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Autore: Loony Evans    17/03/2013    10 recensioni
Un tempo quel luogo veniva chiamato America del Nord. Un tempo quel luogo era famoso per essere la patria della libertà. Un tempo quel luogo ogni anno festeggiava il giorno in cui aveva conquistato la sua libertà.
Ora quel luogo è chiamato Panem. Ora quel luogo non è più famoso, è solo crudele. Ora quel luogo ogni anno ricorda il giorno in cui ha perso ogni libertà, anche quella di rimanere in vita o no.
Questa è la 38 edizione, la vostra 38 edizione. Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Distretto 12 (discolady, Lena Mayfleet)
 
-         Ti sei allenato degnamente oggi, Steve? È il gran giorno.- osservò Richard Adamson.
-         Lo so padre. Ho completato l’addestramento come ogni giorno.- rispose Steve.
-         Ottimo.- approvò l’uomo poggiandogli una mano sulla spalla e facendolo sorridere lievemente.
Aspettò che Steve finisse di mangiare il suo pezzo di pane bruciacchiato, poi uscirono insieme diretto verso la piazza, verso il luogo della ribalta.
Silenzio. Perché il giorno della Mietitura c’era sempre silenzio? Steve lo trovava irritante, soprattutto vista la tensione causata da ciò che stava per fare.
Respirò profondamente senza guardare il padre per non avere nessuna esitazione. Ogni indugio poteva essere fatale per il loro piano.
Al terzo bivio, furono raggiunti dalla zia materna di Steve: Susan Evedaughter. Il ragazzo la abbracciò velocemente; la considerava quasi una madre, poiché era stata lei ad assumere in un certo senso quel ruolo, poiché lui non aveva mai conosciuto la donna che gli aveva dato la vita.
Lucy aveva fatto appena in tempo a vedere il figlio, prima di essere estratta alla Mietitura e morire alla Cornucopia, essendo debole a causa del recente parto.
Il rimpianto di non averla conosciuta era sempre nella mente di Steve, e si era trasformato in puro odio misto a rabbia.
-         Come stai tesoro?- gli chiese zia Susan.
-         Abbastanza bene, fisicamente.- rispose lui.
-         Sei sicuro di…- iniziò.
-         Sì. - la interruppe Steve risoluto.
La donna sospirò e annuì accarezzandogli la schiena e rimpiangendo i tempi in cui faceva lo stesso gesto sulla sua testa, quando era ancora bambino, quando ancora non rischiava.
Lei non aveva mai approvato il progetto del cognato, che riteneva violento e temeva mortalmente di perdere il nipote adorato.
Il tragitto dal Giacimento era lungo e lo passarono quasi del tutto in silenzio, anche se a volte la zia mormorava parole affettuose al nipote il quale, a braccetto con lei, le sorrideva e le accarezzava talvolta la mano.
Passarono la zona dei negozi. Non ci andavano spesso, vuoi perché non avevano molti soldi da spendere, vuoi perché non conoscevano nessuno; comunque era sempre una brutta vista quella dei negozi sprangati e degli esigui gruppi di persone che convergevano verso lo stesso punto.
Seguirono il flusso fino a trovarsi fin troppo presto in piazza, luogo piacevole in tutto l’anno tranne che in quel periodo.
I Giochi non risparmiavano neanche un luogo, ovunque si poteva vedere e sentire la loro presenza.
- Allora vado.- disse Steve.
La zia Susan lo abbracciò di slancio con le lacrime agli occhi e lui la strinse forte. Quando si staccarono, il padre si limitò ad annuire con fare solenne e Steve si accodò.
Si sistemò tra i suoi coetanei e si preparò.
Non poté fare a meno di rivolgere uno sguardo alle diciottenni, dove sarebbe stata lei se solo…
Tentò di scacciare il pensiero e di rivolgere l’attenzione al palco, ma la sua immagine gli danzò davanti agli occhi e sentì il suo profumo e la sua risata.
Un’ondata di dolore lo colpì, facendolo tremare di rabbia e rafforzando la sua decisione.
-         Ma bene! Quanta bella gente vedo qui!- esclamò la capitolina, vestita di uno sgargiante arancione zucca che faceva male agli occhi.
Nel silenzio generale si avvicinò inaspettatamente alla boccia dei ragazzi e, con un occhiolino, disse: - Prima i signori!-
Prese il bigliettino, lo dischiuse e aprì la bocca. Prima che potesse dire una qualsiasi parola, però, fu interrotta da un urlo.
La voce di Steve pronunciò la frase che nel Distretto 12 non si era mai sentita prima: - Mi offro volontario come tributo!-
 
-         Keravenne! Muovi quel cazzo di culo che ti ritrovi e vai in piazza!- urlò il signor Drake.
