaccioni, pensò con disprezzo, passandosi una manciata di neve sulla fronte madida di sudore. Il gelo gli schiarì la mente dalla fatica quel tanto che bastava a rammentargli di ridisporre le truppe, organizzare i turni di riposo ed effettuare un sommario controllo delle provviste, dopo di che, per la prima volta da giorni, andò a concedersi una lunga dormita.
 
                                                                                                                                       Isola di Oriveila. Valsik. Anno 1859
 
La lancia sibilò, veloce come il vento, tracciando un iridescente arco blu nell’aria tersa del mattino mentre si abbatteva su uno scudo fissato ad un trespolo, squarciandolo come se fosse fatto di carta.
Il ragazzo che la impugnava sorrise, invertì il movimento dell’arma con una fulminea rotazione del polso e tagliò nuovamente il bersaglio, questa volta per la lunghezza. I quattro pezzi sussultarono e caddero al suolo, ma il lanciere già non li guardava più.
Con un gesto distratto Shur, figlio del Decano Shoi, afferrò un asciugamano e se lo passò rapidamente sul viso affilato, detergendosi dal sudore le guance magre, il naso aquilino e la fronte liscia, dedicando una particolare cura alle orecchie a punta.
Sbadigliando, l’elfo si stiracchiò, stappò una borraccia e bevve a lungo.
Alle sue spalle un tonfo sordo ruppe il silenzio, e poi un altro, un altro ed un altro ancora, in rapida successione. Shur si voltò con un sorriso, giusto in tempo per godersi l’espressione concentrata di sua sorella Selene mentre scoccava l’ennesimo tiro perfetto contro il paglione, centrandolo nel cerchio più piccolo, che ormai somigliava ad un puntaspilli gigante da quante frecce vi erano conficcate. La migliore arciera elfica. Ne era orgoglioso. Malgrado la coordinazione e la vista acuta, doti innate del suo popolo, lui non era mai stato un bravo tiratore. Troppo impaziente, troppo impulsivo. Selene era il suo esatto opposto: calma e precisa, infallibile.
Erano gemelli, ma non avrebbero potuto essere più diversi l’uno dall’altra. Lui era alto e muscoloso, ben più massiccio della media dei suoi simili. I suoi capelli erano neri come la notte, così come gli occhi, e la fronte era sempre corrugata, tranne quando combatteva.
Lei invece era esile e slanciata, all’apparenza fragile come fine cristallo. La folta chioma color grano le arrivava poco al di sopra dei piccoli seni, ed incorniciavano un viso perfetto e ridente dalla labbra carnose, un nasino all’insù costellato di efelidi e grandi occhi acquamarina.
Diversi come il sole e la luna, eppure inseparabili, legati, promessi.
Selene scoccò ancora, spezzando l’asta di una freccia già presente. Un altro centro.
«Vedo con piacere che l’abilità di tua sorella non è diminuita» commentò una voce profonda alle sue spalle, facendolo sobbalzare. Shur si volse in un lampo, la mano già pronta ad afferrare la lancia, ma si bloccò quando riconobbe il nuovo venuto. «Worth!» esclamò, stupito. Non l’aveva sentito arrivare. Per essere uno Sha-en di quasi due metri era in grado di muoversi in modo incredibilmente silenzioso, il che lo rendeva uno dei sicari più abili della sua razza, nonché l’unico del Popolo della foresta ad avere il diritto di mettere piede sul suolo di Oriveila. «Che ci fai qui?»
Il gigantesco guerriero fece spallucce e disse: «Porto un messaggio dalla capitale.»
Riponendo l’arco in una rastrelliera, Selene si avvicinò al fratello. «Notizie di Meliandra?» La voce dell’elfa era carica d’ansia, ed era comprensibile, visto che la principessa non era solo una sua carissima amica, ma la sua Ayl-shaal, la sua sorella di spirito, colei che un giorno avrebbe fatto da testimone e protettrice al suo matrimonio.
Lo Sha-en sorrise, scoprendo i denti candidi e leggermente aguzzi. «La principessa sta bene. Ha recuperato il manoscritto ed ora si trova sulla strada che porta alla Valle Nera. Il mercenario che è con lei pare sia un tipo difficile, ma gode di una certa fama nel suo ambiente.»
Shur sbuffò «Come no, una fama di assassino senza scrupoli. Avrei dovuto accompagnarla io.» Quando aveva saputo della profezia della regina Kelastria si era offerto volontario. Era disposto persino a sottoporsi ad un incantesimo per rendere più umani i suoi lineamenti – abbassare gli zigomi, accorciare le orecchie, rendere meno liscia la pelle -, ma il re non aveva voluto contravvenire neppure ad una riga della profezia. No, doveva essere quel Farin a proteggere la principessa, per quanto l’idea non piacesse a nessuno.
Sospirò «Beh, qual è questo messaggio?»
«Sua maestà vuole che ci rechiamo oltre le linee nemiche. Dobbiamo scoprire di quali forze dispone Alner, quali sono i suoi piani e, se possibile, sabotarli.»
«E Mel?»
«Se saremo fortunati la incontreremo durante il viaggio, ma Ansha è grande, e lei ha la sua missione da compiere.»
Shur annuì, serio «Quando partiamo?»
Gli occhi grigi dello Sha-en scintillarono, lasciando intravedere per un attimo la possente fiera che albergava nel suo animo. «Subito.»


Ebbene si, Madame e Messeri, dopo eoni sono riuscito ad aggiornare. Chiedo venia per l'attesa a quei santi che non mi hanno fanculizzato dopo il primo mese di attesa XD
Stavolta non ho scuse. Semplicemente non sapevo che scrivere, o meglio come scriverlo, e quindi ci ho messo un secolo. 
Al solito mi tocca ringraziare tutti quelli che leggono e commentano, ed in particolar modo Alya (Che farei senza le tue critiche XD) e Tayra, la mia invogliatrice col fucile (Che farei senza di te :*)
Detto ciò, al prossimo capitolo.
Sayonaraaaa

Ps. Per chi fosse interessato il mio account fb è: http://www.facebook.com/?ref=tn_tnmn
                               

  
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