Non
potevo crederci.
Un uomo era appena stato ucciso davanti
ai miei occhi.
L’assassino mi dava le spalle, ma potevo benissimo vedere le
mani insanguinate che tenevano il corpo morto della vittima.
Era
vestito di
nero da capo a piedi, e si confondeva con
l’oscurità della strada.
Ero
paralizzata dalla paura, non riuscivo proprio a muovermi.
Lui tornò in
posizione eretta, lasciando cadere il cadavere a terra, e si
voltò leggermente
verso di me.
Un bagliore dorato catturò il mio sguardo. Meno di un
secondo dopo
mi era davanti, e mi osservava coi suoi freddi occhi gialli.
Sobbalzai: non
l’avevo visto muoversi.
Stette in silenzio per un po’, poi allungò la mano
e mi
sfiorò la gola, scostando una ciocca bionda dal collo.
–Ma non hai paura?-
chiese pacato.
Mi resi conto di non averne più, così scossi la
testa
negativamente. L’ombra di un sorriso increspò le
sue labbra sottili.
–Sei
davvero strana, ragazzina.-
Feci “sì” col capo.
–Me lo dicono tutti-
Sembrava
quasi una giustificazione. Mi guardò allibito per un
po’, poi scoppiò a ridere
di gusto.
–Ahahah! Sei... particolare!- esclamò.
Lo squadrai un po’ meglio.
Anche se nella strada c’era la penombra riuscivo a
distinguere bene il vestito
scuro che lo copriva fino al mento (il bavero era abbassato) e gli
occhi dorati
che brillavano come due piccole stelle.
–Tu sei... un membro del Genei
Ryodan... Vero?- chiesi.
Smise di ridere.
–Sono Feitan.- disse solo.
Stette a
guardarmi, aspettando la mia risposta alla domanda
sottointesa.
–Keyla. Mi
chiamo Keyla.- feci impacciata.
Sorrise.
Da
quel giorno iniziai ad incontrarlo dappertutto.
Me lo
ritrovavo qualche volta fuori dalla scuola, qualche volta mi salutava
mentre
ero con le amiche, in centro, qualche volta persino dentro casa. Di lui
conoscevo solo il nome ed il fatto che era un assassino.
–Ma non hai paura a
starmi vicina?- mi chiese una volta.
Io lo avevo guardato e avevo scosso la
testa, guadagnandomi uno sguardo interrogativo da parte sua.
–Se avessi voluto
uccidermi o farmi del male l’avresti già fatto,
no?-
Aveva sgranato quei suoi
bei occhioni dorati e aveva riso.
–Sei di un’ingenuità disarmante, sai?-
mi
aveva detto.
Quando avevo bisogno di una mano, lui c’era sempre.
Sembrava non
avesse niente di meglio da fare che badare ad una ragazzina sbadata e
perennemente nei guai. Non dovevo neanche chiamarlo – poche
volte ho
pronunciato il suo nome, all’inizio –
perché subito mi raggiungeva e mi
“salvava”. Lui mi chiamava sempre
“ragazzina”, ma sapeva dare a quel nomignolo
un affetto che era strano ed innaturale, per un assassino
provetto.
Fu sempre
lui a prendere l’iniziativa: io ero troppo timida.
Un giorno, appena entrata a
casa dopo la scuola, lo trovai dentro.
Mi afferrò per un polso e mi tirò a
sé,
con una presa delicata ma ferrea. Io lo guardai confusa, almeno fino a
che non
si chinò per baciarmi.
Con l’altro braccio i cinse la vita, avvicinandomi
ancora di più al suo petto.
Ero emozionatissima, tremavo, e lui fraintese
quell’emozione.
Si allontanò immediatamente, e mi
lasciò.
–Mi dispiace- si
scusò –Non avrei dovuto essere così
sfacciato...-
Non lo lasciai continuare: lo
raggiunsi e gli poggiai le mani sulle spalle, per poi baciarlo
ancora.
Sgranò
gli occhi ed io li chiusi, cercando per non svenire per
l’emozione.
Quando ci
staccammo mi girava la testa. Le sue braccia mi sorressero subito,
prontamente.
