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Autore: Emrys    06/03/2013    1 recensioni
Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per quanto la semplice idea le suonasse aliena non riusciva più a negarlo: si stava ambientando. Di giorno in giorno sentiva sciogliersi progressivamente il nodo di ansia e tensione che l’aveva accompagnata per la maggior parte della sua vita, era spaventata, e non aveva la minima idea di come doveva comportarsi. Iris normalizzò il respiro e spalancata la porta della gelateria si sforzò di fare il vuoto in testa, Janet le sorrise dal solito angolo e lei la ricambiò con timidezza: era la quarta volta che si trovavano lì alla stesa ora e per quanto ancora non ne capisse il motivo, quella ragazza continuava a insistere nel dirsi sua amica. Mark si appoggiò al bancone, assunse un’espressione sorniona e senza darle il tempo di ordinare mise tra le braccia di Iri un vassoio con due coppe pronte: crema-limone e fragola yogurt. Iris aprì la bocca per dire qualcosa, ma l’occhiolino  dell’uomo la spinse a voltargli le spalle e andare dritta al tavolo: poteva essere soltanto un’impressione, ma aveva la sensazione di essere diventata troppo prevedibile. “Non c’è che dire, se fossimo in uno di quei vecchi film polizieschi ormai potremmo chiedere a Mark – il solito -. Ha imparato i nostri gusti.” Le sorrideva con innocenza e Iris si sedette trattenendo a stento una risata: Janet aveva l’arcano potere di farla star bene, anche nelle giornate più nere. Era bello avere un’amica. “Potrebbe essere un’idea, anche se mi suona più come una battuta da saloon.” Lei finse di rifletterci su e alla fine annuì  afferrando la coppa di gelato. “Iris, sembra che alla fine hai capito che non mordo.” Lei  abbassò lo sguardo, restando con il cucchiaino a mezz’aria e dopo un momento le sue orecchie furono raggiunte dalla spontanea risata dell’altra. “Beh, la mia non è certo una critica: troppe persone tendono a fidarsi al primo sguardo e questo può portare a dimenticare che le serpi possono essere sempre dietro l’angolo.” Iris non si aspettava certo un’uscita simile, ma in un certo senso doveva ammettere che aspettarsi un problema dietro ogni angolo era proprio il suo atteggiamento più tipico. “Comunque, i Tuoi alla fine hanno scelto a quale scuola iscriverti?” Davanti a questo argomento Iris ebbe un brivido istintivo. “Non hai motivo di temermi, nella nuova classe mica troverai soltanto stronze egocentriche ! E poi, in ogni caso io  non ti lascio. No, no, no …” Scuoteva l’indice in modo buffo e Iris iniziò a ridere fino alle lacrime, arrivando persino a sputacchiare pezzi di gelato sul tavolo. “Gra…zie.” “E di che? Siamo amiche e le amiche si sostengono a vicenda. Visto che non è poi così difficile lasciarsi andare?” Allora mise un gomito sul tavolo e inclinando la testa sulla destra l’appoggiò al palmo della mano. “Ora smettiamola con questi discorsi, quando le vacanze e questo forno travestito da estate finiranno incontreremo anche i ragazzi.” Fece una pausa a effetto e per un attimo Iris rimase interdetta. “Lo so anch’io che otto maschi su dieci hanno il cervello grande quanto una nocciolina, tuttavia per quanto più difficili da trovare esistono anche quelli fichi !” Aveva una luce maliziosa nello sguardo e per un pelo Iris non si strozzò dalla sorpresa: con tutto quello che aveva passato negli ultimi anni non aveva mai avuto il tempo di pensare  ai maschi come qualcosa di più che degli alieni irritanti.    

