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Autore: Laylath    13/03/2013    3 recensioni
Una storia che narra l'arrivo del giovanissimo soldato Kain Fury nel team del Colonnello Mustang.
Non sempre gli inizi sono facili, soprattutto quando si è privi di esperienza e si ha a che fare con compagni così diversi da se stessi: bisogna lavorare bene l'impasto per creare un team affiatato.
E soprattutto bisogna saper crescere
Storia finita di revisionare l'11 novembre 2013
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Epilogo. Due anni dopo.


 
Una giornata di pioggia improvvisa, come sempre succedeva a gennaio.
Nonostante fosse mattina le nuvole erano così dense da dare l’idea che fosse sera avanzata; le vie di East City erano deserte, la gente preferiva restare a casa in simili giornate, mentre gocce sottili e fitte cadevano dal cielo, creando piccoli fiumi lungo i margini delle strade.
Ad interrompere quella monotonia per qualche secondo era una figura in uniforme che correva sotto la pioggia.
 
Il sergente maggiore Kain Fury si rimproverò per l’ennesima vota di essersi dimenticato, la sera prima, di passare nel negozio di elettronica per ordinare quei pezzi speciali che gli servivano. Non aveva potuto fare richiesta ai magazzini dell’esercito perché, ovviamente, gli servivano per qualcosa che il colonnello voleva tenere riservato. E quindi, considerata l’urgenza, gli era toccato uscire nonostante la pioggia.
Si fermò a riprendere fiato sotto l’insegna di un negozio e, girandosi, vide il suo riflesso nel vetrina.
A settembre aveva compiuto vent’anni, ma la maggior parte della gente continuava a ritenerlo più giovane di quanto in realtà fosse: i suoi lineamenti, infatti, avevano mantenuto la delicatezza infantile che, insieme alla sua statura non proprio eccezionale, lo facevano passare per un adolescente. A dire il vero, nell’ultima visita che aveva fatto a casa, sua madre aveva constatato con orgoglio che era cresciuto di almeno un centimetro ed era diventato leggermente più robusto. Ma era una magra consolazione, considerando che il sottotenente Havoc l’aveva da poco sollevato in aria con un braccio solo, in una serata al pub in cui era particolarmente brillo e aveva voluto fare una scommessa con Breda.
Da un ciuffo di capelli cadde una goccia che prese a scivolargli lungo la lente sinistra: asciugandosela si trovò a ripensare alla prima volta che aveva ucciso un uomo e si era disperatamente attaccato all’idea che il sangue fosse solo un effetto dello sporco sugli occhiali. Erano passati due anni e la ferita all’anima che gli aveva provocato quel gesto era ancora lì e non se ne sarebbe andata mai. In quell’arco di tempo gli era capitato di sparare altre volte, fortunatamente solo per aiutare i suoi compagni nelle azioni di copertura… tuttavia era perfettamente consapevole che se si fosse presentata la necessità avrebbe ucciso di nuovo.
Non era più un ragazzino, ma un soldato e non si sarebbe sottratto al suo dovere.
Tuttavia era confortato dall’immensa fiducia che nutriva nei confronti del suo superiore: sapeva che il colonnello non gli avrebbe mai dato un ordine così terribile se non fosse stato estremamente necessario. Già, il colonnello… non aveva mai più esitato ad eseguire un suo comando ed ormai aveva imparato a riconoscere tutte le sfumature nella sua voce e nei suoi atteggiamenti. Adesso quando convocava la squadra per qualche missione, si alzavano tutti contemporaneamente.
 
Sperando che la pioggia diminuisse almeno un po’ , si mise una mano in tasca e prese un paio delle sue inseparabili rondelline; se le mise tra le dita e iniziò a giocarci distrattamente.
Non vedeva l’ora di tornare al Quartier Generale, cambiarsi, e bere qualcosa di caldo per scongiurare un raffreddore. Di sicuro il tenente l’avrebbe rimproverato per essere uscito con questo tempaccio: certe cose non cambiavano mai, ma in fondo non gli dispiaceva.
Del resto in una famiglia ci si prende cura uno dell’altro.
Stava ridacchiando all’idea dell’inevitabile sgridata e delle conseguenti prese in giro degli altri, quando una delle rondelle gli sfuggi di mano.
“Oh no!” gemette, rincorrendo il piccolo pezzo di metallo che rimbalzava sul marciapiede e si fermava a pochi metri di distanza.
Si inginocchiò a riprenderlo e lo rimise in tasca. Dato che ormai era di nuovo sotto la pioggia tanto valeva riavviarsi, tuttavia si accorse che dal vicolo davanti al quale si era fermato proveniva un leggero movimento.
Si fece avanti, guardando incuriosito tra alcune cassette di legno abbandonate.
“Ciao piccolino!” esclamò illuminandosi in volto.
Davanti a lui c’era un cagnolino, di razza indefinita, bianco e nero. Era rannicchiato su se stesso e tremava per il freddo: le cassette non costituivano un riparo adeguato ed il pelo era tutto bagnato. Come si accorse della presenza del soldato guaì tristemente.
Fury allungò la mano verso quel musino tremante e permise all’animale di annusarlo e dopo un primo esame il cucciolo gli leccò le dita.
“Vieni, – mormorò dolcemente, prelevandolo dal vicolo – sei tutto infreddolito, poverino.”
Si sbottonò la parte superiore della giacca dell’uniforme e infilò dentro la bestiola, in modo da ripararla dalla pioggia. A contatto col calore del suo corpo il cagnolino parve rassicurarsi e si accoccolò al suo petto.
“Sei così piccolo. Di certo non posso lasciarti in mezzo alla strada, con questo tempo poi…”
Per un momento gli venne in mente che forse non avrebbe potuto portarlo al Quartier Generale: il regolamento parlava chiaro… niente animali nei dormitori. Poi il cucciolo abbaiò e lo sentì muoversi dentro la giacca fino a che il muso non spuntò fuori.
“Non ti preoccupare. – sorrise il sergente maggiore incamminandosi – Purtroppo io non ti posso tenere, ma conosco diverse persone a cui chiedere. Sono come una famiglia per me e sono certo che qualcuno di loro sarà disposto a prenderti.”
 
Entrando in ufficio con il cucciolo ancora nascosto dentro la giacca, si accorse che non c’era nessuno: evidentemente si stavano tutti concedendo una pausa.
“Aspetta qui, - disse posandolo sul pavimento – vado a cambiarmi e poi penso a procurarti qualcosa da mangiare.”
Andò negli spogliatoi e si levò con impazienza la divisa fradicia. Se ne mise una pulita, si asciugò rapidamente i capelli neri e poi corse verso l’ufficio, portandosi dietro un asciugamano per asciugare il cucciolo.
Come stava per aprire la porta sentì il grido di Breda seguito dalla voce di Havoc:
“Che hai da urlare, Breda?”
“Havoc, fai attenzione! Guarda… laggiù, laggiù!”
“Ma bene, e quello che sarebbe?” chiese la voce del tenente
“Direi che è un cane…” rispose la voce di Falman
Con un sospiro Fury mise la mano sulla maniglia. Le premesse non erano delle migliori, ma nel suo inguaribile ottimismo era certo che, in un modo o nell’altro, il cucciolo avrebbe trovato casa.
Chissà… magari al colonnello piacevano i cani. 
  
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