–Ehi, come va?- chiese preoccupato.
Biascicai qualcosa di incomprensibile.
Lo
vidi sorridere e un istante dopo mi ritrovai sospesa
nell’aria, in braccio a
lui.
Mi portò fino alla mia camera e mi appoggiò sul
letto con delicatezza.
–Non lo faccio più, se poi ti fa questo
effetto...- disse divertito.
Mi
affrettai a riprendermi.
–No! Non mi fa nessunissimo effetto negativo!- mentii
scattando a sedere.
Rise.
–Ehi, ragazzina, stai tranquilla che se no hai una
ricaduta!- mi avvertì.
Divenni rossa fino alle orecchie, capendo che l’aveva
detto solo per stuzzicarmi.
Appoggiai le spalle al muro e lo guardai
pensierosa.
–Come puoi interessarti ad una come me? insomma, tu sei...-
iniziai, ma mi interruppe: -Un assassino?- completò
incupendosi.
Mi affrettai a
correggermi.
–No! Cioè, sì, ma non è
questo che intendevo! Io volevo dire che
tu sei speciale, mentre io sono una comune ragazzina...- mormorai con
la voce
sempre più flebile. Mi prese il mento e lo
sollevò, catturando il mio sguardo coi
suoi occhi d’oro.
–Sei tu ad avere un bel coraggio. Non sono un tipo che si
può
definire “raccomandabile”.- fece
ghignando.
Senza pensare lo abbracciai. Lo
sentii irrigidirsi un poco, sorpreso.
–Ti voglio bene. Tanto.- sussurrai mentre
i suoi capelli neri mi facevano il solletico al viso.
–Sei strana- ridacchiò.
–Lo so.-
Una
volta rientrai di sera, alle nove passate.
Ero stata
tutto il pomeriggio (compresa la cena) a casa di una compagna di
classe, perché
dovevamo finire un progetto per la scuola.
Come al solito lo trovai appoggiato
al davanzale, che mi osservava silenzioso mentre entravo, chiudevo la
porta
alle mie spalle e riponevo le chiavi sopra al mobile
nell’ingresso.
Barcollai
fino al divano e mi sedetti: mi sentivo poco bene.
–Che hai?- mi chiese avvicinandosi.
–Niente, niente. Sono solo un po’ stanca...-
risposi accennando un sorriso.
Parve non ascoltarmi e si sedette accanto a me, poi mi
poggiò una mano dietro
la nuca e mi avvicinò, posandomi le labbra sulla
fronte.
–Hai la febbre-
constatò lasciandomi.
Cercai di negare, ma ero perfettamente consapevole che
aveva ragione.
–Domani non esci.- ordinò con fare protettivo,
prendendomi in
braccio e portandomi in camera. Aspettò (ovviamente voltato)
che mi mettessi in
pigiama, e quando ebbi finito di cambiarmi mi costrinse ad infilarmi
sotto le
coperte.
Mi accarezzò i capelli, scostandomeli da davanti alla
fronte, e si
lasciò sfuggire un sorriso intenerito.
–Ma come si fa ad ammalarsi in
primavera? Di solito non è d’autunno che succede?-
ironizzò.
Lo guardai con gli
occhi socchiusi: la febbre stava agendo sulla mia mente come un
tranquillante.
–Se mi stai troppo vicino ti ammalerai anche tu...-
mormorai.
Scosse la testa.
–No. Io non mi ammalo mai.- rispose divertito.
Inclinai la testa da un lato,
fissandolo male. Rise di gusto vedendo la mia espressione
seccata.
Doveva
trovarmi davvero buffa, per ridere a quel modo.
–Riposati, ora, se no non
guarirai mai.- mi consigliò chiudendomi delicatamente le
palpebre facendo una
leggera pressione con le dita.
Mi misi su un fianco e mi rilassai, ma sentivo
un freddo pungente che mi invadeva fino alle ossa, facendomi
tremare.
La mia
schiena entrò in contatto con qualcosa di caldo, che in un
istante scacciò via
il gelo.
Due braccia forti mi cinsero la vita con delicatezza,
scaldandomi.