-         Va bene maledetto imbecille! Ora me ne vado così mi libero dalla visione della tua lurida faccia!-
-         Oh! Finalmente ascolti, piccola pezzente!-
-         Non osare dirmi cosa fare razza di maiale! Se ti do ascolto, è solo perché non voglio che quella cazzo di Capitol mi rompa le palle!-
Detto questo, spinse bruscamente via l’uomo e uscì dal ripostiglio in cui viveva.
Sbatté la porta della conceria in cui lavorava storcendo il naso all’acre odore della vernice odiando il suo stupido proprietario e il fatto di essere stata costretta a lavorare per lui.
Sputò a terra, odiando dal più profondo del suo cuore quello stupido giorno che serviva solo a mostrare ancora una volta che Capitol li controllava.
Ma non lei. No, Freya Keravenne non era nata per rimanere in silenzio. Doveva solo giocare bene le sue carte, allora Capitol avrebbe capito che la tirannia non è mai eterna.
Avrebbe imparato a temere i sudditi.
Aspettando quel momento, si limitava ai suoi piccoli atti di ribellione contenuti che con sua grande rabbia non importavano nulla a Capitol, troppo presa dalla sua vanità per badare ai Distretti.
Tirò un calcio a un sasso lì vicino sbuffando e s’inoltrò nella breve camminata verso la piazza.
-         Mi raccomando, fai attenzione. Ti raggiungeremo dopo.- Freya si bloccò alla vista di Azure che usciva da casa Heeltarh.
-         Va bene.- la ragazza abbracciò la madre sorridendo mestamente.
Poi si voltarono e la videro. S’irrigidirono entrambe e Azure aprì la bocca come per parlare, ma Freya non gliene diede il tempo.
Alzò le spalle e gli passò di fianco senza degnarle di alcuna parola o sguardo. Non li meritavano e poi non voleva essere accusata di pestaggio, aveva necessità di essere libera.
Andò a passo di marcia verso la piazza, voltandosi di tanto in tanto, per essere sicura che Azure non la stesse seguendo. Non avrebbe potuto vederla due volte senza farle del male.
Una bambina di non più di cinque anni camminava mano nella mano del papà, guardandosi intorno spaventata mentre l’uomo tirava dritto, seguendo quella che doveva essere la moglie.
-         Papà, perché quella ragazza va in piazza da sola?- chiese la piccola.
-         Non lo so tesoro. Ora andiamo.- rispose l’uomo con tenerezza.
Freya tremò di rabbia e di rimpianto pensando a quando suo padre teneva lei per mano, quasi dieci anni prima fissò la bambina finché non si fu allontanata, colpevole di averle ricordato di nuovo ciò che Capitol le aveva tolto, ciò che avrebbe potuto essere suo.
Una fugace visione dell’abbraccio caldo della madre e della tuonante risata del padre si affacciarono nella sua mente e altrettanto in fretta svanirono.
Poi scosse la testa. Non sarebbe mai più accaduto, era inutile pensarci.
Finalmente arrivò. La piazza era brulicante e piena di persone, ma allo stesso tempo sembrava come morta.
Non c’erano bambini che si rincorrevano, nessun venditore che cercava di attirare la gente al suo negozio, perfino i contrabbandieri del Forno, che alcune volte si azzardavano a passare di lì pieni di merce, erano del tutto scomparsi.
Quando fu il suo turno, il Pacificatore la punse di proposito più a lungo degli altri e le rivolse un sorriso sprezzante, prontamente ricambiato da un’occhiata di fuoco.
Si sistemò con malagrazia fra le sue coetanee e attese di sentire la voce di quella che pareva essere una zucca venuta abbastanza male.
-         Prima i signori!- disse con una voce pigolante.
“Perfetto, e adesso si crederà anche originale”, pensò Freya con disprezzo.
-         Mi offro volontario come tributo!- urlò una voce maschile poco distante.
La ragazza, come ogni altra persona presente nel Distretto, si voltò di scatto a guardare l’alto ragazzo dalla pelle scura, sicuramente nativo del Giacimento, che saliva le scale con sicurezza.
Superato lo shock iniziale, venne solo il disprezzo.
“Bravo piccolo schiavo, mostra la tua lealtà a Capitol” pensò con spregio.
-         Oh…ottimo!- esclamò la capitolina dopo un momento di sorpresa.- Vediamo allora con chi condividerai quest’avventura!-
Mentre la sua mano vagava tra i bigliettini, Freya assaporò e odiò il silenzio pesante e aggressivo che si era venuto a creare.
-         Dunque, ah! Freya Kerv-Ke-Keravènne!- annunciò trionfante.
Freya rimase ferma un attimo, shockata. Poi, lentamente, si rese conto che tanto ci doveva salire su quel fottuto palco, dunque lo fece.
-         Bene, cara! Ti senti pronta?- chiese la capitolina, fintamente premurosa.
-         Fatti i cazzi tuoi.- replicò gelidamente.- Ah. Si pronuncia Kèravenne cretina.-
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