§§§

Il flusso d’acqua della doccia era estasiante, proprio quello che serviva ai suoi muscoli indolenziti, e quando alla fine Iris si avvolse nell’accappatoio verde chiaro si sentì letteralmente rinascere. Quella sera la signora Anderson, Anna, era uscita insieme ad una sua vecchia amica del liceo e quindi i soli presenti in casa erano lei e il signor Anderson: Paul. Lui portava spesso il lavoro a casa e per questo sia lei che sua moglie riuscivano a vederlo molo poco, così dopo aver tergiversato un po’ si mise il pigiama e andò a trovarlo nel suo studio. “Ciao.” La porta non aveva neanche cigolato, eppure lui l’aveva sentita: superudito ? Inspirò, come se dovesse tuffarsi in un mare in tempesta e la figura di Paul le apparve dietro una scrivania anni ’50 sormontata da libri e fascicoli. Due strani baffi neri gli coprivano il labbro superiore, non aveva mai incontrato prima un adulto con i baffi, e i capelli con qualche ciocca grigia perennemente arruffati gli davano un certo stile. Tutto sommato con i suoi 47 anni conservava un aspetto alquanto giovanile. “Non volevo disturbare.” L’aveva detto con un tono da cucciolo smarrito e subito si morse le labbra per impedirsi di continuare. “Vieni pure, non disturbi mai, Iris... Siediti...” Era gentile e inaspettatamente rassicurante, lei inghiottì a vuoto e strascicò i piedi fino ad accomodarsi. “Io...” Era imbarazzata e non aveva idea di cosa dire, senza contare che di solito parlare con gli adulti moltiplicava i problemi, invece di risolverli. Per adesso Paul le piaceva, ma parlargli all’improvviso non le sembrava più un’idea così brillante. “Spero che per te ambientarsi non sia troppo difficile: ambiente nuovo, amici...” Iris lo interruppe con enfasi. “No, no, va tutto bene. La città mi piace e mi sono già fatto un’amica.” Gongolava per la gioia, in fondo erano giorni che moriva dalla voglia di raccontare a qualcuno di Janet: la sua prima amica in più di un anno. “Sono contento.” Paul si alzò dalla sedia e le arrivò davanti tirandola su di peso, neanche fosse stata un fuscello, per poi stringerla in un abbraccio inatteso.

Quell'uomo odorava di tabacco e cuoio, ma soprattutto in qualche modo sapeva di buono. Pertanto, dopo  una prima esitazione Iris lo strinse con la foga di un naufrago che ha trovato un’insperata scialuppa di salvataggio. “Qualunque esperienza tu abbia subito prima di giungere da noi non importa più. Se qualcuno proverà a farti del male io ti proteggerò, forse abbiamo passato ancora poco tempo insieme ma sei mia figlia e ti voglio bene, bambina mia.” Le aveva parlato all’orecchio e per l’emozione Iris cominciò a piangere affondando il viso sul suo petto. Dopo qualche minuti Paul sciolse l’abbraccio e Iris gli stampò un bacio sulla guancia, per poi fuggire fino alla porta e voltarsi verso di lui all’ultimo momento: “Grazie, papà.” Era la prima volta che lo chiamava così e Paul ne era felice, anche se tra i due non si poteva dire chi fosse il più sorpreso.  

§§§

Iris entrò in camera e chiuse la porta con un’insolita delicatezza, lanciando poi le scarpe contro l’armadio e tuffandosi sul letto. I capelli le coprivano la faccia, però uno sbuffo fu sufficiente per far scostare il ciuffo ribelle e lei recuperò la visuale. Era tesa e maledettamente in conflitto con se stessa: paragonata con le sue ultime famiglie affidatarie le cose andavano molto meglio, il che era tutto dire, e inoltre aveva trovato qualcosa che nelle precedenti occasioni le era sempre mancato. Un’amica. Senza contare il fatto che si stava affezionando ai modi da chioccia di Anna e alla silenziosa comprensione di Paul, ancora faticava a credere di averlo chiamato papà ! Nonostante questo una vocina fastidiosa continuava a sussurrarle ossessivamente che non poteva permettersi di avere legami. Inspirò, chiuse gli occhi e poi rotolò sul materasso avanti e indietro, fino a tornare alla posizione di partenza: voleva davvero continuare a prendersi per i fondelli? Gli voleva bene, provava affetto per gli Anderson e ogni loro piccolo gesto le trasmetteva una tenerezza  a cui non era più abituata: aveva la strana sensazione di appartenere a un nido ed era una novità piacevole.