Feitan sorrise contro la mai nuca e mi baciò il
collo.
–Sogni d’oro,
ragazzina...- sussurrò.
La
mattina dopo mi svegliai che non avevo idea di che ore
fossero, e tutto quello che riuscivo a vedere era un tessuto nero a
mezzo
centimetro dal mio naso. La testa pulsava, a quanto pareva stavo ancora
male.
–Ehi, ragazzina, come stai? Ti sei agitata parecchio, nel
sonno...- fece una
voce familiare.
Quasi mi prese un infarto quando mi resi conto che Feitan era
steso di fronte a me, e che io poggiavo la testa sul suo
petto.
Mi diede un
bacio sulla fronte bollente.
–Niente, la febbre non ti è passata né
ti è
scesa.- constatò.
–Che ore sono?- mormorai.
Non riuscivo a vederlo in faccia,
ma immaginai che avesse gettato un’occhiata
all’orologio dietro al letto.
–Le
nove e tre quarti, dormigliona.- rispose con tono scherzoso.
Ok, ero
decisamente in ritardo per la scuola. Feci per alzarmi, ma lui mi
abbracciò le
spalle impedendomi di muovermi.
–Dove credi di andare? Sei malata.- mi
rimproverò.
Sospirai e tornai rilassata.
–Sei rimasto sempre qui? Tutto il
tempo?- chiesi con voce flebile.
–Certo. Cos’è, ti lascio sola?-
Sbuffai.
–Sarei sopravvissuta.- replicai seccamente.
Rise.
–Non ho dubbi su questo. E
magari saresti anche andata a nuotare nell’acqua gelida, per
poi farti un giro
in bicicletta coi capelli completamente zuppi.- mi prese in
giro.
Finsi di
offendermi.
–Non sono così irresponsabile!- esclamai
stizzita.
–Sì che lo sei.
Peggio di Phinks.- ribatté divertito.
–Chi è Phinks?- domandai perplessa.
Sembrò rendersi conto solo in quel momento di aver
pronunciato un nome che
forse era “non opportuno”.
–Allora? Chi è Phinks?- ripetei. –Un mio
amico.-
Sorrisi. –Un tuo amico assassino, intendi?-
ironizzai.
–Già. Un giorno ti
faccio conoscere gli altri del Ragno.- decise.
–Non so...- Incrociai le sue
iridi gialle, trovandole fin troppo determinate per i miei
gusti.
–E invece sì.
Così ti conoscono.- insistette.
Poi mi abbracciò stretto e mi guardò negli
occhi, sfiorandomi le labbra con le sue.
–Ora però riposati. Appena stai meglio
ti porto dagli altri. Contenta?-
Stavo per ribattere qualcosa, ma mi zittì con
un bacio.
–Se ci sei tu mi va bene qualunque cosa.- risposi.
Sorrise
teneramente.
Poco
tempo dopo mi ritrovai nel covo di quei pazzi, ma
riuscii a sopravvivere. Nonostante tutto.
Feci immediatamente amicizia con le
ragazze, ed iniziai a rispettare Kuroro.
Phinks era simpaticissimo ma mi
metteva spesso in imbarazzo, dato che era il più malizioso
di tutti.
Comunque,
avrebbero dovuto stilare una classifica per la
“pervertitaggine”, in
quell’organizzazione,
non solo per il braccio di ferro. Certe volte, più che un
gruppo di ladri ed
assassini famosissimi, mi parevano seriamente delle suocere pettegole e
ficcanaso.
Coerente, no?
Dopo un po’ di “esperienze” con loro, mi
abituai agli amici di Fei,
che ormai consideravo miei cognati e mie cognate.
In fondo, io e Fei eravamo
fidanzati... O sbaglio? Cioè, lui non mi ha mai chiesto
esplicitamente “Vuoi essere
la mia fidanzata?”, penso non gli sia nemmeno passato per la
testa, per come è
fatto, ma un certo qualcosa ci doveva pur essere, tra noi! No? Non ho
ragione?
Ok,
io lo amavo (e lo amo) più di qualunque altra cosa o
persona, ed ero (sono)
certa che anche per lui fosse (sia) così.