La situazione generale era semplice e allo stesso tempo maledettamente incasinata: Paul e Anna credevano di poterla tenere al sicuro, tuttavia lei sapeva che essere al sicuro non era altro che una bugia smielata. Abbandonarsi all’idea della loro illusoria protezione restava lo stesso una tentazione fin troppo forte. “Mi manderebbero via se.” Un groppo in gola le impedì di andare avanti: Janet le era amica e per gli Anderson poteva come minimo dire lo stesso, malgrado ciò nessuno di loro sapeva la verità su i mostri. Stava davvero pensando di parlargliene? Poteva permettersi di rischiare? Spostò lo sguardo verso l’interno della camera e si capovolse restando in silenzio, per poi fermarsi a fissare il soffitto.

§§§

Castar accarezzò la statua di marmo bianco al suo fianco e dopo un istante fece un sospiro tipicamente umano: Eric era sparito con la senza ali e Sihel, che gli aveva offerto un posto nel suo entourage, era stato inghiottito da una luce aliena insieme a un essere umano sconosciuto a tutte le loro fazioni. Alla fine le alte gerarchie l’avevano ripreso nei cieli, come il figliol prodigo di alcuni testi umani, malgrado ciò adesso era diventato una sorta di ramingo. “Il mio status attuale non è proprio il più adatto per raccattare informazioni valide.” Da quando era tornato trovava soltanto pettegolezzi o voci imprecise e l’ultima era così inverosimile da puzzare terribilmente di balla: gli Anziani avevano ripreso a cercare qualcosa o qualcuno e con un’enfasi addirittura maggiore della sua simpatica coppia di fuggitivi. Cosa poteva essere più importante del traditore e di una femmina umana erede del loro lignaggio?

Eric aveva portato dubbio e malcontento tra le loro file e come conseguenza immediata già alcuni civili stavano riprendendo a pensare con la propria testa, nonostante questo gli anziani non intervenivano e invece di concentrare le forze su di lui e la senza ali dividevano le forze. Per riuscire sul serio a capirci qualcosa doveva per forza entrare in uno dei loro squadroni: Riel e Anyel non erano neppure da prendere in considerazione, troppo paranoici e machiavellici, e Caiel era decisamente troppo instabile. Quindi l’unico bersaglio seriamente papabile era Meiel. Rimase immobile per quasi un minuto, forse per accettare l’idea, si stiracchiò sparì tra le ombre con un sorriso sghembo.

§§§

Erano passati secoli dall’ultima volta in cui Meiel si era sentito tanto eccitato: essere un Anziano gli dava enormi privilegi, ma la noia di quelle continue attese burocratiche stava diventando qualcosa di insopportabile. Per rintracciare il bersaglio aveva già sguinzagliato i suoi lui, in grado di seguire ogni genere di odore, e dopo i primi tempi in cui si era immerso nelle loro sensazioni aveva cominciato ad allenarsi intensamente con i suoi. Sempre pronti era la regola fondamentale di tutta la sua esistenza. Fu mentre disarmava un angelo biondo e lo faceva piegare su se stesso con una ginocchiata all’inguine che Castar apparve in un angolo dell’arena e lo vide: capelli riccioli corti e un accenno di grigio sulla barba, grandi occhi caprini colmi di divertimento e una cicatrice all’altezza del collo che spiccava sul corpo atletico. Aveva steso a mani nude due avversari armati e quello era solo un mero esempio della sua forza.

“Abbiamo ospiti.” Il tono di Meiel era sprezzante e prima che Castar potesse ribattere se lo trovò alle spalle. “Vuoi sgranchirti un po’ con me?” Sulle sue labbra si disegnò un sorriso fugace e con un salto improvviso provò a colpire l’Anziano con un calcio alla testa, il colpo fu da lui parato con un semplice gesto del polso. “La ginnastica può essere divertente, ma io cerco un nuovo Padrone.” Il ghigno sulla faccia di Meiel si allargò, simile all’espressione di un predatore che ha messo con le spalle al muro la sua preda. “Conosco la tua storia Castar, maestro di Himotep, e direi che la cosa si può fare.” Spalancò le ali e dopo due battiti veloci, per sgranchirle, si mise in posizione di guardia. “I dettagli potremo pianificarli in seguito, adesso vediamo se sei all’altezza delle mie aspettative!” Gli fu addosso in un lampo e sotto gli occhi curiosi dei sottoposti lì radunati cominciarono a combattere furiosamente. 

   
 
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