Anche se non me l’ha mai detto... Non
mancava occasione per dimostrarmi quanto fossi importante per lui, ogni
volta.
Come
quando aveva litigato con Phinks perché
quest’ultimo aveva osato
fare il Don Giovanni con me (pure
lui però se le va a cercare!). Io, in quel
momento, ero diventata rossa
fino alle orecchie, e Fei era intervenuto. Appena uscii dalla sala
scoppiò un
casino spaventoso: urla, grida, rumore di cose che si rompono... Non
volli
sapere cosa stesse succedendo, ma il giorno seguente il castano aveva
la spalla
destra slogata e un livido all’altezza dello zigomo, oltre
che una faccia da
paura.
Feitan lo inceneriva con lo sguardo ogni istante.
Che banda di matti!
-Fei...
Posso farti una domanda?- gli chiesi una volta,
mentre passeggiavamo per la città deserta.
Lui mi guardò incuriosito.
–Certo. Dimmi
pure.- mi incoraggiò.
Allora presi un bel respiro e mi decisi a parlare: -Ti
ricordi quando ci siamo incontrati? Ecco, se quella volta non mi avessi
considerata “strana” ed
“interessante”, cosa sarebbe successo?-
Si fermò all’improvviso
ed io gli rivolsi uno sguardo interrogativo.
Espose un mezzo sorriso, ma era un
sorriso molto, molto tirato.
Ho sempre odiato quel genere di sorrisi.
–Be’, se
mi avessi risposto che sì, avevi paura, probabilmente ti
avrei messa al
muro...- rispose costringendomi con le spalle contro la parete di un
palazzo. –Poi
avrei “giocato” con te come fa il gatto col topo...
Così...- continuò
bloccandomi entrambi i polsi ai lati della testa e avvicinandosi
pericolosamente al mio collo.
Sentivo il mio cuore che batteva forte, sempre
più forte, e probabilmente anche lui riusciva ad
udirlo.
Chiusi gli occhi
quando arrivò a sfiorarmi la pelle.
–Non ti potrei mai fare niente di male...-
sussurrò per rassicurarmi.
–Io mi fido di te.- risposi calcando le parole,
però
serrando ancora di più le palpebre e imponendomi la
calma.
–Ingenua...- lo
sentii mormorare piano.
Posò un bacio leggero all’altezza della vena
giugulare.
–Ed alla fine ti avrei uccisa, dopo essermi divertito...-
ammise senza
lasciarmi. Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
–Hai paura? Ti ho
spaventata, vero?- chiese, evitando appositamente
di incrociare i miei occhi, di nuovo aperti.
–No.
Non mi fai mai paura, perché so che non mi farai mai del
male...- sussurrai
cercando di calmare i battiti accelerati.
–Ma non sei al sicuro con me
accanto...- obiettò incupendosi –Anche se non
riesco a farti del male, ti metto
in pericolo ogni istante...-
Sorrisi radiosa.
–E allora? Finché ci sei tu mi
sento al sicuro.-
Sollevò il capo, incredulo.
–Certo che sei davvero strana,
ragazzina...- mormorò accennando anche lui un
sorriso.
–Me lo dici sempre.-
replicai incrociando le braccia al petto e facendo
un’espressione penso
assolutamente ridicola.
Riuscii a farlo ridere.
E quando rideva mi sentivo
sempre felice, anche se non ho idea del perché.
Forse era il veder sciogliere
quel cuore di ghiaccio che mi scaldava.
Mi sfiorò la guancia ed io mi buttai
tra le sue braccia.
–Sei una ragazzina coraggiosissima, Keyla.-
sussurrò al mio
orecchio, accarezzandomi i capelli.
Ehilà,
eccomi tornata con un’altra
storiella (lo so, ho rotto con le One-Shout, ma la prossima giuro
sarà una Long-Fic!).
Come state? Vi piace questa cosuccia (che poi non è altro
che il completamento
di quell’altra mia Fic, “Io e il
Ragno”)?
Ah, nell'immagine è Keyla.
Come vi pare?
Ditemi tutto ed a presto,
Keyla